martedì 3 settembre 2013

la grande guerra




è un film del 1959 diretto da Mario Monicelli, prodotto da Dino De Laurentiis e interpretato da Alberto Sordi e Vittorio Gassman.
È considerato uno dei migliori film italiani sulla guerra e uno dei capolavori della storia del cinema.Vincitore del Leone d'oro al Festival del Cinema di Venezia ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini e nominato all'Oscar quale miglior pellicola straniera, si aggiudicò inoltre tre David di Donatello e due Nastri d'argento. Ottenne un enorme successo anche all'estero, soprattutto in Francia.
Nel settembre 2009 il film è stato scelto per la pre-apertura della 66ª edizione del Festival del Cinema di Venezia. Nel gennaio 2011, come omaggio a Monicelli scomparso da poco, la Cineteca di Bologna organizzò una retrospettiva in suo ricordo, proiettando nel cinema Lumiére La grande guerra e altri lavori del regista. È stato successivamente inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare, "100 pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978".

Descrizione

« Oreste Jacovacci: "Ma che fai aoh, prima spari e poi dici chi va là?"
Sentinella: "È sempre mejo 'n amico morto che 'n nemico vivo! Chi siete?"
Oreste Jacovacci: "Semo l'anima de li mortacci tua!"
Sentinella: "E allora passate!" »

(Dialogo tratto dal film)

Felice connubio di tragedia e commedia, l'opera è un affresco corale, ironico e struggente, della vita di trincea durante la prima guerra mondiale.
Le vicissitudini di un gruppo di commilitoni sul fronte italiano nel 1916 sono narrate con un linguaggio neorealista e romantico al tempo stesso, abbinando scansioni tipiche della commedia all'italiana ad una notevole attenzione verso i particolari storici.
Le pregevoli scene di massa si accompagnano ad acute caratterizzazioni dei numerosi personaggi, antieroi umani ed impauriti, rassegnati e solidali, accomunati dalla partecipazione forzata ad una catastrofe che li travolgerà.
Monicelli e gli sceneggiatori Age & Scarpelli e Vincenzoni raggiungono l'apice artistico della loro carriera combinando, con impareggiabile fluidità di racconto, comicità e toni drammatici, ed aprendo la strada ad un nuovo stile cinematografico nelle vicende di guerra.
Memorabile il piano sequenza finale nel quale i due pavidi protagonisti si riscattano con un gesto coraggioso, sacrificandosi l'uno da “eroe spavaldo” e l'altro da “eroe vigliacco”. Quest'ultima figura viene qui concepita in maniera assai originale ed interpretata da un ispirato Alberto Sordi (vincitore del Nastro d'Argento come miglior attore protagonista).

Aspetti storici

« Io dico che se vinciamo questa guerra con i mezzi che abbiamo, siamo davvero un grande esercito. »
(Tenente Gallina nel film)

La ricostruzione bellica dell'opera è, da un punto di vista storico, uno dei migliori contributi del cinema italiano allo studio del primo conflitto mondiale.
Per la prima volta la sua rappresentazione venne depurata dalla propaganda retorica divulgata durante il fascismo e nel secondo dopoguerra, in cui persisteva il mito di una guerra favolosa ed eroica dell'Italia, e per questo la pellicola ebbe problemi di censura al momento dell'uscita nelle sale, e fu vietata ai minori di 18 anni. Fino a quel momento infatti i soldati italiani erano stati continuamente ritratti come valorosi disposti ad immolarsi per la patria. Emblematica ed indimenticabile in questo senso la scena dei festeggiamenti nel paese (subito trasformatisi in silenzioso dolore) e della retorica ostentata da autorità ed intellettuali al rientro delle truppe dalla sconfitta di Caporetto.
Il film denunciò inoltre l'assurdità e la violenza del conflitto, le condizioni di vita miserevoli della gente e dei militari, ma anche i forti legami di amicizia nati nonostante le differenze di estrazione culturale e geografica. La convivenza obbligata di questi regionalismi (e provincialismi), mai venuti a contatto in modo così prolungato, contribuì a formare in parte uno spirito nazionale fino ad allora quasi inesistente, in forte contrasto con i comandi e le istituzioni, percepite come le principali responsabili di quel massacro.

Trama

Il romano Oreste Jacovacci e il milanese Giovanni Busacca si conoscono durante la chiamata alle armi della Prima Guerra Mondiale. Oreste in quell'occasione promette a Giovanni di farlo riformare in cambio di denaro, ma lo inganna. I due si rincontrano sul treno per il fronte: dopo l'ira iniziale di Giovanni, finiscono per simpatizzare e per divenire amici. Seppure di carattere completamente diverso sono uniti dalla mancanza di qualsiasi ideale e dalla volontà di evitare ogni pericolo e uscire indenni dalla guerra. Attraversate numerose peripezie durante l'addestramento, i combattimenti e i rari momenti di congedo, in seguito alla Disfatta di Caporetto vengono comandati come staffette portaordini, mansione molto pericolosa, che viene loro affidata perché considerati come i "meno efficienti" a causa del loro limitato valore militare.
Dopo aver svolto la loro missione, si coricano nella stalla di un avamposto poco lontano dalla prima linea, ma una repentina avanzata degli Austriaci li "trasporta" in territorio nemico, dove vengono presto catturati. Sorpresi ad indossare cappotti dell'esercito austro-ungarico nel tentativo di fuggire, vengono accusati di spionaggio e minacciati di fucilazione. Sopraffatti dalla paura ammettono di essere in possesso di informazioni cruciali sul contrattacco italiano sul Piave, e pur di salvarsi decidono di passarle al nemico. L'arroganza dell'ufficiale austriaco ed una battuta di disprezzo verso gli italiani («...courage?! Fegato dicono... Quelli conoscono soltanto fegato alla veneziana con cipolla, e presto mangeremo anche noi quello.») ridà forza alla loro dignità portandoli a mantenere il segreto fino all'esecuzione capitale, l'uno insultando spavaldamente il capitano nemico («Giovanni Busacca all'ufficiale austriaco: "[...] e allora... senti un po', visto che parli così, io non ti dico proprio un bel niente. Hai capito?! Faccia di m***a!"») e l'altro che, dopo la fucilazione del compagno, finge di non essere a conoscenza delle informazioni e viene così subitaneamente fucilato poco dopo l'amico. La battaglia si conclude poco tempo dopo con la vittoria dell'esercito italiano che rioccupa poco dopo la postazione caduta in mano agli Austriaci, senza che nessuno venga a conoscenza del valore del loro sacrificio. Il loro sacrificio non è inutile: i loro compagni sono all'attacco e la vittoria non è lontana. I soldati pensano che anche questa volta i due amici l'hanno scampata; invece non sanno che sono morti per non tradire la patria.

Produzione

La grande guerra nacque da un'idea di Luciano Vincenzoni, influenzato dal racconto "Due amici" di Guy de Maupassant. Quando Monicelli portò il soggetto a Dino De Laurentiis, il produttore dimostrò subito grande interesse e accettò con l'idea di mettere insieme Gassman (reduce dal grande successo de I soliti ignoti) e Sordi. Anche se il regista dovette faticare prima di affidare il compito di scrivere la sceneggiatura ad Age e Scarpelli, perché De Laurentiis li riteneva legati alle commedie di Totò, e quindi poco adatti al film.
La sceneggiatura integrava figure e situazioni provenienti da due libri famosi: Un anno sull'Altipiano di Lussu, e "Con me e con gli alpini" di Jahier. Come l'episodio della gallina, tratto dal libro di Lussu, che fu in seguito tagliato dal regista.
Il giornalista e scrittore Carlo Salsa, che aveva combattuto realmente in quei luoghi, prestò la sua opera di consulente, arricchendo la trama, i dialoghi e lo sfondo di particolari vividi ed originali.
Inizialmente Monicelli voleva dare l'idea di "una specie di grossa pentola in ebollizione, da cui ogni tanto veniva fuori un personaggio; una massa amorfa di umanità, di soldati, di operai, di braccianti, sbattuti nelle trincee in mezzo al fango, lungo i tratturi, da cui uscissero fuori qua e là dei tipi, dei momenti." Alla fine la presenza di Gassman e Sordi ha fatto sì che questo non avvenisse. In effetti, anche scrivendo la sceneggiatura si diede maggiore importanza ai due protagonisti di quella prevista.
Ci fu una polemica inerente la parte finale del film, la fucilazione dei protagonisti - dei due comici. De Laurentiis e i distributori volevano un finale meno drammatico, più gioioso, avrebbero preferito che finisse con la loro liberazione. Perché sembrava che in qualche modo rompesse gli schemi del film comico.

Riprese

Le prime riprese del film furono effettuate in Friuli: vennero scavate delle trincee e ricostruite le retrovie. Dopo alcuni giorni di riprese, Monicelli ricevette una telefonata da De Laurentiis che aveva visto i giornalieri della pellicola, dove i soldati e gli ufficiali apparivano laceri, sporchi - Monicelli faceva bagnare con delle pompe un largo tratto di terra, e poi diceva alle comparse di rotolarsi nel fango. Così il produttore disse al regista che la cosa era esagerata. Tentò in tutti i modi di dissuadere il regista, dicendo che non poteva far vedere l'esercito in quelle condizioni, che il pubblico non avrebbe accettato. Dopo varie discussioni De Laurentiis alla fine gli diede ragione.
Le scene per la maggior parte vennero girate in provincia di Udine, Gemona del Friuli, a Venzone, a Sella Sant'Agnese, nel forte di Palmanova e a Nespoledo di Lestizza dal 25 maggio a metà giugno del 1959. Altre scene vennero girate in Campania a San Pietro Infine e nel Lazio lungo il torrente Farfa tra Fara Sabina e Montopoli di Sabina. La scena della fucilazione e quella finale presso il Castellaccio dei Monteroni a Ladispoli (Roma).

Doppiaggio
Silvana Mangano recitò in romano e successivamente si doppiò in veneto.

Colonna sonora

Le musiche del film furono composte da Nino Rota, di seguito sono riportate le varie tracce:

La grande guerra - Titoli di testa (02:55)
Di qua, di là del Piave 1 (00:53)
Reticolati (01:35)
Giovanni e Oreste (03:35)
Costantina e Giovanni (01:55)
Vita di trincea (02:35)
La moglie di Bordin (01:02)
Libera uscita (01:20)
Di qua, di là del Piave 2 (00:52)
Le voci della guerra (08:41)
Finale (00:55)

Distribuzione

Presentato al Festival di Venezia nel settembre 1959, venne poi distribuito nelle sale il 28 ottobre. Fu in seguito esportato nei seguenti paesi:
Francia: La grande guerre, 4 maggio 1960 (Parigi)
Germania Ovest: Man nannte es den großen Krieg, 2 agosto 1960
Spagna: La gran guerra, 24 novembre 1960 (Madrid)
Portogallo: A Grande Guerra, 26 aprile 1961
USA: The Great War, 30 agosto 1961 (New York)
Danimarca: Den store krig, 2 febbraio 1962
Polonia: Wielka wojna
Finlandia: Suuri sota
Grecia: O megalos polemos
Argentina: La gran guerra
Brasile: A Grande Guerra
Ungheria: A nagy háború

Divieti

Islanda: L
Finlandia: K-16
Italia: VM18
Spagna: 18
Germania Ovest: 16 (f)
Argentina: 16

Accoglienza

Alla prima proiezione per la critica, alla Mostra di Venezia, il film non fu accolto benissimo. In particolare per l'eccessiva importanza data ai due comici. Anche altri registi, come Elio Petri, contestarono l'opera di Monicelli, che restò infatti molto amareggiato. Mentre alla seconda proiezione per il pubblico ottenne un successo strepitoso e ci fu un ripensamento anche da parte dei critici: tra i quali Maurizio Liverani (critico del "Paese Sera") che disse a Monicelli: «Ho rivisto il film, ci ho ripensato, avevo avuto un'impressione diversa...» Anche Sergio Amidei, amico del regista, si ricredette sulla pellicola, dichiarando però che era già stabilito che il vincitore del Leone d'oro fosse Il generale della Rovere di Rossellini (di cui Amidei era co-sceneggiatore). Tutto si rovesciò negli ultimi due giorni, grazie anche all'intervento di René Clair (che disse a Monicelli che era un film straordinario), così nonostante il parere riluttante del presidente della giuria Luigi Chiarini (il quale aveva sempre avuto poca simpatia per il regista) furono costretti a dare il Leone d'oro ex aequo a quello di Rossellini.
Ricordò Monicelli, a proposito della proiezione per il pubblico al Festival di Venezia: "Ci fu a Venezia, alla fine della proiezione, un applauso così lungo che lasciò esterrefatti gli attori, tutti quanti noi. Non pensavamo che il film avesse questo esito. Speravamo che andasse bene, ma che avesse un esito talmente trionfale... che poi evidentemente costrinse la giuria a darlo ex aequo a quello di Rossellini..."

Incassi

Il film fu campione d'incassi. L'incasso stimato tra il 1959 e il 1960 è stato di circa un miliardo e mezzo di Lire.

Critica

« Va detto che Sordi, Gassman e una bravissima Silvana Mangano, ben diretti, offrono splendidi saggi recitativi e che la morbida fotografia di Rotunno, da stampa grigiastra, ottiene magici risultati. Naturalmente persistono molti lati negativi, il deteriore bozzettismo paesano... molte pagine di facile effetto, il "frammentarismo" che non crea il quadro completo ma il risultato finale resta più che notevole. »

(Mario Bianchi)

« In fondo non era un film dissacratore, non era un film così tanto antimilitarista, ma un film che proponeva un esempio di patriottismo con buon senso, un patriottismo della gente semplice, che diventa eroica quando ce n'è bisogno. Eroi se è il caso; eroi per caso; eroi del caso. »

(Oreste De Fornari)

« Nell'esercito italiano della prima guerra mondiale, due fantaccini stravaganti e paradossali, e soprattutto, pieni di paura. Durante una ritirata, si sbandano. Presi dagli austriaci, sanno lasciarci onestamente la pelle. Un cordiale film di Monicelli che nonostante le sue abituali concessioni al colore, al macchiettismo e al bozzetto comico fine a se stesso, seppe sfuggire all’oleografia tradizionale. Indiscrezioni corse sul film prima che la lavorazione fosse conclusa suscitarono una campagna di stampa che oppose i fautori della rappresentazione realistica ai custodi della retorica patriottarda. »

(Gian Piero dell'Acqua)

« La vicenda di questo film, premiato di recente alla Mostra di Venezia con il Leone d’oro ex aequo con Il generale Della Rovere, è quasi tutta imperniata sulle gesta di due soldati paurosi che, durante la guerra 1915-18, cercano di riportare a casa la pelle in tutti i modi, ma poi, pur di non tradire, finiscono per farsi fucilare dagli austriaci. Mario Monicelli, svolgendola, si è forse lasciato andare un po’ troppo a situazioni e a battute antieroiche, ma si è riscattato con quel clima umano e dimesso, equilibrato e sereno cui è riuscito ad affidare le pagine più vive del suo racconto. »

(Gian Luigi Rondi)

« Film "utile" possiamo definire La grande guerra. "Utilità" legata all’esigenza e al dovere civile di rimuovere quelle pietre con le quali si cerca di nascondere le pagine "proibite" della nostra storia e quindi di far conoscere anche quei "vermi" che sotto di sé tali pietre nascondono e nutrono. Monicelli, che non possiede il talento di un Rossellini (si pensi allo stesso Il generale della Rovere, Leone d’oro ex-aequo con La grande guerra alla Mostra veneziana del 1959), nell’ambito delle risorse e del tono de i soliti ignoti, e sull’esempio di Lean de Il ponte sul fiume Kwai, ha costruito un grosso film spettacolare con alcune idee dentro, volte appunto a combattere luoghi comuni e miti di una retorica dannunziana ancora ufficiale. »

(Guido Aristarco)

« Ed ecco La Grande guerra. Eccola anzitutto nel più recente volume della Collana Cinematografica, dedicata dall'editore Cappelli ai grandi film. Compilatore del volume in questione è Franco Calderoni, che vi riassume fra l'altro la polemica suscitata, nel gennaio del '59, dall'annunzio del film, annunzio che parlava di "eroi della sana paura". Io fui tra quelli, rammenterete, che supplicarono De Laurentiis di non girare La grande guerra. Ciò non soltanto perché mi aveva agghiacciato l'espressione "eroi della sana paura", ma anche perché avevo letto l'originaria trama. »

(Giuseppe Marotta)

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