mercoledì 13 novembre 2013

kill me please di Kamala




Quando pensi a come ti piacerebbe morire, immagini di spegnerti nel sonno a un’età indefinitamente avanzata, senza malattie e senza dolori fisici, dopo aver goduto appieno di ciò che la vita ti può offrire di meglio.
Sì….a qualcuno capita, ai più fortunati.
La maggior parte di noi invece è destinata a crepare in un letto d’ospedale ancorata a una sottospecie di vita attraverso cavi, tubi che fuoriescono da ogni nostra apertura, inchiodati da aghi nelle vene e nell’anima, spesso senza più intendere né volere. E quando ti va bene sei già pure un vecchio decrepito. E a me i vecchi fanno schifo. Cazzo lo so che non è bello da dire, non è corretto, e decisamente poco cristiano. E so bene che vecchia tra non molto lo sarò anch’io.
Sono convinta che ci siano molti lati positivi nella vecchiaia soprattutto se hai vissuto una vita piena ed appagante, se hai una famiglia con cui condividere e tramandare, ammesso e concesso che tu sia riuscito a costruire un ottimo rapporto di comprensione con chi ti sta accanto. Ma il disfacimento del corpo, il suo inevitabile declino mi disgusta.
Sai quando le cose prendono forma e incominci a sentirne l’odore? Ecco….io da qualche mese discuto di questo argomento (vecchiaia, accanimento terapeutico, suicidio assistito, ecc….). In un modo o nell’altro mi si è presentata l’occasione di parlarne con amici e conoscenti, finché non si è materializzata in tutta la sua essenza.
Ma non puoi decidere del destino degli altri anche se questo influenza il tuo. Guardo e non comprendo l’ossessione di vivere una vita ormai finita a meno che non sia d’aiuto a chi vi si aggrappa per sentirsi a sua volta vivo. Inutile elargire giudizi, a ognuno la sua scelta, se di scelta si tratta.
Per quanto riguarda me credo sia giunto il tempo di scrivere un testamento biologico. Sì perché fintanto che stai bene e sei ancora moderatamente giovane ti paiono allucinanti paranoie, infausti auspici. Ma gli anni scorrono velocemente costringendoti ad affrontare realtà scomode (e questo se sei fortunato e non hai dovuto affrontare malattie incurabili o simili cose in età più giovane).
Scopro che anche per morire con dignità ci vogliono i soldi. In Svizzera, a Forch nel cantone di Zurigo, ha sede un’associazione "DIGNITAS – Vivere degnamente - Morire degnamente" fondata il 17 maggio 1998 che si prefigge di assicurare ai suoi membri una vita e una morte dignitose, valori a cui ogni essere umano dovrebbe aver diritto. L'organizzazione non ha scopi di lucro, però devi pagare una tassa d’iscrizione pari a €180,00 e una quota annuale minima di € 65,00. Tutto sommato non una grande cifra, ma il conto vero e proprio arriva al momento del trapasso stimato intorno a € 9.000,00 compreso di disbrigo delle esequie e iter burocratico. Si chiama accompagnamento alla morte volontaria perché nessuno all’interno della struttura può somministrare il farmaco che porterà alla morte (pentobarbital di sodio/NaP, un barbiturico solubile nell'acqua potabile, che non causa dolori e agisce velocemente). Chi è in grado lo deve assumere da solo sciolto in un bicchier d’acqua. Chi deve essere nutrito attraverso sonde gastriche, lo prenderà con la sonda. Chi non può mangiare né alimentarsi con la sonda, può assumere il prodotto con un’endovena già predisposta in precedenza. Ricordate il caso del Dott. Morte? Sulla vicenda di Jack Kevorkian, detto il Dottor Morte, è stato girato anche un film molto bello di qualche anno fa You Don't Know Jack. Aveva inventato un macchinario che dava la possibilità anche a chi era paralizzato di iniettarsi il farmaco mortale. Ma infine fu condannato a 25 anni di reclusione per omicidio di secondo grado (130 suicidi assistiti).
Pochissimi sono i paesi al mondo dove è legale questo tipo di pratica. Svezia, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Oregon, Montana e nello stato di Washington.
In Svizzera è vietato a un terzo, parente o altro designato dal paziente stesso, iniettare il medicinale nel caso di perdita della lucidità mentale. A severissime condizioni, i medici sono autorizzati a praticarlo in Belgio, Olanda e Lussemburgo. Rimane quindi il problema nel caso ti succedesse un incidente improvviso che ti rende incapace di discernimento.
E se a un certo punto si decidesse di fare da soli? tipo Monicelli per intenderci. Sì….sembra facile ma provate a pensarci bene. A 90anni, magari con problemi di salute, non è così semplice architettare un suicidio efficace. Se ti vuoi buttare da un edificio ti devi trovare nella condizione di esserci o di ricordarti un posto adatto in tal senso perché non è che avrai molte forze per girare in lungo e in largo alla sua ricerca. Escluderei poi il metodo dell’impiccagione che richiede un notevole sforzo fisico. E i barbiturici? Tra quelli più comuni si dice procurino ore di incubi e dolori, che poi chi se ne frega, ma comunque bisogna avere la possibilità di averli acquistati, avere la prontezza di riflessi di prenderne una dose giusta in un adeguato momento non da svegliarsi improvvisamente dopo una devastante lavanda gastrica riportato in vita da qualche diligente parente assetato del tuo affetto, o solo vinto da costrizioni morali. Le armi poi per il momento non fanno parte della nostra cultura. Insomma non è così facile come sembra oggi nel pieno delle nostre facoltà fisiche e mentali. Inutile dire che finchè saremo dominati da pregiudizi religiosi il suicidio assistito legale e gratuito resterà un miraggio. E’ anche vero che tutta questa faccenda è un’esperienza nuova per l’essere umano se si pensa che solo 50 anni fa si moriva di influenza o polmonite.
E allora?
Allora nemmeno morire in pace si può!!!

Kamala

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