sabato 31 gennaio 2015

il giardino delle vergini suicide

è un film del 1999 diretto da Sofia Coppola. 
è uno splendido film, l'ho visto in televisione, caso rarissimo di buona programmazione televisiva.
è u film delicatissimo ma intensissimo sull'adolescenza, le sue derive tragiche quando contestualizzata in una famiglia drammaticamente cieca, bigotta, incapace di amare, conservatrice, convenzionale, e, alla fine, assassina.
ebbene si, famiglia assassina impersonata da una padre che abdica al suo ruolo di educatore e regolatore della voracità materna, assente, ritirato, indegno, superficiale e da una madre divorata dalla sua visione cristallizzata e impenetrabile di un destino per le sue figlie, fissato nella sua mente, senza che delle figlie sappia vedere niente.
racconta bene il turbamento del cambiamento, la sofferenza della separazione, quando è resa possibile, la visione della morte anche suicidaria, così cara all'adolescenza. la consapevolezza della morte arriva con la consapevolezza della generatività, e la pulsione aggressiva e sessuale in adolescenza sgorga con una violenza mai vista né prima né dopo. se posso generare posso anche morire. e la sofferenza, a volte, nell'incomprensione, nell'indifferenza, nella rabbia, nella sfida, è così presente torturante soffocante da non trovare altra via di espressione se non nella morte. se non sono né visto, né udito, né, soprattutto, riconosciuto, la morte è il mio unico destino, non quello stabilito nella mente possessiva e anaffettiva di mia madre che non mi vede per quel che sono ma per quello che lei vuole che io sia, è l'unica fine possibile al mio star male.
cinque bellissime sorelle bionde tra i 15 e i 19 anni si consegnano alla morte, prima una e poi le altre quattro, come unica espressione possibile di un dolore mai detto, tanto meno gridato, di una clausura fisica e psicologica che annienta l'individuo, la soggettività, l'espressione di desiderio e di crescita personale.
la narrazione è affidata a una voce parlante maschile, un uomo, allora coetaneo, che racconta la storia di queste cinque sorelle anni dopo la loro morte, che le ha vissute, le ha guardate, le ha osservate, le ha ammirate, le ha amate. le ha viste svanire nella loro inafferrabilità senza averle mai veramente capite.
questa narrazione è sorprendente per bellezza, delicatezza e intuitività. esprime bene la fascinazione del femminile sul maschile nell'età adolescenziale, e forse per tutta le vita, un turbamento profondissimo che evidenzia con sublime poesia l'attrazione verso l'alterità femminile e la sua assoluta incomprensione. il ragazzo, giovane maschio, vede la donna nella sua portanza relazionale, nell'importanza della sua potente domanda all'altro, ma sopratutto nella sua aura mistero inconoscibile, ne subisce un fascino conturbante, cerca di averla sessualmente ma non è sessualmente che l'avrà. è descritta mirabilmente la delusione del rapporto sessuale che dovrebbe svelare tutto dell'altra, e dell'altro, e non svela ancora niente, lo svelerà solo in rapporto all'amore. 
un giorno, forse, in un tempo a venire, per chi l'avrà, un tempo agognato ma, a volte, impossibile da raggiungere.
sofia coppola, chapeau.

fonte: nuovateoria.blogspot.it

Giannuli: disfarci subito dell'euro, prima che ci crolli addosso

Le elezioni greche si avvicinano e i mercati finanziari tremano: vincerà Tsipras? E che farà dopo? L’euro reggerà? E poi, Grecia a parte, come la mettiamo con il petrolio in picchiata? E il leggendario “quantitative easing” di Draghi ci sarà e quanto sarà consistente? Procediamo con ordine: che Tsipras vinca in Grecia è probabile (e, per quel che mi riguarda, auspicabilissimo) ma non è sicuro: dobbiamo vedere che campagna terroristica scateneranno per condizionare gli elettori greci e di quale efficacia sarà. Anche per questo, fa bene Tsipras a non parlare ora di uscita della Grecia dall’Eurozona, preferendo limitarsi al tema della rinegoziazione degli accordi; diversamente farebbe un favore agli avversari. Ma, se dovesse vincere, non credo che avrebbe molte scelte: o subite i diktat di Berlino via Troika e tradire il mandato elettorale, o far saltare il tavolo e andare dritto in rotta di collisione. Se dovesse vincere, il mandato dell’elettorato sarebbe inequivoco: portare fuori la Grecia dalla spirale in cui sta sprofondando. E questo non si fa mantenendo l’attuale regime di austerity, su questa strada c’è solo il suicidio.
Quindi, la Grecia non può permettersi di pagare questi interessi sul debito e, tantomeno, di pagare un debito ormai non restituibile. Ma questo significa dichiarare default: è compatibile con l’appartenenza all’euro? Non ci sono precedenti, pereuro-suicidiocui non sappiamo come il default di un componente possa riflettersi sulla moneta comune e neppure se il paese fallito possa continuare a far parte del patto monetario e a quali condizioni; però ci pare scarsamente realistico che tutto possa restare come prima, dopo il default di uno dei paesi membri, anche se piccolo come la Grecia. La Bce potrebbe continuare a fornire allo Stato greco le banconote per il circolante necessario? Se ciò non fosse, Atene sarebbe costretta a battere moneta in proprio, anche solo in forma di moneta provvisoria o di buoni rimborsabili o altro, perché diversamente non avrebbe di che pagare gli stipendi statali e le pensioni e, più in generale, l’intera economia del paese si paralizzerebbe. E a quel punto, la scelta spetterebbe alla Bce: o continuare a fornire in qualche modo la propria moneta alla Grecia o accettare la sua uscita dal patto e aprire la crisi della moneta e del suo stesso patto istitutivo, che non prevede l’uscita di nessuno.
Insomma, questa, più che una moneta, sembra essere un penitenziario di massima sicurezza. D’altro canto, una moneta che diventasse l’hotel del libero scambio, con gente che va e gente che viene, crollerebbe in brevissimo tempo sui mercati. Perché, se si accettasse di tenere nel club un paese in default, poi la stessa scelta potrebbe essere fatta da altri, magari Lisbona, Bruxelles, Madrid, Cipro e (perché no?) Roma. Stabilito il precedente, sarebbe difficile impedire agli altri di fare altrettanto, qualora le condizioni costringessero a quel passo. E così la moneta diventerebbe un aggregato molto instabile, troppo instabile per poterci investire qualsiasi cifra: io compero un qualsiasi titolo finanziario in euro (non importa se di uno Stato o una impresa) però Tsiprasnon so, fra cinque anni, chi ci sarà dietro questa moneta, forse nessuno, perché uno alla volta se ne saranno andati tutti e resta solo la Bce come sorta di banca privata. Chi scommetterebbe un centesimo su una moneta così?
D’altro canto, se la Bce decidesse di continuare a tenere la Grecia anche in stato di insolvenza, questo avrebbe inevitabilmente conseguenze sull’apprezzamento della moneta, perché, anche in questo caso, stabilito il precedente, non ci sarebbe modo di evitare l’assalto degli altri scarsamente solventi. In fondo, per i primi cinque anni di esistenza dell’euro, anche i paesi più indebitati (come l’Italia) hanno avuto la possibilità di emettere titoli a interessi bassissimi (ricordiamo, non troppo superiori all’1%) nel presupposto che vi fosse una garanzia implicita della Bce. Oggi si scopre che così non è, ma a questo punto chi volete che investa il becco di un quattrino in titoli del genere, se non per una sostanziosa rivalutazione degli interessi? E con un salto in avanti degli interessi, quanti Stati fallirebbero? Qui avrebbero da temere non solo l’Italia o la Spagna, ma anche la Francia e molti minori.
Ci sarebbe la strada dell’haircut: una rinegoziazione parziale del debito greco, ribassando gli interessi e allungando i tempi per dar fiato alla Grecia. Ma, anche qui, il problema sarebbe il precedente: passato il precedente, che si fa se anche gli altri si mettono in fila per una transazione del genere? E se il debito greco è intorno ai 350 miliardi di euro, e una rinegoziazione potrebbe essere sopportata soprattutto dalle banche tedesche e francesi che ne detengono una bella fetta, se poi la cifra da rinegoziare dovesse raggiungere alcune migliaia di miliardi per l’arrivo di tutti gli altri, la cosa diventerebbe assai meno praticabile. Il punto è che l’euro è stato il più clamoroso abbaglio della storia economica mondiale: non si mettono insieme 27 economie diverse e con esigenze opposte, sotto lo stesso tetto monetario. O meglio, lo si può anche fare ma dandosi un unico Merkel e Draghicentro decisionale, un unico sistema fiscale, un unico sistema sociale e contributivo, una stessa contabilità pubblica, insomma un governo comune.
In effetti, l’euro fu venduto all’opinione pubblica mondiale e agli ignari europei come l’immediata premessa dell’unificazione politica, di cui, manco a dirlo, non si è visto neppure l’ombra, perché mancavano le più elementari premesse, per lo meno in tempi brevi o anche medi. E la realtà si vendica sugli architetti troppo audaci che costruiscono cattedrali su malferme palafitte. Il problema oggi non è se abbandonare l’euro, ma in che tempi e in che modi. L’euro è un esperimento fallito politicamente, prima ancora che monetariamente, e non c’è prova d’appello. Il crollo di questa moneta è solo questione di tempo. Il problema è quello di decidere se restare sotto la volta, ad aspettare che ci cada addosso, o magari prepararci ordinatamente ad uscire, prima che accada l’irreparabile. Il guaio è che dall’euro non si può uscire unilateralmente, con un colpo di testa – o, per lo meno, chi lo facesse si candiderebbe a sfasciarsi le ossa, e così uno alla volta, sino all’ultimo. E quel che è peggio è che non ci sono procedure previste per uscirne: che io sappia, l’euro è l’unico trattato al Giannulimondo senza procedure di recesso. Una follia unica.
Immaginiamo che domani si faccia un referendum sull’euro, magari perché ammesso dalla Corte Costituzionale sulla base di non so quali ragionamenti giuridici, e immaginiamo che vinca la tesi favorevole all’uscita, cosa accadrebbe? Nulla, non accadrebbe nulla; e il referendum resterebbe senza conseguenze, perché l’Italia si è impegnata sottoscrivendo un trattato che non prevede libertà di recesso. Però, la realtà è sempre più testarda delle parole, anche se in forma di trattati. Per cui, possiamo fare i trattati che vogliamo, ma se le dinamiche oggettive vanno verso il crollo, non c’è nulla da fare. Per cui, non sarebbe il caso di iniziare a discutere su come se ne può uscire? Ad esempio, perché non fare una campagna per un referendum sull’euro in tutti i paesi dell’Eurozona e nello stesso giorno? Avremmo almeno un indirizzo su cui ragionare. Oppure, perché non provare a dar vita a un movimento europeo per la revisione del trattato, a cominciare dall’introduzione di procedure di regresso? Magari potremmo anche varare una doppia circolazione, o anche tenere l’euro come unità di conto, articolato in monete nazionali con parità variabili in una certa banda (come era lo Sme). Insomma ci si può pensare, ma in fretta. Qui il tema è molto più complesso del solito e non conviene pensarci ciascuno per proprio conto.
(Aldo Giannuli, “Disfare l’euro: il problema non è se, ma come e quando”, dal blog di Giannuli del 4 gennaio 2015).

fonte: www.libreidee.org

domenica 25 gennaio 2015

qualcuno ci liberi dal grande sonno governato da Facebook

Facebook ha ucciso Internet e sono sicuro che la maggior parte delle persone non se ne è nemmeno accorta. Vedo gli sguardi sulle vostre facce e sento i vostri pensieri. Qualcuno si sta lamentando di nuovo di Facebook. Sì, so che è un ente massiccio, ma è la piattaforma che noi tutti usiamo. E’ un po’ come lamentarsi di Starbucks. Considerando che tutti i bar indipendenti sono stati buttati fuori dalle città e siete tutti diventati dipendenti dal caffè espresso, cos’altro si può fare? Che cosa si intende quando si dice che Facebook ha “ucciso” Internet? Chi è stato ucciso? Mi spiego. Parto dal presupposto che non so quale possa essere la soluzione. Però penso che ogni soluzione debba iniziare dalla solida identificazione della natura del problema. Innanzitutto, Facebook ha ucciso Internet, ma se non fosse stato Facebook sarebbe stato qualcos’altro. Probabilmente l’evoluzione dei social network era inevitable proprio come lo sviluppo degli smartphone. Era la direzione verso cui Internet sarebbe necessariamente dovuto andare.
Ed è appunto per questo che il problema è così difficile da risolvere. Perché la soluzione non è Znet o Ello. Non è un social network migliore, un algoritmo migliore o ancora un social network diretto da una società no profit invece che da un ente David Rovics, musicista indipendentemultimiliardario. Proprio come la soluzione dell’alienazione sociale causata dal fatto che tutti hanno una loro macchina privata non sta nella costruzione di veicoli elettrici. Ed esattamente come la soluzione dell’alienazione sociale causata dalla fissazione con gli smartphone non è la nascita di una compagnia di cellulari utilizzabili collettivamente. Molte persone, dalla classe di fondo alle élites, sono appassionate dal fenomeno dei social network. Sicuramente tra le poche persone che leggeranno questo articolo ce ne saranno alcune. Diffondiamo frasi come “la rivoluzione di Facebook” e celebriamo queste piattaforme che hanno il potere di unire persone provenienti dalle più disparate parti del mondo. E non è mia intenzione affermare che ciò non abbia aspetti positivi. Né tantomeno credo che dovremmo smettere di usare questi social network, incluso Facebook. Sarebbe come dire a qualcuno in Texas di andare a  lavorare in bicicletta, quando tutte le infrastrutture nelle città sono costruite per veicoli utilitari sportivi.
Ma dovremmo capire la natura di ciò che ci sta succedendo. A partire da quando i giornali sono diventati un fatto ordinario fino al 1990, per la vasta maggioranza della popolazione sul pianeta, il massimo a cui si poteva aspirare era scrivere una lettera all’editore. Una piccola, piccolissima parte di popolazione diventava invece autore o giornalista e aveva un forum pubblico aggiornato occasionalmente o regolarmente. Alcuni scrivevano anche ciò che oggi sarebbe considerato un blog annuale di Natale che poi fotocopiavano e mandavano a qualche dozzina di amici e parenti. Numerose agenzie giornalistiche indipendenti iniziarono a svilupparsi attorno al 1960 in modo occulto nelle città e paesini negli Stati Uniti e altri paesi. Si svilupparono, Giornali e computerinoltre, diverse opinioni e informazioni di semplice accesso per tutti quelli che abitavano vicino alle università e quindi potevano recarsi a incontri di scambio di informazioni e avevano soldi in più da spendere.
Negli anni ‘90, con lo sviluppo di Internet – siti web, liste di email – ci fu letteralmente un’esplosione della comunicazione che rese le agenzie giornalistiche degli anni ’60 nemmeno lontanamente comparabili. Sono molti negli Stati Uniti coloro che hanno deciso di smettere di usare il telefono in modo virtuale (perché preferiscono parlare faccia a faccia) e parlo per esperienza. Molti altri che non avevano mai scritto lettere prima o cose di questo genere iniziarono a usare computer e scriversi email, e anche a più persone alla volta. Quei pochi che invece erano abituati ai tempi prima di Internet a inviare notiziari in modo regolare informando dei propri pensieri e impegni futuri, prodotti e servizi intesi per la vendita eccetera, furono esaltati dall’avvento dell’email e della possibilità di inviare notiziari in modo così semplice, senza spendere una fortuna per le marche da bollo né sprecare tempo a imballare pacchi postali. Per un breve periodo di tempo, il numero di lettori rimase invariato, ma grazie a Internet ora possono comunicare con loro virtualmente e gratuitamente. Questo, infatti, fu il periodo di massimo sviluppo di Internet, altresì chiamato “età dell’oro” – circa tra il 1995 e il 2000. Sussisteva in modo sempre più incisivo il problema degli spam di vario genere. Inutili email venivano inviate in modo sempre più consistente. I filtri per gli spam iniziarono a diventare più accurati ed eliminarono il problema per molti di noi.
I list server che qualcuno si prendeva la briga di leggere erano semplici liste di annunci. I siti web più usati erano certamente interattivi ma moderati, come Indymedia. In alcune città del mondo, grandi o piccole che fossero, c’erano pagine locali Indymedia. Chiunque poteva pubblicare post, ma c’erano responsabili che decidevano se ed eventualmente dove lo si poteva pubblicare. Come in ogni pagina web, il processo per prendere determinate decisioni risulta difficile, ma molti la sentivano come una sfida per cui valeva la pena sforzarsi. Come risultato di questi list server e siti moderati come Indymedia, avevamo tutti l’abilità inaudita di trovare e discutere idee ed eventi che avvenivano nella nostra città, paese o più generalmente, nel mondo. Sono poi sopravvenuti i blog e i social network. Ogni individuo con un blog, una pagina Facebook o un profilo Twitter, eccetera, diventava il trasmettitore di se stesso. Crea dipendenza, non è vero? Sapere di avere un pubblico globale di dozzine o Facebookcentinaia, o ancora, migliaia di persone (se sei famoso, tanto per iniziare, altrimenti la situazione diventa alquanto critica) tutte le volte che pubblichi un post.
Avere conversazioni nella sezione dei commenti con persone provenienti da tutto il mondo che non si incontreranno mai fisicamente. Davvero fantastico. Da allora però molti smisero di ascoltare. La maggior parte delle persone smise di visitare Indymedia tanto che morì, globalmente, per quasi tutti. Giornali – didestrasinistra o centro che fossero – cessarono, e stanno tuttora cessando, la loro attività, cartacei e non. I list server smisero di esistere. Gli algoritmi sostituirono i moderatori. La gente iniziava già a pensare che le librerie fossero un fenomeno antiquato. Oggi come oggi, a Portland, in Oregon, una delle città più “connesse” a livello politico negli Stati Uniti, non ci sono list server o siti web che spieghino in modo comprensibile o in un formato leggibile come vadano le cose in città. Infatti, ci sono diversi gruppi su vari siti web, pagine Facebook e list server ma nulla che riguardi l’andamento progressivo della comunità in generale. Nulla di funzionale. Perlomeno nulla che si avvicini alla funzionalità e utilità delle liste di annunci che esistevano nelle città e paesi 15 anni prima.
Viste le limitazioni tecniche di Internet avvenute per un breve periodo di tempo, si riuscì a trovare una connessione tra le piccole élites che fornivano contenuti scritti, letti dalla maggior parte della popolazione nel mondo, e la situazione in cui ci troviamo oggigiorno: l’affondare nella troppa informazione, la maggior parte di cui insensate sciocchezze, rumore bianco, nebbia che non ci permette di vedere ciò su cui le luci scarse fanno chiarezza in un dato momento. Era l’età dell’oro ma fu perlopiù un caso e durò molto poco. Dato che creare un nuovo sito web, un blog, una pagina Facebook o Myspace, pubblicare aggiornamenti ecc… diventava sempre più semplice, la nuova era contribuiva inevitabilmente alla naturale evoluzione della tecnologia. E molti non si rendevano nemmeno conto di ciò che stava avvenendo. Perché mi ritrovo a doverlo dire? Innanzitutto non è da poco che ho iniziato a rendermi conto di questa merda. Ho parlato con svariate persone in molti anni e molte di queste pensano che i social network siano l’invenzione migliore dopo il pane affettato. E perché non dovrebbero pensarlo?
Il succo del discorso è che per nessun motivo avrebbero potuto rendersi conto della “morte” di Internet, dato che nessuno di loro era un fornitore di contenuti (come vengono chiamati autori, artisti, musicisti, giornalisti, organizzatori, animatori, insegnanti ecc.. oggigiorno) nel periodo pre-Internet, o nel primo decennio di Internet, inteso come fenomeno popolare . E se in quegli anni non eri un fornitore di contenuti, perché dovresti renderti conto che qualcosa cambia? Lo sappiamo io e gli altri come me – perché coloro che leggevano e rispondevano a ciò che pubblicavo sono spariti. Non aprono più le loro email e, se lo fanno, newsnon le leggono. E non importa cosa utilizzino – blog, Facebook, Twitter ecc… Ovviamente alcuni le leggono ancora, ma la maggior parte fa altro. E cosa, allora? Ho passato gran parte della scorsa settimana a Tokyo, girando per la città, trascorrendo ore e ore sui treni ogni giorno.
La maggior parte di quelli seduti sul treno quando visitai il Giappone per la prima volta dormiva, come dorme ora. Ma sette anni fa quasi tutti quelli che dormivano leggevano libri. Ora è diventato difficile vederne uno. Quasi tutti guardano il cellulare. E non leggono libri sul telefono (sì, ho sbirciato, tanto: giocano). Oppure, più spesso, guardano le notifiche di Facebook. E lo stesso vale per gli Stati Uniti e tutti gli altri paesi che ho avuto l’occasione di visitare. Vale davvero la pena di sostituire algoritmi a moderatori? Rumore bianco agli editori? Foto del gatto ai giornalisti investigativi? Una moltitudine di podcast mal registrati a case discografiche indipendenti? Milioni di aggiornamenti Facebook e notifiche Twitter? Non penso. Ma non è questo il punto. Come faremo a uscire da questa situazione e liberarci della nebbia? E quando torneremo a usare i nostri cervelli? Mi piacerebbe saperlo.
(David Rovics, “Facebook ha ucciso Internet”, da “Counterpunch” del 24 dicembre 2014, tradotto da “Come Don Chisciotte”).

fonte: www.libreidee.org

il rispetto di K



Il rispetto è un sentimento dovuto o qualcosa che ci si deve meritare?
Storicamente il rispetto è sempre stato collegato a un’autorità o a un potere, implicando un rapporto fra un superiore e un inferiore. E questo è ciò che mi hanno insegnato. Ma questo atteggiamento di riguardo e di stima nei confronti delle persone che mi sono superiori per condizione di una morale giuridica o economica o professionale è sempre stata per me come un pasto mal digerito, qualcosa che resta lì sullo stomaco e non va né su né giù.
Sarà forse perché sono figlia degli anni ‘60/’70 dove ribellarsi ai poteri costituiti era una necessità personale di liberazione intellettuale per una nuova crescita? Sì, credo che buona parte sia dovuto a quegli anni lì della mia formazione adolescenziale, ma non avrei avuto problema a portare rispetto a chi se lo meritava veramente. E beh, certo, e chi sono io per decidere chi e per cosa una persona si merita il mio rispetto? Da qui il mio acquisito divieto di imporre agli altri la mia verità lasciando ad ognuno la propria libertà interiore perché ciò che ti meriti ti sarà dato e non in termini di denaro, ma di stima e di rispetto da chi saprà cogliere le sfumature della tua più vera interiorità.
Della serie è meglio una cruda verità che un falso atteggiarsi.
Di conseguenza il rispetto che sento per gli altri si concretizza in due distinte categorie:
la stima (il più alto sentimento che a mio parere si può provare per gli altri) per persone che agiscono secondo un personale senso di dignità, persone che concretizzano le loro passioni, che agiscono seguendo un istinto naturale di comprensione, che sfruttano le proprie capacità e inclinazioni per costruire bellezza, questo e ancora di più ma che corrisponda a quello che è la persona veramente nel suo più profondo, sia esso un chirurgo o un barbone, un  intellettuale o un ignorante;
e il riguardo (sentimento più di scrupolo e di attenzione) per coloro che in buona fede hanno tentato di essere una persona degna di rispetto.
A questa seconda categoria per esempio fanno parte i miei genitori.
Non è un senso di superiorità il mio perché non so se a mia volta sarò degna di rispetto, un rispetto considerato come stima e non come semplice riguardo.
Io sono convinta che il rispetto dobbiamo meritarcelo.
Non voglio che mia figlia mi debba portare rispetto in quando io investita di una autorità parentale. Di fatti non ho mai detto a lei la classica frase “porta rispetto”, proprio perché la trovo senza valore. Io per prima ho sempre portato rispetto per lei, già da quando era in fasce, già dalla prima volta che l’ho attaccata al mio seno, rispetto e fiducia nella persona che già era. Forse è qui la differenza.
Non potrò mai essere quella gran donna degna di stima che banalmente mi piacerebbe essere (espressione del sentimento di inadeguatezza che alberga in me) e questo perché mi è impossibile riuscire ad arrivare alla vera me stessa e comportarmi come dignitosamente essa brama. E’ una forma di insicurezza dovuta ai geni, all’educazione, al mio passato. Ma non mi sforzo nemmeno di fare il possibile per meritarmelo il rispetto. Sono quel che sono, nella mia cruda e nuda e oscena verità, nascosta tra le piaghe di sentimenti che spesso non trovano dignità.
Il rispetto si ispira e non si comanda.
Non lo pretendo per me stessa; non pretendete che io lo provi per gli altri.

Kamala

(16 novembre 2013)

il blog di K è stato rimosso

giovedì 22 gennaio 2015

quel trolley griffato e i suoi bei 24 kg di cocaina


Si crede stupidamente che un atto criminale per qualche ragione debba essere maggiormente pensato e voluto rispetto ad un atto innocuo. In realtà non c'è differenza. I gesti conoscono un'elasticità che i giudizi etici ignorano.
(Gomorra, Roberto Saviano)

la signora, dama bianca, così bionda e griffata, me la vedo male in carcere 8-10 anni.
però così firmata e cotonata, chi l'avrebbe detto che per mestiere facesse il corriere della droga?
quatta quatta si portava dietro 20 e oltre kg di cocaina.
e di certo non una, ma chissà, esagero? decine di volte?
la signora.
che quando la sgamano..."mi hanno incastrato"...e piange. come piange? ma no, che diamine, fai la figa, trasporti droga, fai il maschio in gonnella, fai la sciura della malavita e piangi?? allora sei una femmina, solo una cazzo di femmina.
la signora.
mica tanto signora insomma, diciamocelo, una vera signora mica si sporca le mani con la farina bianca che ammazza centinaia di persone, va bene l'ultima di Gucci a tutti i costi, ma con i soldi che gocciolano sangue?
ma forse la signora non sa che nel suo elegantissimo trolley trasporta morte, traffico di droga, soldi sporchi, morti ammazzati, clan e cosche, corruzione, riciclaggio e il grande male della terra, tutto nostrano, che si chiama camorra. non lo sa?
mah, forse dal parrucchiere, su Chi, non c'era scritto. e l'amica del happy-hour ore 18.00 mica gliel'ha detto.
speriamo che la signora, spaventata per questo inaspettato strappo alla sua impeccabile immagine e terrorizzata che la tuta a righe non le doni -per non parlare del cespuglio che sarà dei suoi biondi capelli- parli.
le dica, le spari, belle e grosse, le notizie sul quel traffico che così messamente, ma fighissima, trasportava.
speriamo, magari le condonano un paio di annetti.
che donna, che classe, che portamento...mai fidarsi delle grandi firme della moda: sono sporche anche quelle. lo sapevate? avete mai letto Gomorra di Saviano? avete mai letto che tutto il mondo della moda passa dai clan della camorra, dal Sistema delle famiglie, per produzione, materiale, distribuzione, tutto?
il vestito di Angelina Jolie, alla notte degli oscar, una decina di anni fa...Pasquale lo ha fatto, Pasquale di Casarano, Tricase, Taviano, Melissano, proprio lui...
In tv Angelina Jolie calpestava la passerella della notte degli Oscar indossando un completo di raso bianco, bellissimo. Uno di quelli su misura, di quelli che gli stilisti italiani, contendendosele, offrono alle star. Quel vestito l'aveva cucito Pasquale in una fabbrica in nero ad Arzano. Gli avevano detto solo: «Questo va in America». Pasquale aveva lavorato su centinaia di vestiti andati negli USA. Si ricordava bene quel tailleur bianco. Si ricordava ancora le misure, tutte le misure. Il taglio del collo, i millimetri dei polsi. E il pantalone. Aveva passato le mani nei tubi delle gambe e ricordava ancora il corpo nudo che ogni sarto immagina. Un nudo senza erotismo, disegnato nelle sue fasce muscolari, nelle sue ceramiche d'ossa. Un nudo da vestire, una mediazione tra muscolo, ossa e portamento. Era andato a prendersi la stoffa al porto, lo ricordava ancora bene quel giorno. Gliene avevano commissionati tre, di vestiti, senza dirgli altro. Sapevano a chi erano destinati, ma nessuno l'aveva avvertito. (Gomorra, Roberto Saviano)
avete mai letto Gomorra di Saviano? più mi addentro e più mi dico che non c'è speranza, siamo governati da forze molto più potenti dei governi ufficiali del mondo, siamo governati dalle dame bianche che seppure di bianco vestite trasudano morte, quella che puzza, che fa vomitare.
Diventare imprenditore. Capace di commerciare con tutto e fare affari anche col nulla. Usare tutto come mezzi e se stessi come fine. Chi dice che è amorale, che non può esserci vita senza etica, che l'economia possiede dei limiti e delle regole da seguire è soltanto colui che non è riuscito a comandare, che è stato sconfitto dal mercato. L'etica è il limite del perdente, la protezione dello sconfitto, la giustificazione morale per coloro che non sono riusciti a giocarsi tutto e vincere ogni cosa. 
(Gomorra, Roberto Saviano)

fonte: nuovateoria.blogspot.it

martedì 20 gennaio 2015

lo squalo



Jaws è un film del 1975 diretto da Steven Spielberg. È un thriller basato sull'omonimo romanzo di Peter Benchley. Prototipo del blockbuster estivo, la sua uscita è considerata come un momento di svolta nella storia del cinema. Nella storia, un grande squalo bianco mangiatore di uomini attacca dei bagnanti sull'isola di Amity, un immaginario luogo di villeggiatura estiva, spingendo il capo della polizia locale a cercare di ucciderlo con l'aiuto di un biologo marino e un cacciatore di squali professionista. Il film è interpretato da Roy Scheider nel ruolo del capo della polizia Martin Brody, Richard Dreyfuss in quello dell'oceanografo Matt Hooper, Robert Shaw nei panni del cacciatore di squali Quint, Murray Hamilton in quelli del sindaco dell'isola di Amity e Lorraine Gary nel ruolo della moglie di Brody, Ellen. La sceneggiatura è accreditata sia a Benchley, che scrisse le prime bozze, che all'attore-sceneggiatore Carl Gottlieb, che riscrisse la sceneggiatura durante la lavorazione.

Il film uscì nelle sale statunitensi il 20 giugno 1975. Generalmente ben accolto dalla critica, Lo squalo divenne il film di maggior incasso nella storia all'epoca, e lo rimase fino all'uscita di Guerre stellari (1977). Vinse diversi premi per la colonna sonora e il montaggio, ed è spesso citato come uno dei film migliori di sempre. Fu seguito da tre sequel, nessuno dei quali vide la partecipazione di Spielberg o Benchley, e da molti thriller imitativi. Nel 2001 Lo squalo venne selezionato dalla Biblioteca del Congresso per la conservazione nel National Film Registry degli Stati Uniti, essendo considerato "culturalmente, storicamente o esteticamente significativo".

Trama

Una giovane donna di nome Chrissie Watkins lascia una festa notturna sulla spiaggia dell'isola di Amity (Nuova Inghilterra) per andare a nuotare nuda, ma mentre è in mare viene tirata sott'acqua. Al capo della polizia di Amity, Martin Brody, viene notificato che Chrissie manca, e il vice Hendricks trova i suoi resti sulla spiaggia. Il medico informa Brody che è stata uccisa da uno squalo. Brody ha intenzione di chiudere le spiagge, ma gli viene vietato dal sindaco Larry Vaughan, che teme che i rapporti di un attacco di squalo possano rovinare la stagione turistica estiva, fonte primaria del reddito della città. Il medico legale attribuisce quindi la morte a un incidente con una barca. Brody accetta a malincuore la spiegazione.

Poco tempo dopo, un ragazzo di nome Alex Kintner viene ucciso da uno squalo vicino alla spiaggia. La madre del ragazzo mette una taglia sullo squalo, scatenando una frenetica caccia alla squalo tra i dilettanti e spingendo il locale cacciatore professionista di squali Quint a offrire i suoi servizi a un costo ancora più alto. Il biologo marino Matt Hooper esamina i resti di Chrissie e determina che è stata senza dubbio ucciso da uno squalo.

Un grande squalo tigre viene ucciso dai pescatori, il che porta i cittadini a credere che il problema sia risolto, ma Hooper non è convinto e chiede di esaminare il contenuto dello stomaco. Vaughan si rifiuta di rendere pubblica l'autopsia, così Brody e Hooper ritornano dopo il tramonto e scoprono che lo squalo morto non contiene resti umani. Si imbattono poi nel relitto semi-sommerso di una barca appartenente al pescatore locale Ben Gardner. Hooper esplora la nave sott'acqua e scopre un grosso dente di squalo sporgente dallo scafo danneggiato, prima di venire spaventato dai resti di Gardner. Vaughan si rifiuta di chiudere le spiagge, e il quattro di luglio molti turisti arrivano. Uno scherzo di ragazzi provoca il panico presso la spiaggia principale, mentre lo squalo entra in un vicino estuario uccidendo un uomo; il figlio di Brody, testimone dell'attacco, va in shock. Brody persuade Vaughan ad assumere Quint, che a malincuore permette a Hooper di unirsi alla caccia insieme a Brody. I tre salpano per catturare e uccidere lo squalo a bordo del battello di Quint, l'Orca.

A Brody è dato il compito di disporre una linea di esche, mentre Quint usa l'attrezzatura da pesca per cercare di agganciare lo squalo. Un enorme squalo bianco si profila dietro la barca, e il trio lo guarda girare attorno all'Orca. Quint lo arpiona con una lenza collegata ad un barile di galleggiamento, ma lo squalo tira sotto il barile e scompare.

Gli uomini si ritirano nella cabina della barca, dove Quint racconta la sua esperienza con gli squali come superstite del naufragio della nave da guerra USS Indianapolis durante la guerra nel Pacifico nel 1945. Lo squalo riappare, danneggiando lo scafo della barca prima di scivolare via. Al mattino, Brody tenta di chiamare la Guardia Costiera, ma Quint distrugge la radio. Dopo un lungo inseguimento, Quint arpiona un altro barile allo squalo. Gli uomini lo legano a poppa, ma lo squalo trascina la barca indietro, allagando il ponte e inondando il motore. Quint si dirige verso la riva, sperando di richiamare la sua preda in acque poco profonde e soffocarla, ma sovraccarica e blocca i motori danneggiati dell'Orca.

Con la barca immobilizzata, il trio tenta un approccio disperato: Hooper indossa l'attrezzatura per immersioni ed entra nel mare all'interno di una gabbia a prova di squalo, tentando di pugnalare l'animale con una fiocina ipodermica piena di stricnina. Tuttavia lo squalo lo prende di sorpresa e Hooper lascia cadere la fiocina, ma riesce a fuggire nel fondale. Mentre Quint e Brody sollevano la gabbia straziata, lo squalo salta sulla barca, schiacciando lo specchio di poppa. Quint scivola lungo il ponte nella bocca dello squalo e viene mangiato vivo. Quando lo squalo attacca Brody, l'uomo gli infila un bombola pressurizzata in bocca, poi prende il fucile di Quint e sale sull'albero dell'Orca in affondamento. Brody spara alla bombola, facendo saltare in aria lo squalo. Hooper emerge, e i due fanno una zattera con i resti dell'Orca per tornare all'isola di Amity.

Produzione

Sviluppo

Richard D. Zanuck e David Brown, produttori della Universal, sentirono parlare del libro di Benchley in posti diversi ma nello stesso periodo di tempo. Brown ne venne a conoscenza in un dipartimento di Cosmopolitan, magazine di cui era editrice sua moglie Helen Gurley Brown. Su un foglio di carta era descritta la trama dell'opera e come commento finale vi era scritto "potrebbe essere un buon film". Entrambi i produttori lessero il libro in una nottata e il mattino dopo furono d'accordo che era "la cosa più eccitante che avessero mai letto" e, benché non fossero sicuri di come l'avrebbero fatto, decisero di produrre il film. Brown disse che se avessero letto il libro due volte non avrebbero mai realizzato il film a causa delle difficoltà dovute a certe scene. Acquistarono i diritti dell'opera nel 1973 per circa $175,000.

Zanuck e Brown inizialmente pensavano di assumere John Sturges come regista prima di considerare Dick Richards. Nonostante questa loro volontà allontanarono Richards dal progetto a causa del suo chiamare lo squalo come "la balena".Zanuck and Brown scelsero allora Spielberg nel 1973 prima che egli rilasciasse il suo primo film, The Sugarland Express (che era una loro produzione). Spielberg volle tenere la trama base del romanzo rimuovendo però alcune sottotrame. Zanuck, Brown e Spielberg eliminarono l'adulterio di Ellen Brody, commesso con Matt Hooper (così da non compromettere il rapporto tra gli uomini a bordo dell'Orca) e le implicazioni mafiose del sindaco di Amity.

Quando acquistarono i diritti del romanzo i produttori vollero la garanzia che l'autore avrebbe scritto una prima bozza della sceneggiatura; Benchley scrisse tre bozze prima di uscire dal progetto (nonostante ciò sarebbe poi apparso in un cammeo nel film come fotoreporter). Tony e lo scrittore Howard Sackler, premio Pulitzer per The Great White Hope, erano a Los Angeles quando i produttori iniziarono a cercare un nuovo scrittore; ai due venne proposta una riscrittura della sceneggiatura ed accettarono l'offerta quando i produttori e Spielberg decisero che non erano soddisfatti delle bozze di Benchley. Spielberg inviò lo scritto a Carl Gottlieb (che appare nel film nel ruolo di Meadows, il giornalista politico) chiedendogli una consulenza; Gottlieb riscrisse molte scene accettuando la componente suspense e thriller mentre John Milius contribuì curando i dialoghi. A Spielberg venne richiesto di preparare una sua bozza, benché non sia chiaro se gli altri sceneggiatori ci lavorarono sopra. La scelta degli sceneggiatori di inserire il monologo di Quint riguardante la vicenda dell'USS Indianapolis ha causato subito controversie tra le quali una per il merito della stesura del dialogo. Spielberg con tatto disse che il tutto nacque da una collaborazione tra John Milius, Howard Sackler e l'attore Robert Shaw. Gottlieb diede maggiore credito a Robert Shaw, minimizzando il contributo di Milius.

Il cast

Spielberg offrì il ruolo di Brody a Robert Duvall ma l'attore era interessato solo ad interpretare Quint. Stando a quel che dice Spielberg, Charlton Heston espresse il desiderio di interpretare il ruolo ma Spielberg pensò che Heston possedesse una così grande personalità che avrebbe messo in secondo piano lo squalo, la vera "star" del film. Roy Scheider iniziò ad interessarsi al progetto dopo aver sentito uno sceneggiatore e Spielberg parlare ad un party a proposito di uno squalo che saltava su una barca; Spielberg non era inizialmente propenso ad assumere Scheider in quanto temeva che portasse sullo schermo un personaggio simile a quello da lui interpretato in Il braccio violento della legge.

Il ruolo di Quint venne originariamente offerto agli attori Lee Marvin e Sterling Hayden, entrambi rifiutarono. I produttori Zanuck e Brown avevano da poco finito di lavorare con Robert Shaw in La stangata e lo suggerirono a Spielberg come possibile Quint. Per il ruolo di Hooper, Spielberg aveva inizialmente pensato a Jon Voight. Richard Dreyfuss inizialmente rifiutò il ruolo di Matt Hooper, ma dopo aver visto la proiezione di un film che aveva appena finito di girare, Soldi ad ogni costo, disse che la sua interpretazione era pessima e richiamò immediatamente Spielberg accettando il ruolo di Matt Hooper (avendo paura che nessuno l'avrebbe più chiamato dopo che Soldi ad ogni costo fosse stato distribuito). A causa delle differenze fra romanzo e sceneggiatura, Spielberg chiese a Dreyfuss di non leggere il libro prima di accettare il ruolo. La prima persona ingaggiata per il cast fu Lorraine Gary, la moglie dell'allora capo dello studio, Sid Sheinberg.

Lo squalo

Tre squali meccanici vennero costruiti per la produzione: un modello intero per le riprese subacquee e quelle in cui l'animale si muoveva a fior d'acqua e due apposta per girare a destra o sinistra, con un lato completamente cavo in modo da far alloggiare al suo interno i meccanismi idraulici. Venne anche utilizzata una pinna dorsale da far scorrere a pelo d'acqua. La loro costruzione venne supervisionata dal designer di produzione Joe Alves e dall'artista degli effetti speciali Bob Mattey. I continui malfunzionamenti degli squali meccanici ritardarono di diversi mesi la fine delle riprese, fecero lievitare il budget e misero a repentaglio la conclusione del film. Emblematico il giorno del collaudo in cui lo squalo naufragò sul fondale a causa degli impianti idraulici corrosi dall'acqua salata. Fu necessario l'intervento di alcuni sommozzatori per riportarlo in superficie. Non potendo più fare affidamento sugli squali meccanici, per procedere con le riprese si ricorse ad alcuni stratagemmi. Un esempio è l'utilizzo dei barili il cui riaffiorare dalle acque indicava l'avvicinarsi dello squalo. Questa e altre soluzioni forzate hanno, anziché nuociuto al film, incrementato il livello di suspense delle scene, fornendo un tono alla Hitchcock. I tre squali meccanici vennero complessivamente chiamati Bruce dalla produzione, e Spielberg ne chiamò uno Il grande bastardo bianco.

Un quarto modello di squalo venne costruito mesi dopo i primi tre. Quest'ultimo venne poi posizionato all'ingresso del parco divertimento Universal Studios fino alla sua rimozione avvenuta nel 1990. Questo modello venne poi ritrovato in una discarica nel giugno 2010 e la sua autenticità è stata confermata da Alves e Arbogast.

Le riprese

Le riprese principali del film ebbero inizio nel maggio del 1974.

La località di ripresa fu l'isola di Martha's Vineyard in Massachusetts, scelta perché l'oceano ha un fondo sabbioso a soli 9 metri di profondità fino a 19 km al largo dalla costa. Questo consentiva sia un'agevole manovra degli squali meccanici sia la scomparsa nelle inquadrature della terraferma, in modo da alimentare la sensazione di isolamento dei protagonisti. Il costo delle riprese superò notevolmente il budget prestabilito. David Brown disse che "il budget fu di 4 milioni di dollari e le riprese lo fecero aumentare a 9 milioni". Le riprese in mare ebbero ulteriori problemi: barche indesiderate si inserivano all'interno delle riprese, le macchine da presa erano fradice e infine l'Orca iniziò ad affondare con gli attori a bordo. I tre squali meccanici vennero soprannominati dal team di produzione "Bruce" dal nome dell'avvocato di Spielberg, Bruce Raimer. Scontenti, gli operatori diedero al film il nomignolo Difetti (Flaws in inglese, gioco di parole con il titolo originale, Jaws)

La scena nella quale Hooper trova la testa mozzata di un pescatore all'interno dello scafo di un relitto venne aggiunta dopo una prima visione del film. Dopo aver visto la reazione a questa proiezione, Spielberg disse che voleva "un po' più urla", e, autofinanziandosi, spese $3,000 per girare la scena dopo il rifiuto di finanziamento da parte degli Universal Studio. La testa del pescatore venne ricreata in lattice con uno stampo di quella dell'attore Craig Kingsbury così da farne una copia esatta. Le riprese subacquee vennero girate nella piscina della responsabile del montaggio Verna Fields.

Riprese con squali veri vennero girate da Ron e Valerie Taylor nei mari dell'Australia, con un attore nano immerso in una piccola gabbia per squali creando l'illusione che lo squalo fosse enorme. Originariamente, la sceneggiatura prevedeva che lo squalo uccidesse Hooper all'interno della gabbia, ma durante le riprese uno degli squali rimase intrappolato tra le sbarre della gabbia e iniziò ad agitarsi distruggendola. La produzione considerò le riprese dell'incidente visivamente interessanti e decise quindi di inserirle nel film. Al momento delle riprese la gabbia era però vuota e quindi la sceneggiatura venne cambiata permettendo ad Hooper di sopravvivere.

Benché la durata delle riprese venne stimata in 55 giorni esse terminarono nel settembre 1974 a ben 159 giorni dall'inizio delle stesse. Spielberg, parlando di questo enorme ritardo, disse: "Pensavo che la mia carriera nel mondo del cinema fosse finita. Sentivo voci ... dicevano che non avrei mai più lavorato in quanto nessuno aveva mai sforato i tempi di ripresa di 100 giorni." Spielberg non era presente all'ultima ripresa, quella dell'esplosione dello squalo. Credeva infatti che l'intero cast avesse pianificato di gettarlo in acqua a riprese ultimate. Da allora è tradizione che Spielberg sia assente alle ultime riprese dei suoi film.

Musica[

John Williams è il compositore della colonna sonora del film vincitrice del Premio Oscar e posizionata al sesto posto nella classifica AFI's 100 Years of Film Scores. Il tema principale, un semplice motivo composto dall'alternanza di due note, mi e fa, è diventato un classico della suspense, sinonimo di pericolo imminente. Il primo compositore ad utilizzare le due note mi e fa in continua sequenza come ha fatto Williams, fu comunque Prokof'ev con la "Suite Sciita". Il tema della colonna sonora fu eseguito mediante una tuba da Tommy Johnson. Quando Johnson chiese perché la melodia fosse stata scritta in un registro alto e non venisse eseguita dal più appropriato corno francese, Williams rispose che voleva un suono "un po' più minaccioso". Quando il pezzo venne eseguito la prima volta per Spielberg, egli disse di aver riso in faccia a John Williams pensando che fosse uno scherzo. Spielberg più tardi disse che senza la colonna sonora di John Williams il film non avrebbe avuto nemmeno la metà del successo che ottenne, e Williams grazie a questa colonna sonora fece fare un salto alla sua carriera.. Williams aveva precedentemente composto la colonna sonora del film di debutto di Spielberg, Sugarland Express, e ha collaborato con lui nella maggior parte dei suoi film.

Strumentazione originale

Arpa · Campana · Clavicembalo · Corno inglese · Incudine · Flauto · Pianoforte · Tromba · Tuba · Violino · Violoncello · Xilofono

La composizione contiene richiami da La sagra della primavera di Igor' Stravinskij, in particolar modo l'inizio de L'Adorazione della Terra. Altro brano che può aver influito è la colonna sonora composta da Ed Plumb per il film della Walt Disney Bambi, nel quale usa un basso, ripetitivo motivo musicale per suggerire l'imminente pericolo, fuori dallo schermo, dell'uomo. La musica può essere pure comparata al tema scritto da Bernard Herrmann per il film di Alfred Hitchcock Psycho, nel quale la musica segnala la presenza di un pericolo che non si vede, nel caso di Williams rappresentato dallo squalo.

Ci sono varie interpretazioni sul significato e l'efficacia del tema. Qualcuno pensa che l'alternanza delle due note esprima il battito cardiaco dell'animale, all'inizio lento e controllato durante la caccia crescendo velocemente e freneticamente, creando così il climax fino al momento il cui lo squalo sta per attaccare la preda. Una seconda interpretazione collega l'alternarsi delle due note al movimento della coda dello squalo durante l'attacco. Un critico pensa che il punto di forza del tema sia la capacità di creare un "forte silenzio", improvvisamente interrotto dal climax creato dal tema stesso. Inoltre, lo spettatore è condizionato ad associare il tema allo squalo, essendo eseguito solamente quando il vero squalo appare. Questo tema è riconosciuto come uno dei migliori di tutti i tempi.

Colonna sonora

La colonna sonora originale di Lo squalo venne pubblicata dall'MCA nel 1975, mentre in versione CD nel 1992, includendo circa mezz'ora di musica che John Williams ha riedito per l'album. Nel 2000 vennero distribuite due versioni della colonna sonora: una nuova registrazione dell'intera colonna sonora del film eseguita dalla Royal Scottish National Orchestra diretta da Joel McNeely; l'altra venne distribuita dalla Decca/Universal in concomitanza con il rilascio del DVD per il venticinquesimo anniversario del film. Questa versione, che contiene tutti i 51 minuti della versione originale, è quella preferita dai fan. L'altra versione è stata criticata per aver cambiato strumentazione e tempo rispetto a quella originale, benché sia comunque apprezzata per la qualità del suono.

Distribuzione

Data di uscita

USA (Jaws): 20 giugno 1975 (cinema)
Italia (Lo squalo): 27 dicembre 1975 (cinema)

Divieti

Diverse nazioni hanno imposto dei divieti ad un pubblico minore:

Portogallo: vm 12
Islanda: vm 16
USA: vm 14
Brasile: vm 14
Perù: vm 14
Argentina: vm 18
Australia: vm 12
Cile: vm 18
Danimarca: vm 15
Francia: vm 12
Irlanda: vm 15
Giappone: vm 12
Paesi Bassi: vm 16
Norvegia: vm 15
Svezia: vm 15
Finlandia: vm 16

Edizione italiana

Il doppiaggio italiano originale del 1975 venne eseguito dalla C.D. e diretto da Renato Izzo. Il film venne ridoppiato nel 2004 per l'edizione DVD. Il ridoppiaggio venne eseguito dalla Dubbing Brothers Int. Italia e diretto da Teo Bellia. Nel 2012, in occasione dell'edizione in Blu-ray Disc, il doppiaggio originale è stato ripristinato, venendo inserito nel BD insieme al ridoppiaggio (il primo in DTS 2.0, il secondo in DTS 5.1). Nella coeva edizione DVD e nella trasmissione TV, invece, viene utilizzato solo il ridoppiaggio.

Accoglienza

Botteghino

Lo squalo fu il primo film che deve il suo successo ad una "massiccia distribuzione" nelle sale. Per questo è considerato come punto di riferimento in tema di distribuzione e marketing. Prima di esso i film venivano inizialmente proiettati in una manciata di sale, principalmente nelle grandi città, permettendo così di avere una serie di "premiere". Con l'aumentare del successo, grazie anche al passaparola, i distributori avrebbero esteso le proiezioni ad altre sale. Qualche film avrebbe poi avuto una distribuzione a larga scala, come nel caso de Il padrino, sempre partendo da poche sale nei primi giorni di apertura.

Lo squalo utilizzò anche una strategia di marketing poco ascoltata ai tempi in cui uscì, la pubblicità a livello nazionale specialmente a livello televisivo (un mese prima la Columbia usò la stessa strategia di marketing con il thriller di Charles Bronson, Dieci secondi per fuggire, ottenendo però un successo mediocre). Lo spezzone pubblicitario conteneva venticinque-trenta secondi di filmato ogni sera e veniva trasmesso nelle prime serate dei network televisivi tra il 18 e il 20 giugno 1975. Il direttore esecutivo dell'Universal Sidney Sheinberg scelse questa strategia per scopi economici in quanto pensò che avrebbe potuto ammortizzare i costi pubblicitari in poco tempo, cosa che come si sa accadde. Questo azzardo di Sheinberg fece diventare "Lo squalo" un successo al box office facendo proclamare il film padre dei blockbuster estivi.

Dopo il successo del film giornalisti e critici hanno preso "Lo squalo" come modello da seguire per la distribuzione dei film. Peter Biskind scrisse: "Il film sminuisce l'importanza delle recensioni scritte, cosa impossibile per un piccolo prodotto, trovando il suo pubblico solamente grazie alla buona qualità. ... In questo senso, Spielberg è stato il cavallo di Troia che ha fatto sì che gli studios riassettassero il loro potere." A seguito del successo del film gli studios hanno iniziato a distribuire e pubblicizzare i film su scala nazionale. Inoltre sempre il successo de Lo squalo fece in modo che anche l'estate divenisse un periodo ottimo per la distribuzione di una pellicola.

Quando Lo Squalo uscì in America, il 20 giugno 1975, venne distribuito in un numero limitato di sale, 464. Successivamente, il 25 luglio, le sale aumentarono fino a 675. Durante il primo fine settimana il film incassò più di $7 milioni e rimase primo in classifica per le successive cinque settimane. Ben presto Lo Squalo superò gli $89 milioni realizzati dall'allora campione del box-office americano, L'esorcista, divenendo il primo film ad incassare $100 milioni al botteghino. Il dipartimento di marketing della Universal pubblicò degli annunci in cui si vedeva lo squalo ingoiare i titoli che detenevano i precedenti record di incasso. La stangata (1973), L'esorcista (1973) e Il padrino (1972) finirono nelle sue fauci. Lo Squalo divenne il film di maggior successo di tutti i tempi, con un incasso in patria di 260.000.000 di dollari.

Al termine della sua vita distributiva in sala, Lo Squalo aveva incassato più di $470 milioni in tutto il mondo (circa 1,9 miliardi di $ del 2010) e detenne il record di maggior incasso della storia del cinema prima del debutto di Guerre stellari due anni dopo. Attualmente occupa il posto 150º posto nella classifica dei miglior incassi della storia del cinema. Lo squalo e Guerre stellari sono considerati dei punti di riferimento per il modo di fare film negli U.S.A. alla conclusione del periodo della Nuova Hollywood.

Critica

Il film ricevette molte critiche positive. Sul sito di recensioni Rotten Tomatoes ha un voto pari a 98%. Nella sua recensione originale Roger Ebert definì il film come "Un film effettivamente sensazionale, uno spaventoso thriller dove tutto funziona bene perché è pieno di caratteristiche che sono sviluppate negli umani stessi". A.D. Murphy, del Variety lodò l'abilita registica di Spielberg e definì l'interpretazione di Robert Shaw "assolutamente magnifica". Pauline Kael lo chiamò "il più allegro e perverso film di paura mai prodotto... con più scorza di un vecchio film di Woody Allen, molto più elettrizzante, ed è divertente in uno stile alla Woody Allen". Frank Rich del The New York Times scrisse "Spielberg è dotato di un talento che è totalmente assente in molti cineasti dei giorni nostri: questo uomo sa come raccontare una storia sullo schermo. ... e questo si vede quando il regista ci regala alcune spaventose sequenze con protagonista lo squalo senza neppure vederlo".

Il film non fu senza critiche negative. Vincent Canby, del The New York Times, disse "È una scelta di come questo film opera quella di farci provare appena simpatia per le vittime dello squalo...nei migliori film, i personaggi si rivelano come membri attivi delle azioni. In film come Lo Squalo invece sono semplicemente funzione dell'azione. I personaggi sono come toppe che si muovono e forniscono informazioni quando è necessario" ma fece anche notare "È l'ordine di non senso che può essere un bel divertimento". Il critico del Los Angeles Times Charles Champlin criticò duramente il film ed il fatto che fosse passato senza tagli di alcun genere, sostenendo che "Lo Squalo è troppo violento per i bambini e rivolterebbe lo stomaco anche a persone più grandi" Disse anche: "È un piccolo lavoro che deve tutto alla grandezza del suo impatto". La critica più diffusa è quella riguardante la funzione dello squalo meccanico, benché esso si veda solamente nei momenti finali del film.

Nel 2010 sono avanzate delle critiche da parte dei conservazionisti. Essi criticano il film a causa dell'"effetto squalo" che avrebbe ispirato "legioni di pescatori che issano a bordo delle barche e uccidono migliaia di squali solo per cacciarne la pinna" non preoccupandosi del rischio di estinzione della specie.

Riconoscimenti

Lo Squalo vinse tre Premi Oscar per Miglior Montaggio, Miglior Colonna Sonora e Miglior Suono. È stato anche nominato come Miglior Film, perdendo in favore di Qualcuno volò sul nido del cuculo, mentre Spielberg non è stato nominato come Miglior Regista. Oltre a ciò il film si è inserito in numerose classifiche di rilevanza mondiale:

È presente nella classifica dei migliori 250 film nell'Internet Movie Database.
Nel 2008 venne considerato da Empire come il quinto film più bello mai realizzato.
Il personaggio di Quint è sito al 50º posto nella lista The 100 Greatest Movie Characters of All Time stilata sempre da Empire.
nel 2003 venne incluso nella lista dei 1000 migliori film edita dal The New York Times.
Nel 2010 anche Total Film lo selezionò come uno dei The 100 Greatest Movies of All Time.
Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito al quarantottesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è sceso al cinquantaseiesimo posto.
Risulta al posto nº2 in una classica simile per i film thriller, 100 Years... 100 Thrills.
È alla posizione nº1 nella miniserie di cinque ore del network Bravo The 100 Scariest Movie Moments (2004).
In una classifica simile, la Chicago Film Critics Association lo pone al sesto posto tra i film più spaventosi mai creati.
Lo squalo mangia-uomini è posto alla posizione nº18 nella classifica dei cattivi dell'AFI's 100 Years... 100 Heroes and Villains, che mostrano i "migliori" cattivi di tutti i tempi.
Si colloca sempre al primo posto nella classifica stilata dagli studenti del Wayne State University sui migliori venti film della 20th Century (2007).
Nel 2001 la United States Library of Congress ritenne il film "culturalmente significante" e lo inserì nel National Film Registry.
Nel 2005, l'American Film Institute ha votato la frase di Roy Scheider Abbiamo bisogno di una barca più grossa come la nº35 nella classifica top 100 movie quotes
La composizione di John Williams è alla posizione nº6 nella classifica AFI's 100 Years of Film Scores..
Nel 2006 la sceneggiatura del film venne considerata dal Writers Guild of America la 63ª migliore mai scritta.

Ispirazione e influenza

Lo squalo richiama molte opere artistiche e letterarie, la più nota delle quali è Moby Dick di Herman Melville. Il personaggio di Quint ricorda il Capitano Achab, l'ossessionato capitano del Pequod che dedica tutta la sua vita alla caccia della balena bianca. Il monologo di Quint mostra la sua voglia di vendetta verso gli squali, e anche la sua barca, l'Orca, è chiamata come il nemico naturale degli squali. Nel libro e nella sceneggiatura originale, invece di essere ucciso dallo squalo, Quint muore dopo essere stato trascinato sul fondo dell'oceano da un arpione attaccato alla sua gamba in maniera molto simile alla morte di Achab nel libro di Melville. Un riferimento evidente di queste somiglianze lo si può trovare nella sceneggiatura originale dove Quint è introdotto mostrandolo mentre guarda un adattamento cinematografico di Moby Dick. In ogni caso le scene da Moby Dick potrebbero non essere state date in licenza da Gregory Peck, l'unico ad averne i diritti. La scena finale del film, nella quale gli uomini inseguono lo squalo e tentano di arpionarlo con dei barili galleggianti, avviene come l'inseguimento di Moby Dick nel libro.

La prima mezz'ora del film, dove Brody fallisce nel tentativo di convincere la cittadinanza della presenza di un grande squalo bianco al largo delle spiagge, assomiglia ad una composizione di Henrik Ibsen del 1882, Un nemico del popolo. In quest'opera, un ordinario cittadino tenta di fermare una piccola città costiera nel vedere un nuovo insieme di bagni sanitari. Egli ha scoperto che i bagni sono contaminati, ma si dovrà scontrare con la rabbia e reazioni della gente prima di giungere alle sue conclusioni.

Qualcuno ha anche notato l'influenza di due film horror fantascientifici degli anni cinquanta, Il mostro della laguna nera e Il mostro che sfidò il mondo. Ci sono anche riferimenti visivi che richiamano altri film come il così chiamato Vertigo shot della reazione di Brody all'attacco di squalo, mentre lui è in spiaggia. Questo tipo di ripresa utilizza la tecnica del dollying muovendo in avanti la telecamera mentre nello stesso momento si fa uno zoom all'indietro, creando un effetto visivo reso celebre da Alfred Hitchcock nel suo film del 1958 La donna che visse due volte (titolo originale Vertigo, come l'effetto visivo).

Lo squalo fece rendere chiaro quanto un film potesse trarre beneficio da una vasta uscita preceduta da pubblicità massiccia, al contrario di rilasci progressivi dannosi a causa di un'entrata lenta nel nuovo mercato e la diffusione del nome dopo un lungo periodo di tempo. Invece di pubblicizzare il film con un passaparola, Hollywood lanciò un'efficace campagna promozionale televisiva dal valore di circa $700,000. Un vasto lancio nazionale diventerà lo standard per tutti i colossal dalla fine degli anni settanta ad oggi.

Il film provocò così tanta paura che le spiagge ebbero un numeroso calo di presenze nel 1975 a causa del profondo impatto del film. Benché sia un classico del cinema d'azione (la sequenza iniziale è stata votata come la miglior scena di paura di sempre dall'Halloween TV special dell'emittente americana Bravo), il film è da molti considerato responsabile di aver esagerato la reale pericolosità degli squali. Benchley dichiarò che non avrebbe mai scritto il libro se avesse saputo che gli squali sono assai meno pericolosi di come si crede, e che è davvero molto raro essere attaccati o addirittura uccisi da uno squalo. Le relativamente rare vittime umane degli squali sarebbero in realtà degli "errori", morte per dissanguamento o annegamento, dopo essere state morse per sbaglio e di certo non divorate o straziate. Gli squali carnivori, in realtà, si nutrono di pesci di piccole o medie dimensioni, esattamente come i più "simpatici" delfini. Scriverà successivamente Shark Trouble (problema dello squalo), un libro non di narrativa a proposito del comportamento degli squali e Shark Life (vita dello squalo), sempre un libro non romanzato che descrive le sue immersioni con gli squali. Un gruppo di protezione si lamentò del fatto che il film rende difficoltoso il far capire al pubblico che gli squali dovrebbero essere protetti anziché cacciati. Lo squalo diede la forma a molti futuri film horror, tanto che la scenggiatura del film horror fantascientifico del 1979 di Ridley Scott Alien venne soprannominata degli esecutori: "Jaws in space." (che si può tradurre come "Lo squalo nello spazio"). Il film ha anche ispirato il nome della società di produzione di Bryan Singer, Bad Hat Harry, in quanto suo film preferito.

Lo squalo è citato e preso in giro in molti altri film, come nella sequenza d'apertura di 1941: Allarme a Hollywood, diretto dallo stesso Spielberg. Altri riferimenti si possono trovare in Meatballs (1979), L'aereo più pazzo del mondo (1980), Palla da golf (1980), E.T. l'extra-terrestre (1982), Ritorno al futuro Parte II (1989), Clerks - Commessi (1994), Generazione X (1995), In cerca di Amy (1997), Dawson's Creek (1998), Alla ricerca di Nemo (2003), Shark Tale (2004), Il ritorno della scatenata dozzina (2005), Vi presento i nostri (2010) assieme ad un mezza dozzina di riferimenti in varie scene dei Muppet.

Lo show televisivo Saturday Night Live propose numerosi sketch ambientati in una landshark (landa dello squalo), utilizzando musiche ed effetti sonori del film.

Jaws è stato trasposto in due videogiochi (Jaws e Jaws Unleashed), un'attrazione nel parco a tema Universal Studios Florida, e due musical: JAWS The Musical!, premiato nell'estate 2004 al Minnesota Fringe Festival; e Giant Killer Shark: The Musical, premiato nell'estate 2006 al Toronto Fringe Festival. È stato inoltre creato un gioco da tavolo.

La saga

Lo squalo ebbe tre seguiti che non riuscirono ad avere il successo che ebbe l'originale. Infatti essi sono quasi una cover del film originale. Spielberg declinò l'offerta di girare un seguito del film e diresse Incontri ravvicinati del terzo tipo con Richard Dreyfuss.

Lo squalo 2 (1978) venne diretto da Jeannot Szwarc: Roy Scheider, Lorraine Gary e Murray Hamilton riprendono i ruoli già interpretati nel primo film. Esso è generalmente considerato il migliore dei tre sequel.

Lo squalo 3-D (1983), venne distribuito in formato tridimensionale (3-D), ma vista l'impossibilità di trasmettere l'effetto in televisione o in cassetta il film venne rinominato Lo squalo 3. Dennis Quaid interpreta Michael Brody e Louis Gossett Jr. ha una parte nel film.

Lo squalo 4 - La vendetta (1987), diretto da Joseph Sargent vede il ritorno nella saga di Lorraine Gary, ed è considerato uno dei peggiori film mai girati.

Benché tutti e 3 i film abbiano avuto un discreto successo al botteghino, critica e pubblico sono rimasti generalmente insoddisfatti da essi.

Imitazioni

Oltre ai mediocri seguiti, non si contano i film che imitano la storia del capostipite.

Alcuni di questi sono stati realizzati in Italia tra cui il più celebre è L'ultimo squalo (1980), vero e proprio remake dell'originale, diretto da Enzo G. Castellari e interpretato da James Franciscus, Joshua Sinclair e Vic Morrow, quest'ultimo nel ruolo del cacciatore di squali Ron Hamer che in quanto a fisico, look e modi di fare è praticamente una fotocopia del personaggio di Quint (acuito nella versione italiana dal fatto che entrambi i personaggi sono stati doppiati da Corrado Gaipa). Il film ebbe molto successo sia in Italia e soprattutto negli Stati Uniti dove venne distribuito con il titolo The Great White (nel primo mese di programmazione negli USA il film di Castellari incassò 18 milioni di dollari), attirando così le ire della Universal (che stava preparando il terzo capitolo della saga) la quale intentò una causa per plagio contro la pellicola italiana, vincendola ed ottenendo il suo ritiro dalle sale cinematografiche statunitensi.

Castellari aveva diretto un epigono de Lo squalo anche precedentemente a L'ultimo squalo: Il cacciatore di squali, interpretato da Franco Nero e Werner Pochath, uscito nel 1977.

Altre due imitazioni italiane del film di Spielberg furono: Tentacoli (in cui però il mostro marino non è uno squalo bensì una piovra) di Ovidio G. Assonitis uscito nel 1977 ed interpretato da tre grandi nomi del cinema hollywoodiano: John Huston, Henry Fonda (che sostituì all'ultimo momento John Wayne poiché malato) e Shelley Winters e Shark - Rosso nell'oceano di Lamberto Bava uscito nel 1984 ed interpretato da John Garko, William Berger ed Iris Peynado; entrambi i film riscossero un buon successo sia in Italia che negli Stati Uniti.

fonte: Wikipedia

MONOLOGO

sabato 17 gennaio 2015

Gerusalemme liberata



La Gerusalemme liberata è il maggiore poema epico di Torquato Tasso.

Tasso iniziò probabilmente a scrivere l'opera all'età di 15 anni con il titolo di Gierusalemme tra il 1559 ed il 1560 durante il soggiorno a Venezia, ma si fermò a 110 ottave, ben meno dei venti canti della Gerusalemme liberata, composta in seguito.

La Gerusalemme liberata vera e propria, completata dall'autore nel 1575, fu pubblicata a Venezia senza l'autorizzazione del poeta nell'estate del 1580 da Celio Malespini con il titolo di Goffredo, presso l'editore Cavalcalupo. L'edizione presentava molti errori e soltanto quattordici canti.

L'anno successivo l'opera fu pubblicata integralmente da Angelo Ingegneri prima a Parma e poi a Casalmaggiore. Pochi mesi dopo, il 24 giugno 1581, usciva a Ferrara la prima edizione autorizzata dal Tasso, per i tipi di Baldini e a cura di Febo Bonnà.

In seguito ad altre edizioni e alla liberazione dalla prigionia di Sant'Anna, il poeta rimise mano all'opera e la riscrisse espungendo gran parte delle scene amorose, accentuando il tono religioso e epico della trama, eliminando alcuni episodi e cambiando infine anche il titolo in Gerusalemme conquistata, opera che, data la notevole revisione, viene generalmente considerata separatamente.

La prima edizione illustrata della Gerusalemme Liberata fu stampata a Genova nel 1590. Il volume comprende venti incisioni con scene del poema, in parte di Agostino Carracci e in parte di Giacomo Franco, tratte da disegni di Bernardo Castello. Agostino Carracci incise, sempre su disegno del Castello, anche il frontespizio del libro, dove compare un ritratto del Tasso.

La stesura della Gerusalemme liberata

Nel 1565 Tasso arrivò alla corte di Ferrara e poté godere di piena tranquillità così da potersi dedicare, come già Ariosto e Boiardo, alla composizione di un poema epico per la casata d'Este. Il progetto era molto antico nella fantasia del poeta: Tasso, da ragazzo aveva infatti pubblicato già un Rinaldo, romanzo in ottave scritto a ridosso della stampa del poema Amadigi (altro romanzo in ottave composto dal padre Bernardo nel 1560 e del quale il piccolo Torquato aveva corretto le bozze), e poi si era dedicato al Gierusalemme, poema epico destinato a interrompersi: ce ne resta un canto e mezzo.

Anche dopo le vicende editoriali travagliate dei primi anni Ottanta, descritte più sopra, Tasso continuerà a non essere soddisfatto del testo lamentando di non averlo mai reso conforme alla sua volontà. Sarà da notare che se il Tasso accolse poche delle critiche mosse dai suoi censori, tuttavia fra il testo originale e quello andato poi in stampa, delle differenze vi furono: il caso più noto è quello del viaggio della nave della Fortuna che in origine iniziava in Levante e giungeva in America mentre, nella stampa, termina alle Canarie, taglio che rende l'intero episodio più coerente al criterio dell'unità aristotelica che era il punto caldo delle discussioni fra il poeta e i suoi censori. Queste ottave ora mancanti, come ancora quelle del viaggio dell'aquila o quelle della visione di Rinaldo, sono raccolte sotto il nome di 'ottave estravaganti' e sono un grande documento del travaglio compositivo del poeta stesso. La Gerusalemme liberata è divisa in 20 canti e comprende 1917 ottave; i 20 canti sono raggruppati in 5 parti, che corrispondono ai 5 atti della tragedia classica.

Mentre la sua fama dilagava, il poeta, già nel carcere di S. Anna, pensava ad un rifacimento dell'opera intera. Vi lavorò assiduamente dopo la scarcerazione licenziando nel 1593 a Roma la Gerusalemme Conquistata, opera complessa e perfettamente coerente al modello omerico e al cattolicesimo tridentino, che il Tasso chiamò 'la sua figlia prediletta', sebbene sia un'opera praticamente ignota ai lettori successivi.

Trama

La trama ruota attorno allo storico condottiero Goffredo di Buglione che, giunto al sesto anno della prima crociata a capo dell'esercito, attende la fine dell'inverno in Libano, quando gli appare l'Arcangelo Gabriele che lo invita ad assumere il comando dell'esercito e a portare l'attacco finale contro Gerusalemme.

I cristiani accettano di eleggere Goffredo loro capo supremo e si mettono in marcia verso la Città Santa. Argante, uno dei guerrieri musulmani impaziente degli indugi dell'assedio, vuol risolvere con un duello le sorti della guerra, e sfida i cristiani e ad affrontarlo è il prescelto Tancredi. L'accanito duello però viene sospeso per il sopraggiungere della notte e rinviato. Tuttavia intervengono i diavoli che decidono di aiutare i musulmani a vincere la guerra. Uno strumento di Satana è la maga Armida che, con uno stratagemma, fingendosi una principessa spartana proveniente da Damasco, riesce a rinchiudere tutti i migliori eroi cristiani, tra cui Tancredi, in un castello incantato. Infine anche l'eroe Rinaldo, per aver ucciso un altro crociato che lo aveva offeso, viene cacciato via dal campo.

Il giorno del duello arriva e poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da un altro crociato aiutato da un angelo. I diavoli a loro volta aiutano il musulmano e trasformano il duello in battaglia generale. I crociati sono sul punto di perdere la guerra quando arrivano gli eroi imprigionati, liberati da Rinaldo, che rovesciano la situazione e fanno vincere la battaglia ai cristiani.

Goffredo così ordina ai suoi di costruire una torre per dare l'assalto a Gerusalemme, ma di notte Argante e Clorinda (di cui Tancredi è innamorato) incendiano la torre. Clorinda tuttavia non riesce a entrare nelle mura e viene uccisa in duello, in una delle scene più significative del poema, proprio da colui che la ama, Tancredi, che non l'ha riconosciuta perché coperta dalla corazza da combattimento. Tancredi è addolorato per aver ucciso la donna che ama e solo l'apparizione in sogno di Clorinda gli impedisce di suicidarsi. Inoltre il mago Ismeno lancia un incantesimo sul bosco in modo che i crociati non possano ricostruire la torre in mancanza di materiale ligneo da costruzione. L'unico in grado di spezzare l'incantesimo è Rinaldo, che è però stato fatto prigioniero della maga Armida che lo trattiene presso di sé con le sue arti magiche e femminili. Due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo, pentito di essersi lasciato irretire da Armida fino a trascurare il suo dovere di guerriero e di cristiano, vince gli incantesimi della selva e permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme. Il poema si conclude con Goffredo che pianta il vessillo cristiano all'interno delle mura della città santa.

La poetica

L’idea di scrivere un’opera sulla prima crociata è mossa da due obiettivi di fondo: raccontare la lotta tra pagani e cristiani, di nuovo attuale nella sua epoca, e raccontarla nel solco della tradizione epica-cavalleresca. Sceglie la prima crociata in quanto è un tema non così ignoto al tempo da lasciar pensare che fosse inventata, ma anche adatto all'elaborazione fantastica.

Il tema centrale è epico-religioso. Tasso cercherà di intrecciarlo con temi più leggeri, senza però sminuire l'intento serio ed educativo dell’opera. Nel poema si intrecciano due mondi, l' idillico e l' eroico.

Goffredo di Buglione è il personaggio principale che raduna i cavalieri cristiani e li guida alla liberazione di Gerusalemme.

Il centro dell’opera è l’assedio di Gerusalemme difesa da valorosi cavalieri. Da un lato i principali cavalieri cristiani tra cui Tancredi e Rinaldo dall’altro il Re Aladino, Argante, Solimano e Clorinda. Una serie di vicende si intrecciano nell’opera e ci sarà sempre il dualismo tra Bene e Male, e sebbene ci sia anche qui la magia, l’intervento sovrumano è dato da Cielo ed Inferno, angeli e demoni, intrecciate con suggestioni erotico-sensuali.

Il poema ha una struttura lineare, con grandi storie d’amore, spesso tragiche o peccaminose; come se il tema dell’amore sensuale, sebbene contrapposto a quello eroico, fosse necessario e complementare ad esso.

Si ripropone quindi quel dissidio irrisolto tra tensione religiosa e amore terreno al quale la poesia da Petrarca in poi si era ampiamente ispirata.

Tasso ha come modello l’Orlando furioso di Ariosto, ma non si può permettere, vista l’epoca, un’opera libera e fantasiosa come quella dell’Ariosto. Il dibattito che si sta svolgendo tra gli studiosi di letteratura verte appunto sulla non coerenza tra il poema dell'Ariosto e le regole di derivazione aristotelica. D'altra parte, il clima culturale della Controriforma comporta una decisa impronta educativa (che certo è assente nell'Orlando furioso).

Tasso afferma che la poesia può unire al "vero" il "verosimile", a condizione di mantenere una coerenza storica nello sviluppo complessivo della vicenda. La storia, ricondotta nell'alveo dell'intervento provvidenziale di Dio, permette di realizzare lo scopo educativo e, per conseguire il diletto, che per Tasso è l'altro fine irrinunciabile, l'elemento "meraviglioso" sarà anch'esso di impronta cristiana, consisterà cioè nella partecipazione di angeli e demoni.

La magia di Ariosto è fiabesca, quella di Tasso ha un fine, è ricondotta al contrasto tra bene e male.

Nei Discorsi del poema eroico Tasso parla della "autorità della storia" e della "verità della religione" come elementi di base del poema epico-cavalleresco. Aggiunge poi che il poeta deve avere "licenza del fingere" e che il poema deve far risaltare la "grandezza e nobiltà degli avvenimenti" in quanto il mondo eroico deve essere il mondo della perfezione, perciò anche il linguaggio deve essere "illustre". L’amore è la tematica più complessa, vissuta in maniera lacerante, poiché anche se visto come peccato, poi vinto dai valori religiosi, il modo di raccontarlo dimostra che rimane un dissidio non risolto.

Così le storie d’amore si caricano di pathos tragico, Tancredi si innamora di Clorinda, guerriera musulmana, ed è condannato dal destino ad ucciderla; Armida si innamora di Rinaldo.

Tra gli aspetti del proprio tempo che nel Tasso ricevono un'eco particolare, appare importante il ruolo esercitato dalla corte (corte degli Estensi) come ambiente essenziale ed irrinunciabile in cui si è formata la fantasia e si è modellata la vita del poeta: la corte insieme amata ed odiata, respinta e ricercata, in cui si distende e si configura il sogno di gloria e di felicità ed il tormento di vita; la corte come struttura che suggerisce alla poesia immagini di fasto e di grandezza e un modo particolare di intendere l'esistenza.

La Gerusalemme e lo spirito della Controriforma

Un anno dopo la nascita di Tasso era stato indetto il Concilio di Trento, tappa fondamentale del processo controriformistico.

La Chiesa manifestava l’ardente necessità di orientare gli intellettuali al fine di difendere l’ortodossia cattolica contro le confessioni riformate. Il rinnovamento del Tribunale dell’Inquisizione e l’istituzione dell’Index librorum prohibitorum contribuirono alla nascita di un clima di rimarcata attenzione alla compatibilità con la fede cristiana delle opere circolanti. Nello spirito della controriforma, l'ideale dell'ortodossia prevaleva sugli ideali umanistici e rinascimentali di riscoperta del mondo classico e comportava la moderazione delle velleità e delle frivolezze. L'intellettuale cristiano, partecipe di questo nuovo interesse per la causa della fede, iniziò a sentirsi responsabile dei messaggi veicolati dalle sue opere. È proprio tale consapevolezza a plasmare una personalità tanto complessa quale quella del Tasso.

L’esigenza del richiamo ai valori religiosi è insita nel fine pedagogico della sua Gerusalemme liberata. Il poema è teso non al solo delectare, ma al docere: i cristiani allora dovevano riscoprire la propria compattezza, combattendo per difendere la propria fede dalle minacce esterne, ovvero i Turchi, ed interne, ovvero le spinte disgregatrici figlie della riforma luterana. Il dover sensibilizzare la società secondo lo spirito controriformistico fu motivo di particolare attenzione per il Tasso, che sentì il bisogno di sottoporre la sua opera al giudizio di otto revisori, al fine di valutare la chiarezza del messaggio educativo.

Per il Tasso, vero manierista, conciliare, in sé e nelle sue opere, lo spirito rinascimentale morente con la tensione religiosa significava conciliare l’unità con la varietà.

A livello stilistico la molteplicità delle situazioni doveva essere governata da una trama unitaria e compatta in cui i diversi elementi si combinavano in una fitta rete di rapporti e di corrispondenze. Alle unità aristoteliche di luogo, di tempo e d’azione accostò dunque la varietà, ovvero il susseguirsi di episodi secondari per arricchire la narrazione.

A livello contenutistico, invece, è evidente quella che il critico Lanfranco Caretti definisce “discorde concordia”: la contrapposizione dialettica tra la tematica eroica fondata sulla crociata, che coincide con il coinvolgimento morale dei personaggi, e quella sentimentale, susseguirsi di passione e debolezza. L’intrigo spirituale sopravvive in Tasso, lasciando emergere una sorta di “bifrontismo spirituale”, nel tentativo di conciliare classicismo e moderna ansietà religiosa. L’alterno susseguirsi di opposte prospettive, ora “ascendenti” ora “diversive”, è simbolo del conflitto interiore dell’autore alla ricerca dell’unità, da recuperare prima in sé e poi nelle sue produzioni. Caretti vede la stabilità ariostesca contrapposta all'instabilità tassiana. Ciò è dovuto alla fine delle certezze del Rinascimento, quando le sorti politiche italiane erano avvolte da un'ombra di irreparabile sconfitta e si venne facendo sempre più evidente il declino dello slancio attivo e fiducioso che aveva animato la civiltà italiana, a cui si aggiunse la chiusura più rigida della restaurazione cattolica. Si tratta di un'età in cui sull'eredità rinascimentale viene innestandosi "lo spirito nuovo e inquieto di un'età percossa dall'urto violento della Riforma e intimamente desiderosa di una sincera renovatio morale".

L’equilibrio tra peccato e redenzione, tra passione ed ideale, però, sembra sempre irrealizzabile. La tensione verso una catarsi irraggiungibile e la conseguente assenza di compattezza si traducono dunque in ansia. Si tratta della stessa ansia che rende il mondo della Liberata tormentoso e problematico. È lo stesso senso di turbamento che avvolge il Tasso cosciente di una nuova consapevolezza: il potere dell’uomo e dell’intelletto è limitato da condizionamenti morali e metafisici.

Come sottolinea il Getto, il tema religioso è presente anche con il rito e la liturgia: "È la prima volta che la religione, sentita come spettacolo e liturgia, trova posto nella poesia italiana". Troviamo infatti voci essenziali del rito cattolico: le cerimonie religiose (funerali, messa, processione), i sacramenti (comunione, battesimo, confessione).

Le fonti dell'opera

La Gerusalemme è sicuramente un'opera composita, un capolavoro che ha attinto a più fonti, capace di fonderle insieme dando origine ad un testo coerente. Nelle lettere Tasso ha sempre sostenuto di voler conciliare l'esempio degli antichi con quello dei moderni, e il risultato conferma la buona riuscita delle sue intenzioni.

La critica ha sviscerato la Gerusalemme per estrapolarne le fonti e il loro peso, ma gli studiosi sono stati sostanzialmente concordi nell'individuazione delle opere che hanno ispirato Torquato, pur dissentendo quando si è trattato di definirne una più importante dell'altra.

Alcuni si sono specializzati nella ricerca dei testi che più hanno influenzato il capolavoro:

All'inizio del XX secolo Vincenzo Vivaldi ha deciso di intraprendere un'operazione piuttosto meccanica ma immensa per impegno e dedizione richieste. Vivaldi concludeva che «i principali fattori della Liberata sono tre: cronache delle crociate, Eneide ed Iliade, e poemi cavallereschi ed eroici italiani anteriori al poeta». Faceva tuttavia dei distinguo, ed asseriva che se le Cronache delle crociate costituivano la base dell'opera, erano tuttavia rielaborate al punto da far rimanere, nella Liberata, un sesto della verità storica, perché il resto è dominato non solo dall'influsso di Eneide e Iliade o dall'Ariosto, dal Trissino, da Giraldi Cintio, ma anche da altri autori antichi quali Lucano o Stazio, Silio Italico o Apollonio Rodio, e naturalmente anche da Dante, Petrarca, Boccaccio, Poliziano.

Insomma, quasi sempre rielabora episodi già esistenti, perché la facoltà della fantasia ebbe «scarsissima», e la fedeltà maggiore sarebbe serbata agli antichi e all'Ariosto. La poca fantasia viene però compensata dalla capacità di fondere insieme gli elementi per creare un'opera viva e affatto nuova.

Se discutibile è l'epiteto di «scarsissima» che Vivaldi rivolge alla fantasia del Tasso, il suo lavoro sulle fonti è eccellente, e gli altri studiosi poco hanno aggiunto, se non in termini di "gerarchia delle fonti". Per il Multineddu in effetti è l'Eneide a occupare il primo posto tra i testi classici, Dante e Petrarca sono i poeti medievali con l'influenza maggiore e tra i «cavallereschi» la palma va al Boiardo e all'Ariosto. Tra i cronachisti, infine, quello cui più l'autore ha attinto sarebbe Guglielmo di Tiro.

Il de Maldé tira invece in ballo l'importanza dei riferimenti biblici e sacri. Le fonti principali sono «la Bibbia, le Cronache delle Crociate e i Santi Padri, con tutte quelle illustrazioni in prosa e in verso che la letteratura contemporanea e posteriore venne portando ad esaltazione delle Crociate e Cronache stesse». Insomma, pur essendo vivi i riferimenti ariosteschi, «lo spirito sacro cristiano dominò e informò tutta l'alta materia e tutta l'arte», e «un'allegoria spirituale e morale sovraintese alla composizione della Gerusalemme».

Il richiamo all'Iliade pare evidente: basti pensare al tema della guerra e al fatto che, come per gli Achei sia necessario il rientro in battaglia di Achille, così il campo crociato potrà prevalere solo grazie al ritorno di Rinaldo. Si aggiunga anche l'intervento divino comune ai due poemi; tuttavia, mentre gli interventi di Dio, degli arcangeli e degli angeli (e dei demoni ad essi contrapposti) si inseriscono nella Gerusalemme nella linea della Provvidenza cristiana, quelli degli dèi che volta a volta aiutano i Greci o i Troiani sfuggono a questa dinamica di trascendenza.

Personaggi principali

Goffredo di Buglione

« Canto l'armi pietose e il capitano
che il gran sepolcro liberò di Cristo
molto operò con il senno e con la mano
molto soffrì nel glorioso acquisto..... »

(Inizio del proemio della Gerusalemme liberata)

Goffredo di Buglione è il protagonista maschile in assoluto del poema di Tasso. Egli è il capitano dell'armata cristiana della Prima crociata contro l'esercito ottomano della Turchia che ha occupato Gerusalemme. Torquato Tasso si riferisce alla sua figura già nel proemio, spiegando di narrare in versi le gesta del capitano che liberò dalle mani degli Infedeli il Santo Sepolcro di Gesù. All'inizio del poema Goffredo, partito per la crociata già dal 1096, non è ancora riuscito a conquistare Gerusalemme. Giunge il 1099 e il cavaliere intrepido, avendo conquistato già Costantinopoli, riceve la visita dell'Arcangelo Gabriele che lo invita a tenere duro contro i musulmani. Goffredo allora, riacquistando il coraggio e infondendolo anche nei cuori dei combattenti cristiani, manda una messaggio al reggente di Gerusalemme, Aladino, per avvisarlo del tremendo assalto che lo distruggerà. Argante però, combattente straniero che poi si allea con Aladino, vorrebbe una tregua e si presenta a Goffredo come ambasciatore, proponendo un'alleanza con l'Egitto. Al rifiuto del Capitano, riprende di nuovo la guerra e Argante uccide il cristiano Dudone a cui Goffredo tributa i funerali. Dopo che i demoni dell'Inferno scelgono di far allontanare i cristiani dal loro obiettivo con stragi, carestie e persecuzioni spirituali, Goffredo inizia a perdere il ruolo di protagonista, venendo sostituito da Tancredi e da Rinaldo. Ricompare protagonista nella metà del poema, nel canto VIII, XI E XIV in cui viene addirittura sospettato di tradimento dai suoi commilitoni. Quando Rinaldo, posseduto da un diavolo, uccide un compagno, fugge via dal campo in preda alla vergogna, Goffredo raccoglie le sue armi e l'armatura insanguinati. I soldati credono che sia stato lui ad uccidere Rinaldo. Dopo l'ennesimo assalto a Gerusalemme, Goffredo di Buglione viene gravemente ferito, ma risanato subito per intervento divino, affinché possa perseguire l'incarico affidatogli da San Michele Arcangelo. Nel frattempo Rinaldo viene sedotto dalla maga nemica Armida che lo attrae nel suo giardino incantato per fare l'amore. Rinaldo perde ogni attrazione e interesse per la guerra e rimane per molto tempo prigioniero. L'intervento di Ubaldo e Carlo, mandati da Goffredo che aveva ricevuto una visione di Rinaldo prigioniero, liberano il paladino e svergognano la maga. Dopo altre peripezie, Rinaldo si ritira in meditazione per l'errore compiuto e Goffredo, sconfitti i maggiori difensori di Gerusalemme, dichiara liberata la Città Santa dalle mani degli Infedeli e adora il Santo Sepolcro.

Il personaggio di Goffredo nel poema è soprattutto ricordato per la sua perfezione assoluta nel fisico, nella prestazione nelle battaglie e specialmente per il carattere severo, inflessibile che non cede alle tentazioni. Tasso per celebrare la religione cristiana, essendo il periodo della Controriforma, volle scegliere un condottiero perfetto che rappresentasse in tutto e per tutto i degni successori di Gesù Cristo nella crociata. L'esatto contrario di Goffredo è Tancredi che, personaggio pieno di ambivalenze, è sempre soggetto a dubbi, innamoramenti e turbe psichiche per colpa dei demoni che infestano gli animi dei cristiani. Infatti da ricordare sono il suo amore per Clorinda e l'infatuazione condannata della pastorella Erminia che prova per il paladino.

Clorinda
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Secondo il racconto di Tasso (Gerusalemme Liberata, XII, 21-38) Clorinda è la figlia di Sanapo, re d’Etiopia di religione cristiana. Folle di gelosia nei confronti della moglie, il re la rinchiude in una torre alla quale hanno accesso solo le sue ancelle e l’eunuco Arsete.
La regina è sottomessa alla volontà del marito e spesso si rifugia nella preghiera presso l’immagine di san Giorgio che adorna le pareti della sua stanza. Rimasta incinta partorisce una figlia bianca.

L’evento trova spiegazione nel fatto che, avendo ella giaciuto con il marito di fronte alla raffigurazione del santo che libera la principessa dal drago, l’impressione data dall’immagine della principessa bianca dipinta, abbia influenzato l’aspetto della futura figlia. Terrorizzata dalla gelosia del marito che nonostante la sua innocenza non avrebbe creduto nemmeno ad una spiegazione accettabile (per le dottrine mediche del tempo e considerata valida fino al 1800) affida la bambina al suo servo, Arsete, facendogli promettere di crescerla secondo la fede cristiana, e prega san Giorgio di proteggerla.

Arsete parte in segreto con la bambina verso l’Egitto, sua terra natale; durante il viaggio si imbatte in una tigre, terrorizzato, si arrampica su un albero lasciando la bambina a terra; la tigre si avvicina e offre per allattarla le mammelle, così che la piccola Clorinda può nutrirsi.
Arsete rimane attonito di fronte a quello che gli sembra un incredibile prodigio; allontanatasi la tigre, riprende la piccola e prosegue il suo cammino.
Viene però inseguito dai briganti e, scappando, si ritrova davanti ad un fiume, si tuffa sorreggendo Clorinda ma la corrente è troppo forte; la bambina gli sfugge dalle mani, ma le onde la trasportano illesa a riva.

Durante la notte appare in sogno ad Arsete san Giorgio (alla cui protezione si devono, infatti, l’allattamento della tigre e il miracoloso salvataggio dal fiume); egli intima ad Arsete di far battezzare Clorinda, ma il vecchio non gli dà ascolto. Giunto in Egitto, fa svezzare la bimba in un villaggio; appena giunta alla fanciullezza Clorinda inizia ad autoeducarsi alla caccia e alla guerra (Gerusalemme Liberata, II, 39-40) rifiutando tutti gli ornamenti e le occupazioni femminili, addestrandosi nel combattimento fino ad essere in grado di seguire gli eserciti nelle campagne militare e conquistare fama e terre.

Quando Goffredo di Buglione si prepara ad attaccare Gerusalemme e la città si prepara all’assedio dei Crociati, il re Aladino sfoga la sua rabbia sui cristiani che vivono nella città e condanna a morte Sofronia, una giovane cristiana che si autoaccusa del furto di un'immagine della Vergine, per salvare il resto del popolo dalla strage promessa dal re per il crimine in realtà architettato dal mago e suo consigliere Ismeno per eliminare i cristiani.

Olindo, innamorato segretamente di lei, si accusa per salvarla ma entrambi vengono condannati; stanno per essere giustiziati quando Clorinda ferma i carnefici. Si presenta al re che la conosce per fama e chiede la vita dei due giovani offrendo in cambio i suoi servigi nella battaglia che si sta preparando.
Aladino accetta a patto che i cristiani prendano la via dell’esilio (G.L. II, 1-38). Un giorno, durante un combattimento, la guerriera si ferma presso un fiume e si toglie l’elmo per bere: è allora che il principe Tancredi d'Altavilla, il più valoroso dei Crociati insieme a Rinaldo, la vede e si innamora di lei (G.L. I, 46-49).

Da quel momento il principe perde di vista i suoi doveri di cristiano e di cavaliere schiavo della sua passione amorosa, tanto che durante uno scontro attaccato da lei non attacca ma anzi la chiama in disparte e le dichiara il suo amore. Di fronte alla sua dichiarazione la donna non reagisce essendo totalmente estranea al sentimento amoroso (G.L. III, 23-31).
Durante l’assedio di Gerusalemme, Clorinda si distingue come arciera dall’alto della torre e ferisce lo stesso Goffredo (G.L. XI, 27-54), ma desiderosa di misurarsi col nemico e distinguersi con un’impresa eroica decide di introdursi nottetempo nel campo cristiano per incendiare la torre con cui i Crociati vogliono assaltare le mura (G.L. XII). Il guerriero Argante si offre di accompagnarla; il vecchio Arsete, che l’ha accompagnata fino a quel momento, cerca di distoglierla dal folle progetto narrandole per la prima volta la storia delle sue origini e di un nuovo sogno premonitore. Anche la guerriera ha fatto un sogno simile ma tace e rifiuta di lasciare il suo progetto e i valori per i quali ha sempre combattuto.

L’impresa viene portata a compimento ma al momento del rientro tra le mura di Gerusalemme, Clorinda rimane chiusa fuori per errore. Allora Tancredi si accorge di lei e, non riconoscendola per l’armatura non sua, vede in lei solo l’incendiario della torre e rincorrendola la sfida a singolar tenzone. Il duello è all’ultimo sangue; alla fine il principe ne esce vincitore, infliggendo alla donna una ferita mortale al petto.
Ormai in fin di vita Clorinda riconosce al nemico la vittoria e gli chiede il Battesimo. Sono le prime luci dell’alba, Tancredi prende dell’acqua ad un vicino ruscello e le toglie l’elmo per battezzarla. Solo allora si rende conto di aver ferito a morte la donna che ama, ma reprime la sua angoscia per esaudire il suo ultimo desiderio, e la battezza. Clorinda gli dà il segno della pace, sorride e muore serenamente in grazia di Dio.
Tancredi si dispera e gravemente ferito perde i sensi. Ritrovato dai compagni viene portato al campo dove appena rinvenuto dà a Clorinda degna sepoltura. Non sa però rassegnarsi al suo crudele destino ed è preda della disperazione e dei vaneggiamenti.
Trova pace solo dopo che l’amata gli appare in sogno dal Paradiso dove si trova grazie a lui; la donna infatti era destinata fin dalla nascita alla conversione e alla salvezza e con la sua morte libera anche Tancredi dalla follia d’amore, facendolo tornare ai suoi doveri di combattente di Cristo. Subito dopo la morte di Clorinda la situazione della guerra si sblocca e il Santo Sepolcro viene riconquistato dai cristiani.

Clorinda è sicuramente una delle figure in cui il Tasso ha chiuso una delle sue trame più difficili, sembra quasi si tratti di un rimando alla virgiliana vergine Camilla o all’antico mito greco delle Amazzoni, le donne guerriere, che secondo la leggenda sacrificarono tutta la loro femminilità per la guerra. A queste caratteristiche “maschili” il Tasso affianca un’aura di dolce femminilità, rivelata solo in pochi versi e drammaticamente esaltata quando, ormai morente, ella chiede il battesimo. Si tratta quasi di un personaggio che per alcuni attimi fuggenti sembra uscire dalle sue vesti di metallo come una farfalla dalla sua crisalide o, come dice Fredi Chiappelli in “Studi sul linguaggio del Tasso epico”, «Vissuta a lungo in una larva militare, Clorinda fiorisce in tutta la sua dolcezza femminile d’improvviso e per un istante, l’istante della sua morte». Sono interi mondi cristallizzati in pochi attimi e subito interrotti dalla foga della battaglia o dalla prematura morte della donna. Sembra quasi che si tratti di momenti eterni, fluttuanti nel tessuto temporale del racconto, fermi, statici, immobili, contemplativi.

“Bianche via più che neve in giogo alpino

avea la sopravveste, e la visiera

alta tenea dal volto; e sovra un’erta,

tutta, quanto ella è grande, era scoperta.”

“Ferirsi alle visiere; e i tronchi in alto

volaro e parte nuda ella ne resta;

chè, rotti i lacci e l’elmo suo, d’un salto

(mirabil colpo!) ei le balzò di testa;

e, le chiome dorate al vento sparse,

giovane donna in mezzo ‘l campo apparse.”

A queste sensualissime descrizioni fisiche si affiancarono i precetti morali, che portano il Tasso a decretare a queste storie una fine d’ineluttabile dolore. L’amore, infatti, per il poeta, non può che portare ad un indebolimento degli animi e ad uno sviamento dal campo di battaglia e dalla missione sacra. Morente, Clorinda chiede il battesimo e muore da cristiana, suscitando quasi la commozione dell’autore stesso in una scena che è espressione delle migliori doti liriche possedute dallo scrittore.

Tancredi

Tancredi d'Altavilla è un noto paladino fedele al Capitano Goffredo di Buglione, generale della Prima crociata contro i turchi di Gerusalemme. Egli è l'esatto contrario del suo comandante, severo e fedele a Dio, ed ha un ruolo chiave nel poema perché rappresenta il dubbio, l'animo fragile umano e colui che cede spesso e volentieri alle tentazioni. Il suo amore per la nemica musulmana Clorinda è un chiaro esempio della sua debolezza di carattere, tanto più quando egli, senza riconoscerla, la uccide in combattimento. Infatti pochi giorni prima del grande assalto cristiano a Gerusalemme, i turchi ottomani avevano sfoderato un'offensiva all'esercito cristiano, distruggendo il simbolo di ciò che faceva resistere ancora Goffredo e i suoi paladini alle terribili sofferenze inflitte dai diavoli e dalle carestie. Clorinda, non riconoscendo Tancredi e viceversa per il paladino d'Altavilla, lo attacca in duello però ne rimane ferita gravemente. Questa, in punto di morte, chiede a Tancredi di battezzarla. Tempo prima di ciò una pastorella, sempre "infedele" di nome Erminia si era innamorata di Tancredi, ma sapendo dell'impossibilità del loro rapporto, si rifugia sui monti, cercando di dimenticare le sue passioni. Infatti aveva già cercato la fanciulla di intrufolarsi nel campo cristiano sotto mentite spoglie, ma poi era fuggita atterrita da uno scontro. Verso la fine del poema Erminia, vedendo Tancredi ferito gravemente dal duello con il saraceno Argante, lo cura sempre però travestendosi.

Erminia

Figlia del re Cassano di Antiochia, perde padre e patria quando la sua città viene conquistata dai Crociati. Preda, tra molte altre, del vincitore di suo padre, il principe Tancredi, che tuttavia la onora e la protegge, Erminia finisce per innamorarsi del cortese conquistatore, tanto che la prigionia le è ben più diletta della libertà che alla fine le viene donata (VI, 56-57). La principessa è così obbligata, non senza molto ben celato dolore, a lasciare il campo cristiano e a cercare rifugio insieme all’anziana madre, a Gerusalemme, città alleata (VI, 59).
Tra le mura della città, patita dopo poco anche la perdita della madre, Erminia si strugge per amore di Tancredi, continua a vagheggiare la sua dolce prigionia, a maledire l’amara libertà e a sognare il ritorno dell’amato, finché un giorno, i cristiani giungono alle porte della città, destando i timori della popolazione e risvegliando la sua tacita speranza. Alla vigilia dell’attacco mentre fremono i preparativi per la difesa, il re Aladino, la vuole accanto a sé sulle mura, perché lo aiuti a riconoscere i vari eroi cristiani a lei bene noti a causa della sua prigionia (III, 12, 17). Non senza molti sospiri e mal celate lacrime Erminia nomina e descrive i principali eroi cristiani, tra cui naturalmente Tancredi, celando sotto il manto de l’odio altro desio (III 19-20; 37-40; 58-63).
Ogni volta che si trova sola, Erminia si rifugia sulla torre e qui piange e sospira; da qui osserva anche il combattimento tra Argante e Tancredi tormentandosi per la sorte dell’amato (VI, 62-63).
Nelle notti successive l’immagine del principe lacero e ferito la tormenta nei suoi incubi (VI, 65) e il desiderio di curare le sue ferite con le arti mediche apprese dalla madre, non la abbandona mai di giorno (VI, 67-68); così come l’amara consapevolezza che, rimanendo in città, sarà invece obbligata a prestare il suo aiuto ad Argante, mettendo in ulteriore pericolo il suo amato che langue ferito nel campo cristiano.
L’animo della fanciulla è lacerato dal dubbio; la disperazione le fa pensare di somministrare erbe velenose ad Argante, ma la sua coscienza la porta a rifiutare tale proposito (VI, 68); il desiderio di raggiungere l’amato le fa meditare la fuga ma il dovere di salvaguardare l’onore regale la trattiene (VI, 69).
Una vera e propria battaglia tra Onore e Amore si scatena dentro di lei; da una lato non avrebbe timore di avventurarsi fuori dal palazzo, avendo già visto guerre e stragi, l’Amore poi le fornisce tutta la forza necessaria all’impresa, dall’altra però il dovere di conservare la sua virtù, preservata perfino durante la prigionia e il pericolo della fama di impudica le impediscono di realizzare i suoi propositi. Ma la speranza nell’amore di Tancredi quale ricompensa delle sue cure, il vagheggiamento della realizzazione dei suoi sogni, la spingono infine prevalgono (VI, 69-78).
Indossate le armi di Clorinda, sottratte dalla sua stanza mentre la guerriera si trova in concilio di guerra, con uno scudiero ed un’ancella si reca al campo cristiano (VI, 86-92).
Appena giunta però, uno dei guerrieri, Poliferno, credendola la vera Clorinda, la attacca per vendicare la morte del padre ucciso dalla guerriera (VI, 108) facendola fuggire in preda al terrore (VI, 101).
Frattanto Tancredi al quale era stato annunciato l’arrivo della donna che lui ama, insegue la non vera Clorinda, cadendo poi prigioniero nel castello di Armida.
Dopo una notte e un intero giorno di fuga, Erminia giunge sulle rive del Giordano (VII 1-5) si rifugia poi tra i pastori (VII, 14-22) presso i quali resta per qualche tempo, per poi essere rapita da un gruppo di soldati Egizi (XIX, 99) che la portano al campo dell’esercito musulmano.
Qui, la tante volte liberata e serva, alla vigilia della battaglia decisiva tra esercito Crociato e Musulmano, incontra Valfrino, inviato come spia da Goffredo, e, dopo avergli narrato la sua storia, lo prega di riportarla al campo crociato da Tancredi (XIX, 80).
Lungo la strada però, i due incontrano lo stesso Tancredi in fin di vita dopo lo scontro decisivo con Argante; Erminia lo cura strappandolo alla morte (XIX 103-114), lui la riconosce e la ringrazia, ma in seguito al rientro del principe tra i suoi, di lei e del suo destino non si hanno più notizie.

Armida

Nipote del mago Idraote, signore di Damasco, Armida è una bellissima maga, che lo zio invia tra i Crociati affinché ne catturi il maggior numero possibile distogliendoli dalla loro missione con la sua bellezza e con le sue arti magiche (IV, 23-30).
Armida giunge al campo ed immediatamente i cristiani sono presi dalla sua bellezza (IV, 33, 1-4);
dissimulando la consapevolezza del suo potere seduttivo e la gioia per le sue future conquiste che crede ormai certe, seguendo i consigli dello zio mago, si presenta come una principessa cacciata dal suo regno bisognosa della protezione di Goffredo e dei suoi. In presenza del capitano racconta di essere figlia di Arbilano re di Damasco e di sua moglie Cariclia, di aver perso i genitori e il regno, e di essere minacciata dal perfido zio che desidera la sua morte per usurpare il trono; chiede al capitano di darle dieci dei suoi uomini perché la aiutino a riconquistare il regno (IV, 33-64).
Goffredo dapprima le rifiuta cortesemente l’aiuto richiesto perché distoglierebbe il suo esercito dalla sua missione (IV, 64-69), ma visto lo scontento dei suoi, per evitare ribellioni alla fine le concede quanto richiesto (IV, 77-82).
Vengono estratti a sorte dieci dei soldati cristiani (V, 72) ed Armida parte con loro, ma molti altri invaghiti della maga la seguono abbandonando nottetempo il campo (V, 77-85) che si trova così sguarnito dei principali eroi essendo anche Rinaldo lontano.

Il piano di Armida sembra in parte realizzato; la donna conduce i suoi prigionieri al suo castello sulle rive del Mar Nero (X, 61), qui gli eroi cristiani vengono trasformati in pesci, (X, 66-68), la maga chiede loro di abbracciare la fede musulmana e di passare alla parte nemica (X, 69), al loro rifiuto li imprigiona, finché avendo saputo che il re d’Egitto sta radunando un esercito decide di donargli i suoi prigionieri.
Proprio mentre li conduce da lui interviene Rinaldo che li libera (X, 70-71).
Armida così, privata delle sue prede, decide di vendicarsi facendo prigioniero proprio il loro liberatore (XIV, 51); lo attira nel suo castello, lo induce al sonno con la sua magica arte e lo imprigiona.
Nel rimirarlo addormentato tuttavia Armida non può che rimanere incantata dalla bellezza del paladino (XIV 66-68) e se ne innamora. Allora lo porta con sé nel suo giardino sulle Isole della Fortuna perché nessuno le sottragga l’oggetto del suo amore (XIV, 69-71).
Qui trascorre con Rinaldo, dimentico dei suoi doveri di crociato, un periodo di felici amori (XVI, 17-25), finché il paladino non viene riportato alla ragione dai suoi compagni Carlo ed Ubaldo inviati da Goffredo per ricondurlo alla guerra.
Armida viene così abbandonata da Rinaldo in nome dei suoi doveri di combattente della fede, e rimasta sola e schernita (XVI, 35), in preda all’ira, promette vendetta (XVI, 59-60).
Evoca i demoni, gli stessi attraverso i quali aveva fatto comparire il palazzo, e l’incanto cessa: tutto sparisce senza lasciare traccia (XVI, 68-69); poi vola con il carro magico fino al suo castello a Damasco, qui raduna il seguito e si prepara per unirsi all’esercito musulmano adunato dal re d’Egitto a Gaza (XVI, 73-75).
Al campo Armida si mostra al sommo della sua bellezza, in veste di arciera, su un carro riccamente adornato, con un immenso seguito (XVII, 33-34).
Di fronte al re d’Egitto e a tutto l’esercito Armida si promette a chi l’aiuterà a realizzare la sua vendetta su Rinaldo colpevole di averla disonorata (XVII 48).
Anche qui come prima nel campo cristiano i principali eroi si contendono i suoi favori e fanno a gara per tentare di compiacerla; allo stesso modo Armida illude i vari guerrieri per infiammarli ed ottenere da loro la sua vendetta (XIX, 67-70). Giunto il giorno della battaglia decisiva, quando la sorte arride all’esercito crociato, Rinaldo ed Armida si incontrano, la donna punta il suo arco contro il paladino e per tre volte cerca di scagliare la freccia, ma l’amore le impedisce di colpire l’amato (XX, 61-63); rimasta sola in balia dei nemici Armida viene difesa da Altamoro che abbandona per lei i suoi soldati dandole l’opportunità di mettersi in salvo (XX, 69-70).
Dopo aver visto tutti i suoi campioni cadere ad uno ad uno, disperando ormai la vittoria e la vendetta, fugge sul suo destriero (XX, 117) e si rifugia in una radura; qui in preda alla disperazione, medita di uccidersi con le stesse armi che non hanno saputo macchiarsi del sangue del suo nemico-amante realizzando la sua vendetta (XX, 124-127).
Rinaldo giunge proprio nel momento in cui sta per trafiggersi con le sue stesse armi e la ferma (XX, 127); poi la rassicura, la invita a placare il suo animo, si dichiara suo campione e servo e promette di ricollocarla sul suo trono e di regnare al suo fianco come legittimo consorte se lei abbandonerà la fede pagana.
Armida si rasserena e accetta, si dichiara ancella sua e disposta a condividere la sua fede e il suo destino (XX, 134-136).

Rinaldo

Anche Rinaldo, oltre a Tancredi, è una figura piena di difetti e ambivalenze nel poema. Combattendo per Goffredo, egli uccide incoscientemente il compagno Gernando. Fatto ciò egli fugge dall'accampamento in preda allo sconforto. La maga Armida, nemica dei cattolici, lo attrae a sé con la seduzione e il piacere. Rinaldo viene catturato e costretto ad amare Armida nella sua casa incantata. Goffredo, non vedendo più Rinaldo, viene accusato dai suoi commilitoni di averlo ucciso e quindi, fattasi la situazione insostenibile, spedisce i soldati Carlo e Ubaldo in casa di Armida perché liberino Rinaldo. Infatti Goffredo di Buglione aveva scoperto la prigione del paladino grazie ad un intervento divino, dato che egli fu il prescelto dall'Arcangelo Gabriele per conquistare Gerusalemme. Ubaldo e Carlo dapprima si trovano a combattere contro i sortilegi della maga, addirittura uccidendo un drago sputafuoco, ma alla fine ci riescono facendo tornare a Rinaldo la ragione. Tornato tra i suoi soldati, Rinaldo ottiene il perdono da Goffredo e si ritira in meditazione sul Monte Oliveto. Verso la fine del poema egli riesce a rompere l'incantesimo che proteggeva Gerusalemme e la espugna salendo sulle torri di controllo.

I nemici principali dei cristiani

Ismeno:

sacerdote e mago dei turchi, il quale convoca la bellissima giovane e seducente Armida per gettare scompiglio sui cristiani. Ismeno per celebrare un suo rito satanico contro l'esercito di Goffredo cerca di celebrare anche un sacrificio pagano, volendo bruciare vivi i ragazzi Olindo e Sofronia. Però questi all'ultimo momento vengono salvati da Clorinda.

Argante:

reggente della Gerusalemme conquistata dai turchi, alleato fedelissimo del re Aladino. Originariamente giunse come ambasciatore dall'Egitto per proporre un accordo coi cristiani ma, cacciato da Goffredo, si alleò con i musulmani. Alla fine del poema viene ucciso da Tancredi.

Aladino:

re di Gerusalemme, legittimo nemico della cristianità e di Goffredo. Ordina gli attacchi contro l'esercito nemico ed è padrone della maga Armida. Alla fine del poema viene ucciso dal cristiano
Raimondo.

Idraote:

mago e indovino, governatore di Damasco e delle città limitrofe. È zio di Armida ed è lui a decidere di mandarla presso il campo cristiano.

Edizioni

Tasso aveva completato l'opera nel 1575, ma fu poi riluttante a darla alle stampe, a causa di scrupoli morali che, uniti a disturbi nervosi che andavano via via aggravandosi, gli imponevano una revisione ossessiva del testo. Per questo lo sottopose al giudizio di amici, letterati e religiosi, tra cui Sperone Speroni, Flaminio de' Nobili, Scipione Gonzaga e Silvio Antoniano. Sottopose il poema persino all'Inquisizione, ricevendo due sentenze di assoluzione.

Il poeta però non si decideva, e nel 1579 fu internato nell'Ospedale di Sant'Anna. Tuttavia, nel 1580 fu pubblicata una prima edizione scorretta e non completa da Celio Malespini, a Venezia, presso l'editore Cavalcalupo e senza il consenso dell'autore. Tale edizione era mutila dei canti XI, XIII, XVII, XVIII, XIX, XX (il XV e il XVI erano incompleti) e recava il titolo di Goffredo. Tasso ne ebbe gran dispiacere, e l'amico Angelo Ingegneri si mise subito al lavoro per restituire una versione più vicina all'originale. Sulla base di un manoscritto che aveva copiato a Ferrara nell'inverno precedente l'edizione malespiniana, diede alla luce due edizioni del poema, questa volta con tutti i canti. Fu lui a cambiare il titolo dell'opera, che diventò così La Gerusalemme liberata.

Tuttavia, per avere la migliore versione occorreva il consenso dell'autore, e, pur riluttante, Tasso diede a Febo Bonnà la propria approvazione. Così, il 24 giugno 1581 l'opera usciva per i tipi ferraresi di Baldini, con dedica al duca Alfonso II d'Este. Seguì subito una seconda edizione dello stesso Bonnà, ancor più precisa e corretta.

Più tardi, nel 1584, Scipione Gonzaga, letterato amico di Tasso che disponeva di più versioni in virtù delle revisioni cui aveva sottoposto il poema per volere di Torquato, approntò una nuova edizione, che apparve diversa dalla precedente per alcuni interventi di censura, operati sia dal curatore sia dall'autore stesso. Fu questa la versione che si affermò presso il pubblico.

Molto celebre è stata l'edizione del 1590 stampata a Genova da Girolamo Bartoli, con annotazioni di Scipione Gentili (1563-1616), Giulio Guastavini (m. 1633) e le tavole di Bernardo Castello (1557-1629). Quest'ultimo sottopose le illustrazioni al giudizio dell'autore, che le apprezzò, lodandole in un sonetto.

Il poema riscosse subito grande successo, testimoniato dalle numerose ristampe che si susseguirono negli anni successivi. Il testo su cui esse si fondavano era quello del 1584, mentre oggi le edizioni critiche riproducono il testo non censurato del 1581. I numeri confermano l'estrema popolarità di cui l'opera godette sin dalla fine del Cinquecento: la Gerusalemme fu edita trenta volte nella parte finale del XVI secolo, centodieci volte nel XVII, centoquindici nel XVIII e addirittura cinquecento nel XIX.

Come era già accaduto per l'Orlando Furioso, il poema tassesco si diffuse a tutti i livelli sociali, e anche le persone più umili ne sapevano parecchi versi a memoria. Interessante risulta un aneddoto riportato dal Foscolo: trovandosi una sera a Livorno, vide una brigata di galeotti che rincasavano dopo la giornata lavorativa, recitando i versi della preghiera dei crociati prima della battaglia.

Nell'Ottocento Severino Ferrari, uno dei più validi allievi del Carducci e insigne filologo, migliorò ulteriormente l'opera, avvalendosi dei dettami della moderna filologia, nata con il metodo del Lachmann, e rifacendosi alle edizioni del Bonnà.

Riprese dell'opera

La Gerusalemme si pose immediatamente come modello del poema eroico e costituì il punto di riferimento per le generazioni di poeti successive: Giulio Natali rilevava nel 1943 come l'opera fosse stata imitata un centinaio di volte prima che La secchia rapita di Alessandro Tassoni parodiasse il genere, dando vita al poema eroicomico.

La Liberata si diffuse subito anche fuori dalla penisola: si racconta come la regina d'Inghilterra, Elisabetta, si rammaricasse di non avere a disposizione un autore come il Tasso, e neanche le traduzioni si fecero attendere: la Gerusalemme ebbe presto varie versioni in latino e nelle principali lingue europee.

Le riprese hanno naturalmente valicato i confini della letteratura: il compositore secentesco Jean-Baptiste Lully musicava una celebre Armida, su libretto di Quinault, nel secolo precedente il Rinaldo händeliano. Pregiatissimo il pur breve componimento monteverdiano intitolato Il combattimento di Tancredi e Clorinda (1624). Tra i personaggi del poema, quello della donna ammaliatrice, Armida, ha dominato la scena del melodramma nel Settecento: l'elenco di autori che l'hanno scelta come protagonista di una loro opera è molto lungo e anche solo una selezione di nomi può rendere l'idea dell'importanza del fenomeno: Albinoni (con due opere), Vivaldi, Jommelli (tre riprese), Traetta, Salieri, Sacchini, Gluck, Cherubini e Haydn.

Armida ricompare, anche se con minor frequenza, nell'Ottocento: è celebre l'Armida rossiniana, ma una certa rilevanza ebbero anche l'opera seria di Francesco Bianchi – le cui parole furono scritte da Lorenzo da Ponte – che andò in scena al King's Theatre di Londra (1802), Armida e Rinaldo, dramma in musica dell'aversano – e nipote dello Jommelli – Gaetano Andreozzi (1802), rappresentato per la prima volta al S. Carlo di Napoli, e Rinaldo e Armida, ballo eroico del coreografo Louis Henry (1817, prima scaligera).

In età romantica, Armida fu affiancata, nell'immaginario di librettisti e compositori, dal personaggio di Erminia. Alla dolce guerriera saracena innamorata di Tancredi (protagonista a sua volta nel 1812 di un'opera seria di Stefano Pavesi) Luigi Antonio Calegari dedicò una farsa giocosa in un atto (1805) e Antonio Gandini un'opera lirica (1818).

In ambito letterario bisogna citare almeno l'Enriade di Voltaire e la Messiade di Klopstock, che ebbero nell'opera tassesca il modello principale.

Adattamenti cinematografici

Il primo regista a girare un film sull'opera fu Enrico Guazzoni. Lo stesso nel 1913 e nel 1918 ne farà due remake.

Gerusalemme liberata, di Enrico Guazzoni (1910)
La Gerusalemme liberata, di E. Guazzoni (1913)
La Gerusalemme liberata, di E. Guazzoni (1918)
La Gerusalemme liberata, di Carlo Ludovico Bragaglia (1957)
I due crociati, parodia di Giuseppe Orlandini con Franco e Ciccio (1968)

fonte: Wikipedia