mercoledì 14 giugno 2017

giochi di guerra sulla pelle dei sardi

di Gianni Lannes

Sulla grande isola ad ovest dello Stivale che scruta la penisola iberica nel bel mezzo del Mar Tirreno, ormai da decenni la primavera viene annichilita dall’impronta bellica. Altro che cartolina vacanziera. Anche quest’anno in mare lo scenario infernale non muta. «Esercitazioni a fuoco: lanci di missili e razzi nel mese di marzo, aprile, maggio e giugno 2017». Le ordinanze della Capitaneria portuale di Cagliari attestano l’interdizione alla navigazione, all’approdo, alla pesca ed ai mestieri affini, entro le acque territoriali comprese nella giurisdizione del circondario marittimo cagliaritano.

Al miglior offerente: in affitto. Il 29 novembre 2006 l’allora Capo di Stato Maggiore dell’aeronautica, Vincenzo Camporini dichiarava in un’audizione alla Camera: «Le elevate potenzialità delle strutture militari della Sardegna, per l’addestramento operativo di forze aeree sono diventate oggetto di interesse di vari Paesi alleati e amici. In particolare di francesi e tedeschi. La Francia è infatti disposta a integrare le strutture già presenti in Corsica. Mentre la Germania è orientata a ottimizzare gli oltre 13 milioni di euro che versa ogni anno all’Italia per l’utilizzo di un’altra base sarda, quella di Decimomannu». Capo Frasca, Capo Teulada e Salto di Quirra sono gli scenari più evidenti di occupazione militare. Solo a Capo Frasca ci sono a disposizione 1.416 ettari. A gestire il poligono è proprio l’aeronautica. E a Capo Frasca insistono un eliporto, impianti radar e basi di sussistenza. “La Difesa ci ridia la baia”: l’amministrazione comunale di Tertenia chiede al Poligono di Quirra la restituzione agli usi civili dei quattro ettari in riva al mare dove alloggia la postazione militare di Punta Is Ebbas. La richiesta è stata inoltrata invano, ben 10 anni fa dal sindaco Pisu al ministero della Difesa. 
Una Terra promessa. Gli ultimi a sbarcare sono stati i militari israeliani, con la stella di Davide in evidenza, per testare armi e munizioni proibite da usare contro i palestinesi, bambini, pacifisti e giornalisti compresi. Ma in questo feudo dello Stato Maggiore Difesa hanno sperimentato in tanti. Un vergognoso esempio? Lo Stato italiano, segretamente, dopo aver siglato il Trattato internazionale di non proliferazione nucleare, ha seguitato a provare il missile atomico Polaris, in collaborazione con Fiat, Ansaldo e Marina Militare tricolore. Insomma, siamo sbarcati in un centro d’eccellenza dove si sondano nuovi armamenti. I clienti non latitano. Sul poligono piovono nel 2007 soldi aerospaziali: un milione di euro. Dalla ricerca aerospaziale arriva sull’Ogliastra una pioggia di denaro. Un milione e duecentomila euro per tre anni con la possibilità di rinnovare l’accordo per ulteriori dieci anni: questa la somma che il Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira) verserà al ministero della Difesa per l’utilizzo del Poligono Sperimentale Interforze del Salto di Quirra. Lo ha detto, qualche tempo fa, il sottosegretario alla Difesa, Emidio Casula, secondo cui «si tratta di un primo concreto esempio di impiego per scopi civili delle professionalità e delle attrezzature del Pisq che dimostra concretamente di essere una risorsa preziosa per i programmi di sviluppo aerospaziale nazionale».  A Quirra si sprofonda attraverso una strada che solca un inferno in terra. Un pugno di case e nessuna industria. Le persone giungono qui a raccogliere i funghi e a fare qualche bagno nel mare proibito. Ci sono agrumeti: arance e limoni che i sardi ti regalano con sguardo fiero. C’erano, una volta, le pecore al pascolo libero. Ora è difficile intravederle: i pastori versano lacrime di sangue, molti agnelli sono nati deformi. A un tiro di schioppo dal centro abitato si staglia una lunga cesoia di filo spinato e un check point: tredicimila ettari di poligono per eserciti che giocano alla guerra, incuranti delle ferite sanitarie inferte alle persone natie e dei danni ambientali al luogo. Piombano in mimetica, ma anche in giacca e cravatta. Dal microcosmo dei civili si avvertono solo esplosioni e si paga con il proprio sangue; nulla più in omaggio dallo Stato alla gente del luogo. «Quirra si è accorta di essere malata quando è venuta a sapere del primo militare sardo ucciso dall’uranio impoverito», racconta Mariella  Cao, antica combattente civile del “Comitato gettiamo le basi”. Corre il 1999 e l’Italia sta combattendo una guerra in ex Jugoslavia. Si inizia a balbettare di Sindrome dei Balcani. In Sardegna, invece,  va in scena la morte di Quirra. Sotto accusa i proiettili all’uranio impoverito, arma potente e a basso costo capace di trasformare le corazze in burro. «Se nei teatri di guerra usavano quel tipo di proiettili da qualche parte dovevano pur testarli» continua Cao.

Servitù infinita. «La Sardegna dal mare alla terraferma è occupata dalla più estesa servitù militare d’Europa» rivela l’ammiraglio Falco Accame, ex presidente della Commissione parlamentare Difesa. In quest’isola è concentrato l’80 per cento dei centri di sperimentazione bellica in Italia. Nell’isola il demanio militare permanentemente impegnato ammonta a 36 mila ettari; in tutta la penisola italiana raggiunge i 16.000 ettari. Questa cifra integra i 12 mila ettari gravati da servitù militare. Gli spazi aerei e marittimi sottoposti a schiavitù militare sono di fatto incommensurabili, solo uno degli immensi tratti di mare annessi al poligono Salto di Quirra con i suoi 2.840.000 ettari supera la superficie dell’intera isola (kmq 23.821). Tradotto: durante le esercitazioni viene interdetto alla navigazione, alla pesca e alla sosta marittima un braccio di mare immenso: quasi 30 mila chilometri quadrati attorno all’isola. Tutto segreto. Oltre agli accordi Nato, sono vigenti i patti bilaterali Italia-Usa per installare in Sardegna avamposti militari gestiti direttamente ed esclusivamente dai militari nordamericani: questi atti sono stati assunti dai governi italiani (responsabilità particolare di Giulio Andreotti) calpestando la Costituzione e senza informare il Parlamento.

«Sa die de sa vardiania»: il giorno della sorveglianza, recita un cartello in lingua sarda. A Quirra, minuscola frazione di Villaputzu in provincia di Cagliari, la popolazione seguita a morire. Decine di persone uccise dalla leucemia in un paese di 150 abitanti e 14 bambini nati con gravi malformazioni. Numeri da scenario di guerra in un belpaese in letargo. Abbonda l’uranio artificiale a Quirra: qui aleggiano -secondo gli accertamenti ufficiali- valori di radioattività cinque volte superiori alla norma. Lo hanno scoperto il 26 febbraio 2011 gli esperti inviati dalla Procura della Repubblica di Lanusei per un’ispezione nel poligono. «Lo hanno trovato all’interno di cinque cassette, sistemate in un deposito di materiali speciali, compreso il munizionamento rimasto inesploso dopo le esercitazioni e in attesa di una futura distruzione. Magazzino senza nessuna misura di protezione o di sicurezza, senza nessun cartello di pericolo, dove l’accesso era libero per chiunque lavori all’interno della base» mi spiega la Cao. Il deposito si trova a Capo San Lorenzo, ad un soffio dalla spiaggia e dalla zona dove, secondo i veterinari delle Asl di Lanusei e Cagliari, si sono ammalati di cancro nel sangue gran parte dei pastori. È una solida conferma nell’inchiesta del procuratore Domenico Fiordalisi. Il deposito di Quirra è stato sequestrato e sigillato, le cinque cassette metalliche altamente radioattive sono state consegnate al professor Paolo Randaccio, fisico nucleare dell’Università di Cagliari. Nel poligono di Salto di Quirra - secondo la Relazione conclusiva della Commissione tecnica - «le indagini hanno mostrato la sussistenza di reali impatti negativi sulle aree ad alta densità militare e zone adiacenti accanto ad ampie porzioni di territorio che non sembrerebbero interessate da significative contaminazioni».  Anche in altri poligoni, come sostiene il parlamentare Scanu in una  recente mozione, «si sono verificate situazioni inaccettabili di grave degrado ambientale, come ad esempio nel poligono Delta presso il poligono di Capo Teulada, interdetto anche al personale della base e giudicato non bonificabile dalle autorità militari».

L’ispezione è scaturita dalle denunce presentate alla Squadra mobile di Nuoro. Gli inquirenti hanno potuto appurare che in quei magazzini diversi soldati che lavoravano come magazzinieri si erano ammalati tutti della stessa patologia: linfoma di Hodgkin. Uno dei tumori più aggressivi. La Procura di Lanusei indaga per «omicidio plurimo, danni ambientali e omissione di controllo». Il poligono di tiro della Difesa viene utilizzato anche da altri eserciti e da multinazionali degli armamenti che testano armi di ogni tipo, coperti dal segreto di Stato, dagli omissis della Nato e delle industrie di morte. Gli inquirenti hanno scovato nell’ordine: un missile con 100 chili di esplosivo impigliato nelle reti di un peschereccio, una discarica sottomarina fatta di vecchie bombe e rottami di radar e un sito abusivo pieno di bersagli.
Numeri da incubo. Nel 2006 interviene la Regione Sardegna: si esamina un campione di 26.130 abitanti su un territorio di 10 comuni. Il periodo di riferimento va dal 1981 al 2001. Risultato? Si rileva una crescita di tumori del sistema linfoemopoietico. Significa mielosi e leucemie. Trentasei morti. Sopra la media, ma non abbastanza da non rappresentare una prova diretta e inequivocabile. In effetti, per verificare se in quel territorio ci sono troppi tumori basta fare una banale operazione aritmetica. Bisogna incrociare i dati dell’indagine della Regione con le cifre fornite dall’Asl 8 sui casi a Villaputzu tra il 1998 e il 2001 e su quelli a Muravera-San Vito nell’anno 2000. Risultato? Il 75 per cento dei morti - 27 su 36 - sono concentrati in un piccolo pezzo di terra tra Villaputzu, Muravera e San Vito. Un’area, nemmeno troppo popolata, che non ha nulla attorno, se non il poligono militare. E, per la cronaca, i 14 morti di Villaputzu sono quasi tutti nella frazione di Quirra, che conta 150 abitanti. Nel gennaio del 2011 arriva un’ulteriore conferma. Due veterinari dell’Asl di Cagliari e Lanusei, insospettiti dall’eccessivo numero di pecore malformate, iniziano a contare quanti uomini e quanti animali si ammalano. Risultato? Dieci pastori su 18 che lavorano entro un raggio di 2,7 chilometri dalla base hanno la leucemia.

Un lancio dell’agenzia Agi (2 aprile 2007) avvertiva: «Capo Frasca: Accame, “avieri sgombra-bossoli morti o ammalati”. Nel poligono militare di Capo Frasca, in Sardegna, giovani avieri erano impiegati nella raccolta a mani nude degli ordigni sganciati dagli aerei durante le esercitazioni militari. Lo denuncia il presidente dell’Anavafaf, l’Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei caduti, in riferimento ai casi di Ugo Pisani, Gianni Fredda e Maurizio Serra, che prestarono servizio come Vam, addetti alla vigilanza dell’aeroporto, nel poligono sardo». L’assassino è conosciuto con la sigla U 238: uranio impoverito che ha tolto la vita a Gianni Faedda e Maurizio Serra due Vam del poligono di Capo Frasca costretti a sgomberare a mani nude e senza nessuna protezione dalle polveri di uranio impoverito i proiettili sganciati dagli aerei nella base addestrativa. Nel 2006 il padre di uno dei due avieri morti, Antonio Serra, aveva incaricato l’avvocato di avviare la battaglia legale per il risarcimento dal ministero della Difesa ai sensi della legge 308/81, che prevede elargizioni speciali per infortunio o decesso in servizio. Ma undici mesi più tardi il Ministero ha negato l’indennizzo.
Bombe a Capo Teulada. Gli ordigni sono adagiati sul fondo del mare. Basta allungare lo sguardo, oltre il manto trasparente dell’acqua, per distinguere i letali cilindri metallici. “Bombe sono”, dice Antonio Loru, volto marchiato dal sole come quello degli altri pescatori di Teulada e Sant’Anna Arresi. I quali, appese reti e nasse al recinto del Poligono militare di Capo Teulada, sono scesi in sciopero. E’ dal dicembre 2003 che protestano pubblicamente, ma le istituzioni statali non ascoltano. Quando le condizioni meteomarine lo consentono, escono sui loro pescherecci a sfidare i giochi di guerra, rallentando una macchina bellica che non ammette soste forzate. Stazionano giornate intere nelle acque su cui il transito è permanentemente vietato. E rischiano anche di prendersi qualche cannonata, scendendo in mare a manovre iniziate. Infatti, proprio come i civili che nell’isola portoricana di Vieques, hanno costretto gli americani a abbandonare la base, i pescatori occupano le zone di tiro durante le esercitazioni. Qui hanno gettato le reti per decenni nei giorni in cui non si sparava. Adesso non possono più farlo. Da qualche tempo fioccano le multe: due tre, cinquemila euro. E i settanta pescatori invisibili all’opinione pubblica nazionale si sono ribellati. Chiedono a gran voce la bonifica di almeno qualche miglio lungo la costa. Hanno barche piccole, nasse e tramagli devono essere calati su fondali non tropo alti. Fondali che pullulano di bombe. Questa zona che va all’incirca da Porto Pino all’Isola Rossa, è permanentemente interdetta al transito dei mezzi e delle persone per la presenza di residuati esplosivi «di cui non è possibile o conveniente la bonifica», asserisce lo Stato maggiore dell’Esercito italiano. L’operazione di ripulitura comporterebbe dieci, quindici anni di lavoro e una spesa che, si ipotizza, potrebbe oscillare intorno a qualche centinaio di miliardi di vecchie lire. I pescatori chiedono di svolgere la loro attività nell’immensa zona a mare interdetta, l’unica accessibile alle loro piccole imbarcazioni, ed “esigono” che l’area, come impongono leggi e regolamenti delle Forze Armate italiane, sia bonificata, ripulita dall’accumulo di ordigni bellici esplosi e inesplosi. Per poter ripulire il tratto di mare sottoposto da 50 anni a schiavitù militare e mai bonificato, a detta di alcuni militari, bisognerebbe sospendere tutte le attività del poligono per circa 15 anni.

Un ammiraglio ha valutato “a occhio” i costi dell’operazione e ha affermato (rifiutando che fosse messo a verbale) che “per la Difesa sarebbe economicamente più conveniente regalare una villetta in Tunisia a tutti i teuladini accollandosi anche le spese di trasferimento”. Quante sono le bombe? Un numero indefinito, gli stessi militari non sanno dire. Sono un omaggio per quasi mezzo secolo di attività del Poligono militare di Capo Teulada. Alcune forse inattive, altre solo inesplose. Ma chi potrebbe distinguerle? “Io combatto da 65 anni. C’era la guerra quando sono nato e non è ancora finita”, commenta ancora Loru. “Da 33 anni mi sveglio alle 4 del mattino per pendere il mare, ma sono a casa mia”. Aveva 12 anni quando la sua e altre 250 famiglie furono costrette a svendere la casa per quattro lire per consentire la costruzione del Poligono.

E’ un conflitto lungo, estenuante, complicato, perché le forze militari internazionali pagano salato, per martoriare con ordigni d’ogni genere (compreso l’uranio impoverito, come documentano le relazioni di servizio della Nato) questi 7.200 ettari di terra - e uno specchio di mare largo all’incirca un quinto dell’isola - acquistati dalle famiglie che abitavano lì. Ma il peso contrattuale di questo nugolo di pescatori cresce: maggiore è l’esercitazione che disturbano, maggiore il danno. Nel frattempo, la popolazione del comune di Teulada, dimezzatasi dacché esiste il Poligono, registra ufficialmente il notevole incremento di svariate forme tumorali e già nel 2000, prima che fosse di dominio pubblico la questione dell’uranio impoverito, sui muri del paese si leggeva: «Benvenuti a Uraniopoli». Il colonnello Mongiorgi, comandante del Poligono, ha negato con fermezza che vengano utilizzate armi all’uranio e dice: “Controlliamo le munizioni di tutti quelli che vengono qui a sparare”. Anche quelle delle navi straniere? Risposta: “No comment”.

Le esercitazioni navali - come quelle della Seconda flotta Usa, che viene a sparare qui soprattutto da quando è stata cacciata dall’isola di Vieques, segnata dall’alto grado di tumori e malattie polmonari, cardiache, cardiovascolari, da diabete e alta mortalità infantile - si effettuano con cannonate che dal mare puntano verso terra e comportano l’interdizione di un tratto di acqua molto ampio. Un esempio illuminante quanto alla considerazione militare per l’incolumità della popolazione civile proviene addirittura dagli States. Dal 1977 ogni tre mesi la US Navy svolge esercitazioni a pochi chilometri dalla costa statunitense, sparando proiettili all’uranio impoverito che vengono così disseminati in mare, in aree che sono al tempo stesso dedite alla pesca. E’ il nome del cannone prodotto dalla Raytheon e installato su quasi tutte le navi da combattimento statunitensi; spara fino a 4500 proiettili da 20 millimetri al minuto, contenenti un penetratore di uranio impoverito da 15 millimetri. Noncurante dei gravi rischi ambientali, la US Navy ha da sempre optato per l’economico ma letale uranio impoverito, e, continua ad utilizzarlo nonostante tempo fa avesse annunciato l’intenzione di passare al tungsteno. Solo di recente Glen Milner del gruppo pacifista Ground Zero è venuto in possesso di un documento che dimostra come la marina militare continui ad utilizzare per queste esercitazioni proiettili all’uranio impoverito, e le svolga in aree vicino alla costa di Washington e Seattle. Ciò ha suscitato notevoli preoccupazioni tra i pescatori e nella popolazione locale, anche perchè sono note le conseguenze dell’uso di queste armi nell’ambiente durante le guerre in Iraq, Jugoslavia e Afghanistan. La US Navy non ha fornito informazioni ulteriori su come si svolgono queste esercitazioni, ma i cittadini delle zone coinvolte sono comunque determinati a fare chiarezza e in caso a denunciare la marina militare statunitense.

E’ comunque difficile per gli autoctoni, che di incidenti ne hanno visti e subiti parecchi, credere che sia tutto sotto controllo. Sanno bene, infatti, che le bombe inesplose nei fondali vengono trascinate dalle correnti anche miglia e miglia oltre le zone interdette. Spesso le cannonate sparate dal Poligono piovono sulla zona libera di Porto Pino, sorvolando le teste dei residenti e degli occasionali visitatori. E succede anche che i carristi finiscano sempre per errore con i loro cingolati in qualche centro abitato. Le maggiori preoccupazioni, tuttavia, riguardano i rischi per la salute. L’incidenza di leucemie, tumori e malformazioni alla nascita nelle zone intorno alle basi militari è una coincidenza che spalanca squarci inquietanti e imbarazzanti. Un sempre maggiore numero di cittadini sardi -sostenuti dal Comitato Gettiamo le Basi- chiede che i poligoni e la basi dell’isola siano sottoposti a indagine super partes, a controlli permanenti e scientificamente qualificati: da Teulada a Quirra, da Perdasdefogu a Decimomannu, fino a Capo Frasca e alla base Usa di sommergibili a propulsione ed armamento nucleare di Santo Stefano (arcipelago La Maddalena), sloggiata nel 2008.

Verità e giustizia? «Per gli uccisi da veleni di guerra e di poligono» esigono alcune associazioni locali: “Comitato Sardo gettiamo le basi”, Famiglie militari uccisi da tumore”, “Comitato Su Santidu”, “Comitato Amparu”. Si chiede di fermare la strage di Stati. «Dal 15 luglio 2011 il rappresentante del Governo ci offre molte parole di umana comprensione, il Governo permane in silenzio tombale» ripetono i responsabili delle associazioni in pacifica mobilitazione. La Procura della Repubblica di Lanusei con prove inoppugnabili ha risolto il mistero - che da 11 anni si vuole tale - del disastro ambientale e sanitario causato dal poligono Quirra-Perdasdefogu. Ha trovato alcune delle “armi del delitto”: lo smaltimento della spazzatura bellica Italia-Nato, sia in discariche fuorilegge, sia con i brillamenti fuorilegge, e conseguente contaminazione di aria, suolo, acque; le emissioni radar; il torio radioattivo sparso dai missili, accumulato e conservato nelle povere ossa degli uccisi. Ha messo sotto accusa: alcuni degli intoccabili in divisa, otto generali, un maggiore, due colonnelli, il tenente ex sindaco di Perdasdefogu; alcuni complici di alcuni dei depistaggi, i sei responsabili di due indagini “scientifiche” truffa approntate dal ministero della Difesa; due esponenti della vasta “zona grigia” dedita all’ostinata rimozione dell’evidenza. Il sindaco di Perdasdefogu e l’epidemiologo  medico competente del poligono sono indagati per ostacolo aggravato alla difesa da un disastro e favoreggiamento aggravato. Nulla toglie alla dimostrazione oggettiva del nesso causale tra le attività militari e la strage l’ipotesi, purtroppo realistica,  che “gli intoccabili” evitino l’accusa di omicidio plurimo volontario. I meandri e i mille rivoli della catena di comando, la distribuzione di responsabilità in un groviglio inestricabile di livelli (dal soldato che ha eseguito l’ordine al Capo Supremo delle Forze Armate Italiane, ai vertici Nato) garantiscono l’anonimato, rendono improbabile individuare gli assassini con nome e cognome. Il Governo italiano ha l’obbligo impellente di sospendere subito le attività dei poligoni che devastano la Sardegna, non solo in base al principio di precauzione, ma anche in osservanza degli atti parlamentari d’indirizzo per l’esecutivo, datati  23 febbraio 2011, che hanno impartito la direttiva di chiudere i poligoni “ove emergessero oggettive situazioni di rischio” o “qualora risultasse un collegamento con l’alta incidenza dei tumori registrata”. Le due mozioni complementari del centrodestra e del centrosinistra, approvate dal Senato all’unanimità, sono un punto fermo. L’indagine della Procura, con la forza dell’evidenza sostenuta da prove inconfutabili, ha fatto cadere “ogni ragionevole dubbio” sul nesso causa-effetto. Non esistono più scappatoie. Ricordiamo le parole pronunciate in aula nel 2011 dal firmatario della mozione della maggioranza Pdl a sostegno della chiusura dei poligoni in Sardegna: «C’è un dato ormai acclarato. In quei territori abbiamo un’incidenza particolarmente alta di tumori (…) vi sono anomalie nella nascita degli animali allevati. Insomma il nesso esiste ed ormai non possiamo procrastinare una decisione». Si esige dalla Regione Sardegna «l’apertura di una vertenza forte con lo Stato e faccia valere in tutte le sedi e con tutti gli strumenti di sua competenza: la cessazione dei “giochi di morte” del ministero della Difesa e delle Forze Armate; il diritto alla salute e all’ambiente salubre; il diritto all’equa distribuzione dei gravami militari; l’obbligo di chi ha inquinato a disinquinare e farsi pieno carico dei danni». Dal Governo Gentiloni, invece, si pretende «la sospensione delle attività dei poligoni dove si sono registrate le patologie di guerra; l’evacuazione dei militari esposti alla contaminazione dei poligoni di Teulada, Decimomannu-Capo Frasca, Quirra; il ripristino ambientale, bonifica seria e credibile delle aree contaminate a terra e a mare; il Risarcimento ai malati e alle famiglie degli uccisi, ed il risarcimento al popolo sardo del danno inferto all’isola».

riferimenti:

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=SARDEGNA 

fonte: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/

Nessun commento:

Posta un commento