sabato 29 agosto 2020

referendum: il piano di Grillo e Casaleggio per rendere la democrazia un sistema chiuso

In un articolo apparso recentemente su La Fionda, Tommaso Fefè finisce con una eloquente domanda: “A che serve la riforma costituzionale che prevede il taglio dei parlamentari?”.

Effettivamente, se presa così, se letta e riletta, sembra una riforma veramente inutile. Non serve a risanare il debito pubblico, il risparmio che ne verrebbe fuori sarebbe veramente nulla per il bilancio di uno Stato e soprattutto quei soldi non sarebbero, con ogni probabilità, riallocati altrove, poiché rientrano nel bilancio che riguarda il funzionamento dello Stato e delle Istituzioni (dispiace per chi pensa ingenuamente che verranno utilizzati per le pensioni o per il lavoro, ad ogni modo si tratterebbe comunque di spiccioli).

La funzione della riforma potrebbe allora essere quella di saziare il popolo dandogli in pasto finalmente un nemico, qualcuno su cui sfogare rabbia e frustrazione dettata da decenni di politiche elitarie mirate a far diventare i ricchi sempre più ricchi, la classe media ed i poveri sempre più poveri.
Potrebbe essere, ma la realtà è un’altra, più complessa. Sicuramente il sentimento che una volta era etichettato come “anti-casta” esiste ed è più che mai tangibile, ma più che saziarlo per tenere buono il popolo, quello che stanno facendo i piani alti dei pentastellati è sfruttare questo sentimento per un fine ben diverso.
Con le ultime votazioni su Rousseau e l’apertura all’apparentamento con il Partito Democratico, per il Movimento 5 Stelle si sono scoperti definitivamente gli altarini. Certo, gli osservatori più attenti se ne erano accorti da un pezzo essendo un partito che nasce e viene manovrato costantemente da un’azienda privata, ma ora è così palese che si può dire con certezza senza paura di smentite: quello che sembrava il partito anti-sistema per eccellenza è sempre stato un partito di sistema.

L’idea di Casaleggio e Grillo è sempre stata la stessa fin dall’inizio e sono riusciti a portarla avanti con grande astuzia cavalcando il malcontento delle persone comuni nei confronti di una classe dirigente effettivamente anti-popolare. La linea politica del Movimento 5 Stelle è sempre stata chiara, fin dal principio: “bisogna buttare fuori i ladri dal Parlamento”.

Quindi è iniziato l’arrembaggio ai furbetti, a quelli che si intascano i soldi pubblici, agli assenteisti, ai troppi fannulloni del Parlamento, e via dicendo. Tutte battaglie, anche condivisibili, che hanno trovato grandissimo supporto nella popolazione ormai abituata a vedere il Parlamento come un luogo pieno di privilegiati.
Insomma, le idee “anti-casta” hanno trovato terreno fertilissimo, complice anche l’incapacità di chi sedeva a Palazzo Montecitorio e a Palazzo Madama di riavvicinarsi al popolo, andando così a formare un perfetto dualismo, una dicotomia tipica del populismo, di cui il Movimento 5 Stelle è stato grande artefice e maestro nell’epoca contemporanea.

Con il sostegno e la rabbia del popolo si possono fare tante cose, questo è ciò che devono aver pensato Grillo e Casaleggio quando hanno fondato il Movimento. Anche diventare ciò che il popolo odia senza che questo se ne accorga.
Il piano era dunque quello di entrare in parlamento e invece che “aprirlo come una scatoletta di tonno” chiuderlo, sigillarlo, fare in modo di essere gli ultimi a poterci accedere e così cancellare le speranze di futuri movimenti e partiti, magari realmente anti-sistema, che tenteranno eventualmente di partecipare alle prossime tornate elettorali.

Il primo colpo alla democrazia come “sistema aperto” è stata la cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti.
Questa riforma, che ha trovato ancora una volta il parere favorevole delle masse, ha reso praticamente impossibile fare politica a chi non è già ricco di suo. Sì, perché purtroppo, per fare politica ci vogliono soldi, e tanti. Le spese sono diverse, le campagne elettorali costano, quindi il finanziamento pubblico ai partiti era una boccata d’ossigeno per la democrazia, permetteva a chiunque di poter creare un partito e ricevere somme per competere alle elezioni, anche ai poveri. Incredibile, vero?

Ora invece l’unico modo che si ha per fare politica senza essere già ricchi in partenza è quello di trovare un ottimo sponsor, solo che poi non è che si fanno gli interessi del popolo, si fanno ovviamente quelli dello sponsor, multinazionale o lobby che sia. E questo non è nulla di nuovo, ne parla molto bene e dettagliatamente Colin Crouch nella sua opera “Postdemocrazia”.
Il secondo colpo alla democrazia come “sistema aperto” invece è proprio questa riforma costituzionale. Se si mettono insieme i pezzi, se si vede il quadro nel suo insieme, è molto più semplice allora capire il perché di una riforma che sembra proprio inutile.

La riduzione del numero dei parlamentari renderà ancora più difficile l’ingresso di nuovi soggetti all’interno di quello che sarà il circolo chiuso del Parlamento in caso di (probabile) vittoria del Sì al referendum.
Certo, i meccanismi elettorali che regolano l’assegnazione dei seggi cambiano in base alla legge elettorale in vigore, in base alle soglie di sbarramento e ai quozienti, ma non serve un matematico per capire che minore è il numero dei parlamentari, minore è la possibilità che i piccoli partiti e i nuovi partiti possano riuscire ad entrare, soprattutto considerando il voto per collegi (come fa notare Pietro Adami in questo articolo per La Fionda).

Insomma, per la democrazia diversi sono gli effetti nefasti di questa riforma, dall’eliminare la rappresentanza per certi territori (perché è vero che il parlamentare è un rappresentante nazionale, ma è prassi consolidata che i parlamentari portino nell’istituzione anche istanze provenienti dai propri territori), al rendere il Parlamento un luogo più facilmente corruttibile e manovrabile da lobby e multinazionali (corrompere o fare pressione su 600 parlamentari è un conto, fare pressione o corromperne 945 un altro), al frenare il ricambio della classe dirigente (sicuramente se ci sono meno parlamentari quelli a rientrare nel circolo chiuso non sono i giovani dalle buone intenzioni, ma sono sempre i soliti noti privilegiati), al rendere la democrazia un sistema chiuso difendendo così l’assetto politico vigente.

Casaleggio e Grillo sin dall’inizio avevano un piano, dunque, e sono riusciti a portarlo avanti facendosi seguire da un popolo frustrato e giustamente arrabbiato, cavalcandone i sentimenti, e infine tradendolo. Non è un caso se proprio ora il vero volto del Movimento 5 Stelle è venuto allo scoperto stravolgendo pubblicamente quelli che erano i suoi principi originali, ormai il gioco è fatto e il referendum sembra praticamente vinto.

Non è un caso nemmeno che tutti gli altri partiti, proprio quelli che venivano considerati “casta”, abbiano iniziato a cavalcare la stessa battaglia che sarebbe dovuta essere proprio “anti-loro” votando sì in Parlamento al taglio della rappresentanza.

Tuttavia dispiace per i tanti che in buona fede ci avevano creduto, dispiace anche per quelle persone per bene e valide che sono state elette in consigli comunali, regionali e anche nello stesso Parlamento credendo in quegli ormai antichi principi, ma la battaglia interna è persa, lo era dall’inizio e forse sarebbe il momento di rendersene conto.

Per quanto riguarda il popolo, esso, come tutti, a volte può sbagliare e può votare qualcosa che è contro il suo stesso interesse, come il taglio dei suoi rappresentanti, ma in questo il popolo non ha mai colpa, chiaramente. È normale quando manca una guida politica, quando la rabbia viene catalizzata da chi la stessa rabbia vuole utilizzarla per i propri fini.
Sarebbe bello, bellissimo, invece, se il 20 settembre vincesse il No, poiché si sancirebbe probabilmente l’inizio di una nuova stagione politica e la definitiva disfatta di chi vuole fare della democrazia un giocattolo tutto suo.

Il piano di Grillo e Casaleggio per rendere la democrazia un sistema chiusodi Paolo Cornetti, lafionda.org, 21 Agosto, 2020

fonte: VOCI DALLA STRADA