martedì 31 marzo 2015

sbrighiamoci a morire, l'immortalità è solo per loro

Confondere il corpo umano con la merce, oltre che un orrore, può rivelarsi una dolorosa illusione. Eppure non può passare inosservata la notizia diffusa da alcuni media statunitensi come “Newsweek” o “Bloomberg”, secondo cui i miliardari stanno mettendo fretta e milioni di dollari alla ricerca della vita semi-eterna. Per loro, ovviamente. Bill Maris, manager di Google Ventures, ha ricevuto l’incarico di investire ben 425 milioni di dollari per finanziare studi contro l’invecchiamento, mentre Larry Ellison, big boss di Oracle, considera “incomprensibile” la nozione della propria fine. Peter Thiel, patron del sistema di pagamenti PayPal, ha stanziato 3,5 milioni di dollari ad una fondazione privata per un progetto di riparazione e rigenerazione delle cellule. Dalle nostre parti il pensiero corre alle note incursioni di Berlusconi sul terreno dell’intervento sulle cellule per rallentarne l’invecchiamento. Gli scopi e i contorni di questa vicenda, come noto, corrono al confine tra la politica e il pecoreccio.
Eppure questa illusione di poter vivere più a lungo, ma soprattutto molto più di tanti altri, ci dà la cifra di cosa significhi la prevalenza degli interessi privati su quelli collettivi, o meglio dell’appropriazione privata della produzione sociale, direbbe ilBodygrande barbone di Treviri. Nell’epoca in cui nella produzione sociale sono entrati a pieno titolo il “vivente” e la natura, per i grandi capitalisti anche il corpo umano non può che essere merce. Incluso il loro, ma a condizione che sia meno deteriorabile di quello di tutti gli altri. Vivere più a lungo, sogno ma anche incubo di ogni essere umano, come ci ricorda Simon De Beauvoir nel suo splendido “Tutti gli uomini sono mortali”, diventa così paradigmatico di un XXI Secolo in cui la disuguaglianza è tornata ad essere un valore e l’uguaglianza un disvalore.
Sul nostro giornale abbiamo spesso evocato il “Dovete morire prima” come aspirazione neanche più troppo nascosta delle classi dominanti nel loro rapporto con le classi subalterne. Meccanismi concreti come l’innalzamento dell’età pensionabile, peggioramento delle condizioni di lavoro e abbassamento degli standard sanitari, indubbiamente puntano a ridurre quelle aspettative di vita cresciute nell’ultimo secolo ma oggi ritenute un “costo inaccettabile” (vedi i recenti documenti del Fmi). Su scala mondiale, dove nonostante le disuguaglianze l’aspettativa di vita era riuscita a crescere anche nei paesi meno sviluppati, non mancano i tentativi di intervento per ridurre la popolazione ritenuta in eccesso. Il caso storico è quello della Russia dove Larry Ellison, di Oraclel’instaurazione del capitalismo, dopo la dissoluzione dell’Urss, ha portato ad una brusca riduzione della popolazione, un caso unico in un paese non investito da una guerra.
Il problema è serio, estremamente serio, come hanno dimostrato alcuni interventi al recente forum di Bologna dedicato al “piano inclinato” su cui gli imperialismi hanno collocato il mondo in cui viviamo. Fabbriche completamente automatizzate, in cui la presenza del lavoro umano è ridotta a poche unità, rendono infatti eccedente molta forza lavoro, quel capitale umano – decisivo comunque per l’estrazione del plusvalore – che il capitalismo vorrebbe rendere variabile irrilevante e totalmente subalterna. Ma una umanità piena di capitale umano in eccesso sarebbe piena di uomini e donne ingombranti, non più funzionali al sistema produttivo e all’estrazione di valore, gente che oggi vive più a lungo di quanto sia utile al sistema dominante e che, ovviamente , avanza richieste ed esigenze per mantenersi in vita nel modo migliore possibile in società che hanno prodotto sistemi di cura e prevenzione adeguati allo scopo.
Dunque per prima cosa le classi dominanti stanno dichiarando che non esiste più un diritto universale ed egualitario alla salute. La privatizzazione de facto dei sistemi sanitari (anche in Italia ed anche nelle ex regioni “rosse”, come sottolinea Ivan Cavicchi su “Il Manifesto”) attua questo primo step verso una società brutalmente gerarchizzata. Si cura chi può e chi può di più si cura meglio.Talmente meglio che, potendoselo permettere, può alimentare l’illusione di poter vivere più a lungo degli altri. Anzi, per molti aspetti a scapito degli altri, visto che la concentrazione della ricchezza in poche mani non può che avvenire in sottrazione della ricchezza collettiva. Fino a qualche decennio fa “il sistema” aveva fatto sì che lo sviluppo allargasse e distribuisse in qualche modo la ricchezza prodotta, anche sotto forma di servizi sociali universali. Ma oggi che allo sviluppo si Bill Maris, di Google Venturesè sostituito solo il “demone della crescita”, questo allargamento si è sempre più ridotto, così come le risorse disponibili dentro un globo che, per sua definizione è uno spazio limitato.
Da questa consapevolezza del limite e dei limiti, le classi dominanti si guardano bene dal ricavarne una logica redistributiva delle risorse e della ricchezza disponibile, al contrario accentuano la centralizzazione, a tutti i livelli. E se tra queste risorse c’è anche il vivente e il capitale umano, viene applicata la medesima logica. “Mors vostra, vita nostra”, ci dicono. Fino ad alimentare l’idea che per alcuni si possa allungare la vita media oltre il limite fisiologico finora consentito. Ma, detto fra noi, dieci, quindici anni più si potranno anche rimediare, ma non evitano l’alzheimer. Ci troviamo così di fronte ad un cambio di passo anche sul terreno del conflitto sociale e di classe. Se negli anni del “modello sociale europeo” le classi subalterne entravano in campo rivendicando ed anche ottenendo quote di redistribuzione della ricchezza, oggi che questa possibilità viene negata sul lavoro come sulla salute da misure concrete. Come ci si approccia ad una lotta di classe che per molti aspetti somiglia a quella per la sopravvivenza? Qualcuno diceva che la “rivoluzione non è un pranzo di gala”. Sarà dunque il caso di cominciare a pensare, collettivamente e non invidualmente, al come sedersi a tavola senza complessi di inferiorità e liberi dalla sensazione di dover essere ancora la cena per il Mondo di sopra. Insomma: “Mors vostra, vita nostra?”.
(Sergio Cararo, “La vita e la morte al supermercato”, da “Contropiano” dell’11 marzo 2015).

fonte: www.libreidee.org

Anne Parillaud




sabato 28 marzo 2015

capolavoro


ho letto sulla copertina: un capolavoro.
eh caspita com'è che non ho letto un capolavoro!
no, dico, capolavoro. una faccenda seria.
anzi, preciso: un libro immenso, un capolavoro.
dai Rossa non fare la snob, se ti dicono "capolavoro", "immenso", pure su audiolibro, letto da Caudio Santamaria, e leggilo allora.
la parole hanno un peso, di solito, l'avranno anche queste.
sempre lì a cercare i libri d'autore, a cavillare sui best seller, sulla mercificazione, sul plus godere, sulla società senza padre, sui gusti comuni, sulle fascinazioni di massa...e leggilo!
non rompere leggilo.
bene.
l'ho letto, ascoltato dai, dalla voce di Claudio.
a volte, come mi capita, ho riascoltato, risentito interi capitoli.
perchè, se si tratta di un capolavoro, non devo perdermi nulla e capire bene.
non è che poi critico e non so di cosa parlo.
ho aspettato qualche capitolo, lo giuro, prima di farmi delle domande.
per qualche capitolo ho sinceramente e rispettosamente aspettato.
ma
ahimè
con il passare del tempo, delle pagine, della storia, dei personaggi, delle parole, dell'italiano, o meglio della traduzione in italiano (unico dubbio che concedo), il capolavoro si è disfatto.
tristemente davanti ai miei occhi e dentro le mie orecchie.
l'italiano, o sua traduzione, i dialoghi, il contenuto, sono poveri. alla fame, alla deriva, senza dimora.
da carità all'angolo delle strade.
potrei riportare alcuni passaggi e verificare la miseria del linguaggio.
corrente, certo, ma da un capolavoro mi aspetto un linguaggio corrente da capolavoro.
meglio di no.
alcuni personaggi sono macchiette. la lingua che parlano li ridicolizza. i successi che ottengono sono smisurati. gli sviluppi narrativi sono incongrui.
la storia, con i soliti passaggi del vangelo a fare da sfondo ai delitti sado maso, è già letta, già vista, già tutto.
la costruzione narrativa perde dei pezzi o ne acquisisce di immotivati
(ma l'avvocato che fa da tutore viene annientato così senza problemi? che donna la nostra Lisbeth, guai a farle un torto, minuta ma inesorabile, una forza spropositata da un'anamnesi di sfacelo socio culturale pregressa)
(ma l'amante che si dilegua, perché? Com'é? boh, non era amore quello di Cecilia? così si leggeva)
(e 'sta figlia, compare giusto a metà libro a rivelare le verità sul vangelo, la vede una volta in un anno?)
(ma tutti quei furti mediatici? va bene così? ma lui non è un giornalista integerrimo? sgretolato di fronte all'ipotesi di rivalsa e di successo. un'etica facilmente raggirabile)
il finale è prevedibile, che fosse viva e mandasse i fiori a ogni compleanno era chiaro dalle prime rivelazioni sulla trama.
un capolavoro tua sorella.
ci sono cascata.
Uomini che odiano le donne: una boiata d'intrattenimento.
non per me.
fonte: nuovateoria.blogspot.it

la felicità della cicogna


Brighton gig. Thank you. 
So thrilled to share the news with you. 
Ellie is pregnant with our daughter and she arrives in 3 weeks. 
EXCITED!!!
H Xxx




FIND MY WAY

martedì 24 marzo 2015

bella addormentata



è un film del 2012 diretto da Marco Bellocchio.

Il film è interpretato da Toni Servillo, Alba Rohrwacher, Pier Giorgio Bellocchio, Michele Riondino, Maya Sansa, Isabelle Huppert, e Gianmarco Tognazzi. È stato presentato in concorso alla 69ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e successivamente al Toronto International Film Festival.

Trama

Il film si svolge durante gli ultimi sei giorni di vita di Eluana Englaro e racconta le storie di alcuni personaggi direttamente o indirettamente coinvolti nella faccenda e nel tema dell'eutanasia.

Mentre la vicenda Englaro rimane sullo sfondo della narrazione, costantemente richiamata da spezzoni di notiziari televisivi e immagini di contestazioni di piazza, si intrecciano le quattro storie al centro del film. Le storie di Rossa (Maya Sansa), una eroinomane che ha scelto di morire, e di Pallido (Piergiorgio Bellocchio), il medico che vuole salvarla.

La storia di una famiglia di attori sconvolta dal coma della figlia, in cui la madre (Isabelle Huppert), una ex attrice di grande talento, si è ritirata per assistere la figlia in coma e per seguire una vita di preghiera e devozione, nella speranza del risveglio della figlia, ma sacrificando a questo, oltre a se stessa, anche il marito (Gian Marco Tognazzi) e il figlio.

La storia di Uliano Beffardi (Toni Servillo), un senatore del Popolo della libertà che proprio durante gli ultimi giorni di vita di Eluana vorrebbe agire secondo coscienza e non secondo la disciplina di partito, votando contro la legge proposta dal Governo Berlusconi e dalla maggioranza di cui egli stesso fa parte che impone che l’alimentazione e l’idratazione non possano in alcun caso essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi. Uliano Beffardi subisce fortissime pressioni dai suoi colleghi di partito, per votare conformemente alla maggioranza, in un momento di grande difficoltà politica del Governo. Nello stesso tempo, vive un rapporto in crisi con la figlia Maria (Alba Rohrwacher), incrinatosi dopo la morte della madre ad esito di una grave malattia, divenuta una attivista del Movimento per la vita.

La storia di Roberto (Michele Riondino), che accompagna il proprio fratello minore (Fabrizio Falco), uno psicotico bipolare con reazioni violente, a manifestare a Udine a favore dell'interruzione del trattamento di idratazione ed alimentazione forzata a Eluana Englaro e che vivrà una storia d'amore con Maria, conosciuta mentre si trova anche lei a Udine a manifestare sul versante opposto assieme alle associazioni cattoliche che protestano contro l'interruzione del trattamento.

Accoglienza

Data la delicatezza dell'argomento trattato, il film ha suscitato durante la lavorazione diverse polemiche, arrivando addirittura al blocco dei finanziamenti da parte dall’Assessorato regionale alla Cultura del Friuli-Venezia Giulia. Successivamente il film è stato riammesso ai fondi, ma nel luglio 2012 la Film Commission del Friuli Venezia Giulia è stata chiusa e la gestione del Film Fund (il fondo finanziatore di diverse produzioni cinematografiche) spostata all’Ente Turismo FVG, cioè direttamente in capo alla Regione.

Promozione

In concomitanza con l'annuncio della presenza al Festival di Venezia, sono state diffuse online le prime foto ed uno spot tv. Il primo trailer del film è stato invece distribuito il 24 agosto 2012.

Produzione

La casa di produzione è la Cattleya; produttore esecutivo è Matteo De Laurentiis. Il film è girato e ambientato a Udine.

Distribuzione

Il film è uscito nelle sale il 6 settembre 2012, distribuito da 01 Distribution di Rai Cinema.

fonte: Wikipedia

TRAILER UFFICIALE

a scuola di che?







































http://scuolalibertaria.blogspot.com/2015/03/ho-sei-anni-e-mi-dicono-che-non-capisco.html

http://altrarealta.blogspot.it/

sabato 21 marzo 2015

guerra e bugie: rapinare la Jugoslavia, tutto cominciò lì

Guai se la denuncia del nazifascismo, risuonata nel 70° anniversario della liberazione di Auschwitz, serve a depistare l’opinione pubblica dall’altro fascismo, il “nostro”, fondato sulla menzogna che giustifica le peggiori, sistematiche aggressioni. Per esempio la Libia di Gheddafi, travolta dopo la decisione di costituire una banca africana e una moneta alternativa al dollaro. E la Jugoslavia, rasa al suolo dopo la decisione della Germania di riconoscere i separatisti: inaccettabile, per la nascente Eurozona, la sopravvivenza di un grande Stato multientico con l’economia interamente in mani pubbliche. E avanti così, dalla Siria all’Ucraina, fino alle contorsioni terrificanti del cosiddetto Isis, fondato sulle unità di guerriglia addestrate dall’Occidente in Libia contro Gheddafi, poi smistate in Siria contro Assad e quindi dirottate in Iraq. Possiamo chiamarlo come vogliamo, dice John Pilger, ma è sempre fascismo. E’ il “nostro” fascismo quotidiano. «Iniziare una guerra di aggressione», dissero nel 1946 i giudici del tribunale di Norimberga, «non è soltanto un crimine internazionale, ma è il crimine internazionale supremo». Se i nazisti non avessero invaso l’Europa, Auschwitz e l’Olocausto non sarebbero accaduti.
«Se gli Stati Uniti e i loro vassalli non avessero iniziato la loro guerra di aggressione in Iraq nel 2003, quasi un milione di persone oggi sarebbero vive, e lo Stato islamico, o Isis, non ci avrebbe in balìa delle sue atrocità», scrive Pilger in unaGheddafi freddato dai ribelliriflessione ripresa da “Come Don Chisciotte”. I nuovi “mostri” sono «la progenie del fascismo moderno, svezzato dalle bombe, dai bagni di sangue e dalle menzogne, che sono il teatro surreale conosciuto col nome di “informazione”». Infatti, «come durante il fascismo degli anni ‘30 e ‘40, le grandi menzogne vengono trasmesse con la precisione di un metronomo grazie agli onnipresenti, ripetitivi media e la loro velenosa censura per omissione». In Libia, nel 2011 la Nato ha effettuato 9.700 attacchi, più di un terzo dei quali mirato ad obiettivi civili, con strage di bambini. Bombe all’uranio impoverito, Misurata e Sirte bombardate a tappeto. L’omicidio di Gheddafi «è stato giustificato con la solita grande menzogna: stava progettando il “genocidio” del suo popolo». Se gli Usa avessero esitato, disse Obama, la città di Bengasi «avrebbe potuto subire un massacro che avrebbe macchiato la coscienza del mondo». Peccato che Bengasi non sia mai stata minacciata da nessuno: «Era un’invenzione delle milizie islamiche che stavano per essere sconfitte dalle forze governative libiche».
Le milizie, scrive Pilger, dissero alla “Reuters” che ci sarebbe stato «un vero e proprio bagno di sangue, un massacro come quello accaduto in Ruanda». La menzogna, segnalata il 14 marzo 2011, ha fornito la prima scintilla all’inferno della Nato, definito da David Cameron come «intervento umanitario». Molti dei “ribelli”, segretamente armati e addestrati dalle Sas britanniche, sarebbero poi diventati Isis, decapitatori di “infedeli”. «Per Obama, Cameron e Hollande – scrive Pilger – il vero crimine di Gheddafi era l’indipendenza economica della Libia e la sua dichiarata intenzione di smettere di vendere in dollari Usa le più grandi riserve di petrolio dell’Africa», minacciando così il petrodollaro, che è «un pilastro del potere imperiale americano». Gheddafi aveva tentato con audacia di introdurre una moneta comune in Africa, basata sull’oro, e voleva creare una banca tutta africana per promuovere l’unione economica tra i paesi poveri ma dotati di risorse pregiate. «Era l’idea stessa ad essere intollerabile per gli Stati Uniti, che si preparavano ad “entrare” in Africa corrompendo i governi africani con offerte di Clinton e Blaircollaborazione militare». Così, “liberata” la Libia, Obama «ha confiscato 30 miliardi di dollari dalla banca centrale libica, che Gheddafi aveva stanziato per la creazione di una banca centrale africana e per il dinaro africano, valuta basata sull’oro».
La “guerra umanitaria” contro la Libia aveva un modello vicino ai cuori liberali occidentali, soprattutto nei media, continua Pilger, ricordando che, nel 1999, Bill Clinton e Tony Blair inviarono la Nato a bombardare la Serbia, «perché, mentirono, i serbi stavano commettendo un “genocidio” contro l’etnia albanese della provincia secessionista del Kosovo». L’ambasciatore americano David Scheffer affermò che «circa 225.000 uomini di etnia albanese di età compresa tra i 14 e i 59 anni potrebbero già essere stati uccisi». Sia Clinton che Blair evocarono l’Olocausto e «lo spirito della Seconda Guerra Mondiale». L’eroico alleato dell’Occidente era l’Uck, Esercito di Liberazione del Kosovo, «dei cui crimini non si parlava». Finiti i bombardamenti della Nato, con gran parte delle infrastrutture della Serbia in rovina – insieme a scuole, ospedali, monasteri e la televisione nazionale – le squadre internazionali di polizia scientifica scesero sul Kosovo per riesumare le prove del cosiddetto “olocausto”. L’Fbi non riuscì a trovare una singola fossa comune e tornò a casa. Il team spagnolo fece lo stesso, e chi li guidava dichiarò con rabbia che ci fu «una piroetta semantica delle macchine di propaganda di guerra». Un anno dopo, un tribunale delle Nazioni Unite sulla Jugoslavia svelò il conteggio finale dei morti: 2.788, cioè i combattenti su entrambi i lati, nonché i serbi e i rom uccisi dallUck. «Non c’era stato alcun genocidio. L’“olocausto” era una menzogna».
L’attacco Nato era stato fraudolento, insiste Pilger, spiegando che «dietro la menzogna, c’era una seria motivazione: la Jugoslavia era un’indipendente federazione multietnica, unica nel suo genere, che fungeva da ponte politico ed economico durante la guerra fredda». Attenzione: «La maggior parte dei suoi servizi e della sua grande produzione era di proprietà pubblica. Questo non era accettabile in una Comunità Europea in piena espansione, in particolare per la nuova Germania unita, che aveva iniziato a spingersi ad est per accaparrarsi il suo “mercato naturale” nelle province jugoslave di Croazia e Slovenia». Sicché, «prima che  gli europei si riunissero a Maastricht nel 1991 a presentare i loro piani per la disastrosa Eurozona, un accordo segreto era stato approvato: la Germania avrebbe riconosciuto la Croazia». Quindi, «il destino della Jugoslavia era segnato». La solita macchina stritolatrice: «A Washington, gli Stati Uniti si assicurarono che alla sofferente Pilgereconomia jugoslava fossero negati prestiti dalla Banca Mondiale, mentre la Nato, allora una quasi defunta reliquia della guerra fredda, fu reinventata come tutore dell’ordine imperiale».
Nel 1999, durante una conferenza sulla “pace” in Kosovo a Rambouillet, in Francia, i serbi furono sottoposti alle tattiche ipocrite dei sopracitati tutori. «L’accordo di Rambouillet comprendeva un allegato B segreto, che la delegazione statunitense inserì all’ultimo momento». La clausola esigeva che tutta la Jugoslavia – un paese con ricordi amari dell’occupazione nazista – fosse messa sotto occupazione militare, e che fosse attuata una “economia di libero mercato” con la privatizzazione di tutti i beni appartenenti al governo. «Nessuno Stato sovrano avrebbe potuto firmare una cosa del genere», osserva Pilger. «La punizione fu rapida; le bombe della Nato caddero su di un paese indifeso. La pietra miliare delle catastrofi era stata posata. Seguirono le catastrofi dell’Afghanistan, poi dell’Iraq, della Libia, della Siria, e adesso dell’Ucraina. Dal 1945, più di un terzo dei membri delle Nazioni Unite – 69 paesi – hanno subito alcune o tutte le seguenti situazioni per mano del moderno fascismo americano. Sono stati invasi, i loro governi rovesciati, i loro movimenti popolari soppressi, i risultati delle elezioni sovvertiti, la loro gente bombardata e le loro economie spogliate di ogni protezione, le loro società sottoposte a un assedio paralizzante noto come “sanzioni”. Lo storico britannico Mark Curtis stima il numero di morti in milioni. «Come giustificazione, in ogni singolo caso una grande menzogna è stata raccontata».

fonte: www.libreidee.org

tutto si evolve (o quasi)



I DON'T REMEMBER

Zibaldone



lo Zibaldone, o col titolo completo Zibaldone di pensieri, è un diario personale che raccoglie una grande quantità di appunti scritti tra luglio/agosto 1817 e dicembre 1832 da Giacomo Leopardi, per un totale di 4526 pagine.

Storia

Il titolo deriva dalla caratteristica della composizione letteraria, in quanto mistura di pensieri, come per l'omonima vivanda emiliana che è costituita da un amalgama vario di molti ingredienti diversi; il termine può essere utilizzato per descrivere un mucchio confuso di persone. Il vocabolo era conosciuto anche prima in un'accezione non dissimile, ovvero di raccolta disordinata di pensieri, testi e concetti. Tuttavia dopo la composizione di Leopardi il termine è usato universalmente per indicare annotazioni su quaderni o diari, di pensieri sparsi. "Zibaldone" può essere usato anche in modo dispregiativo per discorsi o scritti senza filo logico, disordinati, fatti di idee eterogenee.

Dopo la morte del poeta (nel 1837) il fascio di carte era rimasto presso l'amico Antonio Ranieri il quale lo tenne per oltre cinquant'anni con altri manoscritti, lasciandolo in un baule a sua volta finito in eredità a due donne di servizio. Dopo la morte di Ranieri e un processo per stabilirne la proprietà, gli studiosi poterono finalmente avere accesso all'autografo che è oggi conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli.

Edizioni

L'opera è stata pubblicata per la prima volta in sette volumi, durante il triennio 1898-1900 da una commissione di studiosi presieduta da Giosuè Carducci con il titolo Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura dall'editore Le Monnier.

Le edizioni successive di una certa importanza filologica sono quelle di Francesco Flora (2 volumi del 1937-38, ma in edizioni successive ne fece anche una scelta ridotta), poi la stessa rivista da Walter Binni ed Enrico Ghidetti (nel 1969) e finalmente l'edizione critica a cura di Giuseppe Pacella (in 3 volumi, presso Garzanti, 1991) sulla base della quale è impostata quella di Lucio Felici (1997, con premessa di Emanuele Trevi), quella, rivista, di Rolando Damiani (per "I Meridiani" Arnoldo Mondadori Editore, 1997 e 19992) e quella tematica stabilita sugli indici leopardiani (uscita, a cura di Fabiana Cacciapuoti, dal 1997 al 2003).

Un'edizione fotografica del manoscritto curata da Emilio Peruzzi è stata pubblicata in 10 volumi tra il 1989 ed il 1994. Un'altra edizione dell'autografo, a cura di Fiorenza Ceraglioli e Monica Ballerini, è stata pubblicata in CD-ROM nel 2009.

Antologie di passi scelti sono state pubblicate a cura di Giuseppe De Robertis (1922), Valentino Piccoli (1926), Giuseppe Morpurgo (1934 e 1946), Guido Marpillero (1934), Flavio Colutta (1937), Giuseppe Petronio (1938), Francesco Biondolillo (1945), Anna Maria Moroni (1972, con una fondamentale introduzione di Sergio Solmi, a sua volta curatore di una scelta nel 1977), Carlo Prono (1976), Mario Andrea Rigoni (1997) e Vincenzo Gueglio (1998). Anche Vincenzo Cardarelli ne scelse e annotò alcuni passi.

Contenuto

Si tratta di annotazioni di varia misura e ispirazione, spesso scritte in prosa diretta e pertanto caratterizzate da un tono di provvisorietà, da uno stile per lo più asciutto; a volte brevissime, a volte ampie e articolate per punti. Eppure la loro importanza è fondamentale, in quanto contengono un notevole insieme di temi e spunti che spesso costituirono ispirazione prima per i Canti, le Operette morali, e, soprattutto i Pensieri. In qualche caso, invece, queste pagine vedono riflettersi quanto già detto altrove, o riportano commenti su libri letti, osservazioni su incontri o esperienze ecc. Sono di particolare interesse le numerosissime pagine che elaborano gli elementi essenziali della poetica e del pensiero di Leopardi, di cui il lettore può cogliere l'intimo dinamismo e il procedere per successivi momenti problematici. Tra l'11 luglio e il 14 ottobre 1827 Leopardi stesso ne redasse un indice tematico (evidentemente incompleto, visto che continuò a scriverlo fino al 4 dicembre 1832).

La prima pagina è infatti datata "luglio o agosto 1817" (data ricostruita dal Leopardi successivamente alla sua decisione di datare gli appunti da p. 100, ovvero in data 8 gennaio 1820), l'ultima "Firenze, 4 dicembre 1832". Il maggior numero delle 4.525 pagine venne scritto tuttavia fra il 1817 e il 1823 per un totale di più di 4.000 pensieri elaborati. Lo studioso Claudio Colaiacomo lega il dislivello di frequenza della scrittura ai vari viaggi e alla sedentarietà del poeta la cui "scrittura dello Zibaldone appare legata essenzialmente ad un'immagine dell'esistenza come claustrazione o reclusione, quale fu quella nella quale spesso l'autore si presentò nelle sue lettere, e che al di là del suo fondamento biografico immediato, costituisce il segno di una volontà di integrale letterarizzazione dell'esistenza".

I temi trattati sono: la religione cristiana, la natura delle cose, il piacere, il dolore, l'orgoglio, l'immaginazione, la disperazione e il suicidio, le illusioni della ragione, lo stato di natura del creato, la nascita e il funzionamento del linguaggio (con anche diverse annotazioni etimologiche), la lingua adamica e primitiva, la caduta dal Paradiso, il bene e il male, il mito, la società, la civiltà, la memoria, il caso, la poesia ingenua e sentimentale, il rapporto tra antico e moderno, l'oralità della cultura poetica antica, il talento, e, insomma, tutta la filosofia che sostiene e nutre la propria poesia.

Il dolore è la legge della realtà ed è universale. Esso riguarda "non gli individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi" (Zibaldone, 3). Il ricordo ha un'importanza fondamentale in quanto fa emergere una folla di sensazioni, sentimenti, riflessioni, arricchendoli del fascino della lontananza, che le immerge in un'atmosfera di vago, di indefinito, impreciso. (Zibaldone, 6). La ricordanza poetica diventa memoria di emozioni e sensazioni della prima età. Si tratta di un atteggiamento che sarà anche alla base degli Idilli (Zibaldone, 8).

Il ricordo ha, come detto, un'importanza fondamentale nella poesia leopardiana: "La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico, non per altro se non perché il presente, qual ch'egli sia, non può essere poetico; e il poetico, in uno o in altro modo si trova sempre consistere nel lontano, nell'indefinito, nel vago" (Zibaldone, 6). Questi concetti sono il punto di partenza dell'idillio L'infinito e l'anelito a un'esperienza interiore che vada al di là del mondo limitato della nostra esperienza sensibile. La ricordanza è lo stato d'animo poetico soprattutto perché ci permette di recuperare la dimensione fantastica e commossa che nella prima adolescenza l'uomo ha assunto di fronte alla vita: l'adolescenza è l'età in cui si viene formando la nostra sensibilità. "La sensazione presente non deriva immediatamente dalle cose, non è un'immagine degli oggetti, ma della immaginazione fanciullesca; una ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso della immagine antica. [....] In maniera che, se non fossimo stati fanciulli, tali quali siamo ora, saremmo privi della massima parte di quelle poche sensazioni indefinite che ci restano, giacché non le proviamo se non rispetto e in virtù della fanciullezza" (Zibaldone, 7)".

La poesia è poi identificata da Leopardi con il senso dell'indeterminato e con le emozioni interiori cui corrispondono alcune particolari parole evocatrici di immaginazioni e rimembranze infinite: lontano, antico, notte, notturno, oscurità, profondo, ecc. (Zibaldone, 9).

fonte: Wikipedia

martedì 17 marzo 2015

Plutarco



in greco antico Πλούταρχος, traslitterato in Plùtarchos; Cheronea, è stato un biografo, scrittore e filosofo greco antico, vissuto sotto l'Impero Romano, di cui ebbe anche la cittadinanza e dove ricoprì incarichi amministrativi.

Studiò ad Atene e fu fortemente influenzato dalla filosofia di Platone. La sua opera più famosa sono le Vite parallele, biografie dei più famosi personaggi dell'antichità. Durante l'ultima parte della sua vita fu sacerdote al Santuario di Delfi.

La maggior parte delle notizie sulla vita di Plutarco, meno qualche informazione tratta dal lessico Suda, deriva da riferimenti autobiografici presenti nelle sue opere.

Origini familiari

Plutarco nacque attorno al 46 d.C. a Cheronea in Beozia, si suppone da una famiglia ricca.

Il padre secondo alcuni è identificabile con uno degli interlocutori del De sollertia animalium, un certo Autobulo, secondo altri con un tale Nicarco; tuttavia il filologo Wilamowitz, e con lui la maggior parte degli studiosi, ritengono che ogni ipotesi sia completamente indimostrabile. Si suppone comunque che non avesse un buon rapporto con il figlio, il quale però più volte ne cita i consigli, e che non fosse molto colto.

Plutarco ricordava con stima invece il fratello, un certo Lampria, e il bisnonno Nicarco.

Ad Atene

Nel 60 d.C. si stabilì ad Atene dove conobbe e frequentò il filosofo platonico Ammonio, di cui divenne il più brillante discepolo. Studiò retorica, matematica e la filosofia platonica.

Nel 66 d.C. conobbe Nerone, verso il quale fu sostanzialmente benevolo, probabilmente poiché l'imperatore aveva esentato la Grecia dai tributi. Nello stesso periodo, si pensa abbia acquisito la cittadinanza ateniese e che sia entrato a far parte della tribù Leontide.

Visitò poi Sparta, Tespie, Tanagra, Patrie e Delfi.

Tornato ad Atene, fu nominato arconte eponimo, sovrintendente all'edilizia e ambasciatore presso Acaia. Istituì inoltre nella sua casa una specie di Accademia impostata sul modello ateniese.

A Roma

Plutarco visitò poi l'Asia, tenne conferenze a Sardi e ad Efeso, fece frequenti viaggi in Italia e soggiornò anche a Roma, presso la corte imperiale. Eduard von Hartmann ritiene che visse a Roma tra il 72 e il 92. Certo è che non imparò mai bene il latino e che conobbe l'imperatore Vespasiano, come racconta nel De solertia animalium.

Tenne a Roma molte lezioni ed ebbe il sostegno delle autorità in quanto divenne presto un convinto sostenitore della politica estera romana. Durante questo soggiorno, gli venne concessa la cittadinanza romana e assunse quindi il nomen di Mestrio, in onore del suo amico Mestrio Floro. Successivamente, ebbe da Traiano la dignità consolare. A Roma conobbe il filosofo e retore Favorino di Arles.

Il ritorno in Grecia e la morte

Terminata l'esperienza romana, tornò a Cheronea, dove fu arconte eponimo, sovrintendente all'edilizia pubblica e telearco.

Intorno al 90 d.C. fu eletto sacerdote nel santuario di Apollo a Delfi e nel 117 d.C. l'imperatore Adriano gli conferì la carica di procuratore.

Eusebio racconta che morì forse nel 119, ma molti oggi indicano date che vanno oltre il 120-125.

Vita privata

Nel 70 sposò Timossena, una donna di Cheronea colta e di buona famiglia, il cui nome è stato ricavato da una nota occasionale di Plutarco stesso nella quale sostenne di aver chiamato la figlia come la madre.

Da lei ebbe cinque figli, che sostenne di aver allevato personalmente: Soclaro e Cherone (che morirono in tenera età), Autobulo, Plutarco e Timossena, l'unica femmina (anche lei morta giovanissima, a due anni: si legga la lettera che Plutarco indirizzò alla moglie, per consolarla della perdita, contenuta nei Moralia).

Si dice che Timossena fosse una donna forte e di grande virtù, molto legata al marito (lo affiancò, per esempio, nelle pratiche liturgiche che il suo ruolo di sacerdote del tempio di Delfi gli imponeva). Pare che abbia scritto un breve trattato sull'amore per il lusso, indirizzandolo all'amica Aristilla.

Pensiero

Contro la superstizione

Nel trattato Sulla superstizione, Plutarco scrive che essa produce un timore distruttivo perché consiste nel credere che Dio esista, ma che sia ostile e dannoso. La superstizione è una malattia piena di errori e di suggestioni, per evitare la quale non bisogna però fare come coloro che, correndo alla cieca, rischiano di cadere in un precipizio. È così infatti che alcuni, per emanciparsi dalla superstizione, si volgono ad un ateismo rigido e ostinato, varcando d'un balzo la vera religiosità, che sta nel mezzo.

Contro il mangiar carne

Plutarco scrisse numerose pagine contro l'uso del mangiar carne e contro le crudeltà sugli animali. Nel dialogo Sull'intelligenza degli animali afferma che essi, essendo esseri animati, sono dotati di sensibilità e di intelligenza come gli umani. Nel trattato Del mangiar carne critica aspramente e con un linguaggio crudo quella che considera l'efferatezza di chi imbastisce banchetti con animali morti e fatti a pezzi (a quest'opera è ispirata la canzone Sarcofagia di Franco Battiato, contenuta nell'album Ferro Battuto).

Opere

Plutarco di Cheronea fu uno degli scrittori più prolifici di tutta la Grecia antica.

Con l'avanzare del Medioevo cristiano e lo scisma d'Oriente che nel 1054 separò la chiesa greca da quella romana, l'opera di Plutarco, che scriveva in greco di etica, fu quasi dimenticata nell'occidente cristiano. I suoi scritti cominciarono a riaffiorare nel XIV secolo, con la ripresa dei contatti tra intellettuali latini e orientali e furono tradotti in latino o in volgare tra il Quattrocento e l'inizio del Cinquecento con l'umanesimo. Molte delle sue opere sono integre, di altre si hanno solo alcuni frammenti, e di molte si conosce solo il titolo.

Le opere di Plutarco vengono, per convenzione secolare, divise in due grandi blocchi:

Vite Parallele (Βίοι Παράλληλοι)
Moralia (Ἠθικά)

Vite Parallele

Le Vite parallele sono dedicate a Quinto Sosio Senecione, amico e confidente di Plutarco, al quale lo scrittore dedica anche altre opere e trattati. Costituite da 23 coppie (una è andata perduta), alla biografia di un personaggio greco viene accostata, generalmente, quella di un romano, ad esempio Alessandro Magno e Giulio Cesare. Quasi tutte le biografie si chiudono con delle syncrìseis, o confronti, che tendono a trovare similitudini o divergenze. Alle coppie suddette si devono aggiungere 4 Vite singole, tramandateci dai manoscritti congiuntamente alle altre.

Epaminonda e Scipione l'Africano (7)

Teseo e Romolo (1)
Licurgo e Numa (2)
Temistocle e Camillo (3)
Solone e Publicola (4)
Pericle e Fabio Massimo (5)
Alcibiade e Marco Coriolano (6)
Focione e Catone l'Uticense (8)
Agide e Cleomene - Tiberio e Gaio Gracco (9-10)
Timoleonte e Paolo Emilio (11)
Eumene e Sertorio (12)
Aristide e Catone Censore (13)
Pelopida e Marcello (14)
Lisandro e Silla (15)
Pirro e Mario (16)
Filopemene e Tito Flaminino (17)
Nicia e Crasso (18)
Cimone e Lucullo (19)
Dione e Bruto (20)
Agesilao e Pompeo (21)
Alessandro e Cesare (22)
Demostene e Cicerone (23)
Demetrio e Antonio (25)

In un passo delle Familiarium rerum libri (XXIV, 5, 3) Francesco Petrarca sostiene che Plutarco mise a confronto Marco Terenzio Varrone con Platone e Aristotele, e Virgilio con Omero. Di questi due scritti non si ha nessuna notizia, né greca, né bizantina, né latina.

Vite singole

Arato e Artaserse (24)
Galba (32)
Otone (32)

Vite singole perdute

Vita di Augusto (26)
Tiberio (27)
Scipione Africano (28)
Claudio (29)
Vita di Nerone (30)
Gaio Cesare (31)
Vitellio (33)
Vita di Eracle (34)
Vita di Esiodo (35)
Vita di Pindaro (36)
Vita di Cratete (37)
Daifanto (38)
Aristomene (39)
Arato (40)

Moralia

Gruppo più numeroso ed eterogeneo, si tratta di una serie di trattati, di diversa impostazione letteraria, in cui l'autore spazia dalla filosofia alla storia, dalla religione alle scienze naturali, dall'arte alla critica letteraria.
Moralia perché, nell'ordinamento complessivo delle opere fatto dal monaco Massimo Planude verso il 1302, i primi quindici scritti trattano di argomenti etico-filosofici.

I titoli delle "opere morali" di Plutarco vengono generalmente indicati in latino.

De animae procreatione in Timaeo - Sulla procreazione dell'anima nel Timeo (65)
De genio Socratis - Sul demone di Socrate (69)
De virtute morali - Sulla virtù morale (72)
De facie quae in orbe lunae apparet - Sul volto della luna (73)
An seni res publica gerenda sit - Se un anziano possa fare politica (75)
De Stoicorum repugnantiis - Sulle contraddizioni degli Stoici (76)
De communibus notitiis adversus Stoicos - I principi comuni contro gli Stoici (77)
Stoicos absurdiora poëtis dicere - Gli stoici dicono cose più assurde dei poeti (79)
Adversus Colotem - Contro Colote (81)
Non posse suaviter vivi secundum Epicurum - Non si può vivere felici secondo Epicuro (82)
De virtute morali - Sulla virtù morale (72)
Quomodo quis suos in virtute sentiat profectus - In che modo qualcuno avverta i suoi progressi nella virtù (87)
De defectu oraculorum - Sul tramonto degli oracoli (88)
Quomodo adulator ab amico internoscatur - Come distinguere l'adulatore dall'amico (89)
De primo frigido - Sul freddo primario (90)
De sera numinis vindicta - Sui ritardi della punizione divina (91)
De garrulitate - Sulla loquacità (92)
De tuenda sanitate praecepta - Precetti igienici (94)
De tranquillitate animi - Sulla serenità dell'anima (95)
De vitioso pudore - Sulla vergogna (96)
De curiositate - Sulla curiosità (97)
De fraterno amore - Sull'amore fraterno (98)
De exilio - Sull'esilio (101)
De recta ratione audiendi - L'arte di ascoltare (102)
Quomodo adolescens poetas audire debeat - Come il fanciullo debba ascoltare i poeti (102)
Praecepta gerendae rei publicae - Precetti politici (103)
Amatorius - Amatorio (107)
Regum et imperatorum apophthegmata - Detti di re e imperatori(108)
Septem sapientium convivium - Simposio dei sette sapienti (110)
Consolatio ad uxorem - Consolazione alla moglie (112)
Coniugalia praecepta - Precetti coniugali (115)
De Pythiae oraculis - Sugli oracoli della Pizia (116)
De E apud Delphos - Sulla E a Delfi (117)
De Iside et Osiride - Su Iside e Osiride (118)
De comparatione Aristophanis et Menandri - Comparazione tra Aristofane e Menandro (121)
De Herodoti malignitate - Sulla malignità di Erodoto (122)
Mulierum virtutes - Le virtù delle donne(126)
Bruta animalia ratione uti - Gli animali usano la ragione (127)
Parallela minora - Paralleli minori (128)
De capienda ex inimicis utilitate - Come ricavare vantaggio dai nemici (130)
Platonicae quaestiones - Questioni platoniche (136)
Aetia Romana - Cause Romane (138)
De sollertia animalium - Sull'intelligenza degli animali (147)
De superstitione - Sulla superstizione (155)
Aetia Graeca - Cause Greche (166)
Apophthegmata Laconica - Apoftegmi spartani (169)
De fortuna Romanorum - Sulla fortuna dei Romani (175)
De Alexandri Magni fortuna (I) - Sulla fortuna di Alessandro Magno (176)
An virtus doceri possit - Se la virtù si possa insegnare (180)
De Alexandri Magni fortuna (II) - Sulla fortuna di Alessandro Magno (186)
De gloria Atheniensium - Sulla gloria degli Ateniesi (197)
Aquane an ignis sit utilior - Se sia più utile l'acqua o il fuoco (206)
Animine an corporis affectiones sint peiores - Se siano prioritarie le passioni dell'anima o del corpo (208)
De cupiditate divitiarum - Sull'amore delle ricchezze (211)
De vitando aere alieno - Sul rigettare la pratica dell'usura (215)
Amatoriae narrationes - Narrazioni amorose (222)

Opere note solo per tradizione indiretta

Se sia utile la previsione degli avvenimenti futuri
Commento alle Opere e i Giorni di Esiodo
Sopra il piacere
Sopra la forza
Sulla ricchezza
Anche la donna può ricevere un'educazione
Sull'amore
Sulla tranquillità
Sulla bellezza
Sulla mantica
Tappeti
Sulla natura e gli impulsi
Epistola sull'amicizia
Sull'inganno

Tradizione delle opere di Plutarco

Le opere di Plutarco hanno influenzato famosi scrittori e autori teatrali, come Shakespeare, che nel suo "Giulio Cesare" riproduce fedelmente il testo plutarcheo dell'addio di Bruto agli amici, o nell'Alfieri che dalle opere del filosofo trasse le numerose notizie storiche per rivivere le vite di grandi personaggi ed eventi dell'antichità. Per Jean-Jeaques Rousseau le opere di Plutarco erano le letture preferite.
Plutarco fu per Michel de Montaigne un'inesauribile fonte di ispirazione per i suoi famosi Essais, nei quali vengono citate testualmente e commentate molto frequentemente le testimonianze riportate dal filosofo greco. Inserite in questo celebre quadro di indagine filosofica della condizione umana, compiuto dallo scrittore francese nel XVI secolo, le citazioni del Plutarco risaltano ancor più per quel carattere veridico, enciclopedico e velatamente scettico verso la conoscenza dello scibile che la tradizione gli ha sempre riservato.

Esiste un piccolo numero di opere ritenute apocrife, la cui falsità è stata comprovata sulla base di criteri interni (stile ed imprecisioni varie). Il cosiddetto Catalogo di Lampria è un elenco delle opere dello scrittore, redatto nel III o IV secolo d.C. e attribuito a un Lampria che, secondo la tradizione (Lessico della Suda), sarebbe uno dei figli di Plutarco. Plutarco non ebbe alcun figlio con questo nome e il catalogo è in realtà una ricca, ma imperfetta lista delle opere del nostro autore.

Nell'elenco sono citati 227 titoli, dei quali sono pervenuti a noi solo 83 (in 87 libri), mentre risultano perse 144 opere (in 191 libri). Vi è però l'assenza di 18 opere conservate e di altre 15 di cui ci sono testimonianze indirette.

Opere il cui titolo è presente nel Catalogo di Lampria

Esercitazioni omeriche in quattro libri (42)
Commento ad Empedocle in dieci libri (43)
Sulla quintessenza in cinque libri (44)
Sull'argomentare contro qualcuno in cinque libri (45)
Miti in tre libri (46)
Sulla retorica in tre libri (47)
Sull'introduzione dell'anima in tre libri (48)
Sulle sensazioni in tre libri (49)
Ecloga di filosofi in due libri (50)
Sui fondatori di città in tre libri (51)
Argomenti politici in due libri (52)
Su Teofrasto contro i vantaggi in due libri (53)
Sulla storia presente in quattro libri (54)
Proverbi in due libri (55)
Sui Topici di Aristotele in otto libri (56)
Sosicle in due libri (57)
Sul fato in due libri (58)
Sulla giustizia secondo Crisippo in tre libri (59)
Sulla poetica (60)
Miscellanea di storici e poeti in cinquantadue libri, secondo altri in cinquantasei (62)
Sulla prima essenza presso l’Accademia di Platone (63)
Sulle differenze tra pirroniani e accademici (64)
Sull'origine del cosmo secondo Platone (66)
Dove sono le idee (67)
In che modo la sostanza partecipa delle idee. Sul fatto che i primi corpi compiano azioni (68)
Sul Teeteto di Platone (70)
Sulla mantica che salva secondo gli accademici (71)
Se sia meglio un numero grande o proporzionato (74)
Sulla consuetudine secondo gli stoici (78)
Contro le lezioni di Epicuro sugli dei (80)
Contro Bitino sull'amicizia (83)
Ammonio o sul non avere dolci relazioni con il vizio (84)
Se la virtù sia retorica (86)
Sull'ira (93)
Sulle comete (99)
Dei tre nomi quale sia quello proprio (100)
Sulle vite ovvero sul rischiare la vita (105)
Come bisogna far uso delle lezioni ginnasiali (106)
Sul proprio corpo (109)
Consolazione ad Asclepiade (111)
Sull'amore per gli ornamenti (113)
Manuale sull'allattamento (114)
Spiegazione sui Pronostici di Arato (119)
Commento ai Theriakà di Nicandro (120)
Sul tempo dell'Iliade (123)
Come giudichiamo una storia vera (124)
Commentari (125)
Sulle contraddizioni degli epicurei (129)
Sul non avversare il ragionamento accademico intorno alla mantica (131)
Epistola a Favorino sull'amicizia ovvero sull'uso degli amici (132)
Sulla nostra dottrina contro Epicuro (133)
Studi accademici (134)
Se gli animali posseggano ragione (135)
Come una persona attiva possa evitare la superficialità (137)
Cause barbariche (139)
Sul cinto della madre degli dei (140)
Sui principi primi di Protagora (141)
Sui proverbi degli Alessandrini (142)
Gli epicurei dicono cose più assurde dei poeti (143)
Che cos'è la relazione (144)
Sul niente e il nulla (145)
Riguardo al fatto che la relazione non sia nulla (146)
Ecloghe e confutazioni di stoici ed epicurei (148)
Causa delle divulgazioni stoiche (149)
Sui giorni (150)
Sulla cura soverchia (151)
Sul ciò che viene per primo contro Crisippo (152)
Ipotetico o sul principio (153)
Sulla nostra dottrina contro gli stoici (154)
Se a tutti è dato sostenere una causa (156)
Consolazione a Bestia (157)
Sui dieci tropi dei pirroniani (158)
Sulle vite contro Epicuro (159)
Cause e luoghi (160)
Cause di mutazioni (161)
Sulla tautologia (162)
Sulle monadi (163)
Se il politico darà un parare che non praticherà e non persuaderà (164)
Sulle convinzioni di ciascuno (165)
Cause delle donne (167)
Sugli uomini celebri (168)
Soluzioni di aporie (170)
Raccolta di cose utili (171)
Sull'immunità dal dolore (172)
Sugli esercizi ginnici (173)
Sul desiderio (174)
Sul detto 'conosci te stesso' e se l'anima sia immortale (177)
Sull'atarassia (179)
Sulla discesa nell'antro di Trofonio (181)
Iceta (182)
Epitome fisica (183)
Sui primi filosofi e i loro seguaci (184)
Sulla sostanza (185)
Educazione di Achille (187)
Sui cireinei (188)
Apologia di Socrate (189)
Sulla condanna di Socrate (190)
Sui mangiatori di terra (191)
Discettazioni intorno alle dieci categorie (192)
Sui problemi (193)
Sui caratteri (194)
Fondazioni di città (195)
Placiti fisici (196)
Sugli avvocati (198)
Qual è la vita migliore (199)
Sui giorni di ricerca, fisici e di adunanza (200)
Sulle statue a Platea (201)
Sugli strumenti dei filologi (202)
Sulla nobiltà (203)
Colui che parlò contro Dione ad Olimpia (204)
Su cosa si apprende da Eraclito (205)
Protrettico a un nuovo ricco (207)
Sull'anima (209)
Se il fannullone possa fare qualcosa (210)
Sui sisimi (212)
Come bisogna combattere contro un làcone (213)
Protrettico ad Asclepio di Pergamo (214)
Sulla caccia (216)
Contro quelli che danno delle illusioni (217)
Contro quanti non filosofeggiano ma fanno retorica (219)
Sui poemi: quale utilità si possa ricavare da questi (220)
Qual è il fine secondo Platone (221)
Sugli strumenti dei filosofi (223)
Su Euripide (224)
Come giudichiamo la verità (225)
Sul fatto che l'anima sia incorrotta (226)
Discettazioni contro Dione (227)

Opere conservate ma non presenti nel Catalogo di Lampria

De liberis educandis - Su come bisogna educare i fanciulli
De amicorum multitudine - Sull'avere molti amici
De fortuna - Sulla fortuna
De virtute et vitio - Sulla virtù e il vizio
Consolatio ad Apollonium - Consolazione ad Apollonio
De cohibenda ira - Sul dover reprimere l'ira
De amore prolis - Sull'amore della prole
An vitiositas ad infelicitatem sufficiat - Se il vizio sia sufficiente per l'infelicità
De invidia et odio - Sull'invidia e l'odio
De laude ipsius - Sul lodar se stessi
De fato - Sul fato
Quaestiones convivales - Questioni convivali in nove libri
Maxime cum principibus philosopho esse disserendum - Il filosofo deve discutere principalmente con i principi
Ad principem ineruditum - Ad un principe incolto
De unius in republica dominatione, populari statu, et paucorum imperio - Sulla monarchia, la repubblica e l'impero
De esu carnium I - Sul mangiar carni I
De esu carnium II - Sul mangiar carni II
De latenter vivendo - Sul vivi nascosto
De libidine et aegritudine - Sul vizio e la malattia
Parsne an facultas animi sit vita passiva - Se una parte o una facoltà dell'anima sia passiva
Ecloga de impossibilibus - Raccolta di cose straordinarie

Opere apocrife

Erasmo da Rotterdam negli Adagia (pubblicati nel 1509) per primo ebbe dubbi sull'autenticità delle opere, principalmente per lo stile, e nel 1572, Jacques Amyot tradusse in francese "Moralia" riportando le stesse incertezze perché lo stile del De musica non sembrava affatto di Plutarco.

De fluviis - Sui fiumi
De musica - Sulla musica
Placita philosophorum - Epitome sulle dottrine fisiche delle diverse sette filosofiche in cinque libri (61)
De proverbiis Alexandrinorum - Sui proverbi degli Alessandrini
De Homeri vita et poesi - Sulla vita e la poesia di Omero
Il De liberis educandis
La Consolatio ad Apollonium
Il De fato

Institutio Traiani

Giovanni di Salisbury, nel quinto libro del Polycraticus parla di Plutarco maestro dell'imperatore Traiano, riportando dei passi tratti dalla cosiddetta Institutio Traiani, un falso tardo-antico (databile forse tra il IV e il V sec. d.C.), di cui lo scrittore riporta sedici passaggi in latino (millantando una traduzione da un improbabile originale greco), preceduti da una lettera dedicatoria all'imperatore. Giovanni cita anche due altri scritti di argomento politico, non meglio identificati: De istitutione principum e Archigrammaton.

Vite dei dieci oratori

Opera di dubbia autenticità che raccoglie diverse notizie biografiche, organizzate in capitoli, sul cosiddetto canone dei dieci oratori attici che includeva i seguenti personaggi: Andocide, Lisia, Licurgo di Atene, Demostene, Iseo, Dinarco, Eschine, Iperide, Isocrate, Antifonte.

Differenze di testo nel Catalogo di Lampria e precisazioni

Sui ritardi della punizione divina presenta una titolatura greca diversa (Περὶ βραδέως κολαζομένων ὑπὸ τοῦ θείου) rispetto a quella presente nei manoscritti (Περὶ τῶν ὑπὸ τοῦ θείου βραδέως τιμωρουμένων).
L'arte di ascoltare presenta l'aggiunta τῶν φιλοσόφων assente in tutti i manoscritti che riportano l'opuscolo.
Il De Iside et Osiride presenta la forma Περὶ τοῦ κατ'Ἷσιν λόγου καὶ Σάραπιν.
L'opera che passa sotto il titolo di Bruta animalia ratione uti (Περὶ τοῦ τὰ ἄλογα λόγῳ χρῆσθαι) presenta la dicitura Περὶ ζῴων ἀλόγων ποιητικός. Questo scritto dialogico è anche noto con il titolo di Grillo dal nome di uno dei personaggi che prendono parte alla discussione.
Il De sollertia animalium possiede in realtà il più calzante titolo Se siano più intelligenti gli animali terrestri, volatili o acquatici.
Il De superstitione presenta il sottotitolo Contro Epicuro.
Gli Apoftegmi spartani sono in realtà suddivisi di tre sezioni: 1) i Detti degli Spartani (solitamente re); 2) i Detti delle Spartane; 3) i cosiddetti Istituta Laconica.
Sulla fortuna di Alessandro Magno (II) compare nella forma Sulla virtù di Alessandro Magno; in realtà si preferisce considerare il trattato come diviso in due precipue sezioni.
Le Amatoriae narrationes presentano il sottotitolo Contro gli amanti in quanto si tratta di una serie di brevissimi racconti su amori infelici.
Delle Esercitazioni omeriche sono conservati alcuni frammenti.
Del commento a Empedocle sono conservati alcuni frammenti.
Il trattato perduto Sull'amore per gli ornamenti è stato scritto da Filossena, la moglie di Plutarco.
Del commento ai Pronostici di Arato è conservato un nutrito numero di frammenti.
Del commento ai Theriakà di Nicandro sono conservati alcuni frammenti.
Del trattato Sui giorni sono conservati alcuni frammenti.
Del trattato Sulle statue a Platea sono conservati alcuni frammenti.
Del trattato Sulla nobiltà sono conservati alcuni frammenti.
Del trattato Sull'ira sono conservati alcuni frammenti.
Del trattato Sull'anima sono conservati alcuni frammenti.

fonte: Wikipedia

la cattedrale



BREVE FILMATO

da Moro a Renzi, la democrazia italiana chiude i battenti

Forse qualcuno non si è ancora accorto che il diritto rappresentativo democratico, affermatosi nell’Italia repubblicana dal dopoguerra, si sta polverizzando sotto i nostri occhi, frantumato dal revisionismo costituzionale «in atto da diverso tempo, ma ora arrivato tragicamente alle ultime battute d’arresto», grazie al «golpe finanziario euroatlantico». E’ appena accaduto «qualcosa di assolutamente inedito negli ultimi 70 anni di storia repubblicana», scrive Rosanna Spadini: nella notte del 13 febbraio 2015 «un governo ha modificato la Costituzione unilateralmente». Ovvero: un gruppo di parlamentari “nominati”, «pur non avendo avuto la maggioranza alle ultime elezioni, ma avendola ottenuta solo in forza di una legge elettorale dichiarata incostituzionale», ha modificato la Costituzione «asfaltando in un solo colpo la democrazia». Il “golpe notturno” è stato eseguito «in apnea di democrazia», da un Parlamento eletto in base a una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte. La Costituzione? Ormai «obsoleta e superflua», un intralcio al profitto dei bankster. Con Renzi, va a segno il piano antidemocratico nato trent’anni fa.
Il “Porcellum”, osserva la Spadini su “Come Don Chisciotte”, è una legge ancor più devastante dei diritti di rappresentanza democratica della Legge Acerbo imposta da Mussolini. «Infatti non c’è nemmeno bisogno del 25% dei voti per ottenere il Berlinguer e Moropremio di maggioranza: chi arriva primo fra le varie liste e coalizioni, quale che sia la percentuale, ottiene la maggioranza di 340 seggi a Montecitorio». Di qui la tendenza alla formazione di “larghe intese”, «sottoposte al ricatto». La riforma del Senato promossa dal governo Renzi, poi, «prevede la fine del bicameralismo perfetto e l’abolizione del Senato elettivo, sostituito con una Camera composta da consiglieri regionali e sindaci e ridotta da 315 a 100 membri». Il nuovo Senato non voterà più la fiducia al governo, né gli sarà consentito di legiferare (tranne che su alcuni temi: riforme costituzionali e trattati internazionali). Di fatto, l’abolizione del Senato elettivo «sospende il diritto repubblicano e si inserisce in una fase di “anomalia legislativa”», inaugurando la transizione «da un regime rappresentativo, espressione dialettica tra i vari gruppi sociali e politici, a uno autocratico, che tende ad semplificare i metodi deliberativi, per imporre la volontà esclusiva di gruppi di potere oligarchico».
La logica, sintetizza Spadini, non è più quella della collaborazione e del compromesso, di conciliazione delle diverse istanze, ma espressione della richiesta di più spedita efficienza del processo deliberativo, inteso come mera applicazione di una volontà autocratica. «Le ultime riforme previste dunque prevedono una riduzione ulteriore dei poteri democratici del Parlamento attraverso la trasformazione di un ramo delle Camere, da organo legislativo a pieno titolo a mera funzione di collegamento tra Stato ed enti locali». Questo, assieme alla nuova legge elettorale (con ampio premio di maggioranza al partito più votato), «assegnerà più potere alle maggioranze e ai governi, indebolendo invece il Parlamento e le opposizioni». Un uomo solo comando, non eletto da nessuno: Renzi, il maggiordomo dei poteri forti che «sta rottamando la democrazia», in una situazione «molto vicina al colpo di Stato». Il problema? Salvare la Costituzione, prima che gli italiani diventino definitivamente sudditi senza più diritti. «Eroe del populismo postmoderno», Renzi finora è stato «un abile impresario politico della virtualità Andreatta e Ciampirassicurante, un valido affabulatore della narrazione neoliberista blairiana», idolatrato da elettori raggirati e destinati «a un’esistenza di precariato professionale perpetuo».
Certo, ammette Spadini, il “golpe” viene da lontano, «e fu segnato da passaggi chiave nella storia economico-politica italiana». L’assassinio di Moro, nel maggio 1978, «serviva per impedire la partecipazione dei comunisti al governo, evento traumatico per gli Usa», ma «giovò anche al progetto dell’area valutaria europea». Infatti, «nel marzo del ’79 ci fu  l’incriminazione del governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi, il quale poi, benché prosciolto da tutte le accuse, dovette dimettersi». Subito dopo, il capo del governo Giulio Andreotti ufficializzerà l’entrata dell’Italia nello Sme. «Nel 1981, con l’accordo Ciampi-Andreatta, verrà sancito il cosiddetto “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro, dando inizio così all’impennata dell’aumento degli interessi sul debito pubblico». Nel ’92 poi si aprì la stagione di Mani Pulite, una “rivoluzione mediatico-giudiziaria” che avrebbe provocato la demonizzazione della classe politica dirigente della Prima Repubblica, «ovvero quella casta che, pur tra episodi di corruzione, aveva permesso la crescita economica e l’aumento dei salari». A seguire, il primo processo di liberalizzazioni e privatizzazioni. «Infine  le dimissioni di Berlusconi nel 2011, pilotate dalla Bundesbank, provocarono il succedersi dei governi Monti, Letta e Renzi, non votati da nessuno, 
e il via libera per la strategiaUsa di destabilizzazione del Medio Oriente, in un’ottica ostile alla Russia».
Ora, continua Spadini, le famigerate e sbandierate “riforme” «transiteranno la società italiana verso un assetto sociale darwininiano, dove la distanza tra le classi si farà sempre più marcata», difendendo privilegi e «demolendo quel sistema di welfare che ha salvaguardato il benessere dei cittadini fino ad ora». Privatizzazioni, abbattimento dei diritti del lavoro, tassazione spietata sulle fasce più basse, riduzione degli ammortizzatori sociali e della pubblica amministrazione, limitazione della democrazia. «Renzi – scrive il “Daily Mirror”– è il Blair italiano non solo nelle intenzioni politiche, ma anche nelle alleanze economiche. Un esempio? La Jp Morgan». Riforma della Costituzione, del Senato, della Rai, del lavoro (Jobs Act), della pubblica amministrazione, della giustizia, della scuola, del sistema elettorale. «Così ha deciso il presidente del consiglio Matteo Renzi, su suggerimento della banca d’affari Jp Morgan, che ha arruolato proprio Blair tra i suoi consiglieri strategici», conclude Spadini. «Benvenuti nel nuovo mondo dei licantropi, che praticano quotidianamente l’equilibrio funambolesco del potere, oscillante tra virtualità rassicuranti e rovine sociali».

fonte: www.libreidee.org