martedì 23 gennaio 2018

il pensiero positivo? Nato da Stalin, copiato da Hitler e Usa

La filosofia dei desideri è un po’ meno americana di quel che pensavo. Naturalmente poi in America ha avuto un suo particolare “giro”: la legge dell’attrazione, e tutto il resto. Già alla fondazione degli Stati Uniti d’America, 1776, uno dei personaggi principali di questo fenomeno era Benjamin Franklyn – il taccagno, quello con la faccia da Paperon de’ Paperoni, che dice “I want you”. Già a quei tempi i desideri andavano forte. Una delle frasi più famose di Franklyn, illuminista, è: «Se una persona realizzasse metà dei suoi desideri, avrebbe il doppio dei problemi che ha». E’ chiaro: se tu desideri troppo, tutta la vita basata sul tuo “considerare” salta per aria – e questo agli americani non è mai piaciuto. Come sapete, noi siamo debitori degli Stati Uniti di due notevoli disgrazie culturali, che sono il pensiero positivo e l’autostima, cioè i due nemici più terribili del desiderio e i due alleati più potenti del “considerare”. Molto americani, nella loro diffusione, ma l’origine è russa: l’inventore di entrambi è Stalin. Negli anni Trenta, Stalin ha cominciato a schiacciare la Russia, in una maniera inaudita, nel mondo, fino a quel momento (secondo alcuni storici ha firmato 20 milioni di condanne a morte, secondo altri 40 milioni). Per giustificarsi, Stalin ha avuto l’intuizione – molto perversa – del pensiero positivo: noi siamo lo Stato migliore del mondo, da noi tutto va bene, e se qualcuno dice il contrario deve andare in galera o in manicomio, perché è pazzo.
Quindi la critica non è permessa, è intesa come un esempio di psicosi. Vai in manicomio perché hai detto che c’era qualcosa su cui non eri d’accordo: hai pensato negativo. Stalin l’ha fatto, facendo sparire dalla Russia intere classi sociali – contadini, Igor Sibaldiborghesi, militari. E il primo che l’ha preso seriamente in considerazione è stato Hitler. Al tempo del “Mein Kampf” no, negli anni Venti non ancora: Hitler allora era sempre incazzato e andava forte, cresceva tanto. Ma, una volta arriavato al potere, ha messo in moto il pensiero positivo staliniano con i tedeschi, dicendo: cari tedeschi, voi siete spaventati, terrorizzati, istupiditi dalla crisi economica, ma sbagliate, state pensando negativo. Pensiamo positivo: noi siamo il popolo superiore del mondo, non per motivi ideologici (come quei bastardi dei russi), ma per motivi razziali. Noi siamo gli ariani, siamo meglio di chiunque altro, e qualsiasi cosa sia ariana va bene. Questo è pensiero positivo – un misto di pensiero positivo e di autostima. In questo modo Hitler è riuscito ad avere un controllo formidabile su un popolo, e l’ha esteso ai minimi dettagli. Per esempio, cosa c’era scritto all’ingresso di diversi campi di concentramento? “Arbeit macht frei”, il lavoro fa diventare liberi. Cosa voleva dire? Dentro, mica lavoravano. Però uno scendeva dal treno, vedeva scritto “arbeit macht frei” e poteva pensare, vabbè, è un posto civile. Era un modo, quello lì, che poi gli americani hanno teorizzato e capito bene.
Quando sono arrivati i russi, ad Auschwitz, hanno visto il campo di concentramento e han detto: sono dilettanti, non si fa così, la gente la si ammazza “normale”. Gli americani, invece – ingenui, ma pratici – vedono e contano: quanti prigionieri ci sono? Dodicimila. E quante guardie? Cento, e con anche una piscina per loro (quindi le guardie stavano rilassate). E pensano: come han fatto? Ci interessa. Come han fatto, in cento, a tenerne a bada dodicimila, che peraltro non avevano nessuna speranza di sopravvivere e quindi, in qualsiasi momento, potevano ammazzare quei cento, prendendosi almeno la soddisfazione? Si son detti: qui bisogna chiamare gli organizzatori. Presi, prelevati, arrivati in America insieme a un sacco di scienziati. E lì è venuto fuori il “positive thinking”. Però gli americani gli han detto: sentite, noi non siamo come voi pazzi, che usate queste cose per Stalinsterminare le persone. A noi interessa solo vendere. Ci interessano tre cose: vendere tanto, non avere comunisti tra i piedi e far sopportare alla gente l’inquinamento – non quello delle auto, quello radioattivo, che sta crescendo a livelli esponenziali.
Nei bollettini meteorologici degli anni ‘50, in America, c’era scritto: per oggi è prevista pioggia, la temperatura sarà questa, il livello di radiazioni oggi sarà tollerabile. Uno legge questa roba e dice: «Voi siete pazzi. Livelli di radiazioni? Siete matti». Invece, dicono gli americani agli ex nazisti, noi vogliamo che i nostri concittadini siano contenti. Potete aiutarci? Sennò tornate in galera. E loro: eccoci pronti. Tanti sociologi ne hanno parlato – Adorno, Marcuse. L’idea era proprio: qui bisogna convincerli che tutto va bene. E la teoria che c’è dietro è bellissima. Rispetto a “Good”, l’espressione “Bad” vale cinque volte tanto, a livello energetico: per bilanciare un’esperienza “Bad” occorrono cinque esperienze “Good”. Quindi, se vuoi dominare un popolo, gli dai esperienze belle. Come si faceva, nei campi di concentramento, quando torturavano qualcuno? Chiamavano l’orchestrina. Non per coprire le urla: per abbassare l’energia. Se tu tieni la gente a livello “Good” per 10-15 anni, dopo puoi fargli quello che vuoi, perché sono tutti diventati deboli. Gli dai esperienze “Bad”? Non puoi fargli pagare le tasse al 73%, come adesso. In Francia non puoi, ti spaccano tutto. Il francese, dicono, è un italiano arrabbiato. Si permette esperienze “Bad”, non per niente ha fatto la rivoluzione – l’italiano no. Ma “Bad” non vuole dire cattivo, brutto. Vuol dire: difficile.
Una cosa che colpisce, nel pubblico italiano, è che – a tutti i livelli – salta fuori qualcuno che dice: questo libro è difficile, cioè è “Bad”, ha un coefficiente di avversità alto. Dice: preferisco il libro “Good”. Ma non è vero che lo preferisce, è che non ce la fa più, non ci arriva più. A forza di esperienze “Good”, è cambiato in Italia il livello di attenzione, nell’arco di una sola generazione. Provate a guardare, su YouTube, un qualsiasi Carosello degli anni Sessanta. Dura tre minuti, erano 15 minuti in tutto e c’erano 5 Caroselli. Non riesci a seguirlo: non ce la fai, ti distrai. “La stella di Negroni vuol dire qualità”. Lo vedevano tutti, anche i bambini. Dopo, cos’è successo? “Good”, “Good”, “Good”, e l’energia cala. Ti do un libro “Bad”? Non ce la faccio più, non reggo. Devi fare un libro “Good”, perché la gente non ce la fa più. Ecco il prodotto del pensiero “Good”. Autostima, Auschwitzuguale: pensiero “Good”, applicato al singolo individuo. Se uno si autostima, cosa vuoi che desideri? Se per di più pensa positivo è già a posto, no? Ci mancherebbe che uno che si autostima avesse un’esperienza “Bad” come un desiderio.
Il desiderio è un’esperienza “Bad”, perché vuol dire che tu dichiari che nella tua vita, alla tua età, ti manca ancora quella roba lì. E’ “Bad”, perché ammetti che ti manca. Ti spiace, riconosci questa mancanza. Gli altri ce l’hanno, quella cosa, e tu no. Ma, se hai dentro questa esperienza “Bad”, hai un desiderio: e allora la tua vita comincia a salire. Se invece sei abituato al “Good”, ti fermi. Pensi: non mi serve niente, ho già tutto. Naturalmente, uno che pensa positivo e ha un sacco di autostima, a un certo punto vede che qualcun altro esprime desideri. Allora ci prova anche lui, per evitare di avere un’esperienza “Bad”. Ma sono desideri finti, non sono cose davvero desiderate: sono cose copiate, e se non si realizzano non gliene frega niente. Ricordate Gesù? Due tizi salirono al tempio a pregare. Uno era un fariseo, e diceva quella bella preghiera farisaica che era tutta pensiero positivo: ti ringrazio, mio Signore, d’avermi fatto nascere ebreo, ricco e maschio. Si complimentava con Dio, per averlo creato bene. Invece l’altro era un pubblicano, cioè un mafioso, un delinquente, che diceva: che merda, mi sa che quando vengo qui a Te dà fastidio, Ti volti dall’altra parte, che brutta roba che sono… Chi dei due sarà piaciuto di più a Dio? Esatto: meglio l’esperienza “Bad” dell’esperienza “Good”.
Autostima e pensiero positivo sono utilissimi nelle negoziazioni. C’è un aspirante suicida, in bilico sul cornicione al ventesimo piano, a un passo dal trovare il tremendo coraggio di lanciarsi nel vuoto? Cosa usa, nei suoi confronti, il negoziatore della polizia? Pensiero positivo e autostima. Un così bel ragazzo, perché vuoi buttarti giù? Non vedi che belle prospettive hai davanti? Via via che il negoziatore parla, gli fa calare l’energia. Alla fine, l’aspirante suicida ha talmente paura, che rientra. Gli cala l’energia, non ha più il coraggio di uccidersi. Se sei un suicida, ovviamente, pensiero positivo e autostima sono utilissimi – ma se non sei un suicida, no. Vuol dire che hai paura. Di cosa? Di quello che succede se cominci a desiderare – cioè a uscire dal “sidera”, dalle tue “stelle” prestabilite. Vengono fuori delle parti di te che sono spiazzanti, impreviste. Perché, se mollo il Pauraguinzaglio, salta fuori l’altro problema grosso, che è la paura. Non c’è praticamente mai, nella nostra vita, ma è il più grosso dei problemi che abbiamo. Se fai un testacoda, in macchina, ti ricordi che in quel preciso momento eri calmissimo; la paura è sopraggiunta dopo, quando eri già al sicuro. Ma quella non è paura, è paura derivata: paura di aver paura.
La paura della paura ti tranquilizza: tu non ci sali, sul trampolino da dieci metri. Però vedi gli altri, in piscina, che invece ci salgono. E pensi: quasi quasi ci salgo anch’io. E senti che la tua “paura della paura” diventa un po’ agitata. E allora ricorri a un’altra cosa ancora: la paura della paura della paura. E’ il fatto che, in piscina, non ti volti mai verso il trampolino da dieci metri. E così finisci per non andarci neppure più, in piscina. Perché hai paura della paura di aver paura. E questo è il sentimento più diffuso, nel mondo occidentale. Uno molto coraggioso ha paura: arriva in certi stati in cui ha paura. Non che sia questa gran cosa, la paura: è energia frenata. Il topolino che spia il tuo frigorifero, quando scappa o lotta, non ha paura. E’ astuto e ride, o ringhia, o piange – però non ha paura. La paura è quando tu non puoi fare delle cose che sai fare: quella è paura, energia frenata. Produce una serie di ormoni, che girano nel cervello limbico: una serie di reazioni fisiche sono innescate da ormoni precisi, che scattano quando sei impedito nel fare qualcosa. Per cui una persona coraggiosa, che prova la paura, la prova per pochissimi istanti – se è libera. La prova giusto il tempo di accorgersi della sua energia frenata: allora la mette in moto e, da quel momento, non ha più paura. Poi gli resta la memoria di quella paura che ha avuto, che gli produce la paura della paura.
Se fai un testacoda, hai una scarica di adrenalina forte che per un po’ rimane in circolo. Ti spingerebbe, dopo un quarto d’ora, a fare un’altra cavolata. Non puoi farla, allora freni l’energia e viene fuori la paura, quando ormai sei al sicuro. Proprio per la paura di aver paura, quanti trampolini non vedi, durante il giorno? Quanta parte della tua vita non frequenti più, per paura della paura? Tanta. Naturalmente, “consideri”. Poi vedi che tutti gli altri fanno uguale, e allora dici: sono normale, va bene così. E no, che non va bene: perché poi ti accorgi che il desiderio non ce l’hai più. E formuli quel pensiero tremendo: se vengo via, non vado più a lavorare. Nelle lingue dell’Europa nord-occidentale, ma anche in latino e in greco, sono due le parole che indicano “lavoro”: in inglese sono “work” e “job”. In italiano ce n’è una sola, dal latino “labor”, che vuol dire: lavoro degli Schiavitùschiavi. In inglese, se dici “I work” non è “I have a job”. “Job” è sgobbare, suona anche uguale. “Work” è: fare delle opere, che ti piacciono. Le volte che trovo un bambino incustodito, gli dico: mi raccomando, tu non lavorare mai. E questo lo capisce al volo.
Secondo la Bibbia, il lavoro è la piaga principale dell’umanità. La parola che indica “lavoro”, nella Bibbia, è la stessa che indica “schiavitù”, tale quale all’italiano “labor”, lavoro di schiavo, e al francese “travail”, nonché allo spagnolo “trabajo”. Il travaglio era uno strumento di tortura medievale, una gabbia fatta di travi. C’è gente che vive di “travaglio”, e poi dice: “Io, nel mio tempo libero”, e non si accorge mai di cosa sta dicendo. Nel tuo tempo libero fai le scemate e guardi Facebook? Ma tu sei pazzo. Tempo libero? E il resto del tempo cos’è? Tempo lavorativo. Il tempo dello schiavo, del travagliante. Ecco, se si comincia a mettere in discussione questo, si sa da dove si parte ma non dove si arriva. E’ lo stesso principio dell’Esodo: molliamo l’Egitto per andare dove? Si va verso di te, naturalmente. Però quel “tu” verso cui vai dà una bella preoccupazione – e poi vaglielo a spiegare, a casa, quando comincia ad andarvi stretto un po’ tutto, dal guardaroba al colore delle pareti, fino al coniuge…
(Igor Sibaldi, estratto da YouTube della conferenza di presentazione del libro “Il mondo dei desideri”, sottotitolo “101 progetti di libertà”, edito da Tlön nel 2016).

fonte: http://www.libreidee.org/

sabato 20 gennaio 2018

vietato pensare

L’INCUBO DI ORWELL E’ GIA’ REALTA’

«Conosco bene tutti gli argomenti contro la libertà di pensiero e di parola, gli argomenti che affermano che non può esistere e quelli che dicono che non dovrebbe esistere. Rispondo semplicemente che non mi convincono e che la nostra civiltà nell’arco di quattrocento anni si è basata sull’avviso opposto».
Siamo nel 1972: con trent’anni di ritardo viene pubblicato il breve saggio La libertà di stampadi George Orwell a cui appartiene questa citazione. Esso era stato scritto come introduzione al romanzo La Fattoria degli Animali, composto tra il 1943 e il 1944, ma pensato durante la guerra civile in Spagna (1936-1939), a cui l’autore aveva preso parte tra le fila del Partito Operaio di Unificazione Marxista prima che questo venisse sciolto. In quegli anni Orwell fu testimone del sabotaggio del governo proletario a opera del Partito Comunista spagnolo, supportato militarmente e finanziariamente dall’URSS di Stalin. Quell’esperienza, raccontata nel 1938 in Omaggio alla Catalogna, lo condusse a una graduale disillusione che avrebbe poi rielaborato nello scenario distopico 1984: qua la forma di dittatura sadica e cupa immaginata dall’autore è applicabile a tutte le società dove si combattono guerre perpetue, i Media sono in mano a pochi, la popolazione è controllata da misure draconiane e il passato viene falsato e modificato a piacimento grazie al Ministero della Verità (il Miniver in neolingua).
Tematiche straordinariamente attuali: basta una veloce rassegna stampa quotidiana per constatare a quale livello di isteria sia arrivata la battaglia contro le fake news e la sua strumentalizzazione per imbavagliare l’informazione alternativa. Oggi sembra che in Occidente l’obiettivo primario dei governi sia censurare il web e pertanto la libertà di espressione.
In 1984 il Miniver si occupa di falsificare l’informazione e la propaganda per rendere il materiale diffuso conforme alle direttive e all’ideologia del Socing. Il Grande Fratello, infatti, sottomette le menti dei cittadini tramite il “controllo della realtà”, ossia il bipensiero e niente deve sfuggire alle maglie del suo dominio onnipervasivo. Il “controllo della realtà” e la falsificazione costante del passato servono a soggiogare il popolo tenendolo imprigionato in una forma di eterno presente: privo di memoria storica e senza più la capacità di usare la coscienza critica, l’uomo comune è costretto a crollare di fronte alla dissonanza cognitiva che viene indotta dal Grande Fratello, senza nemmeno accorgersi delle bugie a cui viene bombardato quotidiano. Dovrà quindi allinearsi completamente all’ortodossia, accettare e credere qualunque menzogna come dogma, anche qualora si dica che 2+2 fa 5.
Il peggior peccato che una persona può commettere è infatti lo psicoreato.Il Grande Fratello ha compreso che, per avere la totale sottomissione del popolo, deve penetrare nell’immaginario, nella mente di ogni cittadino per rimodellarla. Persino Winston verrà spremuto attraverso la tortura fino a “svuotarlo” per poter essere riempito dall’Ortodossia.
Il Partito studia e costruisce inoltre una neolingua dove i termini a disposizione siano così rarefatti e insignificanti da non permettere più a chi la usi di esprimere con parole concetti proibiti. La neolingua permette «di restringere al massimo la sfera d’azione del pensiero», rendendo di fatto «lo psicoreato letteralmente impossibile, perché non ci saranno parole con cui poterlo esprimere».
Psicopolizia, bipensiero e neolingua insieme controllano le menti dei membri del Partito, rendendo letteralmente impossibile formulare concetti appartenenti al passato. Il ricorso a sempre nuovi neologismi creati ad arte permette di pensare non più con le parole, ma a far sì che siano le parole stesse a pensare per noi. Ciò avviene perché esse sono svuotate di significato, sclerotizzate così come la mente delle persone è diventata schizofrenica a furia di essere manipolata e di vivere in un eterno presente in cui la storia viene costantemente riscritta. Il linguaggio viene ridotto all’osso, le parole diventano gusci vuoti, ideali per veicolare i concetti del bipensiero.
A quasi settant’anni di distanza dalla pubblicazione del capolavoro orwelliano le tematiche cardine del romanzo sembrano più attuali che mai.
Il pensiero unico oggi non richiede ancora la censura violenta ma rende ogni individuo censore di sé stesso.
Oggi più che mai assistiamo a una denigrazione continua di quei liberi pensatori che si arrischiano ancora a mettere in discussione certe scelte o dinamiche promosse dal potere. Non sono più necessari i metodi violenti per disincentivare un giornalista o un intellettuale (o sono comunque rari): lo si screditerà fino a farlo vergognare dei propri pensieri, lo si deriderà facendogli rischiare persino multe o la galera, gli si renderà impossibile scrivere e lavorare, affamandolo.
Su un altro fronte si rende più solerte la battaglia contro lo psicoreato. Ogni giorno alcune parole vengono “vietate” e ne nascono di nuove: neologismi che si conformano al diktat del politicamente corretto e che impediscono di pensare “male” e di deviare dall’Ortodossia.
Come se non bastasse, l’attuale diatriba sulle cosiddette fake news ha portato alla promozione di un clima di isteria che potremmo definire una “caccia alle streghe 2.0”. In un pieno rigurgito di maccartismo, dove al posto dei comunisti vengono perseguitati coloro che non si allineano al pensiero unico, è in atto una campagna che da un lato strumentalizza la violenza e il cyber bullismo dei social e dall’altro, in piena modalità schizoide, fa uso di questi metodi per attaccare, dileggiare, denigrare e screditare i ricercatori e i giornalisti “alternativi”. Costoro, come anticipato, arriveranno a vergognarsi di ciò che pensano, abbracciando il silenzio o “dandosi alla macchia”. I meno coraggiosi preferiranno non prendere posizione lasciando che siano altri a combattere le battaglie per procura.
In questo caso l’opinione pubblica, sapientemente manipolata, sembra legittimare l’uso della forza, la denigrazione, il clima di intolleranza, arrivando persino ad accettare di introdurre, il reato di opinione: una forma di psicoreato orwelliano secondo cui verrebbe punita non più l’azione ma la libertà di espressione e ancora prima di pensiero.
Non si potrà più pensare male: i propri pensieri e le proprie emozioni dovranno allinearsi al pensiero comune, globale, globalizzato. Sarà semplicemente vietato pensare fuori dal coro: la mente di tutti noi sarà definitivamente sotto controllo. Apparentemente, per una “buona” causa. Saremo cioè stati convinti, gradualmente, e sull’ondata dell’indignazione collettiva, a ritenere giusto che si apportassero misure di restrizione al web.
Dopo la globalizzazione delle merci stiamo assistendo a una globalizzazione delle coscienze. Ciò continuerà ad avvenire finché non decideremo di riappropriarci del nostro pensiero critico, ribellandoci all’attuale dittatura del pensiero unico.

Fonte tratta dal sito  .

fonte: http://wwwblogdicristian.blogspot.it/

giovedì 11 gennaio 2018

scie belliche nei libri di scuola





Della serie: il lavaggio del cervello dalla più tenera età. «Oggi, per ottenere la pioggia, i piloti del servizio meteorologico volano sopra le nuvole e spargono speciali sostanze chimiche che fanno gelare le minuscole gocce d'acqua delle nuvole e le trasformano in pezzetti di ghiaccio così pesanti che cadono. Quando i pezzetti di ghiaccio, cadendo, passano attraverso l'aria calda, si sciolgono in grosse gocce d'acqua: ecco dunque la pioggia!». Ovviamente ci sono anche i libri all’estero.



«Lo sapete che quando gli aeroplani volano, spesso lasciano dietro di sé una scia di umidità? E' chiamata 'contrail' (condensation-trail, scia di condensazione; ndt). Alcune contrails rimangono in cielo per lungo tempo dopo il passaggio dell'aereo. Queste scie di condensazione possono diventare cirri artificiali di origine umana».

«Riservato agli insegnanti: la parola contrail viene dalla frase 'condensation trail'. Le contrails sono nuvole che si formano quando il vapore acqueo condensa e si raffredda intorno a piccole particelle (aerosols) esistenti nelle emissioni degli aerei. Il vapore acqueo proviene dall'aria intorno al velivolo e dallo scarico dell'aereo. Lo studio delle contrails introduce importanti domande scientifiche, dal momento che sono nuvole la cui formazione è conseguenza diretta dell'attività umana. Un cambiamento nella quantità di nuvolosità d'alta quota risultante dalle scie di condensazione può modificare il clima. Per maggiori informazioni sulle scie di condensazione, consultate il GLOBE Teacher's Guide su www.globe.gov , o andate su asd-www.larc.nasa.gov/GLOBE/.

Capito cosa insegna (si fa per dire!)  la NASA ai bambini? Che alcune nuvole si formano come diretta conseguenza del passaggio degli aerei.

fonte: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/

riferimenti:






photomovie, Angelo Cricchi


sabato 6 gennaio 2018

l'origine del mito della Befana e il suo simbolismo


Di Carlo Sacchettoni

Sin dal Neolitico vi era un culto legato a una divinità che incarnava lo spirito degli antenati. 
Questa, in inverno, si materializzava alle famiglie riunite intorno al fuoco con sembianze femminili. Tale donnina con naso adunco era benaugurante per il raccolto dell’anno seguente.

San Epifanio di Salamina (315 circa - 403), nel Panarion adversus omnes haereses, racconta che già nel IV secolo, ad Alessandria d’Egitto, nella notte del 6 gennaio si celebrava un rituale che comportava la nascita di Aion, divinità legata ai miti della natura e alla fertilità, da una vergine Kore. Il rituale alessandrino, riferisce l’apologeta cristiano, era celebrato anche nelle città arabe di Petra e di Elousa.
Cosma di Gerusalemme conferma tale tradizione e aggiunge che il rituale era preceduto da un’altra cerimonia dedicata alla nascita del sole in coincidenza del periodo solstiziale, il 25 dicembre.
Sempre nell’antichità precristiana, in tutta l’area del Mediterraneo, la notte tra il 5 e il 6 gennaio nelle tradizioni agrarie pagane si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso il sacrificio di Madre Natura, rappresentata in modo decrepito e senile ...


Questa raffigurazione sarebbe da mettere in relazione con l’anno trascorso: Madre Natura, stanca per aver elargito tutte le sue energie, perso l’iniziale e giovanile vigore, diventa una vecchia pronta a sacrificarsi per lasciare il posto alla sua giovane e feconda erede, dispensatrice di buoni raccolti.

Per questo in molti Paesi dell’Europa era diffusa l’usanza di bruciare all’inizio dell’anno fantocci di cartapesta o di paglia, ricoperti da vestiti cenciosi e logori.Nell’antico Lazio questa grande Dea Madre era chiamata Bubona, termine legato ai bovini. In latino il bovino è bubúlinus, il bufalo è bubalus, bifolco si dice bufúlcum (corrispondente al latino classico bubúlcum, “guardiano di buoi”). 

Questi ultimi due termini dimostrano come la “b” intermedia sia soggetta a trasformarsi con l’evoluzione in “f” (bubalus – bufalo), mentre l’evoluzione di bubúlcus-bufúlcum dimostra come la “u” si trasformi nel tempo in “i”. Applicando le stesse variazioni a Bubona si ottiene Bifona, termine probabilmente trasformato poi in Befana, passando da Bifana. Allora, se questa peripezia linguistica fosse corretta, l’antica divinità vivrebbe ancora nella figura della “nuova” Befana.
Potrebbe non essere una coincidenza se in Basilicata la Befana è chiamata in dialetto Bufania, in Calabria Bifania, in Campania Bofania, in AbruzzoBbufanije.

Se nelle tradizioni precristiane il “giorno della Befana” rappresentava l’interregno tra la fine dell’anno solare (solstizio invernale) e l’inizio dell’anno lunare, oggi rappresenta la conclusione delle festività natalizie, combaciando con l’Epifania cristiana.
Infatti, il cristianesimo, non potendo accettare una festività di origine pagana, e non potendo fare nulla per evitare che la tradizione popolare ne mantenesse viva l’usanza, ne alterò completamente la storia collegando la Befana all’Epifania dei Re Magi, rendendola così “tollerabile” per il proprio credo.

Un’altra origine etimologica del nome Befana è strettamente legata al nome della festa cristiana. Nel dizionario etimologico Avviamento all’etimologia italiana, Giacomo Devoto spiega che il nome di Befana è un calco di Epifania “con lenizione settentrionale di p- in b-, ma alla cui invenzione non sarebbe estraneo l’aggettivo “benefico” col quale questo personaggio ha delle assonanze di significato oltre che fonologiche”.
Epifania, dal greco epiphàneia, che vuol dire “apparizione”, e quindi con il significato di “manifestazione della divinità”, fu cambiato dalla Chiesa cristiana d’Oriente in tà Epiphània ierà, cioè “feste della manifestazione” poiché Gesù aveva manifestato il 6 gennaio la sua natura divina oltre che umana in quattro tappe: nascita, adorazione dei Magi, battesimo e miracolo di Cana (in cui il Cristo compie il suo primo miracolo tramutando l’acqua in vino).


La Befana - Incisione di Bartolomeo Pinelli - 1821 - 
La Befana è una tipica figura del folklore di Roma. 
Da quasi un secolo piazza Navona è diventato il luogo più importante dove si celebra la festa della Befana: bancarelle piene di calze di tutti i tipi e dimensioni con i classici dolciumi e giocattoli.

La festa dell’Epifania, dunque, ebbe origine nella Chiesa orientale. Le prime notizie storiche su questa celebrazione ci sono state tramandate da san Clemente d’Alessandria, vissuto fra il I e il II secolo, il quale riferisce che la setta gnostica dei Basilidiani celebrava contemporaneamente la nascita e il battesimo di Gesù proprio il 6 gennaio. In questa data, fino a quasi tutto il IV secolo, sia in Oriente sia in Occidente, si celebrava la nascita di Gesù.

Nelle tradizioni popolari italiane la Befana è ora assimilata al sacrificio della dea Madre Natura, ora alla vecchina dei Re Magi. Così, trasformando l’origine sacra della ricorrenza in fenomeno di costume, si dà vita a diverse usanze, in primis il tradizionale dono della “Calza della Befana”.
In molte regioni italiane esiste ancora oggi accendere falò la notte dell’Epifania, per scacciare il male e propiziare la fecondità della terra e degli animali.Il fuoco e il rumore oltre a scacciare le presenze maligne, al tempo stesso, evocano la luce solare di cui si inizia a percepire il ritorno dopo il solstizio d’inverno.

In Veneto è ancora viva l’usanza di bruciare la vecia (la vecchia) su roghi improvvisati un po’ ovunque. L’uso di accendere fuochi in questa notte, retaggio di antichi riti celtici, è comune anche ad altre regioni della Francia e della Gran Bretagna.In Friuli dischi infuocati benauguranti e propiziatori si fanno ruzzolare sui fianchi delle colline e delle montagne (famoso è il “Lancio das Cidulas” che si svolge nella notte tra il 5 e il 6 gennaio a Comeglians, sulle montagne della Carnia), oppure si accendono covoni di rovi, chiamati pignarûl, con in cima un pupazzo che rappresenta la Befana (famoso è “Pignarûl Grant” della città di Tarcento).
In molti paesi del Veneto questi falò li chiamano panevin, e si crede che se le fiamme sono alte e vivaci, l’annata sarà buona e ci sarà “pane e vino” per tutti, se invece la legna stenta a bruciare e le fiamme sono deboli non rimane che sperare nell’infinita misericordi divina.

In alcune zone della Toscana e dell’Emilia Romagna, la Befana è ancora portata in giro per le vie del centro a bordo di un carro prima di essere bruciata nella piazza principale.
A Gradoli, in provincia di Viterbo, nelle notti del 3, 4 e 5 gennaio, gruppi di bambini, ma anche grandi, sfilano per le vie del paese, facendo un fracasso assordante: sono le “Tentavecchie” che, secondo una diffusa usanza popolare, cercano di svegliare la vecchia Befana e ricordarle di portare i doni ai bambini.
Nelle Marche, a Urbania, l’antica Casteldurante, da moltissimi anni si festeggia la “Festa Nazionale della Befana”. Ogni anno il Sindaco della città accoglie la Befana consegnandole le chiavi della città in nome degli abitanti dell’antica Casteldurante. La Befana arriva in cordata calandosi sulla città per poi entrare nella sua casa.

Una festa tradizionale molto popolare in Piemonte e in Lombardia, è la Giubiana o Festa della Giobia, specialmente in Brianza, nell'Altomilanese, nel varesotto e nel comasco.
L'ultimo giovedì del mese di gennaio vengono accesi dei grandi falò (o roghi) nelle piazze e bruciata la Giubiana, un grande fantoccio di paglia vestito di stracci. Il rogo assume valori diversi a seconda della località in cui ci si trova, mantenendo sempre uno stretto legame con le tradizioni popolari del luogo. L'ultimo giovedì di gennaio è il giorno, anzi la notte della Giubiana. Incerta è l'origine del nome per la mancanza di fonti scritte. Alcuni sostengono che esso derivi dal culto alla divinità di Giunone (da qui il nome Joviana). Altri ancora lo ricollegano a Giove, giovedì: il nome deriverebbe dal dio latino "Jupiter-Jovis", da cui l'aggettivo Giovia e quindi Giobia per indicare le feste contadine di inizio anno per propiziare le forze della natura che, secondo la credenza popolare, condizionano l'andamento dei raccolti. Il periodo della festa coincide con le Ferie Sementive o Sementine.

La storia di questo personaggio ha diverse varianti, a seconda dell'area geografica.

La Giubiana è una strega, spesso magra, con le gambe molto lunghe e le calze rosse. Vive nei boschi e grazie alle sue lunghe gambe, non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero. Così osserva tutti quelli che entrano nel bosco e li fa spaventare, soprattutto i bambini. E l'ultimo giovedì di gennaio va alla ricerca di qualche bambino da mangiare.
Le calze rosse, potrebbero metterla in relazione con le forze del fuoco e della luce solare, ma le calze rosse e le gambe lunghe ricordano anche le zampe della cicogna e la Holda era spesso identificata proprio con la cicogna. Inoltre anche la Giubiana vola, dato che non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero.

In Sicilia era nota una figura simile alla Befana che compariva nelle notti del 24, 31 dicembre e 6 gennaio e nel periodo di Carnevale-Quaresima, chiamata la Vecchia di Natali, che spesso si trasformava in uccello o in altri animali per lasciare regali ai bambini; molte figure simili alla Befana si collegano a divinità zoomorfe, e quindi si rifanno alla Signora degli Animali e ad un'arcaica Dea della Foresta.

L'arrivo della Vecchia di Natali è anche caratterizzato da frastuoni assordanti realizzati con gli strumenti più vari (corni di bue, cerbottane e buccìni di mare, campanacci, padelle, pentole e casseruole), da grida acute e da fischi da abisso infernale, una reminiscenza della Caccia Selvaggia.


Il fuoco usato per bruciare il fantoccio della Vecchia, è in realtà un fuoco di trasformazione della Vecchia in Fanciulla, essendo la Festa della Giubiana più vicino a febbraio e alla festa di Imbolc/Candelora che a gennaio (nelle leggende celtiche, come vedremo più avanti, la Vecchia diventa giovane bevendo l'acqua al Pozzo della Giovinezza e quindi viene anche lì sottolineata la fine dell'Inverno come una fase di rinnovamento).

La Befana non ha solo la “funzione” propiziatoria legata alla campagna e agli animali, ma nelle tradizioni popolari il giorno dell’Epifania porterebbe fortuna anche nel campo amoroso.
In alcuni paesi toscani la dodicesima notte dopo Natale è anche quella dei “Befani”. In Toscana, questi sarebbero dei fidanzati in prova scelti a sorte la sera del 6 gennaio: la coppia vive un “fidanzamento in prova” e se i due ragazzi s’intendono, si procede alla richiesta ufficiale con la partecipazione dei rispettivi genitori, ovviamente la prova non nuoce affatto alla reputazione della ragazza.

Nel Molise, invece, è usanza credere che le ragazze nubili, la notte dell’Epifania, se sognano un ragazzo quello potrebbe divenire il loro fidanzato. Per questo, prima di andare a dormire, le nubili fanno una preghiera di buon auspicio: “Pasqua Bbefania, Pasqua buffate, manneme ‘nzine [in sogno] quille ca Die m’è destinate”.


La funzione più famosa della Befana, resta quella di portare leccornie ai bambini e agli innamorati. 

Oltre alla tradizionale “Calza della Befana”, è usanza in molte regioni italiane, specialmente in Toscana, Sardegna, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, fare le “befanate”, ossia una processione con canti che gruppi di giovani intonano davanti le case per ricevere doni.
Sempre legata alla funzione di “portatrice di doni”, in Sicilia famose sono la Vecchia di Alimena, la Vecchia Strina di Cefalù, di Vicari, di Rocca Palumba, la Vecchia di Natale, già menzionata, di Ciminna, la Vecchia di Capodanno di Resuttano, la Carcavecchia di Corleone, tutte benefiche e mitiche befane che portano leccornie e giocattoli ai bambini.

Anche se sono entrambi portatori di doni del periodo natalizio, profonde differenze separano Babbo Natale dalla Befana.

Prima di tutto l’origine. Mentre Santa Klaus ha una matrice cristiana nel ricordo di San Nicola, fuso con elementi silvani della mitologia nordica, la Befana affonda le sue radici nella tradizione pagana del mondo greco-romano.

La vera antenata della Befana non è tanto la dea Strenia, che pur nell’antica Roma presiedeva lo scambio dei regali di Capodanno, quanto la dea Diana e il culto della fertilità, allorché si riteneva che nelle dodici magiche notti tra il 25 dicembre e il 6 gennaio, fantastici voli notturni di misteriose figure femminili, sopra i campi seminati, avessero una funzione propiziatoria per il futuro raccolto.
Questa credenza sopravvisse come tradizione delle popolazioni contadine europee anche dopo la cristianizzazione. Fu probabilmente in seguito alla condanna della Chiesa, che cercava di cancellare il retaggio pagano, che queste figure adepte di Diana furono bollate come entità maligne: nacque così la prima idea delle streghe, che cavalcano scope volanti per seguire il demonio e prendere parte ai “sabba” infernali.

L’immaginario medioevale diede corpo a diverse figure fantastiche di streghe che, si riteneva, affollassero quelle notte particolarmente propizie ai congressi satanici. Furono descritti vari personaggi: Satia, Abundia, Erodiade, Salomè. I sapienti di allora discutevano sulla loro natura, giudicandole prevalentemente di carattere maligno.
Fate, streghe e “vecchie” popolano anche ai giorni nostri la notte tra il 5 e il 6 gennaio: in Svizzera troviamo la strega “Posterli” e in Tirolo la strega “Zuscheweil”.


“La Befana vien di notte

con le scarpe tutte rotte…”.

Recita così una antica filastrocca italiana, sottolineando l’aspetto cencioso e quasi ripugnante che la magica vecchina sovente presenta. A differenza di Babbo Natale che, pur nella sua età avanzata, gode di un’immagine impeccabile e innegabilmente gradevole, la Befana non fa mistero della sua apparenza decrepita che incute timore e ribrezzo, soprattutto a i più piccoli.

Secondo alcuni, la Befana viene rappresentata in questo modo perché incarna l’immagine dell’anno vecchio, del quale si ricordano i momenti peggiori. La sua “bruttezza” avrebbe una funziona apotropaica: racchiuso nella forma di una vecchia lurida, tutto il negativo dell’anno appena trascorso verrebbe incapsulato in una figura sacrificale (la “vecia” che viene bruciata), che tuttavia si riscatta portando doni ai bambini buoni, in una sorta di singolare equilibrio fra il bene e il male. Fatte salve tuttavia alcune rappresentazioni più benevole di questo personaggio, dove la figura non assume caratteristiche terrifiche, ma solo i tratti marcati dal tempo di una tranquilla vecchietta, la Befana deve il suo aspetto, più spesso ributtante, alla matrice maligna della sua origine.


Anche se buona, la Befana è pur sempre una strega e nell’immaginario formatosi dal Medio Evo la stregoneria è sempre stata associata all’idea della magia nera. 

Può sembrare un paradosso o una contraddizione, ma in questo personaggio convivono elementi positivi e negativi al tempo stesso, anche se, nel risultato finale, prevale l’azione generosa e benevola della consegna dei doni. Nell’antichità la magia benefica era permessa; quella malefica punita con la morte (Decreto di Costanzo del 321 d.C.). La Chiesa primitiva condannò la stregoneria e identificò le forze spirituali che gli stregoni invocano con le divinità del mondo pagano. 

Diversi Concili stabilirono pene spirituali per chi ricorresse a queste pratiche. Successivamente si fece strada l’idea che i sortilegi fossero dovuti alla mano del diavolo. Tutte quelle figure fantastiche femminili, antenate della Befana, non potevano sfuggire dall’essere classificate come demoniache da questa corrente di pensiero, che fece tendenza e sfociò negli eccessi dell’Inquisizione. La Befana, per quanto amata dalla tradizione italiana, non è mai riuscita a scrollarsi di dosso questa immagine vagamente maligna, intrinseca nelle proprie radici. In alcune zone del Veneto, e in particolare nella provincia di Belluno, prevale la componente malefica del personaggio e viene cancellato completamente il ruolo di dispensatrice di regali.

La Befana, al contrario di Babbo Natale che è scapolo, ha diversi mariti, che la tradizione popolare delle varie regioni le ha di volta in volta affibbiato. 

Nel basso Veneto, dove la Befana viene chiamata semplicemente “Vecia”, si dice che suo marito sia il “Barabau” o il “Vecion”: una sorta di spauracchio per i bambini disubbidienti. Nel Ferrarese, si diceva che il consorte della Befana fosse nientemeno che Sant’Antonio Abate, protettore degli animali festeggiato il 17 gennaio: esattamente 10 giorni dopo l’Epifania. Ma perché proprio Sant’Antonio Abate? È stato riconosciuto da molti che Sant'Antonio Abate sia in realtà la versione cristiana del Dio Lugh, innanzitutto viene sempre rappresentato con accanto un maialino e secondo gli studiosi, all'inizio si trattava di un cinghiale, attributo del dio celtico Lugh, venerato in Gallia ma che compare anche nelle saghe irlandesi, ritratto come un giovane che tiene tra le braccia questo animale.

Poiché le reliquie del santo erano giunte in Francia, i primi cristiani celti trasferirono nel santo gli attributi del dio pagano e nelle leggende di Sant'Antonio Abate ecco che s'inserisce il cinghiale, diventato poi maiale per estirpare il ricordo precristiano, e nascono due leggende per cristianizzare gli emblemi, la prima racconta che il cinghiale-maiale fosse il diavolo sconfitto da Antonio resistendo alle tentazioni, la seconda dice che un giorno il Santo guarì un maialino e da quel momento questi lo seguì fedele come un cane.
In onore di Sant'Antonio Abate (che si invoca per guarire il famoso fuoco di Sant'Antonio) si accendono dei falò e anche Lugh era un dio solare ed era dispensatore di fuoco agli uomini.

Si dice che anche il campanellino di cui era ornato il maialino nell'iconografia cristiana fosse in realtà un simbolo di vita e morte, e la campana rappresenterebbe l'utero della Dea Madre, di cui Lugh era figlio.
Qualche giorno prima del dì della festa di Sant'Antonio, in molte località italiane, gruppi di uomini del paese andavano in giro di porta in porta a fare la questua, cioè a chieder cibarie che poi sarebbero servite ad allestire il banchetto in onore del Santo, cantando e suonando, in alcuni casi anche mettendo in opera una pantomima teatrale. Quindi si tenevano abbondanti banchetti dove la carne di maiale la faceva da padrona e si diceva che il cibo di questi banchetti allontanasse i mali, avesse poteri di protezione e alleviasse il peso della gestazione alle donne partorienti.


Anche in alcune leggende celtiche una personificazione della nostra Befana che era la Cailleach Bui è conosciuta come la moglie (una delle mogli) di Lugh.

La Cailleach Bui, chiamata anche Cailleach Bheur o Cailleach Beira è la personificazione dell'inverno e la madre di tutti gli dei e le dee della mitologia scozzese e irlandese. È associata ad uno dei miti della creazione dei Celti, si dice che numerose montagne e colline di grandi dimensioni si siano formate quando camminava attraverso la terra e alcune rocce caddero accidentalmente dal suo grembiule oppure che li abbia costruiti intenzionalmente per usarli come trampolini di lancio, e che usa un martello per plasmare colline e valli.

Detiene un ruolo simile a Gea nella mitologia greca e a Jord nella mitologia norrena.
Secondo lo studioso di folklore Mackenzie, era una gigantessa con un occhio solo e i capelli bianchi, la pelle blu scuro e i denti color ruggine. La notte più lunga dell'anno segna la fine del suo regno come Regina dell'Inverno ed è il momento in cui visita il Pozzo della Giovinezza e, dopo aver bevuto la sua acqua magica, diventa più giovane di giorno in giorno.
Tornando alla Befana, in Toscana, invece, la vecchietta fa coppia fissa con il Carnevale, considerato suo legittimo sposo:

“La Befana s’è risolta

di voler pigliare marito.

Carnevale è lì ammanito
che la vuole viva o morta…


Questa poesiola popolare toscana conferma la natura completamente profana della Befana: essendo figlia delle streghe, non può non essere moglie che del Carnevale, re di vizi e follie.

Da: La storia di Babbo Natale, di Carlo Sacchettoni: www.macrolibrarsi.it

fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/

i Catari e la stirpe di Enki

Quando pensiamo alla parola “olocausto” ci viene subito in mente una pagina molto triste della nostra storia: il massacro degli Ebrei ordinato dai nazisti. Tuttavia in pochi ricordano un precedente forse ancora più cruento: il primo olocausto mai avvenuto in Europa, che ebbe luogo fra il 1208 e il 1244 allorché la Chiesa Romana attaccò selvaggiamente i Catari, i pacifici “eretici della Linguadoca” nella Francia meridionale con una violenza ed un’arroganza paragonabile soltanto alle atrocità naziste durante la seconda guerra mondiale. 
I Catari, letteralmente “i Puri”, seguivano il culto della dèa madre Mari (che significa“amore”). Il motivo per cui la Chiesa ordinò il loro massacro risiede nella differente visione di Cristo che i Catari avevano rispetto ai Cattolici. Essi sostenevano infatti di possedere un segretissimo Libro dell’Amore, un misterioso manoscritto attribuito a Gesù e da lui affidato a Giovanni.
Tale libro venne tramandato nei secoli e fu adottato sia dai Templari che dai Catari, e costituiva il fondamento della Chiesa Catara dell’Amore. Questo documento condusse alla fine sia dei Catari che dei Templari. Esso conteneva conoscenze segrete come l’abilità di controllare le forze della natura. Secondo le credenze dei Catari un oggetto sulla Terra era un veicolo per la luce dello Spirito Santo (l’amore). Il Graal non era una coppa ma un processo.
Gesù impartiva i suoi insegnamenti nella lingua precedente al Diluvio, la lingua Oc (da cui Linguadoca, il luogo dove dimorarono i Catari). Oc è anche la radice di occhio e deriva dal termine egizio Ak, che significa ‘luce’. Illuminismo deriva da esso. Il geroglifico egizio per “fenice” , l’uccello di luce, (akh), somiglia tantissimo al simbolo stilizzato di Gesù, ed entrambi sono strutturalmente identici al simbolo matematico dell’infinito che però appare scritto come OC.
Quando la Chiesa Romana consolidò il proprio potere nel IV secolo d.C. fece in modo che la gente non aderisse a questa corrente, che si rifiutava di pagare le tasse e non prevedeva figure sacerdotali. Nacque così la Criptocrazia, vale a dire il governo basato sui segreti o dogmi. Roma assimilò in quel periodo il pantheon degli antichi dèi e dèe (Greci, Egizi, Sumeri, Ariani ed Asiatici) in un unico essere demoniaco.
Tutte le nazioni straniere furono considerate adoratrici del Diavolo. Lucifero (“portatore di luce”) divenne sinonimo di Diavolo. Da un prospettiva mitologica, la differenza tra Cattolici e Catari è perfettamente codificata nella differenza fra le parole ol e ar o ari.
Ol significa “tutto”. É il desiderio dei Catt-OL-ici di essere la religione universale. Ar significa “prima”. È la radice di Arian, la dottrina cristiana gnostica votata durante il concilio di Nicea, indetto nel 325 dall’imperatore Costantino per formulare ufficialmente la dottrina cristiana.
Gli Ariani affermavano che Gesù era per metà divino e per metà uomo. I Niceani che egli era Dio. Vinsero questi ultimi. Gli Ariani furono dichiarati eretici. Questo spiega anche il profondo interesse di Hitler ed Himmler verso i Catari. Essi erano Ariani. Ciò non vuol dire che fossero biondi con gli occhi azzurri, ma che portavano dentro di se il sangue nobile della razza divina. Hitler sognava di creare una super razza mediante l’eugenetica: i segreti del sangue dei Catari erano come oro per lui.
Secondo il Budge’s Egyptian Hieroglyphic Dictionary, Ar significa, “fare, creare, formare, forgiare.” È la radice di Ari, la forza creatrice divina.
Nel 1934 l’archeologo Walter Andrea scoprì una magnifica statua di Mari vecchia di 3200 anni presso un suo tempio in Siria. Chiamata “La Dèa con il Vaso,” Mari tiene in mano una coppa ed indossa un casco cheZecharia Sitchin afferma le servisse per viaggiare nello spazio. Indossa anche una collana con pietre blu. Suo marito era raffigurato come un serpente saggio chiamato EA.
Mari ed EA sono i prototipi di Eva ed il Serpente, gli antagonisti di Yahweh nel giardino dell’Eden. Fu dunque il legame con Mari ed Enki e la loro connessioneAriana che portò allo sterminio dei Catari. Essi erano gli ultimi discendenti dell’antico sangue divino. [gruppo zero rh negativo? ndr]
Enki era il grande scienziato Anunnaki di cui abbiamo traccia nei racconti Sumeri. Gli Gnostici lo chiamavano “Grande Luce”.
Egli scese sulla Terra in cerca di minerali grezzi insieme ad un gruppo di dèi chiamati Anunnaki, “Coloro che dal Cielo discesero sulla Terra”. Come sappiamo, Enki modificò geneticamente la razza umana.
Contrapposto a lui era il suo fratellastro Enlil, che voleva cancellare la razza creata da Enki grazie al Diluvio.
Enki ed Enlil erano rivali ben prima di mettere piede sulla Terra. L’umanità divenne la loro arma. Enki ed i suoi sacerdoti, cercando di innalzare l’umanità alrango di divinità grazie ad un’istruzione globale e alla rivelazione dei segreti di cui era custode. Enlil cercando di mantenere gli uomini al livello di schiavi grazie ad una politica criptocratica.
I racconti Sumeri chiariscono che Enki diede la conoscenza all’umanità.
I discendenti di quella razza pura precedente al Diluvio creata da Enki esistono ancora in rifugi sacri, fra i quali la Linguadoca. .

Fonte tratta dal sito .

fonte: http://wwwblogdicristian.blogspot.it/

giovedì 4 gennaio 2018

pandemia United States of America






di Gianni Lannes

Alla radice del male c'è un'infezione a stelle e strisce mai debellata. Un consorzio privato straniero e non il Parlamento italiano sulla base di un riscontro scientifico, ha imposto che neonati, bambini e adolescenti sani italiani debbano essere bombardati da una miriade di vaccinazioni obbligatorie. Così politicanti e camici sbiancati italidioti sul libro paga di chi fabbrica e commercializza  vaccini, hanno eseguito l'ordine innescando in Italia una deriva totalitaria. La magistratura nazionale perché non si attiva? Mancanza di indipendenza e sovranità?

Global Health Security Agenda: agenda globale di sicurezza sanitaria controllata dalle multinazionali farmaceutiche. Ecco l’ordine presidenziale per decreto del presidente Barack Obama risalente al 4 novembre 2016, sempre in vigore nonostante Trump.Ogni governo dovrà impegnarsi ed attivarsi con ogni mezzo e misura al fine di sottomettersi all'agenda di sicurezza globale sanitaria. Sono coinvolti: i ministeri, i dipartimenti, le istituzioni pubbliche e private, le forze dell'ordine, le agenzie di sicurezza nazionali, l'Interpol, gli ospedali, le università, le scuole di ogni ordine e grado.



L’Italia dove non c’è alcuna epidemia è il paese prescelto per l'inizio della fine. Il 26 settembre 2014 a Washington il ministro Lorenzin, coadiuvata da Raniero Guerra (promosso tre giorni dopo addirittura direttore generale del ministero della Salute, e più recentemente salito nell'empireo dell'Oms) e Sergio Pecorelli allora capo dell’Aifa, accettano l’ordine imposto da Obama, tradotto nell’incostituzionale decreto legge numero 73 del 7 giugno 2017 (convertito in legge 31 luglio 2017, numero 119).

La Glaxo Smith Kline viene condannata in tutto il mondo, eppure in Italia gli viene consentito di usare i bambini come cavie. 


Post scriptum:

Ecco le dichiarazioni testuali di David Rockfeller (a capo di Big Pharma) risalenti al 1991:

David Rockefeller: Diremo loro che se questi bambini non vengono vaccinati...si ammaleranno delle malattie più terribili: poliomelite, meningite, persino cancro, e tutte quelle che potremo trovare o eventualmente inventare.

Novartis: Ma è una balla enorme: il sistema immunitario è la cosa più prodigiosa che esista, sappiamo che le malattie avvengono per l'inquinamento, la mancanza di igiene, di una buona alimentazione.

Rockefeller: Beh, questo lo sappiamo noi. Non è necessario che lo sappiano anche loro. Anzi, li faremo vaccinare anche contro le normali malattie infantili che in realtà rendono i bambini più forti.

Novartis: Ma vaccinando i bambini con tanti vaccini insieme, provocheremo stragi. Milioni di bambini uccisi o handicappati per sempre. Come potremo nascondere tanto orrore?

NSA: Beh. abbiamo molti più mezzi di Hitler, Stalin e Mussolini, e soprattutto li abbiamo estesi su tutto il pianeta. Possiamo creare un pensiero unico. Un pensiero politicamente corretto. Un pensiero su cui debbano essere tutti d'accordo, e chi non è d'accordo sarà facilmente messo alla gogna. Rispetto al singolo dettaglio dei vaccini, basterà dire che si vedono i bambini vittime dei vaccini, ammesso che lo siano veramente, ma non quelli che i vaccini salvano da molte più sciagure e malattie.

Novartis: In ogni caso spetterà a questi genitori disgraziati sobbarcarsi cause decennali e costosissime per dimostrare che le malattie o le morti dei loro figli siano da addebitarsi ai vaccini. Noi abbiamo dalla nostra parte i medici, i giornali, le televisioni, gli interi sistemi sanitari nazionali, i governi e i politici a cui finanziamo le campagne elettorali. Possiamo pagare gli avvocati che vogliamo, quanti ne vogliamo, per quanto tempo vogliamo! 

Rockefeller: Che avvocati potranno mai pagarsi questi genitori, già condannati per tutta la vita a curare e sobbarcarsi dei figli gravemente invalidi, per noi sarà come sparare sulla Croce Rossa, con la differenza che noi non osserviamo le Convenzioni di Ginevra. Ah ah ah! Il mondo è pronto per raggiungere un governo mondiale. La sovranità sovranazionale di una élite intellettuale e di banchieri mondiali è sicuramente preferibile all'autodeterminazione nazionale praticata nei secoli passati. 


riferimenti:





lunedì 1 gennaio 2018

Galloni: moneta sovrana e posti di lavoro, o addio Italia

Macché reddito di cittadinanza: serve moneta sovrana per creare 7-8 milioni di posti di lavoro, nel più breve tempo possibile, o il grande capitale straniero – francese, in primis – sbranerà quel che resta dell’Italia. Così Nino Galloni risponde all’allarme lanciato sul “Corriere della Sera” da Roberto Napoletano, già direttore del “Messaggero” e del “Sole 24 Ore”: «La Francia ha un disegno di conquista strategico e militare sull’Italia: indebolirne le banche, prenderne i gioielli, conquistare il Nord e ridurre il Sud a una grande tendopoli». Attenzione, perché Napoletano è stato molto vicino al potere: «Quindi, se in questo momento lancia un grido d’allarme così forte – dichiara Galloni a Claudio Messora, su “ByoBlu” – vuol dire che effettivamente chi è vicino al potere ha la percezione di quello che potrebbe succedere in Italia da qui a uno o due anni: una situazione sociale che si sta sempre più lacerando, fino a un’eventuale rottura». In estrema sintesi: se lo zero-virgola di Pil dell’ultimissima mini-ripresa racconta che 20 milioni di italiani stanno un po’ meglio, ce ne sono 15 che restano in condizioni di povertà vera e propria, mentre 25 milioni di italiani stanno scivolando verso il baratro, senza neppure il paracadute del welfare, che ormai è residuale e protegge solo i poveri.
Non si sa fino a che punto tutto questo sia sostenibile, riassume Galloni, economista post-keynesiano e vicepresidente del Movimento Roosevelt. Il paradosso? «Quelli che stanno bene possono permettersi di pagare di tasca propria i servizi sanitari Nino Galloniper i figli, l’assistenza agli anziani e quant’altro. I più poveri, bene o male, hanno accesso alla gratuità. Ma il grosso della classe media non ha sufficiente reddito per pagarsi i servizi essenziali, e in alcuni casi neppure per fare la spesa al supermercato o andare al cinema, al ristorante o in vacanza, per pagare le bollette, le rate del condominio. E non ha neppure accesso alla gratuità del welfare residuale». Il guaio? Ci sta crollando addosso la storia. Una storia “sbagliata”, che ha cominciato ad andare storta proprio quando l’Italia ha cessato di essere prima “un’espressione geografica”, e poi un paese popolato di contadini analfabeti. Ai fratelli maggiori d’Europa non è mai andato giù il fatto che il Belpaese potesse stupire il mondo con il suo sviluppo da record, il boom del dopoguerra fondato sull’industria. Probabilmente avremmo potuto superare la Francia, dice Galloni, se non ci fossimo fatti sfilare di mano il futuro delle telecomunicazioni, a patrire dalla geniale invenzione di Olivetti: il personal computer.
Poi, aggiunge l’economista, fu essenziale il passaggio dell’89 in cui la Germania, per riunificarsi, rinunciò al marco per ottenere l’appoggio della Francia e puntare al suo vero obiettivo strategico: frenare l’Italia. «Perché un’Italia estremamente competitiva avrebbe reso proibitiva l’opera di riunificazione della Germania». Ma i “cugini” d’oltralpe, ricorda Galloni, prima ancora dei tedeschi hanno sempre lavorato contro l’Italia, contribuendo a far fuori gli italiani più decisivi, a cominciare da Enrico Mattei. Il capo dell’Eni era odiato dalle Sette Sorelle perché concedeva più soldi ai paesi petroliferi, ma a costargli la vita fu lo scontro con Parigi sul gas algerino: di fronte alla mano tesa dei francesi per accordarsi su quel business, Mattei rispose “no, grazie”. Disse: «Io tratterò solo col legittimo governo algerino, quello del popolo, che è rivoluzionario e anti-francese». E così avviene: «Gli algerini – ricorda Galloni – vincono la loro guerra di indipendenza nazionale, fanno gli accordi Berlusconi e Gheddaficon l’Italia e però, poco dopo, Mattei viene ucciso. Le ultime ricostruzioni convergono sul coinvolgimento dei servizi segreti francesi».
Poi è il turno di Aldo Moro, «altro uomo odiatissimo in Europa». Si era lamentato del fatto che i francesi e gli stessi “servizi” della Fiat (che come l’Eni aveva una sua “polizia segreta”, in gran parte composta da ex poliziotti e carabinieri) non comunicassero tutte le notizie riguardo alle Brigate Rosse, e che addirittura alcuni brigatisti venissero ospitati in territorio francese. Mattei e Moro, quindi Berlusconi: voleva evitare la guerra con la Libia scatenata da Sarkozy, ma è stato “convinto” dal crollo in Borsa del titolo Mediaset, precipitato del 40% in poche ore. Così ha dovuto «abbassare la testa e accettare la terza grande aggressione degli interessi nazionali dell’Italia da parte da parte dei francesi». Ci hanno sempre messo i bastoni tra le ruote, ma il peggio è che adesso l’ossigeno di sta esaurendo: «Non abbiamo più un welfare universale, abbiamo solo un welfare residuale che sta creando ulteriori lacerazioni sul territorio, anche perché spesso è destinato soprattutto agli immigrati. E quindi crea tensioni politiche e sociali che poi diventano determinanti nelle scelte dell’elettorato». Nonostante ciò, osserva Galloni, l’Italia non è ancora crollata: ha dimostrato capacità di resistenza impensabili.
«In Italia ci sono 4 milioni di imprese, su quattro milioni e mezzo, che ormai sono fuori dal capitalismo perché non lavorano più per il profitto, ma per controllare risorse reali, darsi una dignità, un futuro». Aziende che «sfuggono a quelle che sono le regole dell’economia e della finanza». Anziché vendere l’azienda e vivere di rendita finanziaria, quattro milioni di imprenditori italiani – caso unico, in tutto l’Occidente – hanno tenuto duro pagando le tasse sulle perdite, senza nessun aiuto dal sistema bancario, e in più con infrastrutture oblsolete e la pubblica amministrazione che rema contro. «Però queste piccole imprese italiane hanno la caratteristica di essere competitive sui mercati internazionali, tant’è che noi siamo, con la Germania, l’unico paese che ha visto aumentare le esportazioni». Stiamo parlando di 9 miliardi di euro: «Non è tanto, però è significativo che ci sia un segno positivo. Ma ancora più significativo e positivo è che ci sia stata una riduzione di 40 miliardi di euro nell’importazione di prodotti agricoli e alimentari, dovuta ad un impressionante ritorno di tre milioni e duecentomila giovani che si sono impegnati nell’agricoltura, per fare quello che i loro padri non volevano più fare: riprendere il mestiere dei nonni». Banlieue, ParigiGiovani che «sono tornati a fare quello che si faceva in Italia prima del miracolo economico, che è stato soprattutto industriale».
Abbiamo perso tutta la nostra grande industria privata, compreso l’80% di quella a partecipazione statale, che era un gioiello (ma quel 20% che ci rimane ancora fa molta gola a parecchi, compresi i francesi). Però, aggiunge Galloni, abbiamo mantenuto in vita l’80% della piccola industria, delle piccole imprese. «Stiamo parlando di più di 7 milioni di famiglie, che poi corrispondono grossomodo a quel 50% di elettorato che non va più a votare: è gente che non si farà abbindolare da nessuno di quelli che si presentano alle elezioni». La Francia non sta molto meglio: il suo grande problema, sociale, è quello che divide i francesi dagli immigrati, cittadini di serie B. «Da noi è esclusivamente un problema di censo, mentre da loro è un problema di nazionalità: e questo fa sì che lo studente che si è preso una laurea e che vive nella banlieue parigina non potrà mai accettare questo sistema francese». Ora, i grandi potentati finanziari – che finora si erano orientati verso i grandi immobili, i grandi alberghi – adesso stanno puntando all’agricoltura, ai terreni. E con la scusa delle crisi del sistema bancario italiano «cercheranno di entrare con grandi capitali per comprare i mutui al 10-20% del loro valore nominale, per poi rivendere gli appartamenti al 20-30% del mutuo residuo stesso. È un’operazione semplicissima, però potrebbe essere estremamente drammatica».
Però poi è difficile che queste ciambelle riescano col buco, aggiunge Galloni, «perché l’Italia ha le energie per reagire e rimettersi in pista». Grande incognita, ovviamente, l’Unione Europea: avremo ancora il “quantitative easing” della Bce o prevarrà un ritorno alle posizioni più rigide, con la riapertura dell’incubo spread, che è un grande ricatto nei confronti del paese? Si insisterà sul Fiscal Compact, «che ovviamente ci metterebbe in ginocchio», oppure i “falchi” perderanno e ci sarà un recupero di fiducia fra i vari paesi? «I grandi potentati finanziari e le grandi multinazionali sono, per loro stessa natura, predatori: non guardano in faccia a nessuno. E dove vedono delle prede di più facile cattura  (come siamo noi italiani, perché non abbiamo un governo, una guida, non abbiamo una pubblica amministrazione che funziona, non abbiamo un sistema bancario adeguato alle condizioni e non abbiamo – salvo alcune eccezioni – un sistema infrastrutturale adeguato) è chiaro che Trenitalialoro se ne approfitteranno». Nel 2018 saranno quotate in Borsa le Ferrovie dello Stato? Pessima idea: «Dopo, invece d’inseguire il miglioramento del servizio, dovranno inseguire l’aumento dei saggi d’interesse, altrimenti il titolo perderebbe valore».
Lo sappiamo: è in atto una sorta di deindustrializzazione dell’Italia, a vantaggio di élite europee ed extra-nazionali a svantaggio della nostra popolazione. Come possiamo tenerci le industrie? «Dei modi ci sarebbero», risponde Galloni, «ma fanno perno sul ripristino della sovranità nazionale», che non è per forza la chiusura delle frontiere. La sovranità “saggia”, e ormai indispensabile, poggia sulla consapevolezza che quest’Europa dell’euro non sta funzionando: potrebbe implodere. Il Piano-B? «Affiancare alla moneta internazionale – che è straniera – una moneta nazionale». E gli altri paesi dovrebbero fare lo stesso. «Una moneta nazionale non è proibita dai trattati europei, perché avrebbe solo circolazione interna, ma sicuramente servirebbe per fare quegli investimenti e quelle assunzioni – dove servono – per ridare respiro al paese e ripristinare quel concetto di “welfare universale” che ci salva dalla guerracivile». Dopo il 1970, quando cioè l’umanità ha raggiunto livelli record di capacità produttiva, «la crisi ha iniziato a significare che la gente non ha abbastanza reddito». E perché il denaro non circola, beché ormai svincolato dal valore dell’oro? Presto detto: «Non esercitando più la propria sovranità monetaria, lo Stato si trova nella stessa situazione di un qualunque disgraziato che debba chiedere un prestito, se vuole fare investimenti. E non ne può fare di più grandi rispetto a quello che incamera con le tasse».
Ma quello delle tasse è un falso problema, spiega Galloni: se si tagliano le tasse ma anche la spesa pubblica, la gente avrà più soldi ma li spenderà tutti per pagare i servizi che prima erano gratuiti. A quel punto la classe media si impoverisce, faccendo crollare i consumi: addio quindi a qualsiasi possibile ripresa. «I consumi aumentano se aumentano i salari, ma oggi non ci sono le condizioni: purtroppo ce le siamo bruciate per tutta una serie di scelte furiosamente sbagliate in tutti i campi, cioè tutte le politiche che hanno portato la flessibilizzazione del lavoro in precarizzazione». Questo ovviamente ha impoverito tutti, «tranne le multinazionali che venivano qui a depredare». Ma l’impresa normale «non ha un vantaggio se i lavoratori sono sottopagati, perché allora chi compra i suoi prodotti?». Si potrebbe rispondere: ci pensano le esportazioni. «Ma per essere competitivi con le esportazioni – cioè con paesi dove i salari sono ancora più bassi dei nostri – devi ridurre i salari. Quindi è sempre un cane che si morde la coda, perché per essere competitivo devi ridurre la domanda interna, ovvero l’economia eurointerna. Che è esattamente il modello europeo. Per questo non funziona, il modello europeo. Se non si supera questo modello deflattivo, il salario sull’occupazione, non ne esce vivo nessuno. Questo lo devono capire i francesi, i tedeschi o gli olandesi e tutti quanti».
Che può fare l’Italia, da subito? Lo Stato può emettere una sua moneta, in qualsiasi momento. Il Trattato di Maastricht (articolo 128a) dice che non possiamo stampare banconote. Che problema c’è? Basta stampare “Statonote”, a circolazione nazionale, da usare per assumere e per fare investimenti, «perché poi chi le accettasse le utilizzerebbe per pagare le tasse». In questo modo, si aggirerebbe anche la tagliola del pareggio di bilancio in Costituzione (regalo di Monti), «perché se abbiamo spese superiori alle tasse, basterà aggiungere questa moneta sovrana, la quale – non essendo a debito – avrà lo stesso segno algebrico delle tasse, e cioè il segno più. Quindi: tasse più moneta sovrana, uguale spesa. E abbiamo anche il pareggio di bilancio senza tanti drammi». E possiamo persino coniare degli euro. Le monete vengono stabilite dalla Bce in base a dei plafond nazionali, «quindi non possiamo coniare monete della stessa pezzatura di quelle che abbiamo in tasca. Ma possiamo farlo con altre pezzature. Già la Finlandia lo fa con monete da 2,50 euro, e la Germania ha emesso monete da 5 euro. Anche in Italia sono state emesse monete da 10 euro».
In Europa, fino al 1979 la filosofia dominante era che chi fosse stato più forte doveva fare delle rinunce per aiutare gli altri. Funzionava fino a un certo punto, «perché comunque i francesi e tedeschi facevano i marpioni, i furboni, e noi italiani – come al solito – invece aiutavamo gli spagnoli, i greci e i portoghesi a entrare». Dopo il 1979, con il G7 di Tokyo, si rompe il patto di solidarietà e l’Europa ne risente, «per cui il progetto europeo diventa un altro», continua Galloni. «E allora avvengono tutta una serie di scelte che poi porteranno all’euro». A quel punto l’abbrivio è stato molto negativo, ma si voleva fare una politica “di convergenza” che costringesse gli Stati ad avere gli stessi parametri finanziari, anche se avevano situazioni diverse a livello di economia reale. E poi magari si dava un contentino con i fondi la coesione, che furono utili soprattutto per i paesi come la Polonia, che entravano nell’Unione Europea in condizioni molto difficili. «Però alla fine ci siamo trovati con un’Europa dove l’obiettivo è la massimizzazione delle esportazioni, anche a basso valore aggiunto, che si realizzano riducendo salari e occupazione. Quindi è una politica deflattiva dove l’euro funge da moneta straniera, artificiosamente scarsa, che per averla Draghidevi pagare». Una vita d’uscita? «La moneta parallela statale, che non è a debito». Non è l’unica soluzione, ma è un passaggio fondamentale: «Dobbiamo rompere l’artificiosità della scarsità, perché sennò non ne usciamo».
Ad esempio, per fare il reddito di cittadinanza «dobbiamo togliere a una parte della classe media delle risorse per darle a quelli che non hanno reddito». Errore: il vero reddito di cittadinanza, dice Galloni, deve consistere nella creazione di 7-8 milioni di posizioni lavorative «per mandare a regime tutte le esigenze della società italiana in termini di ambiente, di assetto idrogeologico del territorio, di cura delle persone (soprattutto gli anziani, ma anche i bambini) e di recupero del patrimonio artistico, archeologico e comunque esistente: manutenzioni, strade e ferrovie». Quindi, «se davvero vogliamo essere un paese moderno, è chiaro che abbiamo bisogno di 7-8 milioni di addetti». Ma non ne abbiamo, «quindi non c’è bisogno di fare il reddito di cittadinanza». C’è bisogno, invece di lavoro: che si può creare rapidamente, con moneta sovrana. «Dobbiamo rompere la condizione di scarsità artificiosa, che è voluta per asservire la gente e rendere la democrazia un costo. Invece, la democrazia dev’essere un modo che noi scegliamo per vivere, come scritto nella nostra Costituzione. Se invece diciamo che la democrazia non ce la possiamo permettere – perché non abbiamo i soldi per gestirla – è chiaro che non c’è soluzione».

fonte: http://www.libreidee.org/