domenica 27 settembre 2015

sfruttati da Amazon, sono i nuovi schiavi del XXI secolo

Un articolo dell’“Huffington Post” interviene sulla polemica fra il “New York Times” e il boss di Amazon, Jeff Bezos, innescata dal recente servizio che il prestigioso quotidiano ha pubblicato sulle spaventose condizioni di lavoro che il colosso globale del commercio online impone ai propri dipendenti. Il tema non è nuovo (anche in Europa ci sono state denunce del fenomeno e diverse vertenze sindacali) ma il pezzo dell’“Huffington Post” arricchisce il dossier di alcuni particolari raccapriccianti, come i “processi” nei confronti dei dipendenti “pigri” (spesso istruiti in base alla delazione di qualche collega, pratica che viene sistematicamente incoraggiata e premiata dalla direzione), laddove il concetto di pigrizia è ben definito da una ex dipendente: «Se non sei in grado di dare assolutamente tutto per 80 ore settimanali, vieni classificato come un peso da scaricare». E ancora: dipendenti malati di cancro rimproverati per il loro scarso rendimento, e via di questo passo. Ma in fondo non c’è motivo di stupirsi. Infatti, come recita giustamente il titolo dell’articolo, “Amazon si è limitata a perfezionare ciò che la cultura americana del lavoro ha creato”.
Un concetto ribadito da Sydney Finkelstein, un docente di management che dichiara all’autrice del pezzo: «Amazon sta perfezionando il modello di business americano: lavorare giorno e notte: loro rappresentano la punta di diamante che traccia il Jeff Bezos, di Amazonfuturo del lavoro nel nostro paese, ci fanno vedere cosa ci aspetta e non è un bel vedere». Ma non si era detto che le condizioni del lavoro nell’industria hi tech sono le migliori che un lavoratore possa sognare? Chi non ricorda le descrizioni entusiastiche di un ambiente di lavoro come il Google plex, cuore dell’impero del motore di ricerca? La verità è che il panorama è assai variegato e le condizioni possono variare significativamente da un’impresa all’altra, come ricorda l’articolo di cui mi sto qui occupando.
Articolo che però omette di chiarire come le condizioni, più che in relazioni alle politiche aziendali, cambino in relazione all’appartenenza ai diversi strati di lavoratori: da un lato, una minoranza di privilegiati (che spesso hanno, fra gli altri, il compito di studiare come aumentare la produttività dei colleghi “meno meritevoli”), dall’altro lato una maggioranza di addetti a mansioni esecutive (non a caso i lavoratori più schiavizzati da Amazon sono gli addetti ai magazzini di stoccaggio delle merci) che sono oggetto di tassi feroci diAmazon magazzinisfruttamento. Una stratificazione di classe che emerge anche dai conflitti sempre più frequenti fra élite tecnologiche e lavoratori dei servizi che operano nelle stesse aree geografiche.
Resta solo da aggiungere che Amazon non è un modello solo per le imprese americane ma anche per quelle di tutto il mondo, Italia compresa. Un filo rosso congiunge il viaggio di Matteo Renzi negli Stati Uniti e la sua visita-omaggio ai boss di Silicon Valley con il Jobs Act che sta concludendo in questi giorni il suo iter parlamentare: con la legittimazione del controllo tecnologico a distanza dei lavoratori (ciliegina sulla torta degli altri attacchi ai loro diritti contenuti in quel provvedimento) si apprestano gli strumenti per trasformare anche i nostri operai e impiegati nei nuovi schiavi del XXI secolo.
(Carlo Formenti, “Amazon e i nuovi schiavi del XXI secolo”, da “Micromega” del 24 agosto 2015).

fonte: www.libreidee.org

Soo, Jacques, lo scambio di coppia e amenità varie



Ieri sera, mentre ero sul divano in modalitá Paolina Bonaparte con il tablet in grembo a leggere Addio mio dolce amore, la vita di Carlotta  imperatrice del Messico tra etichetta e follia di Maria Santini ( lo consiglio assolutamente ), e Soo a chattare con Jacques, improvvisamente...
"Jacques dice che sei una figa da urlo!" pausa e poi " se ti vedesse adesso non lo direbbe." e giú a sghignazzare.
Ovviamente, io che sono una signora, ho continuato a leggere, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Ha continuato "Ma dici che vuole scoparti?"
Io sempre a leggere.
"Perché  se uno dice che una è figa da urlo vuol dire che apprezza e quindi vuole scopare." insiste.
Io sempre a leggere.
"Forse gli è partito il trombo erotico da quella sera a Parigi...Madonna che serata. Non ci credo ancora adesso che abbiamo fatto quello che abbiamo fatto. Che storia!"
Io sempre a leggere.
"Incredibile. Se me lo avessero detto che avrei fatto un'esperienza simile non ci avrei creduto. Che eccitazione però. È stata proprio una cosa bella."
Io sempre a leggere.
"Ma comunque dice che sei una figa da urlo, e vuol dire che se ci ritroviamo di nuovo tutti nella stessa casa con le congiunzioni astrali giuste facciamo lo scambio di coppia?"
Io smetto di leggere, tolgo gli occhiali vintage a gatto con i brillantini e lo guardo.
"Scambio di coppia?" chiedo.
Lo scambio di coppia è una delle pochissime cose che a me, oltre a non attirare, mi raccapriccia proprio.
L'idea di scopare mentre il mio uomo mi guarda o semplicemente sa cosa sto facendo, mi svaporizza totalmente pure i proto ormoni, e conoscendo la gelosia viscerale di Soo la sua domanda mi stupisce un po', ma aspetto che dica la sua.
Che ne so, magari ha cambiato idea.
Magari dopo Parigi ha voglia di sperimentare.
Magari...boh.
Da questo lato sono sempre stata un ascoltatrice attenta con i miei compagni, perché ho avuto la fortuna di avere un'educazione totalmente scevra dal connubio devastante sesso=peccato, anzi "spronandomi"a sperimentare in sicurezza tutto ciò che mi veniva in mente, e in quanto a fantasia manco quei depravati dei fratelli Grimm (per dire) mi battevano.
Soo non ha avuto questa fortuna, arriva da un educazione molto rigida piena di sovrastrutture da film horror, tanto che quando lo conobbi mi disse che lui la leccava solo alle donne che amava.
Le altre niente.
Eh? Cosa? Ma sei scemo? gli risposi in modo molto conigliettoso,  poi decisi di deprogrammarlo e oggi é ancora un po' pretino ma niente di drammatico.
Peró ci sono gusti soggettivi. Non a tutti piace il cioccolato. Non a tutti piace la pizza. Non a tutti piace vedere la propria donna scopare con altri e non a tutti piacciono un sacco di cose.
"Stai pensando ad uno scambio di coppia?" gli chiedo.
Non alzo mai paletti a prescindere,  anche se le cose non sono nelle mie corde.
Lui mi osserva. Ci pensa. Forse si immagina la scena.
Io a scopare con Jacques e lui con Eleonora. O chissá cosa la sua testa gli suggerisce.
Vedo che gli diventano gli occhi rotondi, chiaro sintomo di nervoso.
"Tu...vorresti?" rilancia la domanda.
Sa la mia posizione, ma probabilmente ha bisogno di sentirselo ripetere.
"No Soo, non lo vorrei. Non mi attira e mi mette a disagio solo l idea di farlo e di vedertelo fare. Credo che se dovesse succedere fra noi finirebbe, perché sarebbe uno shock vederti trombare con qualcun altra."
I suoi occhi ridiventano a chicco di riso e sorride.
"Che paura mi hai fatto venire Carlotta...per un momento ho pensato che la cosa ti intrigasse e volessi sperimentare. " attimo di pausa e poi " al solo pensiero di vederti scopare con un altro mi è venuta la merda al cervello."
Gli vado vicino e lo sbaciucchio "Non preoccuparti amore grande, non succederá mai"
Ricambia baci e abbracci, poi si ferma. Mi fissa e "Nel senso che non scoperai con altri o nel senso che non scoperai con altri davanti a me?"
Gli infilo la lingua in bocca e una mano in mezzo alle gambe mentre rispondo " La seconda che hai detto. Occhio non vede, cuore non duole "
Mi ferma la mano, che intanto ha slacciato la cerniera e sta stringendo un bel cazzone duro poi, avvicinando la sua bocca alla mia, sussurra.
"Se ti becco ti trituro"
"Animale" sussurro di rimando mentre ricomincio a ravanare nelle parti basse.
"Guarda che non scherzo".
"Si si, ma triturami con qualcosa del prozio Hitoki, giusto per dare una nota orientale al massacro."
Ora ho suo fratello in mano. Durissimo.
"Smettila di toccarmi, tanto le tue arti da maga Circe non funzionano".
Fisso il cazzo bello pulsante "A me sembra che funzionino pure parecchio bene."
"Smettila e guardami. Tu non fai sesso nè davanti nè nascosta da me. Cioè. Non che non fai sesso in toto, con me si ovviamente, ma solo con me e..."
Ho smesso di ascoltarlo. Gli è partita la sindrome di Otello, fra poco comincerá a vaneggiare anche sugli Elohim ( non quello/i della bibbia ebraica e similari, ma proprio quelli venuti dallo spazio) che mi vogliono scopare a frotte e io che nel frattempo mi faccio, arbitro compreso, tutta la squadra di football americano della cittá, passando poi a quelle di provincia.
Quindi glielo prendo in bocca.
No. Non ciucciando solo la punta. Sono una persona seria.
Io.
Sui pompini non si scherza.
O si fanno come Dio comanda, o evitare con passi lunghi e ben distesi.
Nemmeno a vomito per quanto mi riguarda, e ringraziando Dio per la seconda volta, non ho trovato uomini che si eccitassero vedendomi  sul loro cazzo, con la faccia trasfigurata  e paonazza perdendo bave come un cane in iper salivazione.
Ma dicevo.
Gliel' ho preso in bocca. Prima in punta. Poi mentre lui si infervorava nei suoi deliri gelosi, glielo divorato tutto in un colpo, e risalendo gli ho fatto sentire i denti.
Si è zittito immediatamente, e subito dopo ,"Oh, Gesú."
E non era un' ovazione libidinosa alle mie arti fellatiane, ma una vera e propria preghiera.
Perché ogni volta che sente i denti ha il terrore di essere evirato.
Manco fossi una squala. O una piranha. O una coccodrilla.
E giuro su al-Sisi che non ho mai ferito e/o evirato nessuno.
Con la bocca intendo, se  poi vogliamo parlare della mini sega rosa circolare che porto in borsetta, beh...nego tutto a prescindere e parlo solo in presenza del mio avvocato.
Però, il pompino con morso riesce sempre a fargli passare la sindrome schizofrenica da gelosia fantasy.

Forse dovrei brevettarlo.
Ma dite che dovrei fare bocchini al tipo che lavora all' ufficio brevetti?
No dai. Si vede che ho la boccuccia morsicatrice.

fonte: piccolipensierimpuri.blogspot.it

J. D. Salinger



« Io abito a New York, e pensavo al laghetto di Central Park, vicino a Central Park South. Chi sa se quando arrivavo a casa l'avrei trovato gelato, mi domandavo, e se era gelato, dove andavano le anatre? Chi sa dove andavano le anatre quando il laghetto era tutto gelato e col ghiaccio sopra. Chi sa se qualcuno andava a prenderle con un camion per portarle allo zoo o vattelappesca dove. O se volavano via. »

(J.D. Salinger, Il giovane Holden, p.16, edizione Einaudi, trad. Adriana Motti)

all'anagrafe Jerome David Salinger, è stato uno scrittore statunitense.

È divenuto celebre per Il giovane Holden (The Catcher in the Rye), un classico romanzo di formazione che ha conosciuto una enorme popolarità fin dalla sua pubblicazione nel 1951.

I temi principali nei lavori di Salinger sono la descrizione dei pensieri e delle azioni di giovani disadattati, la capacità di redenzione che i bambini hanno su questi, e il disgusto per la società borghese e convenzionale. Salinger fu uno degli ispiratori del movimento letterario della Beat Generation, insieme ad altri autori.

Salinger partecipò poco più che ventenne alla seconda guerra mondiale e fu tra i primi soldati americani ad entrare in un lager nazista, esperienza che lo segnerà emotivamente. Dal 1953 lasciò la sua città, New York, andando a vivere a Cornish riducendo progressivamente i contatti umani fino a vivere praticamente da recluso a partire dal 1980, forse a causa della difficoltà ad adattarsi alle luci della ribalta.

Salinger era conosciuto per la sua natura schiva e riservata, spesso venne descritto come un misantropo; nell'arco di cinquant'anni ha rilasciato pochissime interviste: ad esempio nel 1953 ad una studentessa per la pagina scolastica The Daily Eagle di Cornish, nel 1974 a The New York Times (la sua ultima intervista). Non effettuò apparizioni pubbliche, né pubblicò nulla di nuovo dal 1965 (anno in cui apparve sul New Yorker un ultimo racconto) fino alla morte, benché, secondo molte testimonianze, avesse continuato a scrivere.

La vita

Jerome David Salinger nacque a New York il 1º gennaio del 1919, da Sol Salinger, un commerciante statunitense figlio di immigrati lituani di origine ebraica, e da Miriam Salinger, una casalinga statunitense di origini scozzesi, tedesche e irlandesi. La madre di Salinger nacque con il nome di Marie Jillich ma, quando si sposò, adottò il cognome del marito, cambiò il proprio nome in Miriam e si convertì alla religione ebraica; J. D. non seppe che sua madre era convertita fino al giorno del suo bar mitzvah. Jerome David fu il secondo figlio della coppia, dopo la primogenita Doris, nata nel 1911.

Il giovane Salinger frequentò le scuole pubbliche nell'Upper West Side di Manhattan, completando gli studi di base alla McBurney School, dopodiché fu felice di sottrarsi all'iperprotettività della madre iscrivendosi al Valley Forge Military Academy and College di Wayne in Pennsylvania. Nonostante avesse già in precedenza scritto sul giornalino scolastico della McBurney, è alla Valley Forge che Salinger iniziò a scrivere racconti "la notte, sotto le coperte, con l'aiuto di una pila elettrica."

Si iscrisse poi come matricola alla New York University, ma nella primavera successiva abbandonò i corsi per accettare un lavoro su di una nave da crociera. In autunno si convinse ad apprendere il lavoro del padre nel settore dell'importazione di carne, e fu mandato presso la filiale di Vienna della società, dove perfezionò la conoscenza del francese e del tedesco.

Lasciò l'Austria solo un mese prima che il paese cadesse sotto il controllo di Hitler, il 12 marzo 1938. L'autunno seguente frequentò l'Ursinus College di Collegeville, ma lo fece soltanto per un semestre. Nel 1939 frequentò poi il corso serale di scrittura della Columbia University. Il suo insegnante era Whit Burnett, a lungo direttore della rivista Story Magazine. Nel corso del secondo semestre Burnett capì che quel giovane autore aveva talento e, nel numero di marzo/aprile 1940 della rivista, pubblicò il racconto di debutto di Salinger, un breve ritratto di alcuni giovani senza uno scopo nella vita intitolato The Young Folks. Burnett e Salinger da allora rimasero a lungo in contatto epistolare, anche se un insieme di incomprensioni, alcune causate dalla proposta di pubblicare una raccolta di racconti a sua volta intitolata The Young Folks, finì per allontanarli.

La seconda guerra mondiale

Nel 1941 Salinger iniziò una relazione sentimentale con Oona O'Neill, figlia di Eugene O'Neill, a cui scriveva ogni giorno lunghissime lettere. La relazione finì quando Oona iniziò a frequentare Charlie Chaplin. Salinger fu sorteggiato per servire sotto le armi nel 1942 e, con il 12º reggimento di fanteria degli Stati Uniti, partecipò ad alcune delle più dure battaglie della seconda guerra mondiale, tra cui lo sbarco ad Utah Beach nel D-Day e la battaglia delle Ardenne. Durante l'avanzata dalla Normandia verso la Germania conobbe Ernest Hemingway, allora corrispondente di guerra da Parigi, e rimase in contatto epistolare con lui. Dopo aver letto gli scritti di Salinger, Hemingway commentò "Gesù ! Ha un talento straordinario!".

Fu assegnato al servizio di controspionaggio, nell'ambito del quale interrogò i prigionieri di guerra, mettendo a frutto la propria conoscenza delle lingue. Fu tra i primi soldati ad entrare in un campo di concentramento liberato dagli alleati, forse uno dei sotto-campi di Dachau. In seguito disse alla figlia "È impossibile non sentire più l'odore dei corpi bruciati, non importa quanto a lungo tu viva.". Questa esperienza, forse, lo segnò duramente sotto il profilo emotivo (dopo la sconfitta della Germania fu ricoverato per alcune settimane in ospedale per curare una sindrome da reazione allo stress del combattimento) ed è probabile che si sia servito dei propri ricordi di guerra in molti dei suoi racconti, come For Esmé with Love and Squalor, narrato in prima persona da un soldato rimasto traumatizzato. Sia nel corso della sua esperienza di guerra che quando questa ebbe termine, continuò a pubblicare racconti su riviste di alto profilo come Collier's Weekly e il Saturday Evening Post.

Dopo la fine della guerra, Salinger si offrì per trascorrere un periodo di sei mesi dedicato all'attività di de-nazificazione della Germania, nel corso del quale incontrò una donna tedesca di nome Sylvia che poi sposò nel 1945. La portò con sé negli Stati Uniti, ma il matrimonio fallì dopo appena otto mesi e Sylvia tornò in Germania. Nel 1972, mentre era assieme a sua figlia Margaret, ricevette una lettera da parte di Sylvia. Guardò la busta, la stracciò e la gettò via. Disse che era la prima volta che riceveva sue notizie da quando l'aveva lasciato, ma "quando aveva chiuso con una persona, aveva chiuso per sempre".

Dal The New Yorker ai romanzi

Nel 1948 Salinger propose al The New Yorker un breve racconto intitolato Un giorno ideale per i pescibanana. Alla redazione della rivista, nota per essere severa nei giudizi, rimasero così impressionati dalla "eccezionale qualità del racconto" che i suoi curatori editoriali lo accettarono immediatamente per la pubblicazione e fecero firmare allo scrittore un contratto che concedeva loro il diritto di prelazione su tutti i suoi futuri lavori. L'entusiasmo con cui Bananafish fu accolto, unito al fatto che a Salinger non piaceva che i racconti fossero modificati dai "furbastri", spinse lo scrittore a pubblicare i suoi lavori quasi esclusivamente sul The New Yorker. Bananafish tuttavia non rappresentava in realtà la prima volta che Salinger entrava in contatto con la rivista; nel 1942 avevano accettato di pubblicare un racconto intitolato Slight Rebellion off Madison, in cui era presente un personaggio semi-autobiografico chiamato Holden Caulfield. Il racconto però non venne poi pubblicato a causa della guerra. Slight Rebellion era collegato a varie altre storie che avevano come protagonista la famiglia Caulfield, ma il punto di vista con cui vennero affrontate si spostò poi dal fratello maggiore, Vince, al minore, Holden.

Salinger aveva confidato a varie persone che sentiva che il personaggio di Holden meritava di essere il protagonista di un romanzo. Nel 1951 uscì quindi Il giovane Holden, che riscosse un immediato successo, anche se le prime reazioni della critica non furono unanimi nel giudicarlo positivamente. Nel 1953, in un'intervista rilasciata ad un giornalino scolastico, Salinger ammise che il romanzo era "una specie di autobiografia", spiegando che "la mia adolescenza fu molto simile a quella del ragazzo del libro.... è stato un grande sollievo parlarne alla gente."

Il romanzo è dominato dal personaggio di Holden, complesso e ricco di sfumature, e la trama è in sé piuttosto semplice. Divenne famoso per l'eccezionale abilità di Salinger nel cogliere i più complessi particolari e dettagli, per la cura delle descrizioni, per il tono ironico e per le atmosfere tristi e disperate con cui viene dipinta New York.

Tuttavia, alcuni lettori si scandalizzarono per il fatto che Salinger affrontava la religione in termini critici e dissacratori e parlava di sesso nell'adolescenza in modo aperto e disinvolto: la popolarità del libro iniziò così a vacillare. Diversi critici sostennero che il libro non andava considerato come un'opera letteraria seria, motivando l'opinione con il tono spontaneo ed informale con cui era scritto. Il romanzo fu vietato dalla censura in alcuni paesi ed in alcune scuole statunitensi per il suo uso disinvolto di un linguaggio volgare; la parola goddamn (It. "maledizione !") vi compare 255 volte insieme ad un certo numero di fuck (It "fotti !"); sono inoltre presenti alcune situazioni piuttosto scabrose, come l'incontro con una prostituta.

Il romanzo è comunque tuttora popolarissimo, specialmente negli Stati Uniti, dove è considerato una perfetta descrizione dell'angoscia adolescenziale. È piuttosto facile trovare Il giovane Holden nella lista delle letture obbligatorie per gli studenti delle scuole superiori.

Nel luglio del 1951 il suo amico e curatore editoriale del New Yorker William Maxwell, in un articolo sulla rivista Book of the Month Club News, chiese a Salinger di spiegare quali fossero le sue influenze letterarie. Salinger disse: "Uno scrittore, quando gli viene chiesto di parlare della sua arte, dovrebbe alzarsi in piedi e gridare forte semplicemente i nomi degli autori che ama. Io amo Kafka, Flaubert, Tolstoj, Čechov, Dostoevskij, Proust, O'Casey, Rilke, Garcia Lorca, Keats, Rimbaud, Burns, E. Brontë, Jane Austen, Henry James, Blake, Coleridge. Non farò alcun nome di autori ancora in vita. Penso che non sia giusto."

Nel 1953 Salinger pubblicò una raccolta di sette racconti tratti dal The New Yorker (tra di essi c'è Bananafish) oltre ad altri due che la rivista aveva rifiutato. La raccolta fu pubblicata con il titolo di Nove racconti. Anche questo libro riscosse molto successo, anche se lo scrittore, già restio a pubblicizzare i suoi lavori, non avrebbe permesso al curatore editoriale di ritrarre i suoi personaggi nelle illustrazioni della sovraccoperta perché i lettori non si creassero idee preconcette sull'aspetto che avrebbero dovuto avere.

Il ritiro dalla vita pubblica

Dopo aver raggiunto una grande notorietà grazie a Il giovane Holden, Salinger si rinchiuse gradualmente in se stesso. Nel 1953 si trasferì da New York a Cornish, nel New Hampshire. Nel periodo successivo al trasferimento nella cittadina si mostrò relativamente socievole, in particolare con gli studenti della Windsor High School, che frequentemente invitò a casa sua per ascoltare dischi e discutere di problemi scolastici. Una di questi studenti, Shirley Blaney, convinse Salinger a concederle un'intervista per la pagina dedicata alla scuola del The Daily Eagle, il quotidiano locale. Tuttavia, dopo che l'intervista della Blaney apparve in "magnifica evidenza" nella parte del giornale dedicata agli editoriali, Salinger interruppe ogni contatto con gli studenti senza alcuna spiegazione. Si fece inoltre vedere in città con frequenza molto minore, e prese a frequentare un solo amico, il giurista Learned Hand, ma anch'egli in modo piuttosto irregolare.

Nel giugno del 1955, all'età di 36 anni, sposò la studentessa Claire Douglas. In dicembre nacque la loro primogenita Margaret, mentre nel 1960 nacque il secondo figlio, Matt. Salinger insistette perché Claire abbandonasse gli studi, solo quattro mesi prima di laurearsi, e andasse a vivere con lui, cosa che la ragazza fece. Alcuni particolari del racconto Franny , pubblicato nel gennaio 1955, sono ispirati a Claire, tra cui il fatto che Claire possedeva una copia del libro La via di un pellegrino. Sia per l'isolamento della località in cui vivevano che per l'inclinazione personale dello scrittore, finirono per trascorrere lunghi periodi di tempo senza praticamente mai vedere nessuno. La figlia Margaret racconta che la madre ammise che vivere con Salinger non era facile, sia per l'isolamento sia per il suo carattere dominante; inoltre era gelosa del fatto che la figlia andava sostituendola, finendo per rappresentare l'affetto principale per il marito.

La piccola Margaret era ammalata la maggior parte del tempo, ma Salinger, che seguiva i dettami della Chiesa scientista, rifiutava di portarla da un medico. Anni dopo Claire confessò a Margaret che aveva praticamente superato il limite di rottura, e aveva progettato di ucciderla per poi suicidarsi. Stava per succedere durante un viaggio a New York in compagnia del marito. Claire però fu vinta dall'impulso di prendere la figlia dall'hotel in cui alloggiavano e fuggire via con lei; dopo alcuni mesi, però, Salinger riuscì a convincerla a tornare da lui a Cornish.

Salinger pubblicò Franny e Zooey nel 1961, e Alzate l'architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione nel 1963. Quattro lunghi racconti - due per ogni volume - in cui si sviluppava la saga della famiglia Glass, ovvero dei fratelli Seymour (già protagonista del racconto Un giorno ideale per i pescibanana), Buddy, Walter, Waker, Franny, Zooey e Boo Boo.

Nonostante il Time magazine nel 1961 avesse scritto che tale saga "è lontana dall'essere completa....Salinger intende scrivere una trilogia sui Glass" da allora fino ai giorni nostri Salinger ha pubblicato soltanto un altro racconto. Il suo ultimo lavoro è stato Hapworth 16, 1924, un breve romanzo epistolare, scritto sotto la forma di una lunga lettera scritta dal campo estivo dal piccolo Seymour Glass, di sette anni. Proprio in quel periodo, la situazione di isolamento da amici e parenti in cui Salinger costringeva la moglie - Margaret in seguito scrisse che era una "prigioniera virtuale" - spinse Claire a separarsi da lui: era il settembre del 1966. Il divorzio venne ufficializzato nell'ottobre 1967.

Nel 1972, quando aveva 53 anni, ebbe per un anno una relazione con la diciottenne scrittrice Joyce Maynard, che già pubblicava per la rivista Seventeen. Il New York Times aveva chiesto alla Maynard di scrivere un articolo per loro che, quando il 23 aprile 1972 fu pubblicato con il titolo di "An Eighteen Year Old Looks Back On Life" l'aveva resa la celebrità del momento. Salinger le scrisse una lettera, mettendola in guardia sui rischi che la fama comporta. Dopo che si furono scambiati 25 lettere, l'estate successiva al primo anno trascorso all'Università Yale, la Maynard andò da Salinger.

Quell'autunno la Maynard non tornò a Yale e passò dieci mesi ospite nella casa di Salinger a Cornish; la relazione finì, disse in seguito Salinger alla figlia Margaret, perché la ragazza voleva dei figli e lui invece sentiva di non poter sopportare di nuovo dei bambini reali (al contrario dei bambini immaginari che compaiono nei suoi scritti). La Maynard lo descrisse come un uomo egoista e incapace di amare.

Salinger continuò a scrivere con regolarità, sedendosi a tavolino per qualche ora tutte le mattine; secondo la Maynard entro il 1972 aveva già completato due nuovi romanzi. In una delle rare interviste, concessa al The New York Times nel 1974, lo scrittore spiegò: "Non pubblicare mi dà una meravigliosa tranquillità...Mi piace scrivere. Amo scrivere. Ma scrivo solo per me stesso e per mio piacere."

Si dice che diverse volte, durante gli anni settanta sia stato sul punto di pubblicare uno dei suoi nuovi scritti, ma che abbia cambiato idea all'ultimo momento. Nel 1978 la rivista Newsweek scrisse che Salinger, mentre partecipava ad una festa in onore di un vecchio commilitone, disse che aveva da poco completato un "libro lungo e romantico ambientato durante la seconda guerra mondiale", ma di quest'episodio non si sa nient'altro. Nella sua biografia Margaret Salinger ha descritto l'accurato sistema di archiviazione che suo padre usa per i manoscritti che non pubblica: "Un contrassegno rosso significa, se muoio prima di averlo finito pubblicatelo così com'è, uno blu significa pubblicatelo ma prima sottoponetelo a revisione, e così via."

Gli anni successivi e indiscrezioni sulla sua vita

Tentò di sfuggire alla visibilità ed alla pubblica attenzione il più possibile, a proposito scrisse che "Il desiderio che uno scrittore ha di anonimato-oscurità è la seconda dote più importante che gli sia stata affidata". Tuttavia dovette continuare a lottare contro le indesiderate attenzioni che riceveva come personaggio entrato nella cultura popolare. Decine di studenti e semplici lettori andarono fino a Cornish solo per riuscire a vederlo di sfuggita. Alcuni scrittori gli inviarono dei loro manoscritti. Negli anni settanta e ottanta, lo scrittore Franz Douskey, solitario quanto lui e suo vicino di casa, prese l'abitudine di sviare i turisti mandandoli per una serie di stradine sterrate allontanandoli da casa Salinger ed indirizzandoli nelle cittadine circostanti. I fotografi scatteranno molte foto non autorizzate di lui durante momenti della sua vita quotidiana, come ad esempio le sue passeggiate o l'uscita da un negozio (una foto del 1990 mostra un Salinger sorpreso e arrabbiato contro il fotografo, che lo immortalò al supermercato).

Subito dopo essere venuto a conoscenza del fatto che lo scrittore britannico Ian Hamilton aveva intenzione di pubblicare In Search of J. D. Salinger: A Writing Life (1935-65), una sua biografia che comprendeva alcune lettere che aveva scritto ad altri autori ed amici, Salinger intentò causa per impedire l'uscita del libro. Il libro uscì nel 1988 ma con le lettere, anziché in originale, parafrasate. Il tribunale aveva stabilito che, anche se una persona può possedere fisicamente delle lettere, il linguaggio con cui sono scritte appartiene comunque all'autore. Una conseguenza imprevista della causa fu che molti dettagli della vita privata di Salinger, tra cui il fatto che aveva passato gli ultimi vent'anni scrivendo, parole sue, "Solo un'opera di fantasia... tutto qui", divennero pubblici grazie alla trascrizione degli atti del processo. Finirono per essere ampiamente diffusi anche estratti dalle sue lettere. Salinger stesso depose in tribunale affermando, alla domanda del giudice su quale fosse la sua professione: «Mi occupo di narrativa, non saprei come meglio definire il mio lavoro. Seguo i miei personaggi nella loro naturale evoluzione. È quello il mio punto di partenza».

Nel corso degli anni ottanta Salinger intrattenne una relazione sentimentale con l'attrice televisiva Elaine Joyce. La relazione finì quando incontrò Colleen O'Neill, che sposò verso il 1988. La O'Neill, che è quarant'anni più giovane dello scrittore, una volta ha detto a Margaret che stavano cercando di avere un figlio.

Con una mossa a sorpresa nel 1997 Salinger concesse ad un piccolo editore, la Orchises Press, il permesso di pubblicare Hapworth 16, 1924, il racconto che in precedenza non era mai stato incluso in alcuna raccolta; la pubblicazione era prevista per quello stesso anno, e il libro fu incluso tra l'elenco delle novità di Amazon.com ed altri librai. Tuttavia è stata più volte rinviata, fino al 2002. Alla fine non fu pubblicato né fu più fissata una nuova data.

Nel 1999, venticinque anni dopo la fine della loro relazione, Joyce Maynard mise all'asta alcune lettere che Salinger le aveva scritto. La vendita servì per pubblicizzare un'autobiografia della Maynard stessa, At Home in the World: A Memoir, che uscì in quell'anno. Tra le altre indiscrezioni, il libro racconta come la madre della Maynard l'avesse consigliata su come fare colpo sull'attempato scrittore, e descrive per intero la sua relazione con lui. Raccontò di averlo incontrato a distanza di anni dalla relazione e per l'ultima volta, nel 1997.

Nel dibattito che seguì sia sull'autobiografia che sulle lettere, la Maynard sostenne che era stata costretta a metterle all'asta per problemi economici e che avrebbe preferito donarle alla Beinecke Library. La lettere furono acquistate per $156.500 dallo sviluppatore di software Peter Norton, che annunciò la sua intenzione di restituirle a Salinger.

L'anno seguente, sua figlia Margaret, con l'aiuto della sua seconda moglie Claire, pubblicò Dream Catcher: A Memoir. Nel suo libro di "rivelazioni", la Salinger descrisse il terribile dominio e controllo che il padre esercitava su sua madre e sfatò molti dei miti su Salinger che erano stati diffusi dal libro di Ian Hamilton. La donna scrive, sull'esperienza di guerra: "I pochi uomini che sopravvissero a questo ne riportarono ferite nel corpo e nell'anima", ma dopotutto per lei suo padre era "Uno dei primi soldati ad entrare in un vero campo di concentramento appena liberato". Una delle tesi di Hamilton era che l'esperienza di Salinger e il conseguente disturbo post-traumatico da stress che aveva sofferto, lo avessero lasciato psicologicamente segnato, e che fosse incapace di affrontare l'aspetto traumatico della sua esperienza bellica. La figlia invece fa un ritratto del padre come quello di un uomo enormemente orgoglioso del suo curriculum militare, che aveva mantenuto lo stesso taglio di capelli della leva e conservato la divisa, e che per spostarsi nei suoi campi ed andare in paese usava una vecchia Jeep.

Margaret presentò al pubblico anche altre indiscrezioni sulla "mitologia" salingeriana, tra cui il suo supposto interesse per la macrobiotica e l'adesione a quella che oggi viene definita "medicina alternativa", nonché la passione per le filosofie orientali. Poche settimane dopo la presentazione del libro, il fratello Matt, con una lettera al The New York Observer, screditò il valore dell'autobiografia. Definì lo scritto della sorella "un racconto gotico ispirato ad una nostra immaginaria infanzia" ed affermò "Non ho alcuna autorità per dire se stia alterando i fatti in modo conscio o meno. So solo che sono cresciuto in una casa molto diversa e con due genitori molto diversi da quelli descritti da mia sorella".

Nel giugno 2009 Salinger attraverso i propri avvocati ha chiesto il divieto alla pubblicazione di 60 Years Later: Coming Through the Rye, il cui autore usa lo pseudonimo di J.D. California: si tratta di un volume presentato come il seguito del Giovane Holden, senza aver ottenuto l'autorizzazione da parte dello stesso Salinger, che del proprio capolavoro intende così tutelare il copyright assoluto, compreso il diritto di pubblicare eventuali sequel.

La morte

J.D. Salinger, malato da tempo di tumore al pancreas, è morto il 27 gennaio 2010 per cause naturali, all'età di 91 anni. Nel 2013 viene presentato Salinger - Il mistero del giovane Holden, documentario biografico dello scrittore diretto da Shane Salerno e prodotto dalla casa cinematografica The Weinstein Company.

Le convinzioni religiose e filosofiche

Verso la fine degli anni quaranta, Salinger fu un entusiasta seguace del Buddhismo Zen, al punto che "Dava delle liste di letture sull'argomento alle ragazze con cui aveva appuntamento" ed incontrò lo studioso buddista D. T. Suzuki. Dal buddhismo passò poi all'Induismo. Da allora lo scrittore, come descritto nel libro di Som P.Ranchan An Adventure in Vedanta: J. D. Salinger's the Glass Family, studiò per tutta la vita l'Induismo nella versione Advaita Vedānta. Altre importanti figure furono per lui Shri Ramakrishna ed il suo allievo Vivekananda. Questa scuola di pensiero pone l'attenzione sul celibato e sul distacco dalle responsabilità umane come la famiglia, come vie da seguire per coloro che cercano l'illuminazione. Margaret sostiene che, forse, se suo padre non avesse letto Autobiography of a Yogi di Paramahansa Yogananda, che espone la possibilità di raggiungere l'illuminazione per coloro che seguono la via del "capofamiglia" (ovviamente una persona sposata con figli), non sarebbe mai venuta al mondo.

J. D. e Claire furono iniziati a questo percorso di Kriya yoga in un piccolo tempio Hindu che si trovava in quartiere non molto agiato di Washington. Vennero loro insegnati un mantra e degli esercizi di respirazione che dovevano praticare per dieci minuti due volte al giorno. Salinger si entusiasmava all'improvviso di volta in volta per credi diversi, credi che insisteva perché anche Claire seguisse. Si accostò a Dianetics (che in seguito prese il nome di Scientology) e, secondo Claire, incontrò anche il fondatore stesso L. Ron Hubbard.

A questi si sostituì via via la passione per un gran numero di teorie e convinzioni spiritual/medico/nutrizionali, tra cui la Chiesa Scientista, gli insegnamenti di Edgar Cayce, l'omeopatia, l'agopuntura, la macrobiotica, il digiuno, enormi dosi di vitamina C (medicina ortomolecolare), il vomito per espellere le impurità, l'abbronzatura per mezzo di specchi solari, l'urinoterapia, la glossolalia (tecnica che apprese dal Movimento carismatico), e le sedute all'interno di un "accumulatore di orgone" per accumulare energia secondo i dettami della psichiatria Reichiana. Salinger si interessava anche di filosofia antica, in Franny and Zoey cita lo stoico Epitteto.

I rapporti con Hollywood e il mondo del cinema

In una lettera a Whit Burnett del 1942, Salinger scrisse con entusiasmo: "Volevo vendere un po' di roba al cinema, tramite le riviste. Devo cercare di fare un bel colpo, in modo di poter andarmene a lavorare dopo la guerra." Dopo essere però rimasto deluso in quest'aspirazione, secondo Hamilton, quando "le chiacchiere provenienti da Hollywood" riguardo al suo racconto del 1943 The Varioni Brothers non si concretizzarono, Salinger non esitò quando il produttore indipendente Samuel Goldwyn si offrì di acquistare i diritti cinematografici del racconto Uncle Wiggily in Connecticut. Nonostante lo scrittore avesse venduto i diritti con la speranza, secondo quanto riportato dalla sua agente Dorothy Olding, che "ne avrebbero tratto un buon film", la versione cinematografica del racconto fu stroncata dalla critica al momento dell'uscita nel 1949. Il film, un melodramma intitolato Questo mio folle cuore ed interpretato da Dana Andrews e Susan Hayward, si discostò talmente dal testo di Salinger che il biografo di Goldwyn A. Scott Berg lo definì un "imbastardimento".

Dopo questi fatti Salinger non concesse più a registi e produttori hollywoodiani il controllo sul suo lavoro, anche se, quando nel 1951 fu pubblicato Il giovane Holden, gli arrivarono numerose offerte per poterne realizzare l'adattamento per il grande schermo (tra queste anche quella di Samuel Goldwyn). A partire dalla sua uscita, il romanzo ha suscitato un grande interesse nel mondo del cinema, e tra coloro che hanno cercato di assicurarsene i diritti ci sono nomi come Billy Wilder, Harvey Weinstein e Steven Spielberg. Anche attori di fama come Jack Nicholson e Tobey Maguire hanno fatto offerte allo scrittore per poter interpretare Holden Caulfield, e Salinger ha rivelato che "Jerry Lewis tentò per anni di mettere le mani sulla parte di Holden". Lo scrittore però, si è ripetutamente opposto e, nel 1999, Joyce Maynard concluse che "L'unica persona ad aver potuto interpretare Holden Caulfield è stato J. D. Salinger."

Nel 1995 il regista iraniano Dariush Mehrjui girò Pari, un libero adattamento non autorizzato di Franny e Zooey. Il film ha potuto essere liberamente distribuito e proiettato in Iran, dato che il paese non ha relazioni ufficiali con gli Stati Uniti (tantomeno in ambito di copyright). Salinger ha dato mandato ai suoi legali di impedire una proiezione del film al Lincoln Center che era stata organizzata nel 1998.

Mehrjui definì la mossa di Salinger "sconcertante", spiegando che vedeva il film come una sorta di scambio culturale".

Nonostante le dispute relative agli adattamenti delle sue opere, Salinger è stato comunque descritto come un grande appassionato di cinema e tra i suoi film preferiti ci sono Gigi, La signora scompare, Il prigioniero di Amsterdam e Il club dei trentanove (Il film preferito di Phoebe ne "Il giovane Holden"), oltre a tutti i film di W.C. Fields, Stanlio e Ollio e dei Fratelli Marx.

Prima dell'avvento del videoregistratore, Salinger aveva già un'ampia collezione di classici degli anni quaranta in 16 mm. La figlia Margaret si è spinta a dire che la visione del mondo di suo padre "Essenzialmente è un prodotto dei film della sua epoca. Secondo mio padre tutti quelli che parlano spagnolo sono portoricani, lavandaie o quegli zingari sdentati e sogghignanti che si vedono nei film dei Fratelli Marx."

Opere

Pubblicate e uscite in raccolte e libri

The Catcher in the Rye (1951) - protagonista: Holden Caulfield

Vita da uomo, traduzione di Jacopo Darca, Roma: Casini, 1952

Il giovane Holden, traduzione di Adriana Motti, Torino: Einaudi, 1961

Il giovane Holden, traduzione di Matteo Colombo, Torino: Einaudi, 2014

Nine Stories (1953)

"A Perfect Day for Bananafish" (1948) - protagonisti: La famiglia Glass

"Uncle Wiggily in Connecticut" (1948) - protagonisti: La famiglia Glass

"Just Before the War with the Eskimos" (1948)

"The Laughing Man" (1949)

"Down at the Dinghy" (1949) - protagonisti: La famiglia Glass

"For Esmé with Love and Squalor" (1950)

"Pretty Mouth and Green My Eyes" (1951)

"De Daumier-Smith's Blue Period" (1952)

"Teddy" (1953) - Theodore McArdle

Nove storie, traduzione di Carlo Fruttero, Torino: Einaudi, 1962

Franny and Zooey (1961)

"Franny" (1955) - protagonisti: La famiglia Glass

"Zooey" (1957) - protagonisti: La famiglia Glass

Franny e Zooey, traduzione di Romano Carlo Cerrone e Ruggero Bianchi, Torino: Einaudi, 1963

Alzate l'architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione (1963)

"Raise High the Roof-Beam, Carpenters" (1955) - protagonisti: La famiglia Glass

"Seymour: An Introduction" (1959) - protagonisti: La famiglia Glass
traduzione di Romano Carlo Cerrone, Torino: Einaudi, 1965

The Kit Book for Soldiers, Sailors and Marines (1943)

"The Hang of It" (1941)

Post Stories 1942-45, ed. Ben Hibbs (1946)

"A Boy in France" (1945)

Best American Short Stories 1949, ed. Martha Foley (1949)

"A Girl I Knew" (1948)

Stories: The Fiction of the Forties, ed. Whit Burnett (1949)

"The Long Debut of Lois Taggett" (1942)

The Armchair Esquire, ed. L. Rust Hills (1959)

"This Sandwich Has no Mayonnaise" (1945) - protagonista: Vincent (D.B.) Caulfield

Fiction: Form & Experience, ed. William M. Jones (1969)

"Go see Eddie" (1940)

Wonderful Town: New York Stories from the New Yorker, ed. David Remnick (2000)

"Slight Rebellion off Madison" (1946) - protagonista: Holden Caulfield

Pubblicate solo su riviste

The Young Folks (1940)
traduzione Delfina Vezzoli in I giovani, Milano, Il Saggiatore, 2015

Go See Eddie (1940)
traduzione Delfina Vezzoli in I giovani, Milano, Il Saggiatore, 2015

The Heart of a Broken Story (1941)

Personal Notes of an Infantryman (1942)

The Varioni Brothers (1943)

Both Parties Concerned (1944)

Soft Boiled Sergeant (1944)

Last Day of the Last Furlough (1944) - protagonista: Holden Caulfield

Once a Week Won't Kill You (1944)
traduzione Delfina Vezzoli in I giovani, Milano, Il Saggiatore, 2015
Elaine (1945)

The Stranger (1945)

I'm Crazy (1945) - protagonista: Holden Caulfield

A Young Girl in 1941 with No Waist at All (1947)

The Inverted Forest (1947)

Blue Melody (1948)

Hapworth 16, 1924 (1965) - protagonisti: La famiglia Glass
traduzione Simona Magherini, Milano: Eldonejo, 1997

Vedi The Uncollected Stories of JD Salinger. (archiviato dall'url originale il ).

Non pubblicate

Salinger avrebbe dato disposizione testamentaria che il materiale inedito venisse pubblicato 50 anni dopo la sua morte, quindi nel 2060. Ma nel novembre 2013 i tre suoi scritti The Ocean Full of Bowling Balls, Paula e Birthday Boy sono stati resi pubblici sul web. Nella biografia intitolata Salinger, David Shields e Shane Salerno sostengono invece che la data autorizzata sia tra il 2015 e il 2020; i lavori riguarderebbero cinque storie della famiglia Glass; un romanzo basato sul matrimonio con la prima moglie Sylvia; un romanzo in forma di diario sul controspionaggio nella seconda guerra mondiale; un manuale sulle storie Vedanta; altre storie sulla vita di Holden Caulfield. Salinger è uscito con il documentario omonimo.

Alla biblioteca di Princeton

The Ocean Full of Bowling Balls The Ocean Full of Bowling Balls. (archiviato dall'url originale il ). (data sconosciuta) - protagonista: Holden Caulfield

The Last and Best of the Peter Pans The Last and Best of the Peter Pans. (archiviato dall'url originale il ). (data sconosciuta) - protagonista: Holden Caulfield

The Magic Foxhole (1945)

Two Lonely Men (1944)

The Children's Echelon (1944)

fonte: Wikipedia

venerdì 25 settembre 2015

quan facc' rap o'frat vac in overdose


MITO SettembreMusica
Estathé Market Sound Mercati Generali
Urban Orchestra
Ensi,
Clementino,
Ghemon,
Coez,
Orchestra Milano Classica
Michele Fedrigotti, direttore

bello anche quest'anno, ce la sto mettendo tutta per andare a sentire concerti, le proposte di MITO sono moltissime e molto diversificate, è certo che li vedrei tutti, me ne posso permettere qualcuno. 
e quel che ho visto e ascoltato fino ad ora è stato all'altezza delle mie, elevate, aspettative. mai averne, ma quando sono rispettate...quale evento! 
martedì sera mi sono veramente goduta questa, una sperimentazione musicale di commistione di generi, musica classica e musica rap. il posto, Estathé Market Sound Mercati Generali, è a casa del signore ma la determinazione è stata più forte della paura di perdersi. 
ne è valsa la pena, il concerto è stato veramente godibile, divertente, a tratti esaltante (fatta eccezione per l'esibizione di Coez, una palla tremenda, sembrava un cadavere rispetto agli altri...). l'accompagnamento classico è molto coerente e, in certi momenti, di enorme risalto, la musica rap è trascinante, le parole sempre convincenti. i testi a volte possono sembrare semplicistici, propagandistici, "rispetto per tutti, paura di nessuno", ma riflettono una profonda verità di riscatto sociale, di salvezza autentica, per molti. 
Ensi è il vero rapper, estrazione sociale bassa, riscatto totale. parole chiarissime, testi tosti accompagnato da una certa Giulia Lenti brava, in aura di fotocopia vocale, e non solo, di Amy Winehouse. 
Clementino simpaticissimo, una vera forza della natura. 
Ghemon, il più musicale di tutti, intonato, bel cantante. 
Coez, da suicidio di massa. 
l'orchestra viva e partecipe, una forza trascinante, e il suo direttore inappuntabile e insospettabile, chi l'avrebbe mai detto con quella classe a far coppia con Quan facc' rap o'frat vac in overdose Cos cos cos cos cos o' frat cos? Quan facc' rap o'frat a capa na rapos' Cos cos cos cos cos o'frat cos? Quan facc' rap o'frat so pericolos' Cos cos cos cos cos o'frat cos?
un finale di grande impatto, me ne sono andata contenta. di esserci stata.








fonte: nuovateoria.blogspot.it

pensieri di Oriana

Oriana aveva ragione: l'islam è un male


La sobrietà del Cimitero Evangelico agli Allori e la semplicità della lapide con l'unica scritta «Scrittore», appaiono riduttivi rispetto alla grandiosità di un personaggio chiave della nostra storia contemporanea.

La Storia ricorderà Oriana per essere stata la voce che prima e più di altre, all'indomani della tragedia dell'11 settembre, ci ha trasmesso un concetto rivoluzionario: il problema del male non è il terrorismo islamico, ma è l'islam. Io stesso, da musulmano, faticavo a digerire la condanna assoluta dell'islam perché la percepivo come criminalizzante di tutti i musulmani, quindi in una mia autocondanna.

Nel discorso all'accettazione dell'Annie Taylor Award, nel 2005, Oriana fu esplicita: «L'islam moderato è un'altra invenzione. Un'altra illusione fabbricata dall'ipocrisia, dalla furberia, dalla quislingheria o dalla Realpolitik di chi mente sapendo di mentire. L'islam moderato non esiste. E non esiste perché non esiste qualcosa che si chiama islam buono e islam cattivo. Esiste l'islam e basta. E l'islam è il Corano. Nient'altro che il Corano. E il Corano è il “Mein Kampf” di una religione che ha sempre mirato a eliminare gli altri».

Nei miei confronti Oriana ha avuto un particolare riguardo, nella comune condivisione della denuncia sia del terrorismo islamico sia della pavidità dell'Occidente. Nell'estate del 2003, mentre era immersa nella scrittura di «La forza della ragione», mi scrisse: «Davvero, quando avrò (bene o male) concluso questo lavoretto, la primissima copia sarà per te. Più ti leggo, più ci penso, più concludo che sei l'unico su cui dall'alto dei cieli o meglio dai gironi dell'inferno potrò contare. (Bada che t'infliggo una grossa responsabilità)».

Il legame con Oriana è stato talmente forte da incentivare un cambiamento del mio pensiero anche dopo la sua morte, prendendo atto che lei aveva ragione. Se pensiamo che il 4 aprile 2002 Ahmed Al Tayeb, attuale Grande imam dell'Università islamica di Al Azhar, equiparabile al «Papa dell'islam sunnita», quando all'epoca era il Mufti d'Egitto, massimo giureconsulto islamico, legittimò il terrorismo suicida affermando: «La soluzione al terrore israeliano risiede nella proliferazione degli attacchi suicidi che diffondono terrore nel cuore dei nemici di Allah»; e nel 2003 confermò: «Le operazioni di martirio in cui i palestinesi si fanno esplodere sono permesse al cento per cento secondo la legge islamica». Lo stesso presidente turco Erdogan ha detto: «Non c'è un islam moderato e un islam non moderato. L'islam è l'islam».

«Sogno l'Italia libera, fiera e forte che metta al bando l'islam in quanto apologia del razzismo e del terrorismo, perché ciò che
Allah ha prescritto nel Corano, ciò che ha detto e ha fatto Maometto, che sanciscono la discriminazione dei miscredenti, che legittimano l'uccisione di ebrei, cristiani, infedeli, apostati, adulteri e omosessuali, che contemplano la sottomissione e la riduzione in stato di schiavitù delle donne e dei bambini, 

sono in flagrante contrasto con le nostre leggi, sono incompatibili con i principi fondanti della nostra Costituzione, sono la principale minaccia alla nostra civiltà laica e liberale che esalta la sacralità della vita, la pari dignità tra uomo e donna, la libertà di scelta».

Questa è l'eredità di Oriana. Solo facendola nostra ci salveremo dalle barbarie dell'islam. Grazie Oriana!
Fonte

http://altrarealta.blogspot.it/

vedi anche

ORIANA FALLACI, AFORISMI

ORIANA FALLACI Sull'islam ( 14 anni fa )

IO STO CON ORIANA

ormeggi e dimore - 2 -


martedì 22 settembre 2015

Irvin Yalom



David Irvin Yalom è uno scrittore, psichiatra e docente statunitense, autore di narrativa e saggistica, professore emerito di Psichiatria all'Università di Stanford, e psicoterapeuta di scuola esistenzialista.

Nato in una famiglia ebraica a Washington DC nel 1931, è cresciuto in un ambiente assai povero. Per evitare i rischi del suo quartiere, ha trascorso gran parte dell'infanzia in casa, dedicandosi alla lettura. Si laurea Bachelor of Arts alla George Washington University nel 1952 e Doctor of Medicine alla University School of Medicine di Boston nel 1956. Si specializza al Mount Sinai Hospital di New York, e presso la Clinica Phipps del Johns Hopkins Hospital a Baltimora completa la sua formazione nel 1960. Dopo due anni di servizio nell'esercito al Tripler General Hospital di Honolulu, Yalom inizia la carriera accademica presso la Stanford University nella quale entra nel 1963 per restarvi fino al 1968. Poco posteriori a questo periodo sono alcuni dei suoi traguardi più importanti riguardo all'insegnamento della psicoterapia di gruppo e allo sviluppo del suo modello di psicoterapia esistenziale.

Oltre a pubblicazioni divulgative, Yalom ha scritto romanzi e sperimentato tecniche di scrittura. In "Everyday Gets a Little Closer" Yalom scrive con Ginny Elkin il primo libro in cui sono condivise le riflessioni di entrambi: psichiatra e paziente, alternativamente. Ginny Elkin è lo pseudonimo di un giovane scrittore diagnosticato "schizoide" dalla psichiatria classica che, dopo diverse terapie, entra in trattamento privato con Yalom. In "Everyday Gets a Little Closer" è riportata la loro relazione terapeutica.

Le opere di Yalom sono state utilizzate come libri di testo e di lettura collettiva per studenti di psicologia. Per la sua visione nuova e unica della relazione col paziente/cliente l'Autore è stato aggiunto al programma di Psicologia del John Jay College of Criminal Justice di New York City.

Nel 2000, l'American Psychiatric Association ha insignito Irvin Yalom del Premio Oskar Pfister per i contributi importanti alla religione e alla psichiatria.

Yalom continua a lavorare part-time nel suo studio privato, ha autorizzato una serie di filmati sulle sue tecniche terapeutiche. ed è citato nel documentario del 2003 Flight from Death, che indaga il rapporto tra violenza umana e paura della morte, in relazione all'influenza del subconscio.

Pubblicazioni

Romanzi

Le lacrime di Nietzsche (When Nietzsche Wept, 1992) (Neri Pozza, 2006)
Sul lettino di Freud (Lying on the Couch, 1996) (Neri Pozza, 2015)
La cura Schopenhauer (The Schopenhauer Cure, 2005) (Neri Pozza, 2005)
Il problema Spinoza (The Spinoza Problem, 2012) (Neri Pozza, 2012)

Saggi

Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo (con Molyn Leszcz) (The Theory and Practice of Group Psychotherapy, 1970) (Bollati Boringhieri, 2009)

(Every Day Gets a Little Closer, 1974)

(Existential Psychotherapy, 1980)

(Inpatient Group Psychotherapy, 1983)

(Love's Executioner and Other Tales of Psychotherapy, 1989, Guarire d'amore, Rizzoli, Milano 1990)

(The Yalom Reader, 1998)

(Momma and the Meaning of Life, 1999)

(The Gift of Therapy: An Open Letter to a New Generation of Therapists and Their Patients, 2001)
Il dono della terapia (Staring at the Sun: Overcoming the Terror of Death, 2008) (Neri Pozza, 2014)

fonte: Wikipedia

Abraham Zapruder


JFK nella limousine a Dallas, pochi secondi prima di essere ucciso


la cinepresa di Abraham Zapruder, oggi conservata negli US National Archives.

è stato un sarto statunitense di origine ebraica, divenuto celebre per aver ripreso con una cinepresa 8 millimetri il corteo presidenziale di John Fitzgerald Kennedy a Elm Street nel momento dell'omicidio del presidente degli Stati Uniti.

Nato in Russia ed emigrato negli Stati Uniti d'America nel 1920, aveva lavorato a New York come assistente di un sarto e, trasferitosi nel Texas nel 1941, aveva intrapreso una piccola carriera imprenditoriale. Nel 1949 fondò la Jennifer Juniors, una ditta di confezione di abiti creata con il socio Irwin Schwartz. La piccola azienda, nel 1963, impiegava Marilyn Sitzman come receptionist, Beatrice Hester in veste di impiegata amministrativa e Lillian Rogers come segretaria e aveva sede al 501 di Elm Street, al quinto e al sesto piano del Dal-Tex Building, il palazzo costruito accanto al tristemente celebre Deposito dei libri della Texas School.

Il filmato sul corteo di Kennedy

La mattina del 22 novembre 1963 Zapruder, residente in Dallas andò al lavoro e, pur sapendo della parata presidenziale che gli sarebbe passata sotto l’ufficio, decise di non portare con sé la cinepresa acquistata nel 1962, una Bell&Howell Zoomatic Director Series otto millimetri modello 414 PD. Fu proprio Marilyn Sitzman a convincerlo a tornare a casa per prenderla: così facendo avrebbe potuto filmare il presidente John Fitzgerald Kennedy e la consorte per mostrarli ai figli e ai nipoti. Sceso in Dealey Plaza con la signora Sitzman, Zapruder si mise alla ricerca del miglior luogo da cui filmare il passaggio del corteo: individuò, in cima al terrapieno sul lato destro di Elm Street, un muretto di cemento e decise di salire là sopra per documentare il passaggio di JFK con la sua cinepresa. In ventidue secondi (altri quattro che compongono i ventisei totali non riguardano il corteo presidenziale) impressi su una pellicola 8 millimetri Abraham Zapruder filmò la scena.

I movimenti dopo l'attentato

Accortosi della tragedia che aveva appena documentato Zapruder tornò sconsolato verso il suo ufficio, passando davanti all’entrata del Deposito dei libri da cui erano partiti gli spari. Nel breve tragitto incontrò il giornalista Harry McCormick, un giornalista del Dallas Morning News, e gli raccontò di aver ripreso l’attentato. McCormick si mise d'accordo per andarlo a trovare nel pomeriggio in ufficio ma si premurò di informare immediatamente della cosa Forrest Sorrels, un agente del servizio segreto di Dallas. Schwartz, il socio di Zapruder, telefonò in ufficio pochi minuti dopo l’attentato e parlò con la segretaria. Si fece passare Zapruder che, in lacrime, gli disse: «Irwin, ho filmato tutto. Ho visto la sua testa esplodere!». Schwartz si precipitò in ufficio e, poco dopo, arrivarono anche McCormick e Sorrels.

Insieme a due poliziotti del dipartimento di Dallas si recarono alla redazione del Dallas Morning News, poiché McCormick era certo che l’ufficio disponesse dell’apparecchio per riprodurre il nastro. Invece non era così, quindi i quattro, accompagnati dagli agenti, si recarono nel palazzo accanto, quello della rete televisiva WFAA. Non appena arrivò Zapruder fu fatto sedere accanto al direttore delle news di WFAA Jay Watson e intervistato in diretta televisiva. Zapruder raccontò ciò che aveva visto attraverso la lente della cinepresa. Disse di aver sentito un colpo, e poco dopo un altro sparo o altri due. Alla fine dell’intervista McCormick disse che solamente la Kodak poteva sviluppare il filmino e fu costretto a tornare in città alla notizia dell’arresto di un sospetto, Lee Harvey Oswald.

Poco dopo, nello stabilimento della Kodak a Dallas, Zapruder e Schwartz videro per la prima volta il film dell’assassinio, aiutati da un impiegato di nome Phil Chamberlain e alla presenza di una decina di persone della Kodak. Furono fatte tre copie del filmato, due delle quali furono consegnate dallo stesso Zapruder, la sera del 22 novembre, agli agenti del servizio segreto presso la Centrale di polizia di Dallas. Nel pomeriggio del 22 novembre, però, si erano già mossi gli organi di stampa: il più veloce fu Richard Stolley, un dirigente della casa editrice proprietaria del periodico Life, intenzionato ad acquisire i diritti del filmato.

La mattina del 23 novembre 1963 Stolley si recò nell’ufficio del sarto e trattò la cessione dei diritti: dopo una breve discussione Stolley offrì 50.000 dollari, cifra accettata da Zapruder per poter riprodurre i fotogrammi del filmato. Il giorno successivo l’editore di Life, C.D. Jackson, pagò a Zapruder altri 150.000 dollari per acquistare i diritti di riproduzione televisiva e cinematografica. Fu ancora Stolley a trattare con Zapruder e da questa trattativa scaturì un fatto spesso interpretato come “copertura di un complotto”. In realtà non corrisponde al vero che il filmato sia stato nascosto agli occhi della pubblica opinione per non doversi arrendere all’evidenza di una cospirazione, anche perché le immagini non mostrano l’esistenza di due o più sparatori in Dealey Plaza: si trattò di un accordo economico privato tra il proprietario del filmato e un editore.

I fotogrammi più significativi furono pubblicati dalla rivista Life il 29 novembre 1963. Fu poi C.D. Jackson che ritenne, autonomamente e in maniera opinabile, il pubblico non pronto a vedere le immagini e decise di conservare per qualche anno la pellicola negli archivi della Time-Life Corporation, limitandosi a pubblicare quei fotogrammi che non mostravano l’esplosione del cranio del presidente. Abraham Zapruder donò immediatamente 45.000 dollari alla vedova del poliziotto J.D. Tippit, l’agente ucciso, secondo le inchieste seguite all'attentato, da Lee Harvey Oswald pochi minuti prima del suo arresto. La pubblicazione del filmato di Zapruder avvenne 12 anni dopo, nel 1975 durante la trasmissione Good Night America di Geraldo Rivera.

La morte

Zapruder morì il 30 agosto 1970. Cinque anni dopo la morte di Zapruder la testata Life restituì i diritti alla sua famiglia mentre l'originale del filmato finì, per essere conservato con maggior cura, negli Archivi Nazionali. Il 3 agosto 1999 il Dipartimento di Giustizia staccò un assegno di 16 milioni di dollari a beneficio degli eredi di Zapruder per l’acquisizione da parte del Governo del documento.

fonte: Wikipedia

ZAPRUDER FILM

L'UOMO CHE UCCISE KENNEDY

una generazione di dementi

una generazione di dementi
ne sono convinta
inutile dirmi
che hanno altre competenze
che sviluppano circuiti cognitivi alternatvi
che sono multitasking
che sono semplicemente differenti
una generazione di dementi
lo vedo, di persona,
mica confabulo
mica invento
mica pontifico
tutti i santi giorni
di più
minuti ore giornate mesi anni
sprecati dietro al nulla
al vuoto delle immagini pixel
al vuoto delle relazioni virtuali
al vuoto dello schermo della play
al vuoto di milioni di video senza senso
al vuoto di video tutti uguali di pari dementi
che sprecano la loro vita registrando il nulla
e immettendolo sul web
nel fiume oceano dell'annientamento
una generazione di dementi
finita la vacanza
tre settimane in  attesa dell'inizio della scuola
minuti ore giorni settimane
senza fare niente
tutto il giorno
il vuoto coperto dall'avvio del cellulare
cellulare che impedisce di avvertire la noia
compagna necessaria per stimolare il neurone
e attivare la risorsa personale
mettere in moto l'intelligenza
avviare una soluzione alternativa
uscire
andare in bici
correre
giocare a calcio
vedere di persona gli amici
andare al cinema
interessarsi a una lingua
a uno spettacolo
vedere i concerti
ovvero vivere, operare la vita
una generazione di dementi
che abdicano
consegnano al vuoto preziosissime molecole vive e funzionanti
finchè sono vive, mi dico, puoi muoiono...
non mi dite che poi sbocceranno
sono destinati al fallimento
e se si salveranno sarà perchè
finalmente
avranno messo in moto la vita
il desiderio
la motivazione
l'interesse
la fatica
il sacrificio
la dedizione
la concentrazione
quegli elementi insostituibili
che hanno messo in moto il mondo
secoli prima di loro
quando il mondo virtuale non esisteva
una generazione di dementi
nessun futuro,
solo il vuoto del web che non costruisce nulla
che sostituisce i dischi i libri e le biblioteche
vivranno quando metteranno via il cellulare
prima
la confusione della demenza
una roba tremenda, chi mai la vorrebbe potendo scegliere?
fino ad allora
la demenza e poi il nulla.
una generazione di dementi
sono a un concerto strepitoso
MI TO contaminazione classica rap
che figata mi dico
sono a un concerto
io che ho cinquant'anni
la generazione di dementi a casa davati all'ultimo video
non al cinema, solo al cellulare
chiusi dentro casa come fossero in carcere
un ragazzino demente,
14 anni
con madre e padre pure orgogliosi delle demenza precox del figlio
ma loro primi responsabili del grande degrado cognitivo
una generazione di dementi
il ragazzino non ascolta il concerto
tira fuori l'iPad
vede una partita di pallacanestro
a tratti tira fuori il cellulare
iPhone
non ascolta non vede la partita
non capisce nemmeno quello che fa
con il cellulare fotografa le immagini sull'iPad
siamo al colmo dell'imbecillità
al limite massimo dell'ammassamento neuronale
al limite del black out cerebrale
e poi invia ad amici che non esistono
non fatti di molecole vive
ma di riflessi digitali
foto dell'iPad fatte al concerto che non ascolta
una generazione di dementi
sottoposto a un rincoglionimento globale
non vede non sente non ascolta non vive
non sa come si chiama
non sa dare nome al momento che vive
dove vive
uno
occupato
a 14 anni
su tre piani sensoriali contemporaneamente?
è un modo per rinunciare alla vita
per dare forfait
mi sembra presto, no?
una decomposizione
una destrutturazione
guidata da strumenti tecnologici adeguati
avrà avuto mille euro di roba tra le mani
ma
i suoi genitori
lo guardano sereni andare in corto circuito
lo osservano senza fiatare
anzi
sono tanto tanto tanto orgogliosi di lui
e massacreranno
insulteranno
denunceranno
il primo insengnante che
in prima liceo
oserà dire
che
qualcosa
di questo ragazzo
proprio
non va.

una generazione di dementi.

pensiamoci, i responsabili siamo noi.
fonte: nuovateoria.blogspot.it

domenica 20 settembre 2015

la maschera di scimmia



The Monkey's Mask è un film del 2000 diretto da Samantha Lang ed interpretato da Susie Porter e Kelly McGillis; la prima è una detective privata lesbica che durante le indagini sulla scomparsa di una giovane donna si innamora di una sospettata, l'insegnante Diana Maitland impersonificata dalla McGillis.

La pellicola è basata sull'omonimo romanzo in versi della poetessa australiana Dorothy Porter.

Trama

Il film è ambientato a Brisbane, una piccola cittadina australiana: una giovane studentessa d'arte con velleità artistiche, Mickey Norris, legge una sua poesia in un bar e quando esce dal locale notturno entra nell'auto di una persona non identificabile e da quel momento si perdono le sue tracce. Due settimane dopo la sua sparizione accetta di occuparsi del caso Jill Fitzpatrick, ex agente di Polizia ed ora detective privata, che inizia le sue indagini.

Jill cerca indizi andando ad investigare nell'università frequentata da Mickey e nell'ateneo rimane affascinata dalla lezione di Diana Maitland, professoressa di letteratura della ragazza. Jill, dichiaratamente lesbica, è subito attratta dalla matura ma ancora molto affascinante Diana e nonostante il matrimonio dell'insegnante col giovane Nick, un avvocato che non disdegna storielle extraconiugali, alla fine le due iniziano una torbida relazione passionale.

I genitori della vittima contattano la detective e le chiedono di proseguire le indagini visto che la Polizia non da loro nessun aiuto, ma Jill è distratta dal suo legame con Diana: un giorno Nick le coglie sul fatto mentre copulano, tuttavia non si arrabbia né si preoccupa più di tanto. In seguito Jill entra tramite la sua amica Lou nella comunità di poeti frequentati da Mickey e conosce due compositori, Bill e Tony, a cui la ragazza dedicò molti versi sessualmente espliciti.

I due però non sono disponibili a collaborare con le indagini e allora l'investigatrice torna a interrogare Diana, che butta fango su Mickey definendola "ninfomane": da questo momento Jill incomincerà a ricevere telefonate minatorie in cui una voce camuffata le intima di smetterla di cercare il colpevole. Nonostante sia contrariata dall'atteggiamento provocatorio della docente, Jill continua ad essere la sua amante e una notte Diana la soffoca per ottenere asfissia erotica: Jill perde i sensi e dopo, quando Diana le chiede se le è piaciuto, risponde di non ricordare.

Nel frattempo si rifà vivo Bill: il poeta afferma di averci ripensato e di voler consegnare a Jill delle prove che possono risolvere il caso ma mentre le sta trasportando in macchina la sua auto esplode e il giovane muore. A questo punto interviene l'altro artista in erba precedentemente conosciuto, Tony: egli confessa a Jill che la vittima aveva scritto un diario segreto e che lo aveva donato a Diana e inoltre mostra alla detective un video in cui la matura insegnante e la giovane allieva si baciano.

Allora Jill capisce che Diana le ha mentito durante tutto questo tempo: l'impressione le è confermata anche dalla confidenza di Barbara, la moglie di Tony, secondo cui è stata proprio Diana a far saltare l'auto di Bill. Nel nastro che ora Jill ha in suo possesso si vedono Mickey e Diana parlarsi ed amoreggiare per poi scomparire di scena insieme a Nick; poco dopo questa visione Jill si reca in tribunale incontrando proprio Nick e i due vanno in spiaggia dove iniziano a flirtare e copulano, nonostante l'omosessualità della donna: durante il coito, in cui l'avvocato cerca anch'egli di soffocare Jill, lei gli chiede a bruciapelo se ha ucciso Mickey e nell'enfasi del momento Nick confessa, parlando di un gioco erotico a tre finito male.

Prontamente Jill si divincola dalla morsa dell'assassino e va a denunciare tutto alle forze dell'ordine. L'ultimo incontro tra Jill e Diana è molto freddo: la Maitland afferma di essere disposta a tutto pur di tutelare i suoi interessi e chiede all'investigatrice di non rivelare a nessuno quello che ha scoperto. Troppo tardi ormai, visto che la polizia sta già vagliando il nastro audio consegnato da Jill che incastra Diane e Nick. Il film si conclude quindi con lo smascheramento dei colpevoli, che saranno sottoposti ad un giusto processo.

Critica

Il giudizio dei critici anglosassoni è stata piuttosto negativa: A. O. Scott del New York Times parlò per esempio di film sicuramente glamour e affascinante nella sua analisi della poesia squallida ma criticò la regia della Lang e i dialoghi, definiti "sorprendentemente cattivi". Ronald Mangravite del Miami New Times bollò il film com noioso e noir e definì il suo materiale "certamente non rivoluzionario"; inoltre ne parodizzò il titolo il Lesbian PI, facendo il verso a Magnum, P.I. L'opinione di Paula Nechak per il Seattle Post-Intelligencer è più positiva soprattutto per ciò che concerne l'interpretazione di Susie Porter, che "irradia intelligenza e trasporta un sensualità accessibile sul grande schermo".

In Italia invece la critica fu sostanzialmente benevola; ne sono esempi queste recensioni:

L'avevamo persa, è ritornata. Indurita, segnata dagli anni, ma è sempre lei, la fulgida Kelly McGillis di 'Witness' e 'Top Gun'. In 'La maschera di scimmia, stravagante lesbo-thriller australiano, ama con pari trasporto la poesia e le donne. Anche nuda. Temeraria, ammirevole".

(Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 1º giugno 2001).

Fuori dalla fascinazione del rapporto amoroso lesbico, resta una storia tradizionalmente anticonvenzionale che funziona certo più sulla pagina che sullo schermo. C'è anche lo zampino di un bravo produttore italiano, Domenico Procacci".

(Silvio Danese, Quotidiano Nazionale, 1º giugno 2001).

Ispirato a un romanzo in versi di Dorothy Porter sul potere e sull'innamoramento, su sesso, morte e verità, co-prodotto da Domenico Procacci, il film inconsueto racconta dell'indagine su una studentessa scomparsa e poi ritrovata strangolata, condotta da una giovane detective privata. (...) Cincischiato, ma interessante.

(Lietta Tornabuoni, La Stampa, 1º giugno 2001).

Tratto dall'omonimo romanzo di Dorothy Porter, è un film riuscito. La traccia narrativa è quella di una classica storia di detection (...). La regista, una trentatreenne inglese per nascita ma che ha fatto gli studi di cinema in Australia, dirige con mano sicura riuscendo a coniugare un personaggio inedito per il genere con le vecchie seduzioni della suspense".

(Roberto Nepoti, la Repubblica, 3 giugno 2001).

Uno schema plausibile, dipanato con indubbie attenzioni psicologiche e immerso poi dalla regista in atmosfere cupe e non di rado anche minacciose in cui gli interrogativi, i rischi e le sorprese vanno via via accumulandosi. Pur arrivando alla fine a un diapason (ed è un merito stilistico) che si risolve nel gelo. Nei panni di Jill, Susie Porter molto mascolina. Al suo opposto, come Diana, Kelly McGillis, più anziana e già vista in molti film di Hollywood. Più misteriosa che non ambigua.

(Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 3 giugno 2001).

fonte: Wikipedia

abbiamo criminalizzato lo Stato-nazione, ed ecco i risultati

Temo che negli ultimi anni sia stato sottovalutato da molti, me per primo, il forte legame sussistente fra il concetto stesso di Stato e quello di Democrazia. Abbiamo depotenziato il ruolo dello Stato per favorire la nascita e il rafforzamento di organismi sovranazionali presuntivamente illuminati; abbiamo destrutturato un equilibrio rispettabile, basato per l’appunto sul rispetto della sovranità dei singoli Stati, nella speranza di favorire così facendo la nascita dei mitologici “Stati Uniti d’Europa”; e abbiamo infine affidato le speranze e la vita di intere generazioni nelle mani di burocrati da strapazzo, emissari e difensori degli interessi di quello che una volta sarebbe stato chiamato “denaro organizzato”.  Abbiamo fatto bene? No, abbiamo fatto male. Malissimo. Prima di avventurarci in questioni di contorno, è giusto ribadire un assioma cardine: nel buio del potere pubblico detta legge la forza economica del privato. Solo la politica, legittimata dal voto, ha il potere di intervenire sui reali rapporti di forza che una qualsiasi società esprime, per il tramite di leggi e regolamenti pensati per aggredire le disuguaglianze materiali.
La nostra Costituzione, non a caso invisa a colossi bancari come Jp Morgan, relativizza la natura della proprietà, prevedendo esplicitamente la possibilità di esproprio per ragioni di pubblico interesse (art. 42, comma 3). Morto lo Stato, inteso quale forza Francesco Maria Toscanocapace di esercitare un potere esclusivo all’interno di un definito contesto territoriale e geografico, chi potrà mai intervenire per garantire il cristallizzarsi di un sistema conformato secondo i dettami della giustizia sociale? Nessuno. I soloni che paventano il ritorno del “nazionalismo”, padre di ogni guerra e disgrazia, lavorano in realtà per perpetuare all’infinito la supremazia degli oligarchi privati. Lo Stato è vissuto come un ostacolo dai plutocrati, perché potenzialmente in grado di porre un freno alla bramosia isterica di un manipolo di avari apolidi cementati da occulte e perverse appartenenze. In sintesi: senza una cornice pubblica di riferimento, la politica scade a teatrino, stanco e inutile rituale.
La massoneria contemporanea (come provato da diverse e coincidenti fonti da approfondire in seguito), non a caso, ha individuato nello Stato il suo principale nemico. La strategia volta a creare nuovi equilibri attraverso la creazione artificiale di continui shock è evidentemente impregnata di esoterismo (“solve et coagula”). Questo tipo di approccio assume caratteristiche diverse per luoghi geograficamente diversi, ma la filosofia unitaria che sottende certe scelte rimane comunque leggibile in filigrana. Quelli che in Europa scelgono la strada del terrorismo economico per uccidere gli Stati, impoverire le masse e consegnare il potere nelle mani dei banchieri centrali, sono gli stessi che in Medio Oriente puntano sul terrorismo sanguinario dell’Isis per ottenere risultati altrettanto destabilizzanti. In questa ottica le cosiddette “primavere arabe” sono simili alle cosiddette “crisi del debito” dei paesi occidentali, fenomeni eterodiretti da menti raffinatissime che sul caos edificano nuovi quanto meschini sistemi di potere(“ordo ab chao”). Questo schema ha prosperato fino ad oggi al sicuro grazie soprattutto ad una provvidenziale coltre di impermeabilità ora fortunatamente declinante. Alcuni flussi informativi, per quanto tacitati, alla lunga produrranno effetti dirompenti, indispensabili per promuovere un radicale e globale cambio di paradigma. Per quel giorno sarà bene che ognuno di noi si faccia trovare dalla parte giusta della Storia.
(Francesco Maria Toscano, “Abbiamo criminalizzato il concetto di Stato-nazione, e abbiamo fatto male”, dal blog “Il Moralista” del 14 agosto 2014).

fonte: www.libreidee.org