mercoledì 31 maggio 2017

la solitudine delle Veneri preistoriche


E’ possibile che la bellezza, o quella che noi riteniamo tale, muti nel corso del tempo?
Ogni tempo ha un suo canone di bellezza?
Il canone di bellezza è un ideale estetico concernente il corpo che è riconosciuto dalla società in un determinato momento storico. Il canone si esprime attraverso varie forme ed è tramandato grazie alle espressioni artistiche. 
La rappresentazione di un corpo nell’arte di un determinato momento permette a noi, uomini e donne del secolo tecnologico, di comprendere cos’era considerato bello in un tempo passato.
L’essere umano ha sempre manifestato la volontà di tramandare la bellezza?
Forse sin dagli albori della sua esistenza.
Forse.
La Dea Venere era principalmente associata all’amore, alla bellezza e alla fertilità. Venere era l’equivalente della Dea greca Afrodite. Bellezza e fertilità. La preistoria dell’uomo ha donato qualcosa che non siamo ancora in grado di comprendere. Molti aspetti della storia antica sono esterni alla nostra coscienza. Dovremmo rivedere completamente il nostro passato. Per utilizzare una frase di Marija Gimbutas “la memoria collettiva umana va rimessa a fuoco.[1]
Si è scoperto che la selce scolpita in sembianze femminili e animali risale ad un’epoca antichissima, forse - per molti - un tempo prima del tempo: potrebbero risalire a circa 500.000 anni fa. Da 100.000 anni fa si pongono deliberatamente pietre triangolari sulle sepolture e s’intagliano coppelle nella pietra.  Da 40.000 anni prima della nostra epoca scoppia l’arte rupestre: graffiti, pitture ed intagli nella roccia.
Il dono degli antichi, giunto sino a noi, in cosa consiste?
Statuette dove il volto della donna era, generalmente, abbozzato per lasciare spazio all’evidenza del seno e del ventre. Ventre rigonfio a testimonianza della funzione materna della donna.  La Dea del Paleolitico e del Neolitico è partenogenetica, crea la vita da se stessa. E’ la primigenia Dea Vergine, sopravvissuta in numerose forme culturali sino ad oggi.  Utilizzando ancora Marija Gimbutas possiamo comprendere che “la Vergine Maria cristiana è una versione retrocessa della divinità originale”[2]
Dalle testimonianze giunte sino a noi appare chiaro che la capacità della donna di generare la vita e nutrire i bambini, per mezzo del corpo, fosse ritenuta sacra e venerata come metafora della creazione divina.  Le statuette raffiguranti le prime veneri hanno dimensioni disparate, e contenute: dai quattro centimetri ai 20.  I materiali più usati sono la steatite e la calcite.
“La pietra è.”[3]
In queste povere parole di Mircea Eliade tutta la sostanza della materia. La pietra rimane sempre se stessa e perdura nel tempo. Vi era prima di noi, ci accompagna lungo il cammino e ci sarà dopo di noi. Nella coscienza religiosa degli antichi abitanti questo concetto era contemplato. La pietra rimane se stessa e colpisce. L’uomo primitivo prima di utilizzarla la colpiva, poiché lo sguardo anticipava il corpo. La pietra non è umana: l’uomo nell’incontro con la roccia si avvicina ad una realtà diversa, un mondo distaccato dal proprio. La pietra rappresenta il divino. L’uomo non adorava la pietra perché tale, ma come riconoscimento della manifestazione divina.
Molte rappresentazioni di veneri sono state rinvenute e portate alla luce del mondo.


La più antica dovrebbe, serve il condizionale perché molte polemiche sono aperte sul riconoscimento di quest’ipotetico manufatto, essere la Venere di Tan-Tan, dal luogo in Marocco dove è stata portata alla luce. La statuetta è alta circa 6 centimetri e datata in un intervallo che va dai 500.000 ai 300.000 anni prima di Cristo. In origine era ricoperta d’ocra rossa. Le polemiche concernono la diversa visione tra lo scopritore, Lutz Fiedler, ed altri studiosi. L’archeologo che la trovò ritiene che abbia naturalmente posseduto una forma simile a quell’umana, accentuata da una lavorazione con un cuneo di pietra.  Il professor Ambrose ritiene trattarsi di pietra la cui forma deriverebbe da fenomeni naturali come l’erosione di vento o acqua. 


Dovrebbe essere, quasi, contemporanea della Venere di Berekhat Ram, rinvenuta sulle alture del Golan, Israele, nel 1981.  La rappresentazione della donna, in tufo rosso, è lunga 35 centimetri e presenta tre incisioni sulla superficie a voler marcare il collo e le braccia. La datazione dovrebbe attestarla a circa 230.000 anni fa. Questa realizzazione apparterrebbe all’homo erectus e non alla nostra specie. Insieme alla venere di Tan-Tan rappresenta il più antico esempio d’arte preistorica.
Ora ci attende un balzo di 200.000 anni.
Pensate a quanto deve ancora ridare la terra, provate a pensarci.


Con l’apparizione della Venere di Hohle Fels, dal luogo in Germania dove è stata rinvenuta, i dubbi svaniscono completamente. Trattasi di statuina paleolitica datata, al radiocarbonio, in un periodo tra i 31.000 e i 40.000 anni prima di noi. E’ associata alle prime presenze dell’homo sapiens, cultura di Cro-Magnon, in Europa. La statuetta, di una grandezza di soli sei centimetri, è ricavata da una zanna di mammuth. L’evidenza dei fianchi, dei seni e del ventre rigonfio assumono caratteristiche marcate e distinguibili dalle precedenti.
Non potendo per questioni di spazio e per non asfissiare con un elenco noioso il lettore, parlo delle più famose e non di tutte quelle esistenti.


Avvicinandosi a tempi, relativamente, moderni abbiamo la Venere di Willendorf, forse la più o una tra le più conosciute. E’ una statuetta di 11 centimetri d’altezza raffigurante una donna e dipinta d’ocra rossa. La statua si colloca all’interno del culto della Madre Terra. La vulva e i seni gonfi rappresentano la prosperità, la speranza che la madre sia in grado di generare figli e di poterli mantenere in vita. A Willendorf, come in molti altri casi, fu utilizzata l’ocra rossa per ricoprire la statuetta. L’ocra rossa richiama la passione ma soprattutto il sangue mestruale, che annunciava la rinnovata capacità della donna di poter dare discendenza al genere umano. La rappresentazione di Willendorf è oggi visibile presso il Naturhistorisches Museum di Vienna. La datazione di questo prezioso manufatto è compresa tra i 26.000 e i 24.000 anni fa. 


Da quest’elenco non poteva mancare la bellissima Venere di Brassempouy, dal nome della zona francese nella quale fu rinvenuta nel 1892. Risalendo a circa 25.000 anni fa è la più antica rappresentazione con tratti realistici di un volto umano. Purtroppo la statuetta è incompleta e a noi è giunta solo la testa, scolpita in avorio di mammut dall’altezza di circa 3,5 centimetri. Preziose risultano le informazioni circa il ritrovamento, per comprendere e porre la statua in un contesto. Nei pressi di Brassempouy vi sono due grotte, distanti poche decine di metri l’una dall’altra, che rappresentano i primi siti paleolitici esplorati in Francia. In una delle due grotte furono rinvenute nove figure umane, tra cui la nostra venere, ignorate a lungo poiché erano incomplete. L’archeologia muoveva i primi passi ed ancora non prestavano attenzione alle stratificazioni, in altre parole all’ambiente nel quale i manufatti erano rinvenuti. Uno dei primi archeologici, Edouard Piette, che indagò le grotte, ritenendo che le rappresentazioni umane fossero simili agli animali del periodo Magdaleniano - da 17.000 a 11.000 anni fa - le datò a quell’epoca. Oggi sappiamo che appartengono al periodo Gravettiano - da 29.000 a 20.000 anni fa. Interessante a riguardo il pensiero di Randall White, il quale sostiene che le figure emersero in un contesto socio-politico ed intellettuale coloniale ed ossessionato dalla razza. Inoltre lo studioso afferma che le proporzioni non corrispondono a nessuna popolazione umana attuale o passata, nonostante lo sforzo realistico dei suoi esecutori. [4]


Venendo al nostro paese, dobbiamo ricordare la Venere di Savignano sul Panaro, centro della provincia di Modena. La statua fu rinvenuta nel 1925 ad una profondità di circa 2 metri dal suolo. L’immagine misura oltre 20 centimetri ed è scolpita in serpentino tenero. Come nel caso della venere di Brassempouy il suo fortuito ritrovamento non ha permesso l’analisi della stratificazione e dell’ambiente nel quale è stata rinvenuta. Una datazione la pone a circa 35.000 anni fa, quindi tra le più antiche mai rinvenute. Oggi è possibile ammirarla al Museo nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini di Roma.
Abbiamo compreso il significato?
Molti tentativi di spiegare la rappresentazione di vulva, seni, natiche e ventre rigonfio hanno dato origine ad ipotesi fantastiche. La fantasia è scaturita dal tentativo di spiegare l’antica simbologia attraverso la lente dei pregiudizi del secolo scorso. Tra queste una che trovo assurda e maschilista consiste nella spiegazione che tutti questi manufatti siano legati al gioco dell’amore manuale, ossia il toccamento di vulva, seni e natiche. [5]
Dal mio punto di vista questa spiegazione escluderebbe completamente l’ambiente religioso e sociale, oltre che ridurre la donna a semplice oggetto del piacere.
Lascio la conclusione ad un pensiero di Marija Gimbutas, nel quale propone il concetto che la divinità primordiale dei nostri antenati paleolitici o neolitici era femminile, riflettendo il primato della madre. Infatti non abbiamo trovato immagini di un Dio padre in nessun documento preistorico. I simboli e le immagini paleolitiche, o neolitiche, si raggruppano intorno ad una Dea che genera se stessa ed alle sue funzioni di datrice di vita e morte.[6]
Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia

Desmond Collins - On the origins of art. Pubblicato in Art History Journal of the association of art historians. 1971


Nicholas Conard - A female figurine from the basal Aurignacian of Hohle Fels Cave in southwestern Germany. Nature 14 May 2009

Riane Eisler - La Dea della natura e della spiritualità. Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore - Roma, 1992

Mircea Eliade - Trattato di storia delle religioni. Bollati – Boringhieri. 2008

Marija Gimbutas - La civiltà della Dea. Il mondo dell’Antica Europa. 1991 – 2013 nella traduzione italiana

Randall White - Journal of archeological method and theory. 2006




[1] Marija Gimbutas. La civiltà della Dea. Il mondo dell’Antica Europa. 1991 – 2013 nella traduzione italiana.
[2] Marija Gimbutas. La civiltà della Dea. Il mondo dell’Antica Europa. 1991 – 2013 nella traduzione italiana.
[3] Mircea Eliade. Trattato di storia delle religioni. Bollati – Boringhieri. 2008
[4] Randall White, Journal of archeological method and theory. 2006
[5] Desmond Collins. On the origins of art. Pubblicato in Art History Journal of the association of art historians. 1971
[6] Marija Gimbutas. La civiltà della Dea. Il mondo dell’Antica Europa. 1991 – 2013 nella traduzione italiana

sabato 27 maggio 2017

io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo ...

Sono ormai passati più di 200 anni dalla morte di Cagliostro e su questo argomento sono state prodotte anche troppe opere con diverse verità storiche, esoteriche, politiche e sociali.

Ma chi fu veramente Cagliostro? Un profeta, un mago, un imbroglione? Indubbiamente fu un personaggio scomodo, definito anche il più arcano tra gli iniziati italiani del ‘700, sempre vivo ed attuale.
L’argomento più contestato è il dualismo Giuseppe Balsamo – Alessandro Cagliostro. Storici, scrittori, romanzieri si sono soffermati a lungo su questo tema, chi in favore dell’identità tra i due personaggi (non solo Barbieri con il suo Compendio a favore dell’Inquisizione, ma anche Dumas e Goethe), chi invece contro questa tesi come Marc Haven che per primo dimostrò le incongruenze dei fatti, De Chirico, Gentili, di Castiglione ecc. 

Il quesito, finora, non ha avuto risposta certa: il mistero che da sempre avvolge le molteplici attività svolte da Cagliostro contribuisce a tenere vivo l’interesse su di lui. 
L’enigmaticità fu e resta il suo fascino. 
È pervenuta fino a noi una tradizione che ci parla di un uomo proveniente da Paesi sconosciuti. Sembra che sia vissuto in epoche indefinibili e abbia compiuto viaggi favolosi grazie ai quali sembra abbia acquisito profonde cognizioni nelle arti più nobili (alchimia, spagiria, astrologia, interpretazione dei sogni). 
Solo Cagliostro – è stato scritto – sapeva chi fosse Cagliostro ed allora diamo la parola al Conte affinché sia Lui stesso a presentarSi: ...


(sopra, la cella dove fu rinchiuso Cagliostro, a San Leo)

“La verità su di me non sarà mai scritta, 
perché nessuno la conosce”


“Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo, al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza e se mi immergo nel mio pensiero rifacendo il corso degli anni, se proietto il mio spirito verso un modo di vivere lontano da colui che voi percepite, io divento colui che desidero.

Partecipando coscientemente all’essere assoluto, regolo la mia azione secondo il meglio che mi circonda. Il mio nome è quello della mia funzione e io lo scelgo, così come scelgo la mia funzione, perché sono libero; il mio Paese è quello dove fermo momentaneamente i miei passi. Mettete la data di ieri, se volete o riuscendovi, quella di domani o degli anni passati, per l’orgoglio illusorio di una grandezza che non sarà forse mai la vostra”.

“Io sono colui che è”. 

“Non ho un padre; diverse circostanze della mia vita mi hanno fatto giungere a questa grande e commovente verità; ma i misteri di questa origine e i rapporti che mi uniscono a questo padre sconosciuto, sono e restano i miei segreti.
Coloro che saranno chiamati al divenire, all’intravedere come me, mi comprendono e mi approvano. Quanto all’ora, al luogo dove il mio corpo materiale a quaranta anni si educherà su questa terra, quanto alla famiglia che io scelgo per questo, io voglio ignorarla, non voglio ricordarmi del passato per non aumentare le responsabilità già pesanti di coloro i quali mi hanno conosciuto, perché sta scritto: tu non farai cadere il cielo.
Io non sono nato dalla carne, né dalla volontà dell’uomo, sono nato dallo spirito. Il mio nome, che è mio, quello che scelsi per apparire in mezzo a voi, ecco quello che reclamo. Quelli che mi sono stati dati alla mia nascita o durante la mia giovinezza, quelli per i quali fui conosciuto, sono di altri tempi e
luoghi; li ho lasciati, come avrò lasciato domani dei vestiti passati di moda e ormai inutili.

Ma ecco sono nobile e viandante, io parlo e le vostre anime attente ne riconosceranno le antiche parole, una voce che è in voi e che taceva da molto tempo risponde alla chiamata della mia; io agisco e la pace rinviene nei vostri cuori, la salute nei vostri corpi, la speranza e il coraggio nelle vostre anime.
Tutti gli uomini sono miei fratelli, tutti i paesi mi sono cari, io li percorro ovunque, affinché lo spirito possa discendere da una strada e venire verso di noi. Io non domando ai Re, di cui rispetto la potenza, che l’ospitalità sulle loro terre e, quando questa mi è accordata, passo facendo attorno a me il più bene possibile: ma non faccio che passare. Sono un nobile viandante?

Come il vento del Sud, come la splendente luce del mezzogiorno che caratterizza la piena conoscenza delle cose e la comunione attiva con Dio, così io vado verso il Nord, verso la nebbia e il freddo, abbandonando ovunque al mio passaggio qualche parte di me stesso, splendendomi, diminuendomi in ogni fermata, ma lasciandovi un po’ di luce, un po’ di calore, fino a quando io non sia infine arrivato e stabilito al termine della mia carriera: allora la rosa fiorirà sulla croce.

Io sono Cagliostro.
Perché è necessario che voi chiediate di più? 

Se voi eravate figli di Dio, se la vostra anima non era così vana e così curiosa voi avevate già compreso.Vi necessitano dei dettagli, dei segni e delle parole, dunque ascoltate. Risalite molto nel passato, poiché lo volete.
Tutta la luce viene dall’Oriente, tutto l’inizio dall’Egitto; sono stato tre anni con voi, quindi sette anni, poi l’età matura e a partire da questa età non ho più contato. Tre settenari fanno ventuno anni e realizzano la pienezza dello sviluppo umano.

Nella mia prima infanzia, sotto la legge del rigore e della giustizia soffersi in esilio, come Israel tra le nazioni straniere. Ma come Israel aveva in se la presenza di Dio, che come un Metatron lo guidava nei suoi passi, allo stesso modo un angelo potente vegliava su di me e dirigeva i miei atti, schiariva la mia anima, sviluppando le forze latenti in me. Lui era il mio maestro e la mia guida.

La mia ragione si formava e si precisava; io mi interrogavo, mi studiavo e prendevo coscienza di tutto quanto mi circondava, feci dei viaggi, molti viaggi, tanto attorno la camera delle mie riflessioni che nei templi e nelle quattro parti del mondo; ma quando volevo penetrare l’origine del mio essere e salire verso Dio, nello slancio della mia anima, allora la mia ragione impotente si taceva e mi lasciava in balia delle mie congetture.
Un amore che attirava verso di se tutte le creature in maniera impulsiva, una ambizione irresistibile, un sentimento profondo dei miei diritti a tutte le cose della terra e del cielo mi possedevano e mi gettavano verso la vita e l’esperienza progressiva delle mie forze, del loro gioco e del loro limite: era la lotta che dovevo sostenere contro le potenze del mondo, fui abbandonato e tentato nel deserto, lottai con l’angelo come Jacob, con gli uomini e con i demoni, questi vinti, mi insegnarono i segreti che concernono il dominio delle tenebre, per cui non mi smarrii in una delle vie dalle quali non c’è ritorno.

Un giorno – dopo quanti anni e viaggi – il Cielo esaudì i miei sforzi: si ricordò del suo servitore che, rivestito degli abiti nuziali, ebbe la grazia di essere ammesso come Mosè davanti all’eterno. Da allora ricevetti come un nome nuovo, una missione unica.
Libero e maestro della vita non pensai che a impiegarla per l’opera di Dio.
Sapevo che egli confermava i miei atti e le mie parole, come io confermavo il suo nome e il suo dominio sulla terra. Ci sono degli esseri che non hanno più angelo custode: io fui uno di quelli.

Ecco la mia infanzia e la mia giovinezza, tali che il vostro spirito inquieto e generoso le reclama; ma che esse siano durate più o meno anni, che non si siano fermate nei Paesi dei vostri padri o in altre contrade, che importa a voi?
Non sono io un uomo libero?

Giudicate le mie abitudini, come a dire le mie azioni, dite se esse sono buone, dite se ne avete viste di più potenti e se allora vi occupate ancora della mia nazionalità, del mio rango e della mia religione.
Se, proseguendo il cammino felice dei suoi viaggi qualcuno di voi si avvicinasse un giorno a quella terra d’Oriente che mi ha visto nascere e si ricordasse di me, pronunci il mio nome e allora vedrà i servitori di mio padre che gli apriranno le porte della città santa. Poi quando ritornerà dirà ai suoi fratelli se io ho abusato fra voi di un falso prestigio, se ho preso nelle vostre dimore qualche cosa che non mi apparteneva”.

(Dalla “Memoria per il conte di Cagliostro, accusato contro il Procuratore generale” - Parigi 1786).


Cagliostro capì l’Origine Egizia della massoneria tanto da edificare una propria consorteria che tentò di imporre alla altre Logge: il Rito Egizio che poi diverrà l’Antico Rito Primitivo di Memphis e Misraim, che egli codificò in un libricino intitolato Rituale della Massoneria Egiziana.

La sua era una Magia Sexualis che trovava nel mito di Osiride e Iside la giustificazione metafisica. E così svelava il vero volto della massoneria, che dietro il maschilismo della Carta di fondazione di Anderson del 1717, che vietava alle donne d’accedere in Loggia, in realtà non solo Cagliostro ne mostrava la venerazione massonica al gran femmineo, ma soprattutto che il vertice massonico era matriarcale, e questo segreto era gelosamente custodito. Se oggi possiamo considerare le idee del Gran Copto e della sua compagnia Serafina antesignane della libertà femminile, dobbiamo intendere, inserendoci nel nostro discorso sull’uso della prostituzione all’interno delle Élite, il rito d’adozione di Cagliostro come matrice di tutti gli altri della moderna massoneria femminile o mista.

Articolo completo: icompagnidibaal.myblog.it

Sfidò apertamente la Chiesa fondando a Londra una loggia di Rito egiziano e assumendo il titolo di «Gran Cofto».
Il Sant’Uffizio non tardò a colpirlo: tratto in arresto il 27 dicembre 1789, fu rinchiuso nelle carceri di Castel Sant’Angelo. Il duro processo cui fu sottoposto si concluse il 7 aprile 1790 con l’emissione di una condanna a morte per eresia e attività sediziose e con la distruzione, nella pubblica piazza, dei manoscritti e degli strumenti massonici.
( ... )
Il 26 agosto 1795 il famoso avventuriero, oramai gravemente ammalato, si spense a causa di un colpo apoplettico.
La leggenda che aveva accompagnato la sua fascinosa vita si impossessò anche della morte: dai poco attendibili racconti sulla sua presunta scomparsa giunti fino ai giorni nostri, è possibile intravedere il tentativo, peraltro riuscito, di rendere immortale, se non il corpo, almeno le maliarde gesta di questo attraente personaggio. L’atto di morte, conservato nell’archivio parrocchiale di San Leo, redatto in latino dall’arciprete Luigi Marini, rende giustizia alla veridicità delle vicende:
Giuseppe Balsamo, soprannominato Conte di Cagliostro, di Palermo, battezzato ma incredulo, eretico, celebre per cattiva fama, dopo aver diffuso per diverse Nazioni d’Europa l’empia dottrina della massoneria egiziana, alla quale guadagnò con sottili inganni un numero infinito di seguaci, incappò in varie peripezie, alle quali non si sottrasse senza danno, in virtù della sua astuzia e abilità; finalmente per sentenza della Santa Inquisizione relegato in carcere perpetuo nella rocca di questa città, con la speranza che si ravvedesse, avendo sopportato con altrettanta fermezza e ostinazione i disagi del carcere per quattro anni , quattro mesi, cinque giorni, colto da un improvviso colpo apoplettico, di mente perfida e cuore malvagio qual era, non avendo dato il minimo segno di pentimento, muore senza compianto, fuori della Comunione di Santa M. Chiesa, all’età di cinquantadue anni, due mesi e diciotto giorni. Nasce infelice, più infelice vive, infelicissimo muore il giorno 26 agosto dell’anno suddetto verso le ore 22,45. Nella circostanza fu indetta pubblica preghiera, se mai il misericordioso Iddio volgesse lo sguardo all’opera delle sue mani. Come eretico, scomunicato, peccatore impenitente gli viene negata la sepoltura secondo il rito ecclesiastico. Il cadavere è tumulato proprio sulla estrema punta del monte che guarda ad occidente, quasi ad uguale distanza tra i due fortilizi destinati alle sentinelle, comunemente denominati il Palazzetto e il Casino, sul terreno della Reverenda Camera Apostolica il giorno 28 alle ore 18,15.


fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/

Pepe: 12 vaccini per legge è da nazisti, caso unico al mondo

«Addirittura 12 vaccini, somministrati a bambini di tre mesi di vita? E’ da criminali incoscienti». Il senatore Bartolomeo Pepe si scaglia con decisione contro il decreto legge del governo Gentiloni, ora in discussione: ben 12 vaccini obbligatori, finò all’età di 16 anni, pena l’esclusione dalla scuola. E con pesanti sanzioni per i trasgressori, pecuniare (anche 7.500 euro) e non solo: si arriva fino a privare i genitori della patria potestà. «Siamo alla follia totale, al nazi-vaccinismo», tuona il senatore ex 5 Stelle ai microfoni di “Forme d’Onda“, web-radio: «Il sistema vaccini in Italia è fuori controllo, i bambini sono in pericolo». E attenzione: «Non esiste nessun paese al mondo con simili disposizioni: che non stanno né in cielo né in terra, a detta di Premi Nobel e virologi di fama internazionale». Attualmente, l’Italia – con 4 vaccinazioni obbligatorie – è già in testa alla classifica mondiale, insieme alla Francia. Segue il Belgio, con soli 2 vaccini obbligatori, mentre tutti gli altri paesi del pianeta hanno un solo vaccino obbligatorio, o anche nessuno. «E’ una cosa pazzesca: ora finalmente la gente si renderà conto di cosa c’è in ballo, di cosa sta accadendo», aggiunge Pepe: «E ricordiamoci che il vaccino contro l’epatite C fu introdotto anni fa con una tangente all’allora ministro De Lorenzo: il ministro è stato arrestato, ma il vaccino è rimasto, divenendo il quarto vaccino obbligatorio in Italia».
«Io non sono contro i vaccini, sono per il loro controllo», precisa Pepe, secondo cui in ogni caso «non esistono motivi di allarme, né pandemie». C’è stato il caso della meningite, «ma poi è rientrato, dopo una denuncia per procurato allarme»: Il senatore Bartolomeo Pepel’Italia è fra i paesi con meno problemi di meningite, e inoltre il trend è in calo. Poi è stato lanciato l’Sos addirittura per una presunta epidemia di morbillo: «Ho chiesto in Parlamento “quanti e morti e feriti abbiamo, per morbillo”, ma non mi hanno risposto», dice Pepe. «E’ un’epidemia ciclica, con un picco ogni tre anni. Ma non c’è nemmeno un morto, per morbillo». Eppure, «a fronte di una pandemia che non esiste», è stato fatto questo decreto d’urgenza «che non ha nessun motivo». Da noi, accusa il senatore, la farma-sorveglianza non funziona. «Veniamo da una storia di vaccini poi ritirati, ma che potevano essere ritirati anche prima, e invece sono stati somministrati anche per dieci anni, nonostante si sapesse che facessero male. Ci sono controlli insufficienti, problemi a far segnalare reazioni avverse. E non c’è trasparenza sui dati, che sono fermi al 2013: non si ha il quadro esatto della situazione».
Parecchie di queste reazioni avverse sono “scoppiate” con il caso del vaccino contro il “papilloma virus”, recentemente segnalato in televisione da “Report”, che ha evidenziato «guai seri per le ragazze che lo hanno assunto». Un problema che sarebbe innanzitutto di sicurezza sanitaria, come evidenziato da svariate ricerche, con «vaccini che sono stati a contatto con parti di Dna umano, feti abortiti, glifosato (un erbicida), formaldeide (un conservante, altrettanto cancerogeno) e sottoprodotti di metalli pesanti come alluminio e mercurio, che sono neuro-tossici: l’alluminio provoca l’Alzheimer, il mercurio crea disabilità mentali». Quali interessi nasconde l’industria farmaceutica? Inoltre, aggiunge Pepe, molto spesso a non vaccinarsi sono proprio gli operatori sanitari che lavorano negli ospedali: «Di cosa hanno paura? Sanno qualcosa che noi non sappiamo?». Se fossimo davvero in una reale situazione di epidemia, ragiona il parlamentare, dovremmo bloccare l’Italia – Gentiloni col ministro Lorenzinscuole, aeroporti – vaccinando qualsiasi persona che entrasse nel nostro paese. Sospetti: «La sensazione è che si stia avverando la profezia di Rudolf Steiner: creare vaccini per inibire l’evoluzione della coscienza. E’ palese l’attacco alle nostre coscienze: ci stanno provando con una serie di cose, anche con i vaccini».
Bartolomeo Pepe invita a osservare con attenzione gli studi, di ambito fisico, che rivelano l’esistenza della “memoria dell’acqua”, che ha la possibilità di memorizzare frequenze elettromagnetiche, rimanendovi influenzata. «E noi siamo fatti al 75% di acqua. Dio solo sa a cosa sono stati sottoposti, questi vaccini – a quali frequenze? Non oso immaginare cosa siano capace di fare, questi signori», dichiara il senatore, scandalizzato anche dalle misure repressive previste dal decreto legge: «Arrivare a togliere la patria potestà dei figli è pazzesco: questo nazi-vaccinismo sta dimostrando tutta la sua follia. Ripeto: siamo l’unico paese al mondo con 12 vaccini obbligatori, e senza il necessario controllo». L’Ema, la farma-sorveglianza, sempre secondo Pepe «è foraggiata dalle stesse aziende farmaceutiche». Addirittura, aggiunge, «abbiamo avuto casi di corruzione, a capo dell’agenzia di controllo del farmaco: l’imputato prima ha visto finire in prescrizione il suo processo, e poi è stato promosso, in sede europea, a capo della sorveglianza sui farmaci, sull’alimentazione e la veterinaria. PHEQuesto è il sistema-Italia: vengono lanciati falsi allarmi – vedi meningite e morbillo, entrambi rientrati – quindi si fa un decreto legge d’urgenza che non ha nessuna giustificazione».
Alcune vaccinazioni non sono sicure, insiete Pepe: quella sul “papilloma virtus” è stato ritirata in Danimarca e sconsigliata in Giappone. Alcuni vaccini sono inefficaci: «Si sono rivelati acqua fresca, anche se poi magari si inventano storie come quelle dell’infermiera “che non vaccinava”, per mascherare l’inefficicacia assoluta di vaccini somministrati a 7.500 bambini». Poi c’è il problema della “catena del freddo” per la conservazione dei vaccini, «che spesso si interrompe». Gli stessi vaccini, infine, non sarebbero tracciati: «Non vengono indicati i lotti di provenienza, sui libretti sanitari». Secondo Pepe, siamo nel paradosso assoluto: abbiamo migliaia di reazioni avverse, di cui le autorità negano l’evidenza. «Eppure abbiamo migliaia di casi di encefalopatie, bambini morti, persino militari – sottoposti a decine di vaccini prima di una missione – con problemi di leucemie, linfomi di Kodgkin e danni al Dna», aggiunge il senatore. «Mi domando: se un vaccino riesce addirittura a distruggere il fisico di un militare in perfetta forma, cosa può provocare, a un bambino di tre mesi, la bellezza di 12 vaccini? Non oso immaginarlo. E a tre mesi di vita – anche il peggiore dei pediatri lo sa bene – il sistema immunitario deve ancora formarsi: bisogna aspettare i tre anni. Anticipare i tempi è da criminali. E chi vuole praticare questo è un criminale incosciente, che non vuole il bene del bambino».

fonte: http://www.libreidee.org/

domenica 21 maggio 2017

Attali: bavaglio al web. Parguez: francesi, ora siete nei guai

«C’erano due opzioni, nel ballottaggio francese per l’Eliseo: estrema destra, contro estrema destra». A formulare l’amara battuta è l’economista francese Alain Parguez, già consigliere di Mitterrand. Fu lui a denuciare il ruolo-ombra, nella storica presidenza socialista, del supermassone reazionario Jacques Attali, il mentore di Macron, l’uomo a cui è attribuita la frase più sinistra, riguardo alla natura del regime oligarchico Ue: «Ma cosa crede, la plebaglia europea, che l’euro l’abbiamo fatto per la loro felicità?». Dopo l’esperienza con Mitterrand, Attali ha lavorato con Sarkozy per poi lanciare il giovane Macron. «Ora avrebbe voluto essere parte del progetto di Macron, ma per quanto ne so è in disgrazia, nonostante le foto che girano», dichiara Parguez a Ivan Invernizzi di “Rete Mmt”. Nessun dubbio sulle prossime mosse di Macron: «Calcherà la mano con l’austerità ancor più di quanto non sia già stato fatto, distruggendo ciò che rimane di Stato sociale». Sul suo sito, lo stesso Attali – a caldo – descrive «l’immensità della gioia» provata per l’elezione del pupillo Macron, che ora ha davanti una sfida enorme: risollevare la Francia dalla crisi. Come? Tanto per cominciare, mettendo il bavaglio al web.
I social media, scrive Attali, sono il luogo della violenza scatenata. «E anche se questa violenza è anonima, dice una verità: quando sei debole, devi gridare e persino insultare, in modo da poter essere ascoltato». Tuttavia, aggiunge, «sarà senza dubbioAlain Pargueznecessario completare i meccanismi esistenti, per far sì che scompaiano più in fretta tutte le menzogne e le diffamazioni che le reti sociali trasmettono così spesso». Un bel repulisti del web, ovviamente «nel pieno rispetto della democrazia». Dice sul serio, Attali: «Ogni parola deve essere pesata», puntando il dito contro certi contenuti e contro «coloro che possono, in mala fede, caricarli». Questa è la prima – e unica – ricetta che l’oligarca Attali si sente di raccomandare a Macron, dopo aver ammesso che «il paese è in uno stato terribile», visto che «c’è una grande privazione sociale e la meritocrazia è rotta». Vasta sofferenza, «al di là delle statistiche sulla disoccupazione e sulla povertà: molte persone percepiscono ansia di fronte a una simile povertà, anche se non lo sperimentano», e vedono compromesso l’avvenire dei propri figli. Il paese, riconosce Attali, «è profondamente diviso tra coloro che credono di poter avere un futuro migliore e coloro che pensano che solo il ritorno al passato possa salvare la nostra identità». La Francia è divisa, «tra coloro che credono che la ricchezza sia scandalosa e chi pensa che sia scandalosa la povertà».
Jacques Attali, finanziere e banchiere internazionale, ci tiene a fotografare il suo protetto Macron, già attivo nel ramo francese della banca Rothschild, come personaggio presentabile, benché ricchissimo: «Non dobbiamo considerare il successo come Attalisospetto e il risultato come malsano». Poi, piange un po’: «La consapevolezza etica del paese non esiste più. Tutti i principi che ci hanno tenuti insieme sono stati messi in discussione. I partiti politici che esistono da 100 anni sono crollati». Lacrime di coccodrillo: se è venuto giù un sistema, demolito dalle fondamenta, lo si deve all’edificazione oligarchica dell’Ue e dell’Eurozona, di cui proprio Attali è stato uno dei massimi architetti. E’ in corso una catastrofe, certo. E questo, chiosa l’anziano Alain Parguez, «mi auguro porterà le persone a radicalizzarsi politicamente». Ma non c’è da contarci troppo: sono tutti scoraggiati, ammette, e non c’è nessuno capace di mobilitare energie sul piano intellettuale. Parguez sostiene che, a questo, si è arrivati anche con il provvidenziale terrorismo a orologeria, targato Isis, utile a seminare il panico e indurre scelte elettorali considerate rassicuranti. Il terrorismo che la colpito la Francia è una provocazione, «è l’incendio del Reichstag». Solo che le pecorelle sono corse dalla parte sbagliata, verso il lupo che le sbranerà: più rigore per tutti, e – come suggerisce Attali – meno proteste sul web.

fonte: http://www.libreidee.org/

domenica 14 maggio 2017

la misteriosa scomparsa del popolo degli Anasazi


I primi contatti dell'uomo moderno con l'antico popolo degli Anasazi è recente, malgrado sia una storia di prima del motore.
Nel 1832 un commerciante, J. Gregg, fu il primo a raccontare e descrivere le rovine di un luogo misterioso e denso di fascino conosciuto come Chaco Canyon. Gregg parlò dei luoghi da lui visitati con ammirazione, specificando che erano costruiti con fine arenaria.
Nel 1849, un distaccamento dell'esercito statunitense visitò le rovine. Gli antichi insediamenti era lontani dalla vita dell’epoca, distanza che comportò il fatto che le rovine restarono praticamente isolate per quasi mezzo secolo. I primi scavi ufficiali iniziarono nel 1896. Gli esploratori restarono 5 anni, riportando a New York oltre 60.000 artefatti.
Del popolo degli Anasazi non si conosce praticamente nulla.
Secondo gli archeologi questo popolo ebbe il momento di massimo splendore nelle terre del Nord America in un periodo compreso tra i primi secoli dopo la nascita di Cristo e la fine del 1300. Tracce archeologiche di questa cultura si trovano già nel 1500 avanti Cristo in tutta la zona che corrisponde al confine incrociato di Utah, Colorado, Arizona e Nuovo Messico.
Non siamo nemmeno in grado di affermare se potessero conoscere la scrittura, come la intendiamo noi uomini moderni.
Conosciamo il fatto che fossero in grado di incidere la roccia. Nel 2006 un archeologo dilettante scoprì una serie di petroglifi che raffiguravano scene di caccia e di raccolto. I petroglifi sono delle incisioni rupestri ovvero dei segni scavati nella roccia con strumenti appuntiti di vario genere. Per completezza d'informazione devo aggiungere che l'interpretazione di queste figure è da sempre discussa in ambito accademico, dove alcuni ritengono siano legate a rituali religiosi di tipo sciamanico e altri che fossero il passatempo di pastori fermi a guardia delle greggi. Chiaramente la mia posizione privilegia la prima ipotesi poiché in molti luoghi ove sono state riscontrate incisioni rupestri sono regioni o valli, parlando dell'Italia, dove il cristianesimo faticò ad esprimere il suo credo a causa del perdurare di antichi riti agresti.


Il termine Anasazi fu istituito nella terminologia archeologica nel 1927. L'archeologo Linda Cordell riportò che «il termine Anasazi significa “antenati nemici” nella lingua Navajo. La parola Navajo è anaasazi che deriva da anaa, nemico, e sazi, antenata».
Perché si è utilizzato un nome Navajo per identificare questi antichi popoli?
I Navajo sostituirono gli Anasazi nelle terre da loro calpestate nei secoli precedenti. Definirono “antenati nemici” o “antenati diversi da noi” con rispetto ed ammirazione gli antichi popoli che furono in grado d'erigere le costruzioni che loro sfruttarono negli anni successivi all'insediamento.
Vi sono diversi altri nomi per identificare queste popolazioni: i nativi americani Hopi li chiamarono Hisatsinom, che significa “coloro che sono venuti prima”.
Ancora oggi non siamo in grado di specificare come le antiche popolazioni usassero definirsi.
Non sappiamo neppure se decisero di farlo.
Un punto centrale di questa narrazione riguarda i petroglifi.
Le incisioni rupestri rinvenute un decennio addietro cosa rappresentano?
Le immagini sono dense di scene di caccia e di raccolto. Le figure incise sulla pietra rappresentano la vita di una civiltà sviluppata, in grado di costruire edifici che rimasero le più alte costruzioni erette dall'uomo sino all'avvento dei grattacieli.
I petroglifi ricordano che il popolo degli Anasazi aveva una buona conoscenza dell'astronomia. Su una collina di Chaco Canyon, nello stato del New Mexico, tre blocchi di arenaria determinano una fessura attraverso la quale passano i raggi del sole che raggiungono due spirali scavate nella roccia. Questi raggi indicarono al popolo, con esattezza, i solstizi e gli equinozi.


Gli Anasazi erano ossessionati dai fenomeni celesti?
Una delle incisioni rupestri rappresenta una mezzaluna insieme ad un disco munito di raggi. Nelle vicinanze sono visibili una mano e un punto circondato da due cerchi. Alcuni astronomi ritengono che queste incisioni possano rappresentare un fenomeno celeste, l'avvicinamento di Venere alla Luna.
Un aspetto enigmatico di questo antico popolo riguarda l'interesse manifestato per il contatto con le forze della Terra. Questo coinvolgimento è rappresentato dai Kiva, stanze circolari presenti in tutti gli insediamenti Anasazi. Il più grande ha un diametro di 20 metri e una profondità di 5. Sono tutti coperti da tetti in legno e presentano un foro al centro. Secondo gli studiosi l'ipotesi più accreditata è che i Kiva fossero usati per le cerimonie sacre.
Il foro posto al centro di questi cerchi a cosa poteva servire?
Forse ad entrare in contatti con le forze della terra, forse.
L'antico popolo realizzò delle architetture sorprendenti. Gli antichi centri abitati, Chaco Canyon o Mesa Verde, hanno portato notorietà agli Anasazi poiché sono costituiti da complessi di appartamenti simili, costruiti con pietre o mattoni di fango. Destano meraviglia le strutture scolpite ai lati delle pareti dei canyon, alcune delle quali sono raggiungibili esclusivamente calandosi dall'alto o arrampicando dal basso. I centri abitati erano collegati da strade. Attraverso le immagini satellitari, gli archeologi hanno individuato almeno 8 strade principali che corrono per più di 300 km e che sono larghe oltre 10 metri. Le vie di comunicazione sono state scavate e livellate nella roccia, in altri casi fu asportata la vegetazione per permettere la costruzione. Ai lati delle strade sono stati rinvenute delle semplici costruzioni, come terrapieni o piccole pareti.


Le vie di comunicazione mettevano in contatto i vari centri abitativi?
Non sempre. Alcune strade portano a luoghi naturali come sorgenti, laghi, cime delle montagne o pinnacoli. Secondo una parte degli archeologi, queste strade avevano la semplice valenza di mettere in contatto le varie popolazioni sparse nel territorio di appartenenza. Altri studiosi avanzano la teoria che lo scopo principale del sistema stradale sia da ricercare nella religione, poiché forniva il percorso per pellegrinaggi periodici. Dato che alcuni rami stradali sembrano non portare da nessuna parte, gli archeologi hanno avanzato la teoria che possano essere collegati ad osservazioni astronomiche.
Siamo in presenza di un popolo con elevate capacità costruttive, una solida religione ed un sistema stradale sviluppato.
Perché e come questo antico popolo scomparve nel nulla? 
Per una volta la conquista delle terre da parte dell'uomo bianco non ha colpe.
Perché gli Anasazi lasciarono le loro case abitate stabilmente nei secoli compresi tra il XII e il XIII non è chiaro. Fattori esaminati e discussi comprendono il cambiamento climatico globale, o locale, periodi prolungati di siccità, il degrado ambientale, la deforestazione o l'ostilità dei nuovi popoli che si erano stabiliti nelle vicinanze. Interessante la teoria che questo antico ed enigmatico popolo abbia potuto subire l'influenza delle culture mesoamericane.
Secondo coloro che potrebbero essere i moderni discendenti degli antichi popoli, gli odierni nativi americani Hopi, gli Anasazi non scomparvero nel nulla ma emigrarono in zone del sud-ovest dove vi erano precipitazioni più intense e corsi d'acqua perenni. Gli antichi Anasazi si fusero con altre popolazioni, e i discendenti popolano oggi l'Arizona e il New Mexico. Questa teoria fu avanzata agli inizi del XX secolo da diversi antropologi, tra cui Cushing e Kidder.


Per quanto concerne la teoria che i componenti di questo misterioso popolo scomparvero in seguito all'afflusso di popolazioni meno stanziali, Shoshone o Utes che potrebbero aver avuto origine in quella che è oggi la California, si possono analizzare i risultati di scavi compresi tra la fine del XX secolo e gli inizi del XXI. Nel 1997 furono trovati i resti di 24 scheletri umani, che evidenziarono segni di violenza o smembramento, con forti indicazioni di cannibalismo. Il luogo nelle vicinanze di Dolores in Colorado fu abbandonato nello stesso periodo di tempo. Nel 2010 uno studio sostiene che nelle vicinanze di Durango, sempre in Colorado, furono rinvenute prove fisiche che, secondo Potter e Chuipka autori di vari scritti che seguirono gli scavi archeologi, possono essere interpretate come pulizia etnica.
Le tesi legate al cannibalismo e alla pulizia etnica sono oggetto di accesi dibattiti.
Perché un popolo con avanzate conoscenze costruttive e con una solida presenza abitativa dovrebbe ricorrere al cannibalismo?
Le alternative includono il fatto che una comunità possa soffrire la pressione psicologica e fisica della fame, lo smembramento come rituale in risposta ad un conflitto religioso o l'invasione di popoli che praticavano il cannibalismo come atrocità calcolata per la soppressione di un altro popolo.


Le prove del pasto cannibalico?
Il ritrovamento di coproliti, escrementi fossili di buone dimensioni, umani contenenti mioglobina, oltre a femore e altre ossa lunghe umane spaccate per estrarne il midollo.
Il rinvenimento di questi resti potrebbe essere motivato dal fatto che nella fase di decadimento della società degli Anasazi per sopravvivere ricorressero al cannibalismo?
Mangiare il proprio simile per sopravvivere.
Secondo un recente studio, però, questa popolazione, come quella dei Maya, fu sterminata dalla siccità causata dal riscaldamento globale. Infatti, dopo essere migrata verso terre migliori, la siccità dovuta al caldo eccessivo le ha impedito di rifornirsi di acque e di fare lunghi tragitti. Questa scoperta è stata confermata dallo studio dei tronchi d'albero: infatti gli studiosi hanno analizzato gli anelli dei tronchi di quella zona e hanno notato che il periodo piovoso, umido, era quello degli anelli spessi, mentre quelli più fini indicavano un'annata secca; nel periodo dell'estinzione di questa civiltà gli scienziati hanno notato un susseguirsi di molti anelli sottili. L'evoluzione della vegetazione presente durante la civiltà degli Anasazi e il progressivo disboscamento sono stati dimostrati tramite lo studio delle tane dei ratti del deserto.


Il forte impatto della misteriosa scomparsa di questo popolo è ritrovabile anche in un numero speciale del fumetto Tex, uscito nel novembre del 2015 e intitolato "Il segreto degli Anasazi". L'edizione speciale è basata su una missione archeologica guidata dal professor Lovestock che si avventura nelle terre degli Hopi alla ricerca dell’antico popolo scomparso degli Anasazi. Ma il giovane capo Tumak non accetta l’idea che i bianchi calpestino le tombe degli antenati sepolti in quella valle ed è pronto a scatenare un massacro. Tex, chiamato in causa dallo stregone Tasupi, dovrà impedire che nella valle scorra il sangue. Nel frattempo, la spedizione di Lovestock giunge al villaggio fantasma degli Anasazi, e inizia una pericolosa ricerca della “camera sacra”, dove dovrebbe celarsi un favoloso tesoro.

Molte sono le ipotesi, che restano sempre tali. 
Certezze non ne abbiamo se non forse collegandoci a quanto scrisse un giorno Douglas Adams: “esiste una teoria che afferma che, se qualcuno scopre esattamente quale è lo scopo dell'universo e perché è qui, esso scomparirà istantaneamente e sarà sostituito da qualcosa di ancora più bizzarro e inesplicabile. C'è un'altra teoria che dimostra che ciò e già avvenuto”.

Fabio Casalini


Ringrazio Sergio Amendolia per alcune fotografie, le altre sono rintracciabili sui siti di wikipedia. 

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia

Jared Diamond – Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere – Einaudi, 2005 

Giuseppe Meloni – Sul tema dei villaggi abbandonati. Gli insediamenti Anasazi – Annali Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Sassari – 2009 

Childs Craig – House of Rain: Tracking a Vanished Civilization accross the american southwest – Litte, Brown and Company, 2007 

Giulio Magli – Misteri e scoperte dell'archeoastronomia. Il potere delle stelle, dalla preistoria all'isola di Pasqua – Newton-Compton, 2006 

Linda Cordell – Ancient pueblo peoples – St. Remy Press and Smithsonian Institution, 1994 

Fabio Civitelli e Claudio Nizzi – Tex. Il segreto degli Anasazi – Sergio Bonelli editore, 2015