venerdì 18 ottobre 2019

Beppe Grillo: zitto e muto dal 2013!

di Gianni Lannes


Il ragionier Beppe Grillo non risponde ai quesiti inviati a lui direttamente, postati anche sull'home page di questo blog dal 4 marzo 2013. La politica è la realizzazione del bene comune, non avanspettacolo per il proprio tornaconto. Le domande e la critica (costruttiva) sono il sale della democrazia. 


INTERROGATIVI SENZA RISPOSTA DAL 4 MARZO 2013  
 Domande a Beppe Grillo


1) In quale consesso democratico lei è stato eletto Arbitro super partes del Movimento 5 Stelle e Garante d’Italia?


2) Qual è la sua posizione reale sul debito pubblico e sul signoraggio bancario?
3) Per quali ragioni nel 2008 ha incontrato segretamente l’ambasciatore USA, Ronald Spogli (emissario ufficiale di Bush junior) per discutere di programmi politici nello Stivale e non ha mai rivelato nulla all’opinione pubblica?


4) Lei ritiene che le centinaia di bombe nucleari di proprietà USA presenti illegalmente in Italia, in violazione del Trattato Internazionale di non proliferazione debbano essere immediatamente allontanate dal suolo nazionale per restituire sovranità territoriale al nostro Paese ed eliminare un pericolo per milioni di persone?


5) Cosa ci fa sul suo pianoforte, nel sontuoso salone della villa di Sant’Ilario (che vanta un mastodontico abuso edilizio sanato), una fotografia che la ritrae avvinghiata al presidente degli Stati Uniti d’America, Bill Clinton, membro del Bilderberg Group (un Club esclusivo e segreto che ha pianificato la creazione dell’Unione europea e dell’Euro)?


6) Qual è la sua posizione sulle quotidiane operazioni di geo-ingegneria e di guerra ambientale in atto in Italia?
7) Qual è la sua posizione sul Trattato di Lisbona e sul MES?


8) Qual è la sua posizione sull'opzione di uscita dell'Italia dall'euro e azzeramento di un debito pubblico artificiosamente costituito?


9) Qual è la sua posizione sulla presenza delle basi militari NATO in Italia e sulla partecipazione dell'Italia alle guerre USA?
 10) Quale è stato l'ammontare dei ricavi pubblicitari del sito beppegrillo.it, dalla fondazione ad oggi?


11) Il “comitato di garanzia” composto da lei e Casaleggio, che al momento decide le azioni disciplinari verso i membri di M5S, sarà mai aperto ai membri stessi? Se sì, voterebbero sulla piattaforma proprietaria sviluppata e curata per lei da Casaleggio e Associati? Chi conta i voti?


12) A quale punto del Non-statuto, o a quale principio di democrazia diretta, risponde la sua intenzione di assegnare parte dei contributi destinati agli eletti a “Comitati di Comunicazione” i cui membri siano nominati da lei?


13) Non crede che la mancanza di chiarezza su alcuni punti chiave (conflitto di interessi della C&A, trasparenza delle operazioni di voto, soldi pubblici da assegnarsi su sua indicazione, repressione del dissenso) tradisca lo spirito del Movimento?



RIFERIMENTI:
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=grillo

SU LA TESTA GIANNI LANNES 

mercoledì 18 settembre 2019

quella esposta al Louvre non è la Gioconda "La vera storia della Signora di Lo'bardia"


di Riccardo Magnani

Lago di Lecco, giugno 2019

La Gioconda, nota anche come Monna Lisa, forse il più celebre dipinto realizzato da Leonardo da Vinci che attira milioni di turisti tutto l'anno nelle sale del Louvre di Parigi, non è quella esposta al celebre museo francese.

Non sto dicendo che la versione esposta di quest'opera iconica ed enigmatica della pittura mondiale sia un falso. 
No.

Sto proprio dicendo che quel dipinto che tutti al mondo conoscono non è la Monna Lisa, descritta dal Vasari nel Le Vite, né tantomeno quella che in un documento del 1525 che elenca i beni di Gian Giacomo Caprotti, detto Salai, viene per la prima volta menzionata come la Honda.

Si tratta proprio di un altro quadro.

"Nessuna cosa si può amare, né odiare, senza piena cognizion di causa", scriveva Leonardo in uno dei suoi innumerevoli scritti, e mai monito fu più azzeccato ...

Riccardo Magnani nel suo studio mentre indica i paesaggi lombardi del dipinto 
erroneamente indicato come la "Gioconda".

A oggi gli studiosi ritengono che la Gioconda sia stata dipinta da Leonardo tra il 1503 e il 1506 e sarebbe stata portata con sé in Francia dove, nel maggio del 1517, l'artista viene accolto dal Re Francesco I, col titolo di premier peintre, architecte, et mécanicien du roi e una pensione di 5.000 scudi.

"Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò. Et in questo di Leonardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo,".


Così il Vasari descrive l'opera, riferendosi al fantomatico "ghigno" misterioso che ha forse tratto in inganno gli studiosi, dilungandosi poi in una serie di lodi del dipinto, in realtà piuttosto generiche, che lasciano intendere chiaramente che l'opera a cui egli si riferisce non è quella che tutto il mondo oggi celebra e riconosce. Egli infatti fa riferimento alla peluria delle sopracciglia, magnificamente dipinta (ma la Gioconda non ha né peluria e né sopracciglia) e ne esalta le fossette sulle guance (assenti anch'esse).

Pur essendo così attento a descrivere certi particolari del volto, inoltre, Vasari non fa nessuna menzione a due difetti non trascurabili: lo Xantelasma ritratto tra l'occhio e il naso - stranamente sottovalutato da tutti - e un ganglio artrogeno della mano destra, altrettanto evidente.
Xantelasma e ganglio artrogeno

Due particolari questi che, se letti correttamente, avrebbero da tempo condotto a comprendere il reale significato sotteso al dipinto: non una dama del periodo, ma lo stesso Leonardo nei panni femminili, espressione di un concetto filosofico essenziale in tutte le declinazioni culturali e religiose - il Rebis - che rimanda al matrimonio spirituale interiore.

Vasari allude anche al fatto che l'opera è incompleta.
Ma la Gioconda non lo è.

Non lo è nel paesaggio, che rimanda con estrema precisione al paesaggio lombardo del ramo lecchese del Lago di Como, e non lo è nelle fattezze della protagonista, i cui particolari del viso, del velo e della veste sono invece molto curati e definiti.
Appare chiaro che Vasari stia descrivendo un dipinto diverso da quello esposto al Louvre e che da un appunto di un cancelliere fiorentino, tale Agostino Vespucci, nell'ottobre del 1503 è già ultimato.

Questo particolare innesca un ennesimo dubbio, ovvero per quale assurdo motivo Leonardo si sarebbe scarrozzato per mezza Europa il dipinto della moglie di Francesco del Giocondo.
Appunto del cancelliere Agostino Vespucci -->
Ma tutto ciò non deve sorprendere.
L'intera vita di Leonardo, opere incluse, per come oggi viene raccontata è il frutto di grossolane presunzioni, basate su ricostruzioni parziali di molto posteriori e negate in maniera inopinabile da un cospicuo numero di documenti coevi al personaggio.

Basti ricordare che la data di nascita di Leonardo (1452) viene assunta erroneamente e in maniera totalmente presuntiva solo nel 1746.
In realtà tutti i biografi che ebbero modo di incontrarlo in vita ci descrivono un uomo ultra settantacinquenne.

Su tutti Antonio de Beatis, il segretario personale del Cardinal d'Aragona che lo accompagna a Cloux in visita a Leonardo il 10 e 11 ottobre del 1517. Grazie a lui possiamo dirimere il malinteso sul dipinto del Louvre, oltre a acquisire importanti elementi di carattere biografico.
Negli appunti relativi a questo incontro de Beatis fa riferimento a un uomo ultra settantenne, menomato alla mano destra:

“In uno dei borghi, il signore e noi altri andammo a veder messere Leonardo Vinci fiorentino, vecchio di più di LXX anni, pittore ecc.mo dei nostri tempi, il quale mostrò a sua signoria ill.ma tre quadri: uno di una certa dona fiorentina, quadro di pittura bellissima, facto ad istanza del quondam Magnifico Giuliano de’ Medici, l’altro di san Giovanni Battista giovane e uno de la Madona et del figliolo che stan posti in grembo de s. Anna, tutti perfettissimi, anche se da lui per essergli venuta certa paralisi su la destra non ci si può aspettare cosa buona.”
In questi dipinti non compare la Monna Lisa commissionata da Francesco del Giocondo.
La lacuna non è di poco conto: il Louvre infatti riconduce l’acquisto della Gioconda da parte di Francesco I al 1518, unitamente a S. Anna e S. Giovanni Battista, i due quadri menzionati dal de Beatis.

Inoltre, quando Leonardo muore, nel testamento non lascia alcun dipinto.
Il dipinto oggi esposto al Louvre, dunque, non solo non è la Gioconda, ma sappiamo che fu acquisito insieme agli altri per essere esposto a Fontainebleau.
E' qui che nel 1625 lo vede Cassiano del Pozzo, il quale, per primo e in maniera aleatoria e infondata, gli affibbia l'appellativo Gioconda.

Quindi, se il dipinto esposto al Louvre non è la Gioconda, chi è?

In soccorso ci vengono non solo il paesaggio del dipinto, che come ho detto è ineluttabilmente lombardo, ma una prerogativa propria di Leonardo, fino a oggi inesplorata, per cui l'artista era solito dettare nei propri dipinti un'iconografia inedita, modificando i propri stessi disegni preparatori, al fine di includere rimandi paesaggistici specifici.
Lo fa con la Vergine delle Rocce - ambientata nella Grotta di San Giovanni Battista a Laorca di Lecco, che originariamente era una Madonna dei Fusi e assume la forma attuale dettata dal Nibbio, una particolare conformazione rocciosa che sovrasta la grotta stessa - e lo fa con l'Ultima Cena, il cui profilo degli apostoli è dettato dalla sagoma del monte Resegone, reso celebre da Manzoni nell'incipit dei Promessi Sposi.
Ultima Cena e profilo del Resegone

Leonardo fa lo stesso con la presunta Gioconda, il cui profilo è dettato dal la sagoma del promontorio di Bellagio (che ricorda il profilo di donna), là dove il lago da due diviene uno, in un naturale rimando al Rebis, il matrimonio spirituale che il dipinto sottende e dove spesso Leonardo veniva ospitato insieme a Ludovico il Moro dal Marchesino Stanga, feudatario del luogo.
La Gioconda e il promontorio di Bellagio

Un ulteriore rimando al territorio lombardo ci viene da una analisi condotta da Pascal Cotte, che ha evidenziato la presenza di una serie di abrasioni attorno al capo della dama ritratta, non visibili a occhio nudo, che rimandano in maniera chiara agli spadini della Sperada, la tipica acconciatura Lombarda che nell'uso popolare identificava la Promessa Sposa.
La Gioconda e la Sperada

Non è un caso se, quando Manzoni deve dare un volto ai suoi personaggi, per Lucia, la Promessa Sposa, lo scrittore imponga al giovane incisore Gonin di replicare fedelmente la Gioconda, che egli stesso ebbe modo di vedere de visu nella camera da letto di Napoleone. (7)
La Gioconda e Lucia Mondella

Sperada inclusa ...

Oltretutto il promontorio di Bellagio unisce idealmente in matrimonio i rami occidentale e orientale del Lario, la cui forma a Y riprende naturalmente la simbologia rinascimentale per l'androgino, fornendo così un richiamo naturale al senso sotteso all'opera di Leonardo, come descritto anche nel Vangelo apocrifo di San Tommaso:

"Allorché di due farete uno, allorché del maschio e della femmina farete un unico essere sicché non vi sia più né maschio né femmina, allora entrerete nel Regno dei cieli." 
Tornando al diario del de Beatis, troviamo una possibile soluzione al nostro quesito: se non è la Gioconda, quale dipinto di Leonardo è esposto oggi al Louvre?
<-- Estratto dal diario di Antonio de Beatis

L'11 ottobre 1517, dalla Residenza Reale di Blois, menzionando le opere in attesa di essere condotte a Fontainebleau, scrive:
"Vi era ancho un quatro dove è pintata ad oglio una certa Signura di Lombardia di naturale assai bella: ma al mio iuditio no tanto come la Signora Gualanda."

Ora, io no so dire quanto fosse bella Isabella Gualandi, la Signora Gualanda citata, figlia di un maggiordomo della corte di Alfonso d'Aragona, ma è chiaro che la Signura di Lombardia non ha nulla a che vedere con la fiorentina Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo.

Per tutto quanto sopra esposto, quindi, penso sia più plausibile che il dipinto più celebre, iconico e enigmatico del mondo, che tutti quanti chiamano Gioconda (o Monna Lisa), sia la Signora di Lombardia, la stessa che Antonio de Beatis osserva l'11 ottobre 1517 a Blois, dopo essersi recato nella camera da letto di un anziano e menomato ultra settantenne Leonardo.

La vera Gioconda, che probabilmente assolveva il solo scopo ritrattistico, aveva chiaramente una valenza minore rispetto alla Signura di Lo'bardia (9), il cui contenuto sostanziale è la sintesi assoluta della conoscenza nel solco della quale Leonardo è stato cresciuto.

E' chiaro che la Signura di Lombardia non ha nulla a che vedere con la fiorentina Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo.
La Signura di Lombardia

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Conferenza di Riccardo Magnani alla Bibliotheca Alexandrina, in Egitto   
International Symposium Commemorating - 500 Years of Leonardo Da Vinci 
(4 settembre 2019)



Riccardo Magnani

martedì 20 agosto 2019

scandalosi Clinton: 50 testimoni morti, Epstein è l'ultimo

Sabato scorso, il miliardario Jeffrey Epstein, il detenuto di più alto profilo in custodia negli Stati Uniti, è stato trovato morto nella sua cella di Manhattan. Questo è avvenuto il giorno dopo che erano state rese pubbliche duemila pagine di documenti giudiziari, precedentemente secretati, riguardanti il procedimento contro Jeffrey Epstein per atti di violenza sessuale su minori. I documenti descrivevano come Bill Clinton avesse partecipato a feste private sull’isola del pedofilo Jeffrey Epstein. Clinton aveva volato almeno 27 volte sull’aereo privato di Jeffrey Epstein. Nella maggior parte di quei voli era stato accompagnato da ragazze minorenni. Nonostante un precedente tentativo, appena tre settimane fa, di togliersi la vita, le guardie carcerarie, la notte di venerdì, avevano saltato i controlli previsti ogni 30 minuti alla cella di Epstein. Nelle prime ore del mattino lo avevano trovato morto. Jeffrey Epstein è l’ultimo di un lungo elenco di collaboratori e frequentatori della famiglia Clinton che sono morti misteriosamente o si sono suicidati prima della loro testimonianza pubblica. Nel 2016 la “Cbs” di Las Vegas aveva pubblicato un elenco degli associati Bill e Hillary Clinton che sarebbero morti in circostanze misteriose. Ecco quella lista.

1. James McDougal – Il socio dei Clinton condannato per il caso Whitewater era morto per un apparente attacco cardiaco mentre si trovava in isolamento. Era un testimone chiave nelle indagini di Ken Starr.
2. Mary Mahoney – Una ex stagista Bill Clinton e Jeffrey Epsteindella Casa Bianca, era stata assassinata nel luglio 1997 in una caffetteria Starbucks a Georgetown. L’omicidio era avvenuto subito prima che rendesse di pubblico dominio il fatto di avere subito molestie sessuali alla Casa Bianca.  
3. Vince Foster – Ex consigliere della Casa Bianca e collega di Hillary Clinton presso lo studio legale Rose di Little Rock. Era morto per una ferita da arma da fuoco alla testa, risolta come suicidio. 4. Ron Brown – Segretario al Commercio ed ex presidente del Dnc [Comitato Nazionale Democratico]. La causa ufficiale della morte era stata impatto da incidente aereo. Un patologo che aveva partecipato alle indagini aveva riferito che c’era un buco nella parte superiore del cranio di Brown molto simile ad un ferita da arma da fuoco. Al momento della sua morte, Brown era sotto indagine e non aveva fatto segreto della sua volontà di concludere un accordo con gli inquirenti. Erano morti anche tutti gli altri passeggeri dell’aereo. Pochi giorni dopo, il controllore del traffico aereo si era suicidato.
5. C. Victor Raiser, II – Raiser, uno dei principali responsabili dell’organizzazione per la raccolta fondi dei Clinton, era morto nella caduta di un aereo privato, nel luglio 1992.  
6. Paul Tulley – Direttore politico del Comitato Nazionale Democratico era stato trovato morto in una stanza d’albergo a Little Rock, nel settembre 1992. Descritto dai Clinton come “caro amico e consigliere fidato”. 
7. Ed Willey – Responsabile della raccolta fondi per i Clinton, era stato trovato morto nel novembre 1993 in un bosco della Virginia, con una ferita da arma da fuoco alla testa. Risolto come suicidio. Ed Willey era morto lo stesso giorno in cui sua moglie, Kathleen Willey, aveva affermato che Bill Clinton l’aveva palpeggiata nello Studio Ovale della Casa Bianca. Ed Willey era stato coinvolto in numerosi eventi di raccolta fondi per i Clinton. 
8. Jerry Parks – Capo della squadra di sicurezza governativa di Clinton a Little Rock. Ucciso con un’arma da fuoco mentre era in macchina in un incrocio deserto fuori Little Rock. Il figlio di Parks aveva riferito che il padre stava allestendo un dossier su Clinton. Aveva Jerry Parkspresumibilmente minacciato di rendere pubbliche queste informazioni. Dopo la sua morte, i documenti erano misteriosamente spariti dalla sua abitazione.
9. James Bunch – Deceduto per suicidio da arma da fuoco. Sembra possedesse un “libro nero” contenente i nomi di persone influenti che frequentavano prostitute in Texas ed Arkansas.  
10. James Wilson – Era stato trovato morto nel maggio 1993, apparentemente si era suicidato impiccandosi. Sembra avesse legami con il caso Whitewater.
11. Kathy Ferguson – Ex moglie del poliziotto dell’Arkansas Danny Ferguson, era stata trovata morta nel maggio 1994 nel salotto di casa sua, uccisa con un colpo di pistola alla testa. Era stato considerato un suicidio, anche se c’erano diverse valigie piene, come se la donna fosse stata in procinto di recarsi altrove. Danny Ferguson era un co-imputato, insieme a Bill Clinton, nella causa intentata da Paula Jones. Kathy Ferguson era una possibile testimone a favore di Paula Jones.  
12. Bill Shelton – Agente della polizia di Stato dell’Arkansas e fidanzato di Kathy Ferguson. Scettico sul suicidio della sua fidanzata, era stato trovato morto nel giugno 1994 per una ferita da arma da fuoco e si era stabilito che si era suicidato sulla tomba della sua fidanzata.  
13. Gandy Baugh – Avvocato dell’amico di Clinton, Dan Lassater, era morto nel gennaio 1994 lanciandosi da una finestra di un alto edificio. Il suo cliente era un distributore di droga già condannato.
14. Florence Martin – Ragioniera e subappaltatrice per la Cia, era legata al caso Barry Seal, Mena, Arkansas, un caso di traffico di droga all’aeroporto. Era morta per tre ferite da arma da fuoco.  
15. Suzanne Coleman – Secondo quanto riferito, aveva avuto una relazione con Clinton quando quest’ultimo era procuratore generale dell’Arkansas. Era morta per una ferita da arma da fuoco alla nuca, risolta come suicidio. Al momento della morte era incinta.  
16. Paula Grober – Traduttrice simultanea di Clinton per i non udenti, dal 1978 fino alla sua morte, il 9 dicembre 1992. Era morta in un incidente automobilistico.
17. Danny Casolaro – giornalista investigativo, indagava sull’aeroporto di Mena e sull’organo per il finanziamento dello sviluppo dell’Arkansas. Si era tagliato i polsi, apparentemente nel bel mezzo della sua indagine.  
18. Paul Wilcher – L’avvocato che indagava sulla corruzione all’aeroporto di Mena con Casolaro e sula “sorpresa di ottobre” del 1980, Danny Calsolaroera stato trovato morto in bagno, il 22 giugno 1993, nel suo appartamento di Washington Dc. Aveva consegnato un rapporto a Janet Reno tre settimane prima della sua morte.
19. Jon Parnell Walker – Investigatore del caso Whitewater per la Resolution Trust Corporation. Era morto gettandosi dal balcone del suo appartamento di Arlington, in Virginia, il 15 agosto 1993. Stava indagando sullo scandalo Morgan Guaranty.
20. Barbara Wise – Collaboratrice del Dipartimento del Commercio. Aveva lavorato a stretto contatto con Ron Brown e John Huang. Causa del decesso: sconosciuta. Era morta il 29 novembre 1996. Il suo corpo nudo e pieno di lividi era stato trovato chiuso a chiave nel suo ufficio, presso il Dipartimento del Commercio.  
21. Charles Meissner – Sottosegretario al Commercio, che aveva concesso a John Huang il nulla osta di sicurezza, era morto poco dopo in un incidente aereo.  
22. Dr. Stanley Heard – Presidente del Comitato Consultivo Nazionale per la Terapia Chiropratica era morto con il suo avvocato, Steve Dickson, in un incidente aereo. Il dottor Heard, oltre a prestare servizio nel consiglio consultivo dei Clinton, aveva curato personalmente la madre, il patrigno e il fratello di Clinton.  
23. Barry Seal – Un pilota della Twa che contrabbandava droga dall’aereoporto di Mena, Arkansas, la sua morte non è stata casuale [assassinato il 19 febbraio 1986].
24. Johnny Lawhorn, Jr. – Meccanico, aveva trovato un assegno intestato a Bill Clinton nel bagagliaio di un’auto lasciata nella sua officina. Era stato trovato morto dopo che la sua macchina aveva colpito un palo della luce.  
25. Stanley Huggins – Indagava sulla Madison Guaranty Savings and Loan Association. La sua morte era stata dichiarata un presunto suicidio e il suo rapporto non era mai stato pubblicato.  
26. Hershell Friday – Avvocatessa e responsabile della raccolta fondi per Clinton, era morta il 1° marzo 1994, quando il suo aereo era esploso.
27-28. Kevin Ives e Don Henry – Noto come il caso dei “ragazzi che avevano trovato una pista”. I rapporti dicono che due i ragazzi potrebbero essersi imbattuti nel traffico di droga dell’aeroporto di Mena, Arkansas. Un caso controverso, secondo il rapporto iniziale della morte, i due ragazzi si Kevin Ives e Don Henrysarebbero addormentati sui binari della ferrovia. Rapporti successivi avevano stabilito che i due giovani erano stati uccisi prima di essere messi sulle rotaie. Molte persone legate al caso erano morte prima che la loro testimonianze potessero arrivare davanti al Gran Giurì.
Queste persone avevano informazioni sul caso Ives/Henry:  
29 – Keith Coney: era morto quando, con la sua moto, aveva tamponato un camion, luglio 1988. 30 – Keith McMaskle: deceduto, pugnalato 113 volte, novembre 1988. 
31 – Gregory Collins: morto per una ferita da arma da fuoco nel gennaio 1989.  
32 – Jeff Rhodes: ucciso con un’arma da fuoco, mutilato e trovato bruciato in una discarica nell’aprile 1989.  
33 – James Milan: trovato decapitato. Tuttavia, il medico legale aveva stabilito che la sua morte era dovuta a “cause naturali”.
34 – Richard Winters: uno dei sospettati nelle morti di Ives/Henry. Ucciso in una rapina organizzata nel luglio 1989. Anche queste guardie del corpo di Clinton sono morte:
35 – Maggiore William S. Barkley, Jr.
36 – Capitano Scott J. Reynolds.
37 – Sergente Brian Hanley.
38 – Sergente Tim Sabel.
39 – Maggiore Generale William Robertson.
40 – Colonnello William Densberger.
41 – Colonnello Robert Kelly.
42 – Specialista Gary Rhodes.
43 – Steve Willis.
44 – Robert Williams.
45 – Conway LeBleu.
46 – Todd McKeehan.
E il più recente, Seth Rich, il collaboratore del Comitato Democratico, assassinato e “derubato” (di niente) il 10 luglio 2016.
Il fondatore di Wikileaks, Assange, afferma che Rich era in possesso di informazioni sullo scandalo della posta elettronica del Dnc.
In questa lista non sono inclusi i 4 eroi uccisi a Bengasi.
Ed ora potete aggiungere all’elenco il multimilionario Jeffrey Epstein

(Jim Hoft, “L’elenco completo delle persone collegate ai Clinton morte in circostanze misteriose o ‘suicidatesi’ prima di testimoniare”, da “Gateway Pundit” dell’11 agosto 2019, post tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).

fonte: LIBRE IDEE

sabato 6 luglio 2019

microchip e asilo transgender: la Svezia si sta suicidando

Fermamente convinto di essere il rappresentante della “superpotenza morale” del mondo, il popolo svedese continua i suoi pericolosi flirt con tutti i possibili nuovi esperimenti culturali. Questa politica è veramente ‘progressista’, o è la strada per la rovina nazionale? In Svezia, tutto sembra possibile, tranne il dissenso; dissenso dall’onnipresente messaggio sociale che dice ai suoi cittadini che devono essere tolleranti verso ogni nuova moda culturale, dal farsi impiantare un microchip sotto la pelle al permettere che i bambini di quattro anni vengano indottrinati alla scuola materna con le ultime teorie sul transgenderismo. Migliaia di svedesi si sono già fatti inserire un minuscolo microchip sotto la pelle, di solito nella mano sinistra, che offre  il “vantaggio” di non dover più armeggiare [nelle tasche o nella borsetta] per carte di credito, documenti di identità e chiavi. Molte delle informazioni personali sono memorizzate sul chip, che ha le dimensioni di un chicco di riso. Sorprendentemente, nonostante la possibilità per il governo, per le multinazionali o per altri pericolosi soggetti di hackerare questi dispositivi, questa eventualità non sembra essere presente nella mentalità svedese.
«Gli svedesi sono diventati molto favorevoli all’utilizzo microchip e non c’è praticamente dibattito sulle problematiche relative al suo utilizzo, in un paese appassionato alle nuove tecnologie e dove la condivisione delle informazioni personali è considerata Microchipil simbolo di una società trasparente», osserva “Afp”. Anche se la quantità di dati che ogni chip può contenere è attualmente limitata, la maggior parte delle tecnologie inizia in sordina, prima di riuscire ad avere un’enorme influenza sui suoi “padroni” umani. Il telefono cellulare è un ottimo esempio. Era iniziato come un comodo strumento di comunicazione ed ora lo “smartphone” domina letteralmente il mondo sociale e culturale. Il prossimo passo potrebbe essere l’epoca in cui, come aveva previsto l’ex amministratore delegato di Google, Eric Schmidt, «Internet scomparirà». «Ci saranno così tanti indirizzi Ip, così tanti dispositivi, sensori, quello che indossate, le cose con cui interagite, che non ve ne accorgerete nemmeno», aveva dichiarato in pubblico, nel 2015, al World Economic Forum di Davos.
La Svezia, che è riuscita ad evitare la guerra per così tanto tempo da ritenersi invincibile, si è offerta volontaria per fare da cavia per questa nuova, gloriosa tecnologia, che molti ritengono il preludio della schiavitù totale del genere umano verso il “sistema”. La sperimentazione culturale degli svedesi non finisce con il microchip. Nel regno del comportamento umano e della sessualità, stanno anche abbattendo barriere vecchie come il mondo, con la loro volontà di abbracciare il movimento transgender. Prima di tutto, mettiamo le cose in chiaro. La mia personale opinione sul transgenderismo (che, in poche parole, afferma che la determinazione del sesso di un individuo si basa su un ‘costrutto sociale’ artificiale e che è possibile cambiare sesso se e quando l’individuo lo desidera) è che si tratti per lo più di un fenomeno di massa indotto dai media, quasi un’isteria collettiva. Dopo tutto, come è possibile che un cambiamento così radicale nel comportamento umano, dove si afferma che un Ragazze in un locale di Stoccolmauomo può essere una donna (o viceversa) per tutto il tempo in cui lui “si identifica” con quel particolare sesso, quando una cosa del genere era assolutamente inaudita meno di un decennio fa?
L’uomo è in continua evoluzione da milioni di anni e solo oggi sentiamo parlare di persone che riescono ad inventarsi una ‘identità sessuale’? L’unica spiegazione è che si tratti di una teoria praticamente basata sul nulla e data quotidianamente in pasto all’opinione pubblica, fino a quando non è stata accettata come vangelo. Il che dimostra che le masse prederanno voluttuosamente per oro colato qualsiasi storia venga ripetuta loro un numero sufficiente di volte. In ogni caso, fino a quando questa nuova identificazione sessuale (si dice che oggi ci siano oltre 60 diversi tipi di genere) rimarrà confinata al mondo degli adulti, e non violerà i diritti altrui (negli Stati Uniti durante l’era Obama questo non era stato il caso, visto che i maschi adulti che improvvisamente si “identificavano” come donne, erano legalmente autorizzati ad usare i bagni e gli spogliatoi femminili, diventando così un rischio potenziale per donne e bambini), il fenomeno potrebbe essere considerato per lo più innocuo.
Ma, come per ogni nuova curiosità culturale che emerge, la Svezia ha portato il transgenderismo all’estremo, fino al punto in cui si tollera che nelle scuole materne ci si rivolga ai bambini come se fossero degli scherzi di natura di “genere neutro”. In questo bizzarro mondo dove la vita reale è una finzione, gli svedesi comunicano fra di loro utilizzando, fin dal 2015, il pronome “hen”, di genere neutro. Le scuole svedesi fanno leggere anche i cosiddetti libri “progressisti”, come “Hästen & Husse”, che racconta la storia di un uomo che si veste da donna. Il suo amico, un cavallo apparentemente non meno confuso, è una “trans-specie” a cui piace correre intorno a casa immaginando di essere un cane. Con questa specie di totale pazzia nell’aria, non c’è Transgenderda meravigliarsi se la stordita e demascolinizzata popolazione svedese ha permesso al proprio governo, aiutato dal peso finanziario di George Soros, di aprire le porte ad una moltitudine di migranti illegali mediorientali e africani, molti dei quali in fuga dai conflitti provocati dalla Nato.
Oggi, mentre le scuole svedesi stanno imponendo ai loro pupilli modelli di ruolo di genere neutro, bande di migranti molto maschili stanno rendendo alcune parti della Svezia praticamente off limits per la popolazione generale. I paramedici e i vigili del fuoco a volte hanno bisogno di essere scortati dalla polizia per entrare nelle “aree vulnerabili”, in particolare in alcuni quartieri di Malmö, la terza città svedese. Come riporta “The Spectator”, «le guerre tra bande servono da costante promemoria delle politiche fallimentari della Svezia su immigrazione e integrazione. Questo è un problema per il governo (e anche per l’opposizione), in un paese che si vanta di essere una ‘superpotenza umanitaria». Nonostante l’illegalità nelle strade, il sostegno al Partito Democratico svedese di estrema destra e anti-immigrazionista è tornato ad essere molto scarso, dopo i livelli che aveva raggiunto durante la crisi migratoria del 2015. Alla luce di queste tendenze, apparentemente insostenibili, in questa “progressista” nazione nordica, è necessario porsi la domanda: quanto a lungo potranno durare gli esperimenti culturali, prima che il laboratorio si autodistrugga?
(Robert Bridge, “Perché la Svezia si sta suicidando”, da “Strategic-Culture” del 30 maggio 2019, tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).

fonte: LIBRE IDEE

domenica 16 giugno 2019

cosa davvero dice il libro di Carlo Infanti sul caso di Yara





Come molte persone ho letto il libro di Carlo Infanti sul caso della povera Yara In nome del popolo italiano. Ho letto la versione digitale. Il libro non è scritto bene, ha parecchi errori, non solo semplici refusi. Non credo dettati dalla fretta di portarlo a termine prima della sentenza della Cassazione sul caso Bossetti. Ma il contenuto del libro è tale, che si sorvola benissimo su tutto ciò. L’autore, dopo aver esposto tutte le sue perplessità sul caso, peraltro pienamente condivisibili, fa addirittura nome e cognome di colui che ritiene l’assassino. Non fornisce, a mio parere, un movente credibile, si ha quasi l’impressione che poco gli interessi, tuttavia fornisce dettagli impressionanti che pare siano stati trascurati dall’inchiesta. Il libro è uscito nell’attesa della sentenza della Cassazione che doveva decidere se ripetere o meno l’esame del DNA che aveva collocato Bossetti sulla scena del crimine. Un DNA molto discusso, trovato sugli slip e sui leggins della povera bambina. La ‘prova regina’ in questo caso, perché manca l’arma del delitto, a esempio, e non ultimo, manca il movente anche se si sostiene quello sessuale. Bossetti non ha mai confessato. Ora, a questo DNA Carlo Infanti, giustamente, dà la massima importanza. Sappiamo che la Cassazione ha deciso poi che la prova non è ripetibile. Da sempre viene detto che la prova non è ripetibile perché manca il materiale sul quale ripetere appunto l’esame. A parte la grande perplessità che mi procura il fatto che qualcuno che è in carcere accusato di un orrendo delitto, non possa a sua difesa, chiedere la ripetizione di una prova che lo inchioda in quel carcere, pare che in realtà il materiale necessario per ripetere l’esame esista. Almeno così afferma il giornalista Giangavino Sulas inviato del settimanale «Oggi». Nella trasmissione televisiva Iceberg del 14 febbraio 2019 il giornalista, verso la fine della puntata (il video è reperibile su youtube a questo indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=yahmj2l3NT0 ), afferma che il 20 novembre 2015 il professor Nevio Casari del san Raffaele di Milano deponendo in aula al processo Bossetti come testimone, dice di avere a disposizione ancora del materiale DNA per ulteriori indagini, volendo.
Sul DNA Carlo Infanti si dilunga moltissimo nel libro, soffermandosi anche su particolari squisitamente tecnici e forse difficili da affrontare per un lettore comune che alla fine può trovarli anche noiosi e saltare l’intero capitolo. E tuttavia, non è questa specifica parte del libro la più interessante, quanto quella che riguarda ancora il DNA, ma relativamente alla paternità di Massimo e Laura Bossetti. Credo non occorra riassumere tutta la penosa questione della relazione extraconiugale della povera Ester Arzuffi, mamma di Bossetti, massacrata dai giornali e dalle tv, ‘accusata’ pubblicamente di aver concepito Massimo e la sorella gemella Laura con l’autista di bus Pierpaolo Guerinoni. La questione però è di basilare importanza perché poi è da lì che si arriva alla identificazione di “ignoto1”. E, da “ignoto1” si arriva a Massimo Bossetti. Ora, la signora Arzuffi ha sempre negato di aver avuto una relazione extraconiugale e mai, su questa questione, ha avuto un cedimento. Infanti, nel libro, mostra di crederle e motiva bene, secondo me, il perché di questa sua convinzione. Anzi, si spinge molto al di là, raccontando dei fatti che di per sé, potrebbero anche avere un impatto più ampio del nome e cognome che lui fa del vero colpevole dell’omicidio della bambina, e che potrebbero spiegare perché Massimo Bossetti ‘deve’ stare in prigione. I fatti che spiegano il legame genetico tra Guerinoni e Massimo Bossetti, sarebbero fondamentali in tutta questa storia. Un legame genetico che la madre di Massimo avrebbe sempre ignorato fino all’arresto del figlio. Carlo Infanti afferma che c’è un vero e proprio mistero sul concepimento dei gemelli Massimo e Laura Bossetti. Racconta che la signora Ester non riusciva a rimanere incinta, e per questo, all’epoca, consultò diversi medici specialisti. Avanza l’ipotesi che la signora Arzuffi, come altre donne di quella zona che non riuscivano a restare incinta, siano state sottoposte a loro insaputa a inseminazione artificiale. Ciò spiegherebbe, secondo l’autore, negli stessi anni, diversi parti gemellari nella zona. Infanti presume che Guerinoni fosse, assieme ad altri uomini, un donatore di sperma. Spiega come non sia così incredibile che la signora Arzuffi all’epoca, e altre donne, non possano essersi rese conto di essere state inseminate. E afferma che la pratica era comune, e portata avanti da molti ginecologi per ‘aiutare’ donne che non riuscivano a rimanere incinta naturalmente. A un certo punto Infanti ipotizza addirittura l’esistenza di un “terzo gemello”, un figlio del quale la signora Arzuffi non voleva si scoprisse l’esistenza. Carlo Infanti scrive di aver avuto accesso alle cartelle cliniche della signora relative al parto, e di aver potuto così escludere alla fine la teoria del “terzo gemello”. Scrive poi che la signora Ester gli raccontò di aver ricevuto delle cure “particolari” da un ginecologo di Clusone (stiamo parlando del 1969) che riuscì a curarla e a farla rimanere incinta con iniezioni e: «candelette, ovuli scuri tipo cera e ovuli freddi». Inoltre, durante la somministrazione delle cure, il ginecologo faceva uscire dallo studio perfino le infermiere. Tutti elementi che farebbero ipotizzare un’inseminazione artificiale. Per cui, riassumendo, secondo Infanti, Massimo Bossetti e la sorella gemella Laura sarebbero figli di Guerinoni per via di un’inseminazione artificiale e non per una relazione extraconiugale della madre. E Guerinoni potrebbe non essere padre ‘genetico’ dei soli gemelli Bossetti ! Se le ipotesi di Carlo Infanti sono giuste, capite bene che si apre un baratro non solo per l’inchiesta sul caso di Yara. Perché, se molte donne all’epoca, negli anni Settanta, in quelle zone della Lombardia furono inseminate artificialmente a loro insaputa, magari con lo sperma dello stesso uomo, che valore può mai avere, in casi giudiziari gravissimi tipo quello di Yara, la prova del DNA? Forse, approfondire troppo la questione di “ignoto1” e riprendere in mano i migliaia di esami fatti non è bene. Ricordiamo che per individuare la madre di “ignoto 1” furono eseguiti migliaia di tamponi salivari, oltre tredicimila campioni etichettati con nomi e cognomi, accatastati sugli scaffali del laboratorio analisi del Reparto Investigazioni Scientifiche (Ris) di Parma analizzati, comparati, schedati. Una mole enorme di lavoro, che tra l’altro può comportare anche degli errori. Che, in questo caso, nemmeno si vogliono ipotizzare, sembra. Forse anche per l’enorme spesa.
Ma un’altra cosa mi colpisce in questo racconto di Infanti: la storia del “terzo gemello”. Escludendo Massimo Bossetti come colpevole, e partendo dalla “sicura” inseminazione artificiale della signora Arzuffi, Infanti ipotizza addirittura l’esistenza di un “terzo gemello” sottratto alla nascita (?) che sarebbe il vero colpevole, evidentemente. Scordandosi in questo caso tutta la controversa questione sul DNA scoperto sugli slip della povera bambina. Il Dna nucleare combacia con quello di Bossetti, mentre quello mitocondriale, che indica la linea materna (contiene solo i geni della madre e quindi non permette di identificare con certezza un soggetto), non corrisponde. Questa anomalia, impossibile in natura, per i legali di Bossetti è la prova che il Dna è stato contaminato e che c’è stato un errore nella procedura. Da qui è poi nata la richiesta di un nuovo test del Dna. Ora, se ciò vale per Massimo Bossetti, varrebbe anche per un “terzo” gemello. Dunque, mi chiedo, perché citare questo “terzo gemello” ? E, infatti, nella trasmissione Iceberg lo stesso avvocato Carlo Taormina si accorge della debolezza di questa argomentazione. Ma, forse, questa storia del “terzo” gemello ha una sua logica, ed è un vero e proprio messaggio. Forse l’unico veramente notevole del libro, credo.
“Il terzo gemello”, qualcuno ricorderà, è un thriller di Ken Follett pubblicato nel 1996. E’ ambientato nel mondo dell'ingegneria genetica, della manipolazione dei geni e della clonazione. Vi rimando per la trama alla pagina di Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Il_terzo_gemello .
Protagonista della storia è Jeannie Ferrami una scienziata incaricata di condurre uno studio sui gemelli per conto d'una prestigiosa Università di Baltimora. Scopo dello studio è capire se due gemelli separati alla nascita e sistemati in ambienti differenti possano presentare delle somiglianze nel carattere, nei gusti e nel comportamento. 
Se tutta questa storia della quale ho scritto fino ad ora fosse un film, mi domanderei se la questione del “terzo gemello” di Massimo e Laura Bossetti, sia stata usata in realtà per attirare l’attenzione su ciò che accadde veramente nella zona di Brembate negli anni Settanta, a molte donne che non riuscivano a rimanere incinta. Zona di Brembate o Lombardia, o Italia?
Se fossimo in un film di fantascienza mi domanderei se in quegli anni non siano avvenute strane sperimentazioni sulla popolazione femminile italiana. E mi domanderei se quelle migliaia di esami fatti per individuare la madre di “ignoto1” in realtà, poi, non abbiano rischiato di scoperchiare molto altro, mettendo di fatto una pietra tombale su tutta l’inchiesta. Sarebbe un’ottima trama, quasi un x-files. Infatti, credo di aver guardato troppo seriamente la famosa serie americana. O forse, molto più semplicemente, Carlo Infanti ha letto il libro di Ken Follet.

fonte: LARA PAVANETTO

giovedì 6 giugno 2019

patto trasversale: il “Malleus Maleficarum 2.0”


Marcello Pamio
Ieri pomeriggio all’Aula Magna della Statale di Milano è avvenuta la presentazione del «Patto trasversale per la Scienza».
Un progetto voluto da Guido Silvestri e Roberto Burioni e avallato da personaggi come Mentana, Lorenzin, Di Grazia, Matteo Renzi e perfino Beppe Grillo.
Stiamo parlando di un patto antidemocratico ed estremamente pericoloso per le libertà di questo Paese.
Un patto molto desiderato anche da Big Pharma.
A rischio ci sono la libertà di cura, di pensiero, di espressione, di critica e di confronto scientifico.
Un patto che puzza di zolfo e che preannuncia una dittatura ancor più serrata dell’attuale.
Le foto del congresso dimostrano che il Patto si è trasformato in un bel Pacco: la partecipazione è stata un totale fallimento su tutta la linea, e le pochissime persone in sala saranno state parenti e/o amici degli ospiti…
La super affluenza alla presentazione ufficiale!
Ed ecco le poltrone dei vip intervenuti...
«Il Patto trasversale per la scienza - dice Roberto Burioni - punta a diventare una sentinella nei confronti della società, al fine di verificare che alla base di ogni decisione ci sia il rispetto delle evidenze scientifiche».
Lo dice candidamente il "diversamente-umile": vogliono “diventare una sentinella”. Ecco il vero scopo.
Il pensiero unico dei promotori è quello di respingere l’oscurantismo scientifico, e cioè estirpare con ogni mezzo la folle mania di mettere in discussione i vaccini, per non parlare delle cure alternative al cancro prive di ogni fondamento, per giungere alle resistenze nei confronti delle biotecnologie in ambito alimentare (leggasi OGM), e al negazionismo adottato nei confronti di alcune malattie.
Tutto questo, se fosse vivo George Orwell, lo chiamerebbe il “Ministero della Verità“.
Questi attori, tra comparsate a congressi a dir poco ridicoli, stanno rieditando il «Malleus Maleficarum 2.0» (Il Martello delle streghe): il più famoso trattato medievale sulla stregoneria, divenuto il manuale dell’Inquisizione e cioè il testo ecclesiastico ufficiale della persecuzione contro le streghe!
Solo che le streghe moderne sono incarnate da tutto quello che esce dal paradigma ufficiale....

fonte: https://disinformazione.it/

sabato 1 giugno 2019

l'animalino docile di Indro Montanelli


Sappiamo tutti cos'è il R.D.L. 880 del 19 aprile 1937?
Ad intuito possiamo comprendere che sia una legge promulgata dal regime fascista, ma ne conosciamo anche il contenuto?
In sostanza è la prima legge a tutela della razza, che andava a colpire gli italiani che vivevano nelle colonie africane di Somalia, Eritrea, Etiopia e Libia. Da quel giorno, il cosiddetto madamato diventava fuorilegge, perseguibile con una pena da 1 a 5 anni di reclusione. Ma andiamo per gradi….
Le prime leggi razziali in Italia non furono contro gli ebrei. La promulgazione della R.D.L. 880, denominata Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale tra cittadini e sudditifu la prima a sancire la superiorità assoluta della razza italiana rispetto alle genti delle colonie, ritenuti di razza inferiore. Si vietò definitivamente qualsiasi unione mista. La propaganda fascista in quegli anni aveva speso fiumi di parole e inchiostro per ribadire la superiorità della propria razza rispetto ad altre. Si rischiava, tollerando certi comportamenti, di cadere in contraddizione, soprattutto perché nessuna prudenza era usata rispetto alla possibilità di mettere al mondo dei figli. Due concetti fondamentali erano ribaditi con fermezza: la politica demografica doveva essere volta a salvaguardare la razza bianca, ma allo stesso tempo si doveva combattere il preoccupante calo demografico in atto in quegli anni. Chiunque avesse ignorato questo divieto, avrebbe commesso un duplice reato: uno biologico, inquinando la razza, e uno morale, portando allo stesso livello una donna indigena.


Un anno dopo arrivarono le leggi contro gli ebrei, che proiettarono il nostro paese a fianco della Germania nella seconda Guerra Mondiale.
Ma cos’era il madamato? E dove trova origine questa parola?
Un tempo la parola madama era utilizzata per indicare le signore in modo generico, ma anche, con accezione dispregiativa, le tenutarie delle case chiuse. Durante l’epoca coloniale, era chiamata madama la donna del luogo che conviveva con un uomo bianco, nel nostro caso con un italiano.
Inizialmente la parola madamato fu utilizzata in Eritrea, per poi estendersi a tutte le altre colonie italiane; indicava la relazione di carattere temporaneo fra una nativa del posto e un cittadino italiano senza che questi avessero contratto matrimonio. Nell’Africa orientale questa unione trovava giustificazione nel dämòz, che secondo la tradizione locale era un “matrimonio per mercede”. In cosa consisteva? In sostanza si traduceva in un contratto matrimoniale fra due persone, con una serie di obblighi reciproci, fra cui, per l’uomo, quello di mantenere i figli anche dopo che il contratto si fosse sciolto. Venuti a conoscenza di questa usanza locale, gli italiani delle colonie decisero di adeguarsi e di approfittarne, per avere così, fino alla fine della loro permanenze nel territorio, una donna che svolgesse sia funzioni domestiche che di prestazione sessuale, ignorando però la reciprocità degli obblighi. A fare largo uso del madamato furono soprattutto i soldati.


L’allora governatore dell’Eritrea, Ferdinando Martini, aveva assunto una posizione contraria rispetto a questo costume, rendendosi conto che ad usufruire del dämòz erano anche soldati che in patria avevano già contratto matrimonio. Ma questa soluzione era preferita fra le truppe, che si sentivano più tutelate rispetto alla larga diffusione di malattie a carattere sessuale che vi era in quel tempo.
Come prevedibile da queste unioni nacque un numero imprecisato di bambini che, in molti casi, non fu mai riconosciuto dal legittimo padre, il quale sapeva con certezza che quella situazione sarebbe stata solo temporanea e una volta rientrato in Italia il problema non sarebbe stato suo. Ma non mancarono i casi di riconoscimento e di assunzione di responsabilità da parte di chi era celibe e pertanto libero di prendersi carico di una famiglia.
Il fenomeno si stese anche alla Libia, tanto che nel maggio del 1932, Rodolfo Graziani, ricordato come il "macellaio del Fezzan"per i suoi metodi poco ortodossi, emanò un decreto di espulsione con il quale rinviava in patria quattro ufficiali italiani che avevano fatto ricorso al madamato, specificando che il loro comportamento era ritenuto deplorevole dal punto di vista politico e morale.
Le leggi razziali avrebbero dovuto mettere un freno a questo mal costume, per evitare la contaminazione della razza, ma così non fu. Va sottolineato che nessuno si preoccupava del fatto che molto spesso, le madame, erano ragazzine, minorenni. Si avanzava come giustificazione a un atto oggi condannato dal mondo intero come abominevole, il fatto che nelle colonie era normale, che nessuno si scandalizzava.


Questi fatti tornarono prepotentemente alla ribalta quando nel 1982, quando il giornalista Enzo Biagi intervistò durante un programma televisivo un suo collega, Indro Montanelli.
Indro Montanelli, che tutti conosciamo, raccontò davanti alle telecamere, con grande naturalezza e come se stesse parlando di un cucciolo esotico, che nel 1936 aveva acquistato per 500 lire, trattabili, una bambina di 12 anni, che divenne la sua “madama”. All’epoca dei fatti il giornalista aveva 27 anni ed era un uomo adulto. Nella cifra spesa erano compresi anche un cavallo e un fucile. La bambina lo seguì sempre durante tutto il periodo che rimase nei territori colonizzati.
Il pensiero di Montanelli sull’argomento credo sia chiaro. A quel tempo scriveva per la testata Civiltà Fascista, un mensile dell'Istituto Nazionale Fascista di Cultura, edito dal 1934 al 1943. Oltre a lui scrissero per il giornale anche Giovanni Gentile e Telesio Interlandi, molto attivo nella diffusione delle idee razziali sulla superiorità indiscussa di alcune razze su altre.
In più di una occasione Montanelli espresse la sua convinzione che l’operato degli italiani nelle colonie era necessario, per dare una civiltà ad un popolo evidentemente inferiore. Alla domanda in merito alla sua giovane sposa, l’uomo rispose con grande naturalezza: «aveva dodici anni, ma non mi prendere per un Girolimoni, a dodici anni quelle lì erano già donne.»
Nessun imbarazzo. Raccontò che l’aveva comprata a Saganèiti, una piccola città del sud dell’Eritrea. La definì un animalino docile. Attrezzò per lei un tucul, con lo stretto indispensabile e prese dei polli. Era molto bella. La chiamava Milena. Ogni due settimane la sua sposa lo raggiungeva, ovunque si trovasse, insieme alle mogli degli ascari, ufficiali eritrei. Arrivava a piedi, con una cesta in testa piena della biancheria pulita di cui l’uomo aveva bisogno. Al momento del rimpatrio in Italia, la giovane moglie restò a vivere in Eritrea, mentre il giornalista rientrò in patria, dove fu travolto, come tutti gli italiani, dallo scoppio del secondo conflitto mondiale.
Il suo adattamento alle usanze del luogo fu pari a quello di molti altri ufficiali e soldati che si trovarono nelle colonie. Le leggi razziali misero un freno a questo mal costume, che oggi sarebbe condannato con più severità, soprattutto dall’opinione pubblica.
In patria Indro Montanelli minimizzò sempre la questione, giustificandosi appunto sul fatto che… paese che vai usanza che trovi. Alcuni lo condannarono, altri lo giustificarono. Lui stesso prese una posizione sul suo comportamento, rimanendo della propria idea che quei giorni in Eritrea con la sua madama furono felici e senza costrizioni.
Il giornalista si spense il 22 luglio del 2001; negli anni immediatamente precedenti alla sua morte e successivamente, furono pubblicate molte versioni su questa vicenda. Lui stesso ne parlò, ribadendo il concetto che la sua fu una scelta dettata prevalentemente dalla necessità di trovare una “compagna intatta per ragioni sanitarie”. I dettagli sul prezzo e sul nome cambiarono, come del resto l’età, che passò da 12 a 14 anni. In un’altra intervista dichiarò: «… Faticai molto a superare il suo odore, dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressoché insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile…»
Circa il fatto che Montanelli ebbe o meno dei figli con la ragazza, non si seppe mai con certezza. Lui respingeva con fermezza ogni attribuzione di paternità rispetto a un bambino che portava il suo nome, asserendo che fosse nato da una successiva regolare unione della piccola con un altro uomo, 20 mesi dopo il suo rientro in Italia. Ogni considerazione sulla vicenda resta prettamente personale. Io mi sono limitata a riportare i fatti. Personalmente ritengo che la scusa dell’adattamento alle usanze delle colonie fu avanzata solo per liberarsi la coscienza di fronte a una nazione che guardava a lui e a quelli come lui come a dei “Girolimoni”.

Rosella Reali

fonte: I VIAGGIATORI IGNORANTI


ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...