giovedì 27 dicembre 2018

il delitto di Giarre, gli ziti sotto l'albero


31 ottobre 1980. Un pastore cammina per le campagne di Giarre, un paese circondato da agrumeti, a metà strada fra Catania e Taormina. Il cielo è nuvoloso. Non piove. 
L’uomo è assorto nei suoi pensieri, fischietta. Ha una mano in tasca e nell’altra un bastone in legno. 
Una leggera brezza rinfresca l’aria. L’abitato non è lontano: case popolari, la caserma dei carabinieri, alcune giostrine per bambini. Tutto attorno quel giorno è silenzio. 
Ancora una folata di vento e l’uomo si ferma: aggrotta la fronte come se fosse stato colpito da qualcosa di inaspettato. Annusa l’aria. Fa ancora qualche passo. Un odore acre, denso, quasi oleoso riempie le sue narici. Riprende a camminare, portando la mano libera al volto. Si guarda intorno, per cercare di capire da dove arriva quel tanfo, che ad ogni passo si fa sempre più nauseabondo. 
All’improvviso li vede. 
Sotto ad un pino marittimo scorge due giovani distesi. Sono quasi abbracciati, si tengono per mano. Sono morti da qualche giorno, visto lo stato dei loro corpi, sentito il tanfo che emanano. Nessuno li ha visti prima, nessuno si è accorto di nulla. 
Chi sono? Chi li ha uccisi? E come mai sono uniti quasi in un abbraccio d’amore e morte? 
Uno è Giorgio Agatino Giammona. Ha 25 anni, è gay. In paese tutti lo chiamano “puppu cu’ bullu”, il puppo (gay) col bollo. Si è guadagnato questo nomignolo a 16 anni, quando è sorpreso con un altro ragazzo in auto in atteggiamenti intimi e viene denunciato dai carabinieri per atti osceni. È figlio di un commerciante di strumenti musicali, la famiglia è benestante. Nessuno in casa vede di buon occhio le sue inclinazioni sessuali, tanto che il padre arriva ad allontanarlo da Giarre. Ma serve a poco. 
L’altro è Antonino Galatola, di soli 15 anni. Viene da una famiglia modesta, di lavoratori, che a fatica comprendono il suo modo di essere. Suo padre ha un banco di giocattoli al mercato, gira per tutta la provincia. Tutti a Giarre sanno che è un bravo ragazzo. 
Tre colpi di pistola calibro 7,65 hanno messo fine alla loro vita. 


Mancano da casa da due settimane. Eppure nessuno ha setacciato la zona con i cani, neppure le loro famiglie, nessuno ha sentito il tanfo della carne in putrefazione. Insomma, nessuno li ha cercati. Quell’odore arriva fino alle prime case: come mai nessuno ha fatto nulla? 
I due giovani sono scomparsi dopo che il paese ha cominciato ad additarli come “i ziti”, i fidanzati. Del resto Giorgio e Antonino non hanno fatto nulla per nascondere la loro storia. Hanno iniziato a frequentarsi alla luce del sole, non facendo mistero dei loro sentimenti da qualche mese. La loro sfrontata libertà non passa inosservata per le vie del piccolo borgo della provincia siciliana degli anni ’80. Non passerebbe ora, figuriamoci allora. Iniziano le risatine, le gomitate al loro passaggio mano nella mano per le vie del paese. 
“Talìa i puppi” … “Arrivaru i ziti”. Ben presto le risatine sommesse diventano un coro di scherno. 
In un primo momento, forse anche per chiudere un caso che si prospettava “scomodo” per la reputazione di Giarre, i carabinieri propendono per il suicidio. Forse Antonino ha ucciso Giorgio e poi si è tolto la vita, sparandosi alla tempia. Ma l’arma del delitto dov’è? Davvero la vergogna aveva avuto la meglio sui sentimenti dei due giovani? All’inizio si pensa che sia l’unica ipotesi plausibile: accanto ai due una lettera di addio toglie ogni dubbio: “la nostra vita era legata alle dicerie della gente… non possiamo più vivere”. 
Si cerca l’arma del delitto/suicidio. In seguito ad una analisi più accurata del luogo del ritrovamento, poco lontano dai corpi, viene ritrovato il revolver. Qualcosa non quadra: è semisepolto dalla terra e ha la sicura abbassata. Com’è possibile? Come ha potuto un morto seppellire la pistola dopo aver messo la sicura? Il giorno dopo tutto cambia. Viene accusato del delitto un bambino di 12 anni, Francesco Messina, nipote di Antonino. 


Francesco è davvero un bambino, forse un po’ ritardato. È paffutello, con tante lentiggini, un gran lavoratore che da anni vive con i nonni che aiuta in campagna. È più affezionato a loro che ai genitori, secondo quanto dicono i parenti. Interrogato racconta una strana storia: sembra che i due ziti lo abbiano portato in campagna e gli abbiano chiesto di premere il grilletto. Francesco ha ubbidito, perché non avrebbe dovuto farlo? E poi lo hanno minacciato: “o ci uccidi o ti uccidiamo noi”. Ma qualcosa non torna. 
Anche i colpi sparati non combaciano con il racconto del bambino, che prima dice sette poi tre: due per Giorgio, in testa, uno per Antonino. È mistero anche in merito alla provenienza dell’arma: sarebbe stata consegnata nelle mani di Francesco direttamente dallo zio, ma secondo i testimoni il giovane non è tipo da portare o possedere una pistola. I carabinieri chiudono il caso, hanno un colpevole e questo basata per mettere a tacere le voci. Chiarezza è stata fatta, le indagini vengono chiuse, ma solo per 24 ore. Il giorno successivo un giornalista del quotidiano “L’Ora”, una testata di Palermo, avvicina Francesco e gli fa delle domande. Secondo il bambino non è vero che li ha uccisi. La confessione gli è stata estorta a suon di schiaffi e minacce di ritorsione verso i parenti, verso il nonno che lui ama tanto. Sembra addirittura che per la paura abbia urinato nei pantaloni, fra le risate divertite di tutti i presenti. 


Il paese si divide: innocentisti da una parte, colpevolisti dall’altra. L’Italia intera si divide. Tutti i quotidiani parlano del delitto di Giarre, di come le indagini siano state portate avanti male, con superficialità e troppa fretta di chiuderle. Il sindaco del paese si schiera fra chi non crede all’ipotesi del baby killer. Il quotidiano “La Sicilia” si spinge oltre, avanzando tre ipotesi, una delle quali considera proprio la possibilità che la confessione sia stata estorta in modo non ortodosso ad un ragazzino impaurito e inconsapevole di ciò che stava confermando. Questa tesi è suffragata dal fatto che la confessione sembra recitata a memoria, come frutto di un copione costruito puntualmente. 
Iniziano nuove indagini, non da parte delle forze dell’ordine, impantanate nelle loro argomentazioni, ma condotte dai giornalisti che seguono il caso. Interrogano la famiglia di Francesco, in particolare i nonni, che confermano che il bambino, il giorno del delitto, è sempre stato con loro a lavorare e che anche nei giorni successivi non ha mostrato segni di irrequietezza o di turbamento. 
Una volta aperto il vaso di Pandora, ecco che compaiono tutti i mali del mondo. Si ipotizza ora che i cadaveri in realtà siano stati portati solo in un secondo tempo sul luogo del ritrovamento, cosa plausibile in quanto nessuno prima di quel giorno ha sentito il fetore della decomposizione in zona, per altro molto vicina ad un gruppo di case. Un inviato de “Il Messaggero” insinua addirittura un collegamento fra i carabinieri di Giarre e Giorgio, probabilmente informato di alcuni comportamenti scomodi da parte di un rappresentante delle forze dell’ordine. Ma se fosse vero, di chi si tratta? 
Dalla realtà alle illazioni più fantasiose il passo è breve. Si comincia a parlare di feste e base di sesso e droga, a cui i due “ziti” avrebbero partecipato e portato anche Francesco. Perfino la magistratura comincia a notare irregolarità importanti nelle indagini compiute dall’Arma e la mancanza di comunicazione in merito ai fatti avvenuti a Giarre. 
Il magistrato si domanda come mai ristringere le indagini solo a Francesco, senza interrogare e verificare cosa abbiano fatto i familiari delle vittime il giorno della loro morte. Alla fine, nella Sicilia degli anni ’80, essere gay non era cosa da poco, soprattutto se si considera l’estrema libertà con cui vivevano la loro storia i due ragazzi. 
Poteva essere stata una vera e propria esecuzione, una morte necessaria per salvare il buon nome delle famiglie, per lavare il disonore causato da due figli gay. Il Procuratore che si occupa del caso, Giuseppe Foti, accusa apertamente i carabinieri di aver estorto la confessione. Ma nonostante tutte le irregolarità rilevate, si ritiene che le prove a carico dell’accusato siano inoppugnabili. Il fascicolo completo sul caso arriva a Catania e viene archiviato. Francesco è un baby killer di 12 anni, forse un po’ ritardato. La sola cosa che lo salva è la sua minore età: non è perseguibile. 


Il caso ben presto viene dimenticato e nessuno a Giarre fa nulla per tenere vivo il ricordo dei due giovani uccisi. Un mese dopo a Palermo viene fondata la prima sede dell’Arcigay, in risposta a quanto accaduto e all’indifferenza della gente. Promotori dell’iniziativa sono Marco Bisceglia, sacerdote dichinatosi omosessuale, e un giovane obiettore di coscienza, Nicola Vendola. Con loro Massimo Milani, Gino Campanella. L’Arcigay è la prima sezione dell’Arci dedicata alla cultura gay. Seguiranno poi le aperture di Bologna, Milano, Roma e via via in altre città italiane. 
La storia di Giorgio e Antonino sembra sepolta nella memoria di chi fatica ad accettare che due uomini, negli anni ’80 potessero amarsi liberamente, sopportando le risate e lo scherno di un intero paese. Nel 2005, Franco Grillini, oggi presidente onorario dell’Arcigay, chiede allo scrittore catanese Riccardo di Salvo, di raccontare la storia dei due giovani. Con un collega, Antonio Eredia, ripercorre la vicenda e scrive un libro “Per non dimenticare mai”. Camminare sui loro passi non è stato facile. Il luogo del delitto ha subito una prepotente cementificazione, il pino che li ha riparati è stato colpito da un fulmine. Il piccolo Francesco, divenuto uomo, vive nel degrado abbandonato a sé stesso, in preda ai propri problemi mentali. Forse davvero fu un’esecuzione quella di Giorgio e Antonino. La famiglia non era d’accordo con quella storia d’amore libera, ma schiava del pregiudizio e della cattiveria. Giarre non era d’accordo: le risate, gli sfottò, le parole di scherno, gli insulti. Giorgio e Antonino erano due ragazzi come tanti, che oggi possono rappresentare un esempio per molti giovani che vivono nell’ombra, in preda alla paura del dolore che il pregiudizio della gente può causare. Noi abbiamo il dovere di ricordare quei giorni di sofferenza, quei due innamorati ritrovati morti, quasi abbracciati, mano nella mano. Dobbiamo ricordare coloro che sono stati sepolti dall’ignoranza nella tomba dell’oblio, ricordare Giorgio e Antonino.

Rosella Reali

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

I due ziti di Giarre - Luciano Mirone, da “Diario del mese – Il secolo Gay” - 6 gennaio 2006 

Il caso di Giarre – Andrea Pini, da “Omocidi” - Stampa Alternativa, 2002 

Toni e Giorgio, morti di pregiudizio - Jenner Meletti - "La Repubblica" - 10 luglio 2005 



ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...

giovedì 20 dicembre 2018

Francia terrorista: fa strage a Strasburgo e protegge Battisti

Francia terrorista: i servizi segreti di Parigi hanno organizzato la strage di Strasburgo per aiutare Macron, messo in difficoltà dai Gilet Gialli, mentre in Brasile hanno reso improvvisamente irreperibile Cesare Battisti, un attimo prima che venisse arrestato. Perché la Francia dovrebbe proteggere Battisti, evitandogli di essere estradato in Italia, dove lo attenderebbe l’ergastolo per omicidio? Semplice: «Sono convinto che, all’epoca degli anni di piombo, Battisti sia stato infiltrato dai francesi nel sottobosco dell’eversione italiana». Sono di questo tenore le dichiarazioni rilasciate il 16 dicembre dall’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Adesso basta», si sfoga Carpeoro: «Se qualcuno a Roma ha le palle, convochi l’ambasciatore francese e gli chieda conto dell’operato dei servizi segreti di Parigi. L’Italia ne ha titolo, anche perché a Strasburgo è morto un ragazzo italiano di 28 anni», Antonio Megalizzi, colpito dai proiettili esplosi all’impazzata, l’11 dicembre, dal giovane Cherif Chekatt, noto pregiudicato, con 27 condanne già rimediate in tre diversi paesi. Classificato “islamico radicalizzato” dalla polizia francese, Chekatt ha ucciso sul colpo 3 persone (salite a 4, con Megalizzi) ferendone altre 16. Carpeoro accusa Parigi: il killer è stato appositamente reclutato attraverso le brigate Al-Nusra, eredi di Al-Qaeda in Siria, stanziate a Idlib e segretamente protette dalla Francia.
Giornalista e scrittore, studioso di simbologia e già a capo della più tradizionale obbedienza massonica italiana del Rito Scozzese, non è la prima volta che Carpeoro fornisce clamorose rivelazioni. Di recente, tramite suoi rapporti con logge Gianfranco Carpeorotedesche, ha svelato l’imbarazzante retroscena dietro alla prima bocciatura di Marcello Foa alla guida della Rai, ottenuta su pressione di Jacques Attali, “king maker” di Macron, che si sarebbe rivolto a Giorgio Napolitano e quindi ad Antonio Tajani per premere su Berlusconi affinché revocasse il consenso sulla nomina di Foa che in prima battuta il Cavaliere aveva già assicurato a Salvini. Non è escluso che la retromarcia di Berlusconi, grazie a cui oggi Foa ha raggiunto la presidenza Rai, sia dovuta anche alle scomode rivelazioni di Carpeoro. Fuoriuscito dalla massoneria, nel 2016 l’avvocato ha pubblicato il saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la regia occidentale (non islamica) del “neoterrorismo” europeo targato Isis: opera di manovalanza islamista reclutata da servizi segreti Nato al soldo della “sovragestione” di potere, che interseca trasversalmente governi e apparti di polizia tramite superlogge internazionali come la “Hathor Pentalpha”. Schema classico: strategia della tensione, alimentata da attentati “false flag”, sotto falsa bandiera (attribuiti all’Isis). «Così come già Al-Qaeda, anche l’Isis è il prodotto della medesima sovragestione occidentale», sottolinea Carpeoro. «E l’ultimo attentato, quello di Strasburgo, ne è un esempio perfetto». Obiettivo? «Politico: aiutare Macron a resistere all’assedio dei Gilet Gialli, depistando l’opinione pubblica e indirizzandola verso un nemico esterno».
Mai come nel caso di Strasburgo, dichiara Carpeoro in video-chat con Frabetti, è apparso chiaro il carattere artificioso della strage, progettata dai servizi segreti a poche ore dalla clamorosa “resa” televisiva di Macron, messo in croce dai Gilet Gialli. L’attentatore è stato presentato come “islamico radicalizzato”, ma testimoni raccontano di averlo visto ubriaco fradicio, qualche sera prima, in una birreria. «Il sindaco di Strasburgo ha dichiarato di non riuscire a spiegarsi come Cherif Chekatt, pregiudicato e schedato dalla polizia come sospetto terrorista islamico, possa essere riuscito a inoltrarsi – armato – nel perimetro super-vigilato del centro di Strasburgo, giungendo indisturbato fino al mercatino di Natale dove poi ha compiuto la strage». Ma peggio: «Poco prima – aggiunge Carpeoro – Chekatt era sfuggito all’arresto. Strano, che qualcuno compia una strage (anziché sparire) poco dopo esser sfuggito all’arresto. E ancora più strano è che la polizia non si attivi per braccarlo, non Cherif Chekattdiffonda foto segnaletiche, non disponga posti di blocco». Attenzione: «Chi c’era, a proteggere il centro di Strasburgo? Le forze speciali antiterrorismo». In altre parole: qualcuno che, il killer, “doveva” lasciarlo passare – armato – evitando di perquisirlo?
Il tentato arresto, aggiunge Carpeoro, è chiaramente un alibi per allontanare i sospetti dalle forze di sicurezza. E non è tutto: «Da una perquisizione domiciliare, il killer è risultato essere in possesso di un’altra pistola, diversa da quella usata per la strage, e addirittura di una granata». Domanda: «Se voleva fare una carneficina, perché non ha portato con sé anche le altre armi?». E soprattutto: «Perché ancora oggi non sappiamo che tipo di pistola fosse, quella usata per sparare sulla folla?». Stranezze su stranezze: subito, era corsa voce che Chekatt si fosse rifugiato in Germania. Invece, curiosamente, non si era allontanato da Strasburgo. Nessuno si stupisce più che sia stato ucciso, alla fine, come tutti gli altri killer che negli ultimi anni hanno insanguinato l’Europa: nessun magistrato ha mai potuto interrogarli, sono tutti stati messi a tacere dai cecchini. Carpeoro insiste sull’arma della strage: «Dato che non è stata fatta circolare nessuna informazione, su quella pistola, è altamente probabile che sia di importanza decisiva per risalire alla verità». Un’arma fornita al killer direttamente dai servizi segreti francesi?
Dopo la strage della redazione di Charlie Hebdo, l’Eliseo insabbiò le indagini – apponendo il segreto di Stato (segreto militare) – nel momento in cui un magistrato aveva scoperto che le armi del commando kamizake erano state acquistate, in Belgio, da agenti della Dgse, l’intelligence di Parigi. Uno degli 007 era in contatto con la fidanzata di uno dei giovani attentatori (anch’essi poi freddati dai cecchini, esattamente come Cherif Chekatt). Per Carpeoro, ormai il gioco è spudorato: non si era mai vista tanta tempestività nel fare ricorso al terrorismo per motivi di stringente necessità politica. «Temo che all’attentato di Strasburgo ne possano seguire altri», aggiunge Carpeoro, secondo cui – intanto – un risultato è stato ottenuto: è vero che il Gilet Gialli sono tornati in piazza, ma intanto si sono divisi politicamente. «L’attentato ha prodotto questo effetto: ha costretto i manifestanti a dividersi». Da una parte quelli intenzionati a protestare a oltranza, e dall’altra chi pensa sia meglio una pausa di riflessione, un gesto di solidarietà nazionale. Carpeoro è indignato: i cittadini francesi, dice, dovrebbero sapere che il loro Cesare Battistigoverno protegge in Siria le milizie terroristiche di Al-Nusra, asserragliate a Idlib. «Al-Nusra è la filiazione diretta di Al-Qaeda, e il governo di Damasco vorrebbe cacciarla da Idlib. Ma non ci riesce, perché Al-Nusra è protetta dalla Francia».
Non è un caso che il killer di Strasburgo abbia rivendicato la strage facendo riferimento ai “caduti siriani”. E, dato che tra le vittime c’è anche un italiano, si rivolge direttamente agli inquirenti italiani: proprio la pistola “fantasma” di Chekatt, sparita nel nulla, potrebbe essere la chiave per collegare l’esecutore ai mandanti. Servizi-colabrodo, alle prese con relazioni pericolose? Dipende: «E’ normale che i servizi segreti infiltrino loro uomini anche nelle strutture terroristiche, è il loro mestiere. L’importante è il fine: un conto è se collaborano per evitarli, gli attentati (come avvenuto in Italia in questi anni), e un altro è se invece collaborano per farli». Quanto all’Italia, appunto, forse è giunta l’ora di ribellarsi ai soprusi dell’intelligence “sovragestita” di Parigi: «Non è accettabile che la Francia protegga sottobanco un suo ex agente come Battisti, mentre da noi Alberto Torregiani ha trascorso la vita su una sedia a rotelle, reso paraplegico durante la rapina in cui Battisti uccise suo padre, Pierluigi, a Milano, il 16 febbraio 1979». Insiste, Carpeoro: «Mi assumo la piena responsabilità di quello che dico. E insisto: Roma dovrebbe richiamare l’ambasciatore francese e chiedergli spiegazioni sull’operato dei servizi segreti transalpini, anche a costo di incrinare le relazioni diplomatiche con la Francia».

fonte: http://www.libreidee.org/

venerdì 14 dicembre 2018

le donne canarino (Canary Girls)


Il sacrificio dei soldati durante la prima e la seconda guerra mondiale è ben documentato, e raccontato, mentre gli sforzi delle operaie e degli operai che producevano le munizioni sono una storia meno narrata. Nel 1915, mentre gli uomini stavano combattendo sui campi di battaglia, migliaia di donne rispondevano al grido d’aiuto del governo per unirsi all'enorme sforzo bellico dei vari paesi. Dato che la maggior parte degli uomini in età lavorativa si era unita all'esercito per combattere, le donne dovettero svolgere i lavori di fabbrica tradizionalmente eseguiti dagli uomini. Quest’evento comportò un enorme cambiamento nella cultura del lavoro delle donne poiché la maggior parte di loro, sino a quel momento, si era occupata delle faccende di casa e della crescita dei figli. Nel Regno Unito, nazione di cui analizzeremo il fenomeno, gli slogan come “National Service” e “Women’s Land Army” furono utilizzati per incoraggiare le donne ad unirsi alla forza lavoro presente nel paese.


Le donne furono risparmiate dal trauma delle trincee, ma il loro lavoro non era esente da rischi poiché affrontavano il pericolo quotidiano della manipolazione di sostanze chimiche esplosive; questa lavorazione comportava la possibilità di contrarre malattie potenzialmente letali. Per alcune di loro gli effetti delle lavorazioni furono immediatamente visibili poiché la pelle ed i capelli si macchiavano di una torbida tonalità di giallo, motivo per il quale furono soprannominate le Canary Girls, traducibile in donne canarino. Le Canary Girls erano impiegate nella lavorazione del TNT, trinitrotoluene o tritolo. L’esposizione a questa sostanza era molto tossica e poteva trasformare la pelle in un colore giallo-arancione che ricorda il piumaggio di un canarino.


Una piccola deviazione dal percorso: vorrei ricordare l’utilizzo di questo volatile, il canarino, nelle prime miniere di carbone che non prevedevano sistemi di ventilazione. Sino al 1986 i canarini erano regolarmente utilizzati in queste miniere come primitivo sistema d'allarme. La presenza di gas tossici, come in monossido di carbonio, avrebbe ucciso i canarini prima di avere effetto sui minatori. Poiché questi uccelli tendono a passare cantando la maggior parte del tempo, fornivano un segnale visibile oltreché udibile. La morte del canarino segnava l'immediata evacuazione della miniera. 


Torniamo alle donne impiegate nella produzione di TNT. 
Il trinitrotoluene è costituito da cordite e zolfo. Gli elementi erano noti per la loro pericolosità, e tossicità, ma furono mescolati in modo tale da non entrare in contatto diretto con la pelle delle lavoratrici. I prodotti chimici però reagivano con la melanina presente nella pelle causando una pigmentazione gialla che macchiò le lavoratrici. Questa situazione, malgrado fosse sgradevole, non causava effetti sulla salute. 
Una conseguenza più seria dell’esposizione agli elementi del TNT fu relativa alla tossicità epatica che causò l'ittero tossico. Su oltre 400 casi d’ittero tossico riscontrati tra le lavoratrici delle munizioni durante la prima guerra mondiale, 100 di loro furono fatali. Alla fine della guerra vi erano oltre tre milioni di donne impiegate nelle fabbriche, circa un terzo delle quali lavorava nel campo della produzione di munizioni. Il loro contributo allo sforzo bellico aveva però messo in luce le loro capacità, modificando radicalmente il modo in cui le donne erano considerate nella società e dando un impulso notevole al movimento del suffragio femminile.


Un fenomeno che accompagnò le Canary Girls fu quello dei Canary Babies, ovvero i bimbi nati dalle lavoratrici delle fabbriche di munizioni. Questi bimbi nascevano con un colore della pelle leggermente giallo a causa dell’esposizione delle madri ai componenti del trinitrotoluene. 
Un’inchiesta della BBC portò alla luce testimonianze relative alle Canary Girls impiegate durante la seconda guerra mondiale. Una di queste lavoratrici, Nancy Evans, dichiarò che “eravamo gialli come un canarino. Le sostanze ti penetravano nella pelle; i capelli diventavano biondi”. Nancy lavorò nella fabbrica Rotherwas in Herefordshire. Glady Sangster appartiene ai Canary babies: “Sono nata durante la guerra e la mia pelle era gialla; per questo motivo fummo chiamati Canary Babies. Quasi ogni bambino nacque giallo e gradualmente si sbiadiva. Mia madre mi affermò che lo davano per scontato. Succedeva e basta”. La madre di Glady lavorava vicino ad Oxford presso la National Filling Factory. Un rischio ulteriore, da aggiungere alla tossicità degli elementi del TNT, era relativo al rischio d’amputazione. Nelle fabbriche, le lavoratrici prendevano l’involucro, lo riempivano di polvere e poi lo coprivano con un detonatore. Le esplosioni erano un evento comune, come testimonia Nellie Bagley, operaia della fabbrica Rotherwas: “prima di iniziare il turno di lavoro mi spogliavo completamente; tenevo solo il reggiseno e se aveva un fermaglio metallico sul retro non potevo indossarlo perché avrebbe causato attriti o esplosioni".


Come se non bastassero i rischi relativi alla tossicità ed alla pericolosità degli elementi, a peggiorare l’atmosfera della fabbrica vi erano i serrati controlli da parte del governo, impaurito della possibilità che le informazioni potessero cadere nelle mani sbagliate. Ancora Nellie Bagley ricorda che “eri consapevole che per tutto il tempo in cui lavoravi eri osservato”.
Ma anche nel buio più profondo, una speranza allietava le donne: “La notte cantavamo, spesso sino alle prime ore del mattino. Questo ci faceva andare avanti distraendoci dal pericolo in cui stavamo lavorando”
Una collega di Nellie, Amy Hicks, ricorda che spesso le operaie affermavano che “canteremo anche quando cadranno le bombe”.
Purtroppo le bombe caddero.
Nel 1942 la fabbrica Rotherwas fu attaccata dalla Luftwaffe che fece cadere un paio di bombe da 250 kg sul sito della fabbrica: “Erano le sei del mattino, circa, un aereo scese così in basso da poter vedere la grande croce nera sopra di esso. Poi cadde la bomba. Vi erano numerose ragazze morte vicino a me”.
La figlia di una di queste donne, Jenny Swiffield, affermò che “lavorare in quelle fabbriche era pericoloso come salire, volare e bombardare i nemici. Sono fiera e penso che tutti i figli delle Canary Girls dovrebbero esserlo”.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

Sue V. Rosser (June 2008). Women, Science, and Myth: Gender Beliefs from Antiquity to the Present (encyclopaedia) 

Potts, Lauren; Rimmer, Monica (20 May 2017). "The Canary Girls: The workers the war turned yellow". BBC News

Hall, Edith. Canary Girls and Stockpots. Workers' Educational Association (Luton branch), November 1977

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

lunedì 10 dicembre 2018

la lotteria dell’universo e i numeri sbagliati del pianeta

La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.
Il messia. Alla mia destra, aveva detto, e alla mia sinistra. Sedevano a tavola, semplicemente. Avevano sprecato un sacco di tempo in chiacchiere inconcludenti, e lo sapevano. Con colpevole ritardo, dopo inenarrabili vicissitudini dai risvoltiStele di Minerve, in memoria del martirio dei Catariturpemente malavitosi, si erano infine rimessi al nuovo sire, l’inviato dall’alto. Familiarmente, tra loro, lo chiamavano messia, essendo certi che avrebbe fatto miracoli e rimesso le cose al loro posto, ma non osavano consentirsi confidenze di sorta: ne avevano un timoroso rispetto. Quell’uomo incuteva soggezione, designato com’era dal massimo potere superiore. Non restava che ascoltarlo, in composto silenzio, assecondandolo in tutto e sopportandone la postura da tartufo. La sua grottesca affettazione si trasformava inevitabilmente, per i servi, in squisita eleganza. Gareggiavano, i sudditi, in arte adulatoria. Stili retorici differenti, a tratti, permettevano ancora di distinguere i servitori seduti a destra da quelli accomodati a sinistra.
Tungsteno. L’isoletta era prospera e felice, o almeno così piaceva ripetere al governatore, sempre un po’ duro d’orecchi con chi osava avanzare pretese impudenti, specie in materia di politica economica, magari predicando la necessità di sani investimenti in campo agricolo. Il popolo si sentì magnificare le virtù del nuovo super-caccia al tungsteno, ideale per la difesa aerea. Ma noi non abbiamo nemici, protestarono. Errore: potremmo sempre scoprirne. Il dibattito si trascinò per mesi. I contadini volevano reti irrigue, agronomi, serre sperimentali, esperti universitari in grado di rimediare alle periodiche siccità. Una mattina il cielo si annuvolò e i coloni esultarono. Pioverà, concluse il governatore, firmando un pezzo di carta che indebitava l’isola per trent’anni, giusto il prezzo di un’intera squadriglia di super-caccia al tungsteno.
Stiamo pensando. Stiamo pensando alla situazione nella sua inevitabile complessità, alle sue cause, alle incidenze coincidenti ma nient’affatto scontate. Stiamo pensando a come affrontare una volta per tutte la grana del famosissimo debito pubblico, voi capite, il debito pubblico che è come la mafia, la camorra, l’evasione fiscale, l’Ebola, gli striscioni razzisti negli stadi, la rissa sui dividendi della grande fabbrica scappata oltremare, l’abrogazione di tutto l’abrogabile. Perché abbiamo perso? Stiamo pensando a come non perdere sempre, a come non farvi perdere sempre. Stiamo pensando, compagni. E, in confidenza, di tutte queste problematiche così immense, così universali, così globalmente complicate, be’, diciamocelo: non ne La lotteria dell'universoveniamo mai a capo. Il fatto è che non capiamo, compagni. Non capiamo mai niente. Ma, questa è la novità, ci siamo finalmente ragionando su. Stiamo pensando. Una friggitoria di meningi – non lo sentite, l’odore?
Sentì il cane ululare. Sentì il cane ululare ed ebbe un sussulto. Restò alla finestra a contare i passi, e alla fine lo vide sbucare dal vicolo e alzare gli occhi verso la casa. Era nero, coperto di cenere scura. Posò a terra il mitragliatore e si liberò dello zaino, delle giberne, delle bombe a mano, della piastra antiproiettile. Si tolse anche la giubba: era pieno di segni e cicatrici. Sembrava avesse perduto la facoltà di parola. Era muto. Andò all’acqua, si tuffò nella vasca. Lei lo raggiunse lì, con uno straccio asciutto. Fu allora che parlò. Le disse che non c’era tempo da perdere, dovevano scappare. Sarebbero spariti nel bosco, loro due e il cane, e si sarebbero diretti verso il colle, dove forse avrebbero incontrato qualcuno. E poi dove andremo? Lui scosse la testa. Fece per uscire dalla vasca, e svenne.
Unni. Scrosciarono elezioni, ma il personale di controllo era scadente e il grande mago cominciò a preoccuparsi, dato che i replicanti selezionati non erano esattamente del modello previsto. Lo confermavano a reti unificate gli strilli dei telegiornali, allarmati anche loro dall’invasione degli Unni. Non si capiva quanto fossero sinceri i loro slogan, quanto pericolosi. Provò il dominus ad armeggiare con i soliti tasti, deformando gli indici borsistici, ma non era più nemmeno certo che il trucco funzionasse per l’eternità. Vide un codazzo di Bentley avvicinarsi alla reggia e si sentì come Stalin accerchiato dai suoi fidi, nei giorni in cui i carri di Hitler minacciavano Mosca. Ripensò ai tempi d’oro, quando gli asini volavano e persino gli arcangeli facevano la fila, senza protestare, per l’ultimissimo iPhone.
(Estratto da “La lotteria dell’universo”, di Giorgio Cattaneo. “Siamo in guerra, anche se non si sentono spari. Nessuno sa più quello che sta succedendo, ma tutti credono ancora di saperlo: e vivono come in tempo di pace, limitandosi a scavalcare macerie”. Fotogrammi: 144 pillole narrative descrivono quello che ha l’aria di essere l’inesorabile disfacimento di una civiltà. Il libro: Giorgio Cattaneo, “La lotteria dell’universo”, Youcanprint, 148 pagine, 12 euro).

fonte: http://www.libreidee.org/

martedì 27 novembre 2018

la battaglia di Zappolino o della secchia rapita


Alessandro Tassoni nacque a Modena nel 1565. La sua figura d’autore s’impose nella letteratura italiana per la composizione de La secchia rapita del 1621. L’opera è un poema eroicomico con il quale Tassoni tentò di portare in Italia un nuovo genere, un misto di comicità e serietà. La secchia rapita è un poema in ottave e prende le mosse da un fatto storicamente avvenuto, la battaglia di Zappolino del 1325. Il Tassoni narrò che i modenesi, inseguendo i bolognesi sin dentro la porta di San Felice, portarono via come trofeo una secchia. Alessandro Tassoni non si attenne alla storia ed alla cronologia dei fatti ma trasformò gli avvenimenti in un guazzabuglio, inserendo nell’opera personaggi e fatti a lui contemporanei. L’argomento dell’opera, come possiamo comprendere, è la guerra tra i bolognesi ed i modenesi in seguito al rifiuto di questi di restituire la famosa secchia rubata. Alla guerra parteciparono anche gli dei dell’Olimpo dall’una e dall’altra parte. 


Alessandro Tassoni poté scrivere della battaglia di Zappolino grazie ad Antonio Beccari, poeta girovago vissuto alla corte degli Oleggio (città attualmente in provincia di Novara). Perché fu così importante questo sconosciuto poeta girovago? La guerra, nonostante le dimensioni dello scontro, fu quasi totalmente dimenticata, forse per non aver sortito effetti storici e politici rilevanti. Fu il solo Beccari a mantenere vivo lo scontro di Zappolino nelle sue rime, dove cantava la crudeltà e la perfidia dell’animo umano.

Addentriamoci nella cronologia della battaglia di Zappolino, uno dei più grandi scontri campali avvenuti nel medioevo poiché vi presero parte circa 35000 fanti ed oltre 5000 cavalieri. Più di tremila soldati persero la vita sul campo di battaglia. 


Lo scontro avvenne in seguito alle rivalità storiche esistenti tra modenesi, ghibellini, e bolognesi, guelfi. Guelfi e ghibellini erano le fazioni contrapposte della politica italiana del Basso medioevo. Le origini dei nomi risalgono alla lotta per la corona imperiale dopo la morte d’Enrico V, avvenuta nel 1125, fra le casate bavaresi – sassoni dei Welfen, i guelfi, e quella sveva degli Hohenstaufen, signori del castello di Waiblingen, i ghibellini. Per comprendere le cause che condussero allo scontro dobbiamo spiccare un piccolo salto nel tempo. Nel 1296 i bolognesi avevano invaso le terre di Savignano sottraendole ai modenesi, grazie anche all’appoggio di Papa Bonifacio VIII, che nel 1298 emanò un lodo [negozio giuridico assimilabile ad una sentenza] con cui riconosceva il possesso da parte guelfa della località. Dato che i guelfi bolognesi vedevano nei ghibellini di Modena, alleati con l’imperatore, Bonifacio VIII tentò di sfruttare la situazione per rafforzare il suo potere sul partito guelfo. Nei mesi precedenti la battaglia, l’attività militare sui confini tra Modena e Bologna s’intensificò. Nel mese di luglio del 1325 i bolognesi entrarono nel modenese mettendo a sacco la campagna. Nel mese di settembre, fu la volta del mantovano. Alla fine del mese i ghibellini riuscirono, grazie ad un tradimento, a conquistare il castello di Monteveglio, importante baluardo di difesa di Bologna. A questo punto il castello di Zappolino divenne l’ultimo importante baluardo di difesa della città di Bologna. 


Lo scontro tra le truppe bolognesi e quelle modenesi avvenne sul far della sera del 15 novembre 1325. Bologna schierò 30.000 fanti e circa 2.500 cavalieri. Modena rispose con 5.000 fanti e circa 2.800 cavalieri, molti dei quali di provenienza germanica. I guelfi si schierano tenendo alle loro spalle il castello. I modenesi attaccarono i cavalieri delle prime linee bolognesi, mentre la cavalleria attaccò sul fianco.


La battaglia fu molto breve, circa un paio d’ore, e si concluse con la terribile disfatta dell’esercito bolognese, nonostante la netta superiorità numerica. I bolognesi, sorpresi dall’attacco laterale, si diedero alla fuga: molti ripararono all’interno del castello di Zappolino, altri in quello di Olivero ed altri ancora raggiunsero Bologna, vanamente inseguiti dai modenesi. 
I morti furono oltre 2.000 tra cui il capo dei guelfi-modenesi, alleati dei bolognesi. 


I modenesi non tentarono l’assedio della città ma si limitarono a schernire gli sconfitti per diversi giorni, nei quali organizzarono giostre cavalleresche fuori dalle mura di Bologna. I ghibellini tornarono a Modena portando in trofeo una secchia rubata in un pozzo. Grazie al rapimento del contenitore, narrato da Alessandro Tassoni, quest’evento è noto come La battaglia della secchia rapita.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

F. G. Battaglini. Memorie storiche di Rimini e dei suoi signori. Lelio della Volpe, Rimini, 1789.

Pompeo Litta, Famiglie celebri d'Italia. D'Este, Torino, 1835.


http://www.zappolino.it/battaglia.htm


FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

venerdì 23 novembre 2018

la nascita della civiltà egizia


Luca Andrea La Brocca.

Non ho intenzione di puntare il dito contro gli storici ortodossi e le loro inamovibili teorie. I grandi egittologi del passato hanno dato un contributo fondamentale alla comprensione della civiltà egizia nel suo insieme ed io non me la sento di buttare in mare tutta questa mole di lavoro. Questa pagina non vuole neppure cavalcare gli entusiasmi della cultura "new-age", non vuole vedere extraterrestre da tutte le parti, non vuole dar credito a teorie astruse, apparse come funghi negli ultimi tempi.

Non sono il primo a dirlo, ma lo studio di una civiltà complessa come quella egizia va affrontato diversamente da come hanno fatto gli egittologi fino ad oggi. 

C'è bisogno del filologo, dell'archeologo, dello studioso delle religioni, ma c'è bisogno anche di tecnici specializzati, astronomi, architetti, agrimensori, chimici, fisici, nonché studiosi non proprio ortodossi, come esperti in alchimia, in astrologia, e in storia delle società segrete.

Sono convinto che bisogna allargare il campo delle indagini, se si vuole una volta per tutte diradare le nebbie che avvolgono la storia dell'Egitto; se si vuole finalmente avere in mano qualcosa di più di semplici ipotesi che lasciano il tempo che trovano. I professori accademici ne trarranno chiari benefici, in quanto non dovranno più difendere teorie strambe, come quelle che riguardano il complesso di Giza, il periodo di Amarna, la stessa nascita della civiltà egizia, da visionari che vogliono assegnare tutto ciò che di grandioso si è fatto sulla terra ad una civiltà aliena.

In particolare, in questa pagina vorrei esporre alcuni argomenti, che sono poi quelli che riassumo nel titolo. Argomenti che, secondo il mio modesto punto di vista, non sono stati affrontati dagli studiosi in modo approfondito, cosa che ha incoraggiato il proliferare di teorie bizzarre che confondono, piche chiarire, le idee di chi si avvicina all'Egitto. Sicuro che sarete in tanti a sfogliare queste mie pagine, spero che possiate trovarle quanto meno interessanti, magari stimolanti. Spero possano stuzzicare la vostra sete di sapere, e possano spingervi a cercare più in là, ma non troppo, la risposta agli inquietanti interrogativi circa il nostro passato...


Nonostante l'enorme contributo dell'archeologia nell'acquisizione di informazioni che riguardano le origini della civiltà egiziana, "gran parte della storia di questo paese è avvolta nelle nebbie dell'incertezza".

Le tante domande che ancora aspettano una risposta sono state oggetto di speculazioni, cosa che ostacola la ricerca della verità. La mancanza di documenti scritti contribuisce a non rendere chiaro il quadro della situazione nella Valle del Nilo. Sicuramente fu abitata, anche nelle zone oggi aride che un tempo erano occupate da una verdeggiante savana. 

Chiaramente gli uomini erano dediti alla caccia, alla pesca e alla raccolta, almeno fino al 5500 a. C., quando dalla Palestina giunse l'agricoltura.

Questo è in parte vero, anche se gli storici sorvolano su quello che fu il primo caso di "rivoluzione agricola precoce" attestato al mondo, avvenimento che ha per protagonista proprio una cultura indigena della Valle del Nilo. E' un evento per alcuni aspetti misterioso, non ultimo il fatto che si colloca oltre i limiti temporali fissati dalla storiografia ortodossa.

Probabilmente per questi motivi, non ne fanno menzione alcuni dei testi di storia dell'Antico Egitto più famosi. Alcuni studiosi ne parlano comunque nelle loro opere, come Hoffmann in "Egypt before the Pharaohs" e Schild in "Prehistory of the Nile Valley".

Ad un certo punto, tra il 13.000 e il 10.000 a. C. l'Egitto visse per un periodo quello che è stato definito "uno sviluppo agricolo precoce", per mano della cultura Isnan.

In quattro siti sul Nilo superiore, gli archeologi hanno dissotterrato utensili agricoli in pietra, chiaro segno che questo popolo selezionava e coltivava cereali. Non solo, ma sembra che praticasse la domesticazione degli animali e disponesse di un'avanzata tecnologia di lavorazione.

Foto: il raccolto del grano. Da una pittura tombale dell'antico Egitto

Ma sentiamo cosa hanno da dirci gli esperti: - "Poco dopo il 13.000 a. C., mole e lame di falce dai tagli lucidi e brillanti (dovuti all'aderenza di silice degli steli tagliati alla punta affilata della selce) compaiono fra gli arnesi da lavoro del tardo paleolitico... E' chiaro che le mole venivano utilizzate nella preparazione di cibo vegetale..." - "Il declino della pesca come fonte di cibo è legata alla comparsa di una nuova risorsa alimentare rappresentata dai cereali macinati.

Dal pollice associato si evince che con tutta probabilità il cereale in questione era l'orzo e, fatto significativo, questo grande polline di graminacea, ipoteticamente identificato con l'orzo, fa un'apparizione improvvisa nel profilo pollinico nel periodo immediatamente precedente l'epoca in cui i primi insediamenti si stabilirono in questa zona..." - "Altrettanto spettacolare della nascita nel tardo paleolitico della proto agricoltura nella Valle del Nilo fu evidentemente la sua precipitosa fine.

Nessuno sa esattamente perché ma dopo il 10.500 a. C. le antiche lame di falce e la macinatura scompaiono per essere rimpiazzate in tutto l'Egitto da popolazioni paleolitiche di cacciatori, pescatori e raccoglitori che usavano strumenti di pietra."

Così l'agricoltura scomparve dall'Egitto per essere in seguito reintrodotta dalla Palestina intorno al 5000 a. C. Non solo, ma per almeno 1000 anni l'agricoltura non comparve più in nessun altro luogo della terra. 

Gli storici attribuiscono questo cambiamento di stile di vita ai cataclismi e ai mutamenti climatici che annunciarono la fine dell'ultima Era Glaciale. Dalle testimonianze emerge comunque che questa "rivoluzione" non fu un'iniziativa indigena, piuttosto una specie di "trapianto". E' improbabile che gli Isnan appartenessero ad una cultura capace di evolversi più rapidamente di altre culture. E' più facile pensare che acquisirono determinate conoscenze da una cultura più evoluta.


La fine della loro esperienza coincise non con un loro spostamento, o con una loro decisione di abbandonare gli strumenti, ma con il fatto che chi li istruiva abbandonò l'Egitto. Così, incapaci di continuare da soli, ritornarono a forme primitive di caccia, pesca e raccolta.

Purtroppo non abbiamo abbastanza dati a disposizione per poter tentare di seguire una eventuale migrazione, se mai avvenne, di questi primi colonizzatori.
Sembrano sparire nel nulla, motivo per cui gli studiosi negano la loro esistenza. 

Probabilmente i cataclismi che accompagnarono l'ultima de-glaciazione misero in difficoltà questi nostri "antenati", molti dei quali perirono durante quel periodo. Molti di loro, ma non tutti.

Ci sono almeno due validi motivi per affermare che una parte di loro non si spostò mai dall'Egitto: il fatto che la civiltà egizia comparve dal nulla nella sua completezza e il fatto che i primi sovrani egizi appartenevano ad una razza diversa da quella indigena. 

R.A. Schawaller, uno studioso "poco ortodosso" della civiltà nilotica era convinto che l'Antico Egitto si configurava non come uno sviluppo, ma come un'eredità.

Un attento studioso della civiltà egizia non può non rendersi conto che essa è pienamente sviluppata e definita dall'inizio della I Dinastia, circa 5000 anni fa. Ascoltate cosa hanno da dire alcuni famosi studiosi a tal proposito: "All'epoca di Menes" (il leggendario fondatore della I Dinastia), scrive Ignatius Donnelly nel suo Preadamites, "gli egiziani erano già un popolo civile e numeroso. Manetone ci dice che Athotis, il figlio del re, costruì il palazzo di Menfi; che era un medico e che lasciò dei libri di anatomia. Tutte queste affermazioni indicano semplicemente che, già in quell'antico periodo, gli egiziani avevano raggiunto un alto grado di civiltà.

All'epoca di Menes, gli egiziani erano da gran tempo architetti, scultori, pittori, mitologisti e teologi".

"L'Egitto" afferma il professor Richard Owen "appare dai documenti come una comunità civile e organizzata ancora prima del tempo di Menes. 

La comunità pastorale di un gruppo di famiglie nomadi ritratta nel Pentateuco può essere accettata come un primo passo nella civilizzazione. Ma quanto è avanzata rispetto a questo stadio una nazione amministrata da una monarchia, composta di diverse classi e strutturata secondo una divisione del lavoro, dove ai sacerdoti era assegnato il compito di registrare e di ordinare cronologicamente i nomi e le dinastie dei re, insieme alla durata e agli eventi principali dei loro regni!". "

L'Egitto" osserva Ernest Renan "fin dall'inizio, appare maturo, vecchio, senza periodi mitici o eroici, come se il paese non avesse mai conosciuto la giovinezza. La sua civiltà non ha alcuna infanzia, ne la sua arte alcun periodo arcaico. La civiltà dell'Antico Regno non appare nella sua infanzia. Era già matura".


Prendiamo come esempio per avvalorare questa ipotesi la sofisticata scrittura geroglifica. 

Gli egittologi dispongono di poche prove per poter seguire una eventuale linea di sviluppo della scrittura dai primi rozzi ideogrammi ai geroglifici completi di fonogrammi, ossia di segni con valore di suono.
Ma l'assurda teoria dello sviluppo crolla davanti ai famosi "Testi delle Piramidi". 

La particolarità di questi testi è che furono redatti durante un periodo di poco superiore ai cento anni, dalla fine della V Dinastia alla fine della VI, nelle camere funerarie delle piramidi di alcuni famosi faraoni. Il motivo di questa scelta non ci è noto, anche se probabilmente si volle creare un registro geroglifico di letteratura sacra.

Secondo R.O.Faulkner, professore di lingua egizia presso l'University College di Londra, i Testi sono "il corpus piantico di letteratura religiosa e funeraria pervenuto fino a noi" e "sono fra tutte le raccolte simili i meno corrotti". Secondo J.H.Breasted "ci svelano vagamente un mondo scomparso di pensieri e parole, l'ultima delle innumerevoli eternitper le quali passato l'uomo preistorico, prima...di fare il suo ingresso nell'era storica". Wallis Budge, ex sovrintendente alle antichità egizie presso il British Museum, e autore di un dizionario di geroglifici, con questa dichiarazione conferma l'ipotesi di un'eredità culturale: "I Testi delle Piramidi sono pieni di difficoltà di ogni genere.

Foto: alcuni TdP incisi nella camera funeraria della piramide di Unis a Sakkare, risale alla 5a dinastia

Non si conoscono i significati esatti di un gran numero di parole ivi contenute...

Spesso la costruzione della frase impedisce ogni tipo di traduzione, e quando contiene parole assolutamente sconosciute diventa un enigma insolubile. Sarebbe logico supporre che questi Testi venissero frequentemente utilizzati in occasione dei funerali, ma è evidente che furono impiegati in Egitto per un periodo di poco superiore ai cento anni. Perché il loro impiego iniziò repentinamente alla fine della V Dinastia per poi cessare alla fine della VI è un fatto inspiegabile.

Vari passi provano che gli scribi che redassero le copie su cui si basarono gli incisori delle iscrizioni non capivano quel che scrivevano. L'impressione generale è che i sacerdoti che stilarono le copie presero degli stralci da componimenti diversi di epoche diverse e di contenuti diversi..."

E' chiaro che i documenti sorgente o erano scritti in una forma arcaica della lingua egiziana - cosa che fa retrodatare la comparsa della scrittura egizia di parecchi secoli - o, probabilmente, erano scritti in una lingua diversa, che comprendeva terminologie tecniche e riferimenti a manufatti e a concetti per i quali non esistevano termini equivalenti nella lingua egizia. In entrambi i casi c'è la conferma che la scrittura egizia o la sua antenata erano antichissime e che, o si svilupparono in un arco di migliaia piuttosto che di centinaia di anni - cosa piuttosto improbabile - oppure che fu introdotta, completamente sviluppata, da una cultura superiore a noi sconosciuta.

In precedenza ho affermato che i primi sovrani egizi appartenevano ad una razza diversa dalla popolazione locale. Anche se l'affermazione può sembrare assurda, troverete conforto nelle parole del famoso professor W.B.Emery, autore id Archaic Egypt: "...verso la fine del IV millennio a.C., il popolo noto tradizionalmente con il nome di "Seguaci di Horus" ci appare come un'aristocrazia altamente civile o una razza dominante che governa tutto l'Egitto.

La teoria dell'esistenza di questa razza è confortata dalla scoperta, nelle tombe del tardo periodo predinastico nella parte settentrionale dell'Alto Egitto, dei resti anatomici di individui con un cranio e una corporatura di dimensioni maggiori rispetto agli indigeni, con una differenza così marcata da rendere impossibile qualsiasi ipotesi di ceppo comune.

La fusione delle due razze deve essere assai stretta, ma non così rapida che, al tempo dell'Unificazione, si potesse considerarla in qualche modo compiuta, dato che, per tutto il periodo arcaico, la distinzione fra l'aristocrazia civilizzata e la massa di indigeni è assai pronunciata, specialmente per quanto riguarda le usanze funerarie.

Solo alla fine della II Dinastia troviamo prove che dimostrano come le classi inferiori avessero adottato l'architettura funebre e il tipo di sepoltura dei loro governanti. L'origine razziale di questi invasori è ignota e ugualmente oscura rimane la via che seguirono nella penetrazione dell'Egitto". Gli stessi egiziani nel corso della loro storia fanno riferimento a coloro che li precedettero nel governo del paese: gli dei, i semidei, gli spiriti dei morti, e i re mortali, tra i quali i "Venerabili di Menfi", "I Venerabili del Nord" e gli "Shemsu Hor" o "Compagni di Horus", che regnarono sul paese durante un incredibile numero di anni. Per gli egittologi questi sono miti, ma per gli antichi egizi questa era storia, tant'è che tali dati comparivano sempre in liste di re contenenti anche i nomi di quei sovrani cosiddetti "storici", dei quali abbiamo prove certe di un'esistenza.

Sui miti egizi vi rimando ad una prossima trattazione. Vorrei ora soffermarmi su una argomento che reputo interessante: le conoscenze tecnologiche degli egiziani nei primi secoli della loro millenaria storia.

Per strane circostanze, oserei dire misteriose, non giunto fino ai nostri giorni nessuno strumento "tecnologico" egizio.

Di più non conosciamo descrizioni o rappresentazioni dei medesimi su testi o raffigurazioni pittoriche, e quindi non conosciamo nemmeno i termini con cui questi strumenti venivano designati. Lo studio della tecnologia egizia si basa quindi su mere congetture, partendo dalla osservazione del prodotto finito e dei resti della lavorazione. Per questo motivo si sono formulate le conclusioni più azzardate, e spesso l'analisi tecnologica stata influenzata dalle generali conclusioni archeologiche.

Ciò non sarebbe un problema nel caso in cui analisi tecnologica e archeologica giungessero a comuni risultati. Ma nell'ambito dell'egittologia accade il contrario, e così mentre l'analisi archeologica mostra una linea ascendente di evoluzione culturale dalla I Dinastia all'Era Tolemaica, l'analisi tecnologica segnala una leggera involuzione dalla I Dinastia sino alla IV Dinastia, per mostrare poi un processo di evidente declino nei tre millenni successivi, fino all'epoca dei Tolomei.

In effetti, il grado di perfezionamento, tanto rimarchevole quanto improvviso e senza precedenti che lo facciano presagire, nell'arte della costruzione nella III Dinastia e la risaputa incapacità dei costruttori dell'ipostilo di Karnak, che 1500 anni dopo non sapevano che gli edifici richiedevano di fondamenta, un mistero del tutto inspiegabile. Dobbiamo chiederci se l'assoluta inesistenza di riferimenti alla scienza e alla tecnologia egizia puramente casuale.
Gli egittologi attribuiscono effettivamente al caso la mancanza di reperti tecnologici.

Uno strumento molto usato dagli antichi egizi fu il trapano, che funzionava pio meno come il nostro. Abbiamo molti resti di perforazioni, ma nessun reperto dello strumento. Siccome i resti che possediamo di queste perforazioni sono una minima parte dei lavori che poteva produrre un tale strumento, gli egittologi affermano che in questo modo si riducono ancor di pile possibilità di rinvenire lo strumento. Anche se vogliamo condividere questa affermazione, essa non ci può spiegare allora perché nelle iscrizioni, pitture e papiri rimasti, non compaiono mai riferimenti, o almeno allusioni, alle conoscenze tecnologiche di questo popolo. Siamo ancora in presenza del caso?

Lo stesso discorso vale per le minuziose osservazioni astronomiche, comprovate dalla perfezione del calendario e dal preciso orientamento degli edifici, ma delle quali non ci rimasto nessun reperto. D'altronde, prima di noi, furono i classici a sorprendersi nell'osservare vicino alle grandi costruzioni la mancanza di qualsiasi reperto archeologico relativo agli strumenti che servirono alla loro costruzione.

Per concludere, gli egizi delle prime Dinastie costruirono la Grande Piramide, incisero geroglifici su pietre di inaudita durezza come la diorite, lo scisto metamorfico, il basalto e il cristallo di quarzo, con le quali crearono sculture incredibilmente perfette, con le sole mani, perché non conoscevano la ruota, il diamante, il ferro, e nessuno tipo di strumento.
Vi pare una affermazione logica? 

Può darsi, ma andate a guardare i recipienti di pietra, quasi 30.000, trovati sotto la Piramide di Gioser, vasi alti con lunghi colli esili, urne monolitiche con delicati manici ornamentali lasciati attaccati dagli intagliatori, coppe con colli stretti, coppe aperte, addirittura fiale microscopiche ed altri oggetti non meglio identificati, tutti rigorosamente levigati e lucidi, realizzati con pietre che nei secoli successivi gli egiziani non sapranno più usare.

O provate ad osservare la famosa statua del faraone Chefren (foto), in diorite, la più alta espressione dell'arte scultorea egizia. Sono opere che nemmeno i più bravi scalpellini attualmente in circolazione, con le migliore tecnica a disposizione, sarebbero in grado di eguagliare.

La massima espressione architettonica degli egizi il complesso di Giza. Esso comprende tre piramidi attribuite ad altrettanti faraoni della IV Dinastia, con i relativi templi funerari collegati con strade rialzate ai templi a valle, nonché la famosissima Sfinge. La Grande Piramide, l'unica delle sette meraviglie ancora in piedi, la Prima Piramide di Giza, per usare un termine tecnico, in realtà aveva un nome più poetico: "La Piramide che il luogo dell'alba e del tramonto" o anche "L'Orizzonte di Cheope". 

Gli egittologi la attribuiscono appunto a Cheope, il secondo Faraone della IV Dinastia, il cui nome egizio Khufu (hwfw) significa "Che Egli (il dio sole Ra) mi protegga". Non ho intenzione in questa sede di annoiarvi con la sfilza di dati che provano la straordinaria perfezione di questo monumento, ma voglio soffermarmi su particolari sui quali bisogna riflettere. La piramide priva di qualsiasi iscrizione, una caratteristica della necropoli di Giza, rispetto alle altre settanta piramide egizie tappezzate di geroglifici. Purtroppo non possono essere considerati originali i "marchi di cava", geroglifici errati o di epoca successiva, che furono trovati in alcune delle camere di compensazione sopra la Camera del Re dal Vyse, una specie di pseudo-archeologo che probabilmente fu l'autore del falso. 

Il monumento non quindi "firmato", per usare un termine moderno, fatto inusuale nella storia dei re egizi. Pensate, il grande Cheope realizzò l'opera più incredibile che si sia mai vista sulla terra, senza farne un motivo di celebrazioni, senza una parola di auto elogio, priva persino di quei testi funerari che avrebbero dovuto accompagnare il re defunto nel viaggio verso l'aldilà. Purtroppo non ci sono indizi che possano provare che Cheope fu sepolto proprio lì e la storiella che ci raccontano circa una profanazione da scartare per vari motivi, non ultimo il fatto che di tale furto non ci sono rimaste tracce, tipo un brandello di stoffa, un coccio rotto o qualche piccolo oggetto di poco valore. Reperti che collegano Cheope con la Grande Piramide sono stati trovati all'interno e all'esterno delle piramidi satellite che fiancheggiano il monumento, tra cui, ironia della sorte, l'unica statua che conosciamo del più famoso re d'Egitto.

Se scartiamo le notizie che ci giungono dai classici greci, i quali non avevano accesso a determinate informazioni, possiamo soltanto affermare che la Grande Piramide intimamente connessa con il faraone Cheope, ma non abbiamo uno stralcio di prova che dimostri che fu proprio lui a costruirla.


La Seconda Piramide di Giza la piramide attribuita a Chefren, "La Grande Piramide" o "Cheope Grande", come la chiamavano gli egizi. Chefren, il Khafra' o Rakhaef egizio (R'khaef), era il figlio di Cheope, che regnò dopo un suo fratellastro, Gedefra', il quale stranamente costruì la sua piramide lontano da Giza.

Anche questa piramide priva di iscrizioni e, manco a dirlo, fu trovata vuota. Nel Tempio a Valle, sepolte sotto metri di sabbia, furono trovate alcune statue del faraone, tra cui quella di diorite-gneiss di cui vi parlavo in precedenza. La Terza Piramide di Giza la piramide attribuita a Micerino, "La Piramide Divina" o "Micerino Divino". Questo faraone, chiamato dagli egizi Menkaura' (R'mnk3w), "La potenza di Ra stabile", fu dei tre il più ricco: di qui la stranezza della decisione di costruire la sua piccola piramide vicino ai giganti dei suoi predecessori. Avrebbe potuto benissimo scegliere un altro sito, vista comunque la perfezione del suo monumento. Anche questa piramide priva di iscrizioni, ma fu trovata nella Camera del Re una sepoltura intrusiva di un epoca successiva. Probabilmente il sarcofago era di Micerino, ma andò perso in mare. Di lui ci rimangono delle bellissime statue che lo ritraggono in trittici con altre divinità trovate sepolte all'interno del Tempio a Valle.

Avrete sicuramente notato la mia pignoleria quasi ossessiva nell'indicarvi i nomi esatti dei faraoni con il loro significato. In questo cerco di imitare gli stessi egizi, i quali davano molta importanza al nome (rn). Questa parola si scrive con due semplici simboli: il primo chiaramente la bocca, con la quale si pronunciano i nomi; il secondo un rivolo di acqua, un simbolo che in geroglifico significa energia, in quanto nominare qualcosa voleva dire dargli forza.

Chiusa questa parentesi, chiaro che gli egittologi non hanno elementi che possano provare chi furono i costruttori di tali monumenti.

Hancock e Bauval, rivolgendo lo sguardo in cielo sono riusciti in parte a diradare le nebbie del mistero che avvolgono questo sito. Le loro idee sono rivoluzionarie, ma penso che con il tempo verranno accettate dall'ortodossia. Chiarito che molto probabilmente la piramidi di Giza non furono costruite come tombe, lo stesso vale per le altre settanta piramidi sparse sul suolo egiziano. Per esempio Snefru (Snfrw), il padre di Cheope, costruì ben tre piramidi, e a tal proposito viene da chiedersi cosa doveva farci questo faraone con tre tombe. Era forse un megalomane?

Se le piramidi egizie non furono costruite per preservare i corpi mummificati dei faraoni, per quale motivo furono erette?

Adesso introduciamo un argomento "tabù", quello del ringiovanimento che i faraoni riuscivano ad ottenere mediante l'utilizzo delle piramidi, costruite a tale proposito. La cosa più sorprendente è che tutte le piramidi egizie furono costruite con questo obbiettivo. 

Tale recente conquista della scienza archeologica non viene divulgata perché si contrappone all'idea stereotipata secondo cui la finalità delle piramidi era di servire da tombe ai sovrani. Gli egittologi, dichiarando che lo scopo delle piramidi risiedeva nel ringiovanimento dei faraoni, non solo negano una "verità" accettata ormai da tempo, ma affermano un concetto apparentemente assurdo: chi può accettare una teoria secondo cui un faraone poteva ringiovanire solo sistemandosi all'interno della piramide? 

Nonostante possa sembrare sorprendente, questa è la tesi accettata ufficialmente dalla scienza archeologica per spiegare la finalità di questi monumenti. Sentiamo cosa hanno da dirci in merito alcuni affermati egittologi: "In alcune tribù nilotiche" afferma A.Fakhry "ancora oggi un re può prolungare il proprio regno con metodi magici e cerimonie rituali. Agli albori della storia gli egizi probabilmente eseguivano pratiche simili. I faraoni celebravano l'Heb Sed (hb-sd) come mezzo per preservare il proprio vigore giovanile e prorogare nel tempo il loro regno. La pratica dell'Heb Sed continuo fino alla fine della storia egiziana."..."

Nelle pareti dei templi si trovano numerose rappresentazioni di tali cerimonie. Sfortunatamente, anche se conosciamo questi rilievi e possiamo tradurre i testi geroglifici che li accompagnano, dobbiamo ammettere che l'obiettivo fondamentale di queste pratiche ci sfugge ancora." "Tutti i re egizi", dichiara I.E.S. Edward nel suo libro "Le Piramidi d'Egitto","dovevano celebrare l'Heb Sed dopo aver regnato per un certo numero di anni. L'origine di questa festa è molto oscura, ma risale ad epoche lontane, quando il re, dopo un certo periodo, doveva morire ritualmente. 

E' evidente che il significato di questa tradizione consisteva nella convinzione che la felicità del regno potesse venir assicurata solamente da un re che fosse riuscito a mantenere intatto il proprio vigore fisico."..."Uno degli elementi più importanti dell'Heb Sed consisteva nella legalizzazione dell'incoronazione. Durante questa cerimonia una processione guidata da un sacerdote giungeva al tempio dell'atrio dell'Heb Sed, dove si trovavano gli dei delle "monarchie" dell'Alto Egitto. Dopo aver ottenuto da ogni dio il consenso per il prolungamento del regno, il re veniva condotto al trono sud, un complesso di due troni collocati sotto un baldacchino, per essere incoronato con la corona bianca dell'Alto Egitto. Una cerimonia simile si verificava nei templi degli dei delle monarchie del Basso Egitto prima che il re ascendesse al trono nord per ricevere la corona rossa del Basso Egitto." Edward dedica molte pagine del suo libro alla descrizione dell'enorme e complessa architettura costituita da decine di immensi templi, corridoi, gallerie, patii situati a diversi livelli, che costituiscono un complesso monumentale di strutture che erano, come già assicurava Erodoto, ancora più importanti della stessa piramide. Se si considera che la finalità della piramide era l'Heb-Sed , è logico che anche i templi dell'Heb-Sed addossati alla piramide fossero edifici monumentali.

E' possibile ricostruire, in linea generale, la successione delle cerimonie dell'Heb-Sed. Secondo i testi e i disegni egizi, la prima fase costituiva la morte rituale del faraone, il cui corpo veniva collocato in un lussuoso sarcofago all'interno della piramide. Non sappiamo quanto tempo durava la permanenza del faraone nel sarcofago, e non sappiamo nemmeno se ciò avveniva per catalessi, ipnosi, o altro. Tale morte veniva accompagnata dalle cerimonie del dolore, e questo spiega perché parte degli impianti dell'Heb-Sed è puramente funeraria. Trascorso il tempo necessario, il faraone resuscitava.

Pur non avendo testimonianze dirette di questa fase, possiamo immaginare la festosità e l'allegria che accompagnavano la resurrezione del re. Poteva accadere che il sovrano uscisse dal sepolcro con tutti gli acciacchi di prima, per cui erano previste, prima dell'incoronazione, minuziose e prolungate "prove di gioventù”. Le prove di gioventù sono la dimostrazione che il processo di ringiovanimento era preso in seria considerazione. Una rappresentazione molto comune mostra il faraone mentre corre rapidamente con una stanga da trebbiatura in una mano e un piccolo oggetto nell'altra. Sul suolo si nota la traccia di un circuito che corre tra due file di pietre a forma di tronco di cono che il sovrano doveva percorrere quattro volte. Chiaramente solo un re rinvigorito poteva superare una tale prova.

La stanga da trebbiatura evidenzia un'altra prova di forza, perché quando le messi si trebbiavano a mano, solo i giovani vigorosi erano capaci di sgranare i covoni, non di sicuro un faraone anziano. Ignoriamo la natura di una successiva prova collegata al piccolo oggetto che il re porta in una delle mani.
In una delle sale dell'Heb-Sed compare la figura del dio Min, il dio della fertilità spesso rappresentato come un toro bianco con il fallo eretto. 

Ciò a testimoniare una prova associata al vigore sessuale, della quale ci sfugge il senso. Alcuni testi menzionano altre prove di gioventù come violare una fortezza o distruggere una città a dimostrazione che la cerimonia del Giubileo si sviluppava in un tempo molto lungo. 

Appare chiaro dalla complessità della festa e dall'enorme sforzo economico richiesto per la costruzione di templi e edifici, che il contenuto dell'Heb-Sed era in qualche modo reale. Una festa che risaliva all'Egitto predinastico e che non subì variazione nei tremila anni della civiltà egizia.

Fino a poco tempo fa era impossibile spiegare il problema del ringiovanimento del faraone utilizzando le conoscenze della biologia. In nostro aiuto sono giunte due nuove teorie, una del chimico fiorentino Piccardi e l'altra del professore di informatica russo Trincher, entrambe basate sulla scoperta di alcune proprietà dell'acqua un tempo sconosciute. Prima di affrontare questi studi e' bene spendere due parole in favore di questo liquido. L'acqua è un composto chimico totalmente anomalo, tant'è che non si concilia con le usuali regole della fisica e della chimica. Il grande idrologo fiorentino Piccardi era solito affermare che "l'acqua è il liquido più misterioso della creazione".

D'altronde l'intima relazione tra acqua e vita è tale che si può affermare che "la vita è una delle proprietà anomale dell'acqua". 

Se fosse una sostanza come le altre, dovrebbe bollire a 230ー sotto zero, ma per comparazione tra H2O e H2S, l'acqua bolle a 100ー gradi sopra lo zero.

Tutte le sostanze, raffreddate, contraggono il proprio volume, e cosi metalli non fusi rimangono nel fondo, mentre il ghiaccio galleggia sull'acqua. Essa inoltre ha un potere dielettrico di 80, altissimo se confrontato alla media delle altre sostanze, che arriva a 10. Ed è quest'ultima anomalia ad originare tutte le altre. Ciò avviene perché l'acqua presenta "valenze deviate".

L'angolo delle valenze dell'ossigeno nell'acqua è 104ー, per cui l'acqua non H2O, ma e' formata da cinque H2O. A tal proposito il premio Nobel Pauling afferma che "L'acqua è un polimero costituito da cinque molecole di H2O collocate in cinque angoli di una piramide di base quadrata, il cui angolo di 52ー. Anche la Grande Piramide ha la base quadrata con gli angoli di 52ー, per cui si può affermare con certezza che il monumento egizio non è altro che il simbolo dell'acqua.

Piccardi collocò in una provetta una soluzione di cloruro di bismuto, aggiunse acqua e scoprì che la soluzione si intorbidiva producendo un liquido biancastro. In particolare scoprì che il grado di precipitazione variava con le ore del giorno, con i mesi dell'anno e ogni undici anni, seguendo il ciclo del giorno, delle stagioni e delle macchie solari.

Piccardi scoprì anche che il composto precipitava più rapidamente in una provetta collocata sotto un recipiente di metallo, la quale evidentemente non subiva l'influenza delle onde elettromagnetiche che, al contrario, acceleravano il processo di precipitazione nella provetta sistemata all'aperto. La cosa sorprendente è che in una provetta collocata sotto una piramide che abbia le stesse proporzioni della Grande Piramide, la decantazione, nel caso del cloruro di bismuto, avveniva addirittura con quindici minuti di ritardo.

Questa è la prova che esistono radiazioni universali che provocano il ritardo della precipitazione, radiazioni che vengono ottimamente captate dalla piramide. 

l processo di invecchiamento è noto come un aumento di entropia, per cui con la creazione di anti-entropia tale processo viene ritardato. Il biologo russo Trincher riuscì a fare misurazioni dell'anti-entropia dell'acqua interstiziale dei globuli rossi, la quale risiede "in stati cristallini metastabili dell'acqua". 

Da questa scoperta e da quella del Piccardi alcuni ricercatori hanno preso spunto per effettuare esperimenti circa l'influenza che la forma piramidale esercita sul comportamento di enzimi e ormoni.

Questi avvennero nello IEA, l'Istituto di Studi Avanzati dell'Argentina. Sappiamo che gli enzimi hanno la capacità, agendo come catalizzatori, di accelerare diversi processi di trasformazione chimica che avvengono nel nostro organismo. La piramide ha la proprietà di modificare questa capacità. Gli esperimenti all'IEA consisterono nel collocare provette contenenti un enzima e un substrato all'aperto, in un cubo e in una piramide. Si effettuarono esperimenti con tutti gli enzimi riscontrando trasformazioni con alte percentuali di rendimento sotto la piramide: il 150% per l'ureasi, che trasforma l'urea in ammoniaca; il 70% per i lipasi, che sdoppiano i grassi in acidi grassi e glicerina; il 50% per l'invertasi, che trasforma il saccarosio in glucosio; anche una diminuzione del 42% per l'amilasi, che sdoppia l'amido in glucosio. Con gli ormoni si ebbero variazioni qualitative, non quantitative, per cui si affermò il carattere puramente enzimatico dell'azione piramidale.

Purtroppo gli esperimenti, suggeriti dal biochimico Varela, furono arrestati, non essendo stati giudicati interessanti dagli scienziati.

fonte: https://crepanelmuro.blogspot.com/