venerdì 29 dicembre 2017

viaggio dentro Guernica


Ci sono cose di fronte alle quali, al di là dei libri di storia e delle critiche d’arte, si può solo tentare di narrare…

Entri e fai il biglietto. Come in tutti i musei.
(Come sempre... serve sempre un biglietto... per qualunque viaggio...)
Lasci borse e borsette e macchine fotografiche. Come in quasi tutti i musei.
Consulti la piantina, e scopri che devi andare al secondo piano. Allora prendi l'ascensore e vai. Un po’ come in tutti i musei.
Ma è un illusione.
Per un po’ continuerai ancora a credere di stare semplicemente visitando un museo.
E invece no.
La storia la sai, o credi di saperla.


Spagna tra le due guerre, dittatura fascista, guerra civile perché gli spagnoli democratici (anche i comunisti, pensa un po’) cercano di resistere. Per reprimere la ribellione nel paesino di Guernica nel nord della Spagna il caro e cattolicissimo "generalissimo" Franco chiede aiuto ai suoi amici nazisti, all'aereonautica del terzo reich, per la precisione. E un aiuto ad un amico non si nega mai.
E allora via. 26 Aprile 1937. Ecco che arrivano fischiando gli stukas, e giù bombe. E Guernica rasa al suolo. Un paesino qualunque, sconosciuto al mondo. Pure col nome un po’ strano. Vattene a ricordare.
Allora ci pensa Picasso, a svegliarsi quella mattina e a decidere che te ne saresti ricordato. Tu e tutto il mondo, per sempre.
E non pensa più ad altro. Si butta giù a disegnare disegnare disegnare. E poi inizia a dipingere su una tela gigantesca. E disegna e dipinge e ci ripensa e cancella.
Finisce tutto in due mesi. Presenta il suo urlo contro la violenza nazifascista davanti a tutto il mondo durante l'esposizione universale a Parigi, nello stesso 1937.
E lascia anche disposizioni ben precise: il quadro deve essere messo al sicuro, prestato a New York. Ma solo prestato. Dovrà tornare in Spagna, ma ci dovrà tornare solo e soltanto dopo che in Spagna sarà tornata la democrazia.
Così accadrà, ma Picasso non la vedrà mai la democrazia nella sua Spagna. Il quadro ci torna nel 1992.
Questa è la Storia, ma è davvero solo la storia.


Ora tu cammini per il corridoio di quello che ancora ti sembra un museo come tanti altri e pensi che conoscere un po’ la storia ti serva ad essere minimamente preparato per ciò che stai per vedere.
E' un'illusione. Non sai ancora nulla, e non ne hai idea.
Poi cominciano i disegni.
Riconosci già alcune cose... il cavallo... lo vedi nascere e contorcersi cercando l'urlo migliore... con i denti, senza i denti, con gli occhi in dentro, poi in fuori.
Poi il toro. Poi una mano che stringe una spada... solo la mano... bellissima, contorta, tutti i disegni sono bellissimi, inquietanti, ma non sono ancora nulla.
Poi d'improvviso te lo trovi davanti. Guernica. Il quadro.
Non ti aspettavi di trovarlo già lì, non ti sentivi ancora preparato, ma in realtà non lo saresti stato mai.
E' enorme.
Tre, quattro metri di altezza, sette, forse otto di lunghezza... sconfinato.
Ma non è solo quello.
Ci sono quadri la cui luce esce dalla tela e invade la stanza e il tuo sguardo e tutto il resto, altri che ti catturano lo sguardo e te lo fanno viaggiare da un angolo all'altro.
Guernica ti inghiotte. Ma non solo lo sguardo. Ti inghiotte fisicamente.
E la prima cosa che capisci, oltre che vederla la capisci, è che quella non è la guerra, è una cosa molto più semplice, anzi molte più cose semplici messe tutte insieme.
E' violenza. Ferocia. Disperazione. Urlate senza pietà da triangoli grigi e neri. Il cavallo è tutti i cavalli del mondo, la mamma col bambino massacrato è tutte le mamme disperate del mondo, l'uomo a terra fatto a pezzi è tutta l'impotenza di tutti gli uomini del mondo di fronte alla violenza.


E l'urlo ti fa male alle orecchie, e ogni tanto devi distogliere lo sguardo perché non ce la fai...
E a forza di restarci dentro, perché ti ha inghiottito davvero, piano piano capisci e vedi altre cose... capisci che sei in un interno... c'è una lampada appesa al soffitto che ancora fa luce, ma sei anche all'esterno... c'è un palazzo che crolla, o forse brucia, e capisci allora che molto più semplicemente il mondo si è frantumato, le pareti sono andate in pezzi, e ciò che fino ad un attimo prima era ancora domestico, privato, personale, ora è improvvisamente scaraventato all'esterno, è in strada, è davanti agli occhi di tutti, è squarciato in un attimo, e in quell'attimo lo è per sempre.
Ti giri... guardi altri quadri, altri disegni preparatori, le foto della realizzazione... fai un giro e poi c'è una forza centripeta che ti riporta lì, e ti inchioda di nuovo lì davanti.
E ti ributti dentro, ti tira di nuovo dentro, anche se non lo volessi... fino a farti male. Hai il petto oppresso, il respiro più pesante. Non è una visione, non ti cattura solo la vista. Non è un museo, è un luogo storico, geografico e al tempo stesso mentale, immaginario.
Cerchi di riallontanarti ma non ce la fai... guardi altri quadri, cose importanti... Dalì, Mirò.... niente da fare... ti sembrano disegni di bambini... ritorni indietro e ti fissi di nuovo davanti a quel rettangolo enorme che sfonda la parete e ti proietta nell'incubo. Non vuoi e non puoi svegliarti, non ci si sveglia da una cosa così.
Capisci anche che l'arte è prima e dopo Guernica, e forse anche la storia è prima e dopo Guernica, il mondo è prima e dopo Guernica.
Bisognerebbe portarci chiunque. Le scuole dovrebbero organizzare gite soltanto per andare a Madrid e piazzarsi lì, in quella stanza. Verrebbero fuori generazioni migliori, sono sicuro che verrebbero fuori generazioni migliori.
Continui a visitare il museo praticamente solo per disintossicarti... per riuscire ad uscire poi fuori, al sole, senza sentirti male, senza sentirti in un mondo dove c'è qualcosa di sbagliato. Perché c'è qualcosa di sbagliato, da dimenticare almeno un po’ per poterci restare davvero.
Infine esci al sole. Madrid in pieno Agosto.
Ma non basta a svuotarti la mente e neanche lo sguardo.
C'è un cavallo che urla, c'è un ronzio nelle orecchie, c'è un muro che si apre come la bocca di uno squalo e inghiotte un uomo che alza le braccia disperate al cielo, c'è un lampadario che cerca di far luce e taglia solo il nero, c'è una mamma con un bambino a pezzi fra le braccia che piange con tutte le lacrime possibili, ci sono pezzi di uomini, pezzi di case, pezzi di vita che esplodono insieme al sole...
Non è solo l'arte o la storia o il mondo, sei anche tu... anche il tuo sguardo e il tuo modo di vedere le cose. Anche tu da ora in poi hai un prima e un dopo Guernica... e in mezzo un istante infinito.

Alessandro Borgogno

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

ALESSANDRO BORGOGNO
Vivo e lavoro a Roma, dove sono nato il 5 dicembre del 1965. Il mio percorso formativo è alquanto tortuoso: ho frequentato il liceo artistico e poi la facoltà di scienze biologiche, ho conseguito poi attestati professionali come programmatore e come fotoreporter. Lavoro in un’azienda di informatica e consulenza come Project Manager. Dal padre veneto ho ereditato la riservatezza e la sincerità delle genti dolomitiche e dalla madre lo spirito partigiano della resistenza e la cultura millenaria e il cosmopolitismo della città eterna. Ho molte passioni: l’arte, la natura, i viaggi, la storia, la musica, il cinema, la fotografia, la scrittura. Ho pubblicato molti racconti e alcuni libri, fra i quali “Il Genio e L’Architetto” (dedicato a Bernini e Borromini) e “Mi fai Specie” (dialoghi evoluzionistici su quanto gli uomini avrebbero da imparare dagli animali) con L’Erudita Editrice e Manifesto Libri. Collaboro con diversi blog di viaggi, fotografia e argomenti vari. Le mie foto hanno vinto più di un concorso e sono state pubblicate su testate e network nazionali ed anche esposte al MACRO di Roma. Anche alcuni miei cortometraggi sono stati selezionati e proiettati in festival cinematografici e concorsi. Cerco spesso di mettere tutte queste cose insieme, e magari qualche volta esagero.

mercoledì 27 dicembre 2017

Luigi Di Maio e l'eterno ritorno dell'uguale



In un’intervista rilasciata oggi al quotidiano La Stampa il leader paraninfo del M5S con la sua solita verve disarmante ha fatto una serie di dichiarazioni sconcertanti, inanellando una serie di fesserie stucchevoli sull’Europa che sembrano attinte dal manuale del bravo scolaretto che ambisce ad essere il primo della classe. Da bravo paggetto del potere Di Maio ha infatti rilasciato dichiarazioni ambigue, cariche di gravi conseguenze ma al tempo stesso rivelatrici della vera identità del M5S. Ma analizziamo in ordine le oscene dichiarazioni di questo losco personaggio, che di recente si è recato negli Stati Uniti per ricevere il crisma dai poteri oligarchico-conservatori dell’atlantismo deviato.
Di Maio, riferendosi alla crisi economica e sociale che stritola i popoli della UE, si dice certo che l’Europa “possa essere lo strumento per risolverla”. Come? Semplicemente dando più poteri alla Commissione Europea e al Parlamento europeo. Così, afferma Di Maio, sarà possibile “consentire a milioni di poveri di reinserirsi nella società”. E alla domanda del giornalista se il M5S è un partito pro Europa, il napoletano verace risponde candidamente: “«Noi vogliamo restare e senza ultimatum”. Così non si esprimevano i leader del M5S quando arringavano le folle sbraitando come novelli Savonarola anatemi contro l’Europa. Ma il tempo è galantuomo e dà sempre la possibilità di chiarirsi le idee.

Dunque per Di Maio la ricetta per eliminare gli squilibri sociali è più Europa, più poteri ai suoi organi corrotti, lacchè di poteri occulti e di interessi indicibili. Sono lontani i tempi in cui i barricaderos del M5S minacciavano nelle piazze di aprire l’Europa come una scatola di tonno. Oggi i pentastellati ci sono finiti dentro la scatola di tonno e ci sguazzano gaiamente. Ma non si deve credere che il Giggino nazionale sia così ingenuo da pensare che l’Europa rappresenti veramente una soluzione alla crisi. Sta solo arruffianandosi il potere: nel suo recente viaggio negli Stati Uniti devono averlo istruito per bene su come abbindolare gli allocchi e farsi amiche le enclavi del potere a suon di dichiarazioni rassicuranti. Giggino non è così fesso da non sapere che la causa della crisi è l’Europa stessa, che Commissione e Parlamento europei altro non sono che la longa manus della Banca Centrale Europea, a suo volta terminale di interessi finanziari privati. Quando di Maio afferma che bisogna “fare in modo che nell’ambito dell’Ue gli interessi dei diversi Paesi si ritrovino allo stesso tavolo” lui è perfettamente consapevole che gli interessi dell’Italia non colludono con quelli dell’asse franco-tedesco, che ha defenestrato il Paese relegandolo in Europa a un ruolo marginale, insignificante. Quando afferma che l’Unione Europea è “un veicolo” che “serve per portare i popoli europei verso una qualità di vita e di benessere maggiore”, lui sa perfettamente che l’Unione Europea è un organismo sovranazionale istituito allo scopo di impoverire la gente, imponendo politiche che strangolano le economie dei paesi membri più deboli. E che quello di ridurre al lastrico i paesi mediterranei è lo scopo occulto dell’asse franco-tedesco, da lui tanto decantato nell’intervista, non può essergli sfuggito. A meno che non si dubiti dell’intelligenza del buon di Maio. A meno che non lo si consideri un robottino che funziona solo quando la presa della corrente è attaccata. La verità è che Di Maio è entrambe le cose: una persona intelligente ma anche un robottino manovrato. Ma c’è una differenza sostanziale tra l’essere manovrati inconsapevolmente e l’esserlo consapevolmente, e Giggino di Maio non rientra nel primo caso.

Questa intervista, che agli occhi degli sprovveduti può apparire come delirante e apostata verso i dogmi del M5S, in realtà è esplicativa del doppiogiochismo pentastellato, il quale 4 anni fa minacciava di fare guerra alla UE, mentre oggi dichiara che l’uscita dall’amata Europa è una extrema ratio, un’ultima carta da giocare qualora da Bruxelles continueranno a trattarci come fratelli bastardi.

Come interpretare questo voltafaccia del M5S sulla questione europea? Il M5S, a parere di chi scrive, si sta preparando a ricevere la consegna delle insegne del potere. Per poterle ricevere occorre d’altra parte tranquillizzare gli animi, presentare il M5S come forza fedele al sistema, senza Grilli per la testa, tacitamente accondiscendente. E cosa c’è di meglio per rassicurare il potere del rilasciare dichiarazioni ruffiane un tanto al chilo? “Le soluzioni efficaci non hanno nazionalità o colore politico. Non si parla più di destra o sinistra, di capitalismo o socialismo”. Bravo Giggino, tu si che hai appreso bene la lezioncina atlantica: cambiar tutto per lasciar tutto come prima o, come avrebbe detto Nietzsche, l’eterno ritorno dell’uguale. Il ritorno del nuovo che indietreggia, del nuovo che tradisce e dell’uguale che annichilisce. Sic transit gloria mundi.

fonte: http://federicafrancesconi.blogspot.it/

sabato 23 dicembre 2017

morire di carne: stiamo letteralmente suicidando la Terra

Secondo l’economista Jeremy Rifkin, uno dei più famosi teorici no-global, il consumo di carne è direttamente responsabile del rischio-fame per due miliardi di persone: il “racket dell’hamburger” assorbe il 36% della produzione mondiale di grano, destinato a mangimi. «Centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali destinati all’alimentazione umana», scrive Maurizio Sabbadini. «I ricchi del pianeta consumano carne bovina e suina, pollame e altri di tipi di bestiame, tutti nutriti con foraggio, mentre i poveri muoiono di fame». Europa, Nord America e Giappone stanno letteralmente divorando il patrimonio alimentare dell’intero pianeta. Oggi, oltre il 70% per cento del grano prodotto negli Usa è destinato all’allevamento del bestiame, in gran parte bovino. «Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i convertitori di alimenti meno efficienti: sperperano energia e sono da molti considerati “le Cadillac delle fattorie”». Per far ingrassare di mezzo chilo un manzo, occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali e sottoprodotti di mangimi, e il restante chilo e mezzo è paglia tritata. «Questo significa che solo l’11% del foraggio assunto dal manzo diventa effettivamente parte del suo corpo».
Attualmente, negli Stati Uniti, 157 milioni di tonnellate di cereali, legumi e proteine vegetali potenzialmente utilizzabili dall’uomo sono destinate alla zootecnia: è una produzione di 28 milioni di tonnellate di proteine animali che l’americano Carnemedio consuma in un anno, riassume Sabbadini su “Disinformazione.it”. «In tutto il mondo la domanda di cereali per la zootecnia continua a crescere perché le multinazionali cercano di capitalizzare sulla richiesta di carne proveniente dai paesi ricchi». Fra il 1950 e il 1985, gli anni boom dell’agricoltura, negli Stati Uniti e in Europa, due terzi dell’aumento di produzione di grano sono stati destinati alla fornitura di cereali d’allevamento, per lo più bovino. «E’ stata la decisione più iniqua della storia quella di usare la terra per creare una catena alimentare artificiale che ha portato alla miseria centinaia di milioni di esseri umani nel mondo», sostiene Sabbadini. «È importante tenere a mente che un acro di terra coltivato a cereali produce proteine in misura cinque volte maggiore rispetto ad un acro di terra destinato all’allevamento di carni; i legumi e le verdure possono produrne rispettivamente 10 e 15 volte tanto». Le grandi multinazionali producono semi e prodotti chimici per l’agricoltura, allevano bestiame e controllano mattatoi, canali di marketing e distribuzione della carne: «Hanno tutto l’interesse di pubblicizzare i vantaggi del bestiame allevato a cereali».
Purtroppo, la carne fa ancora tendenza: «La pubblicità e le campagne di vendita destinate ai paesi in via di sviluppo equiparano e associano all’allevamento di bovini nutriti a foraggio il prestigio di quel dato paese. Salire la “scala delle proteine” è diventato un simbolo di successo che assicura l’entrata in un club elitario di produttori che sono in cima alla catena alimentare mondiale». Il periodico americano “Farm Journal” riflette con queste parole i pregiudizi della comunità agro-industriale: «Incrementare e diversificare le forniture di carne sembra essere il primo passo di ogni paese in via di sviluppo». Iniziano tutti con l’allevamento di polli e con l’installazione di attrezzature per la produzione delle uova: è il modo più veloce ed economico che permette di produrre proteine non vegetali. «Poi, quando le loro economie lo permettono, salgono “la scala delle proteine” e spostano la loro produzione verso carne suina, latte, latticini, manzo nutrito al pascolo. Per poi arrivare, in Jeremy Rifkinalcuni casi, al manzo allevato con grano raffinato». Ma incoraggiare altri paesi a salire la “scala delle proteine”, avverte Sabbadini, promuove solo gli interessi degli agricoltori occidentali (americani soprattutto) e delle società agro-industriali.
Molti paesi in via di sviluppo hanno iniziato a salire la “scala delle proteine” all’apice del boom agricolo, con molto grano in eccesso. Nel 1971 la Fao suggerì di passare al grano grezzo, che poteva essere consumato più facilmente dal bestiame. Il governo americano, prosegue “Disinformazione.it”, incoraggiò ulteriormente i suoi programmi di aiuti all’estero, collegando gli aiuti alimentari allo sviluppo sul mercato dei cereali foraggieri. «Società come la Ralston Purina e la Cargill hanno ricevuto finanziamenti governativi a basso tasso di interesse per la gestione di aziende avicole e l’uso di cereali foraggeri nei paesi in via di sviluppo, iniziando queste nazioni al viaggio che le avrebbe condotte verso la scala delle proteine. Molte nazioni hanno seguito il consiglio della Fao e si sono sforzate di rimanere in cima a questa scala». Risultato: «Negli ultimi 50 anni la produzione mondiale di carne si è quintuplicata». E il passaggio dal cibo al mangime «continua velocemente in molti paesi in modo irreversibile, nonostante il crescente numero di persone che muoiono di fame». Un caso emblematico? La crisi in Etiopia nel 1984, con migliaia di vittime denutrite. «L’opinione pubblica non era al corrente del fatto che in quel momento l’Etiopia stesse utilizzando parte dei suoi terreni agricoli per la produzione di panelli di lino, di semi di cotone e semi di ravizzone da esportare nel Regno Unito e in altri paesi europei come cereali foraggieri destinati alla zootecnia».
Le statistiche sono sconcertanti: l’80% dei bambini che nel mondo soffrono la fame vive in paesi che di fatto generano un surplus alimentare prodotto sotto forma di mangime animale, di conseguenza utilizzato solo da consumatori benestanti. La corsa alla carne sta travolgendo i paesi in fase di sviluppo come la Cina, dove la quota di grano destinato alla zootecnia è triplicata. Nel solo Messico, dal 1960 ad oggi, la percentuale di grano da allevamento è cresciuta dal 5 al 45% per cento, mentre in Egitto è passata dal 3 al 31% e in Thailandia dall’uno al 30%. Ironia della sorte: «Milioni di ricchi consumatori dei paesi industrializzati muoiono a causa di malattie legate all’abbondanza di cibo (attacchi di cuore, infarti, cancro, diabete – malattie provocate da un’eccessiva e sregolata assunzione di grassi animali), mentre i poveri del Terzo Mondo muoiono di malattie poiché viene loro negato l’accesso alla terra per la coltivazione di grano e cereali destinati all’uomo». Le statistiche parlano chiaro, sottolinea Sabbadini: sarebbero 300.000 gli americani che ogni anno muoiono prematuramente a causa di problemi di Etiopiasovrappeso, ed è un numero destinato ad aumentare. «Secondo gli esperti, nel giro di qualche anno, se continuano le attuali tendenze, sempre più americani moriranno prematuramente più per cause di obesità che per il fumo delle sigarette».
Attualmente è sovrappeso il 61% degli americani, insieme a oltre la metà degli europei. La colpa, accusa l’Oms, è dell’hamburger. Gli obesi nel mondo sono il 18%, più o meno quanto gli individui denutriti. «Mentre i consumatori dei paesi ricchi letteralmente fagocitano se stessi fino alla morte, seguendo regimi alimentari carichi di grassi animali, nel resto del mondo circa 20 milioni di persone l’anno muoiono di fame e di malattie collegate». Secondo le stime, la fame cronica contribuisce al 60% delle morti infantili. Ma i consumatori di carne non sanno, né vogliono sapere. «I consumatori di carne dei paesi più ricchi – scrive Sabbadini – sono così lontani dal lato oscuro del circuito grano-carne che non sanno, né gli interessa sapere, in che modo le loro abitudini alimentari influiscano sulle vite di altri esseri umani e sulle scelte politiche di intere nazioni». Obiettivamente: «Chi mangia carne consuma le risorse della terra quattro volte di più di chi non lo fa». Ogni volta che si mangia una bistecca, aggiunge il blogger, «bisognerebbe essere consapevoli dei liquami che filtrano nelle falde acquifere, delle foreste disboscate, del deserto conseguente, dell’anidride carbonica e del metano che intrappolano il globo in una cappa calda. Ogni bistecca equivale a 6 metri quadrati di alberi abbattuti e a 75 chili di gas responsabili dell’effetto serra».
Bisognerebbe essere consapevoli anche delle tonnellate di grano e soia usate per dar da mangiare alla fonte delle bistecche, non dimenticandosi «degli 840 milioni di persone che nel mondo hanno fame e dei 9 milioni che ne hanno tanta da morirne». Mangiare meno carne, o magari non mangiarne più? «Una scelta sociale, solidale con chi ha fame e con il futuro del pianeta». E non è tutto: «Ogni volta che addentiamo un hamburger si perdono venti o trenta specie vegetali, una dozzina di specie di uccelli, mammiferi e rettili. Dal 1960 a oggi, oltre un quarto delle foreste del Centro America è stato abbattuto per far posto a pascoli; in Costa Rica i latifondisti hanno abbattuto l’80% della foresta tropicale e in Brasile c’è voluto l’omicidio di Chico Mendes, il raccoglitore di gomma assassinato dagli allevatori per una disputa sull’uso della foresta pluviale, per accorgersi dell’esistenza di una “bovino connection”». E ancora: «In Amazzonia la foresta pluviale è stata divorata da 15 milioni di ettari Chico Mendesdi pascolo, eppure è in questo habitat che dimora il 50% delle specie viventi e da qui deriva un quarto di tutti i farmaci che usiamo». Dove prima c’erano migliaia di varietà viventi ora ci sono solo mandrie.
«Vacche ovunque», scrive Rifkin nel suo “Ecocidio”: «Attualmente il nostro pianeta è popolato da ben oltre un miliardo di bovini. Quest’immensa mandria occupa, direttamente o indirettamente, il 24% della superficie terrestre e consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone». Per farvi posto occorre terreno da pascolo. E deforestazione per creare pascoli significa desertificazione: dopo tre o quattro, il suolo calpestato e divorato da milioni di bovini (ogni capo libero ingurgita 400 chili di vegetazione al mese) finisce esposto a sole, piogge e vento, quindi diventa sterile. E i ruminanti si devono spostare dissacrando altri ettari di foresta. «Ci vorranno da 200 a mille anni perché quei terreno ritorni fertile». E che dire dell’acqua? «Quasi la metà dell’acqua dolce consumata negli States è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame: è stato calcolato che un chilo di manzo si beve 3.200 litri d’acqua». Risultato: le falde acquifere del Midwest e delle Grandi Pianure statunitensi si stanno esaurendo. Non solo: l’allevamento richiede ingenti quantità di sostanze chimiche tra fertilizzanti, diserbanti, ormoni, antibiotici: «Tutti prodotti dalle stesse, poche multinazionali che detengono il monopolio dei semi usati per coltivare cereali e legumi destinati ad alimentare il bestiame», fa notare Enrico Moriconi, veterinario e ambientalista, nelle pagine del suo “Le fabbriche degli animali” (Edizioni Cosmopolis).
«Ogni anno in Europa gli animali da allevamento consumano 5.000 tonnellate di antibiotici, di cui 1.500 per favorirne la crescita, e tutti vanno a finire nelle falde acquifere», incalza Marinella Correggia, attivista della Global Hunger Alliance e autrice di “Addio alle carni” (Lav). Roberto Marchesini, docente di bioetica e zoo-antropologia, autore di “Post-human” (Bollati Boringhieri) svela che nel bacino del Po, ogni anno, «vengono riversate 190.000 tonnellate di deiezioni animali: contengono metalli pesanti, antibiotici e ormoni». Con quali conseguenze? Per esempio, le alghe abnormi nell’Adriatico. Marchesini parla di «fecalizzazione ambientale». E Rifkin ci illumina sulla portata del problema: un allevamento medio produce 200 tonnellate di sterco al giorno. «C’è dell’altro: i bovini sono responsabili dell’effetto serra tanto quanto il traffico veicolare del mondo intero a causa dell’uso di petrolio (22 grammi per produrre un chilo di farina contro 193 per uno di Usacarne), delle emissioni di metano dovute ai processi digestivi (60 milioni di tonnellate ogni anno) e dell’anidride carbonica scatenata dal disboscamento».
E’ la stessa Fao a fornire un elenco agghiacciante dei problemi causati dagli allevamenti intensivi: riduzione della bio-diversità, erosione del terreno, effetto serra, contaminazione delle acque e dei terreni, piogge acide a causa delle emissioni di ammoniaca. E tutto questo per cosa? Per quelle che Frances Moore Lappé, autrice di “Diet for a small planet”, definisce «fabbriche di proteine alla rovescia». Occorre un chilo di proteine vegetali per avere 60 grammi di proteine animali. «Per produrre una bistecca che fornisce 500 calorie», spiegano gli autori di “Assalto al pianeta” (Bollati Boringhieri), «il manzo deve ricavare 5.000 calorie, il che vuoi dire mangiare una quantità d’erba che ne contenga 50.000». Attenzione: «Solo un centesimo di quest’energia arriva al nostro organismo: il 99% viene dissipata, usata per il processo di conversione e per il mantenimento delle funzioni vitali, espulsa o assorbita da parti che non si mangiano, come ossa o peli». Il bestiame? E’ una fonte di alimentazione altamente idrovora ed energivora, una massa bovina che ingurgita tonnellate di acqua ed energia. E lo fa per nutrire solo il 20% della popolazione globale del pianeta: quel 20% che sfrutta l’80% delle risorse mondiali, per non rinunciare alla sua bistecca quotidiana. «Nel mondo c’è abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’ingordigia di alcuni», diceva Gandhi.
Ingordigia che ha raggiunto livelli esorbitanti: dal dopoguerra a oggi, in Europa, siamo passati da circa 7-15 chili di consumo pro capite all’anno a 85-90 (110-120 negli States), riferisce Marchesini. Secondo Moore Lappé, le tonnellate di cereali e soia che nutrono gli animali da carne basterebbero per dare una ciotola di cibo al giorno a tutti gli esseri umani per un anno. E la Fao conferma: una dieta vegetariana mondiale potrebbe dar da mangiare a 6,2 miliardi di persone, mentre un’alimentazione che limiti la carne al 25% può sfamarne solo 3,2 miliardi. La spiacevole sorpresa? La domanda di carne sta crescendo. «Paesi come la Cina stanno abbandonando riso e soia a favore di abitudini occidentali», scrive Sabbadini: «Stiamo esportando il nostro modello alimentare (e che modello!)». Secondo l’Ifpri, entro il 2020 la domanda di carne nei paesi in via di sviluppo aumenterà del 40%: questo significherà oltre 300 milioni di tonnellate di bistecche. E raddoppierà, sempre nei paesi in via di sviluppo, la domanda di cereali zootecnici: fino a raggiungere 445 milioni di tonnellate di carne. «Richieste incompatibili con Frances Moore Lappéla salute del pianeta e con un equo sfruttamento delle risorse». Una slavina inarrestabile, globalizzata. Si chiama: rivoluzione zootecnica. «Significa spostare nel Sud del mondo la produzione di carne».
La Banca Mondiale sovvenziona, in Cina, l’industria dell’allevamento e della macellazione. «Ma sbaglia: suolo e acqua non bastano per sfamare il mondo a suon di bistecche e hamburger», scrive “Disinformazione.it”. «Con un terzo della produzione di cereali destinata agli animali e la popolazione mondiale in crescita deI 20% ogni dieci anni», prevede Rifkin, «si sta preparando una crisi alimentare planetaria». Rincara la dose Correggia: «E’ stato calcolato che l’impronta ecologica di una persona che mangia carne, cioè suo il consumo di risorse, di 4.000 metri quadrati di terreno, contro i mille sufficienti a un vegetariano». Allo stato attuale, «la disponibilità di terra coltivabile per ogni abitante della terra è di 2.700 metri quadrati». Ancora: un ettaro di terra a cereali per il bestiame dà 66 chili di proteine, che diventano 1.848 (28 volte di più!) se lo stesso terreno viene coltivato a soia. Ancora Rifkin: «Ogni chilo di carne è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, di milioni di tonnellate dì anidride carbonica e metano rilasciate nell’atmosfera».
La nuova dimensione del male, ragiona Sabbadini, è intimamente connessa con il complesso bovino moderno, che ha acquisito i caratteri di un male occulto, inflitto a distanza: è un male camuffato da strati sovrapposti di veli tecnologici e istituzionali. «Un male cosi lontano, nel tempo e nel luogo, da chi lo commette e da chi lo subisce, da non lasciar sospettare o avvertire alcuna relazione causale». E’ un male che non può essere avvertito, data la sua natura impersonale. «E’ probabile che i proprietari dei negozi in cui si vende carne di bovini nutriti a cereali non avvertano mai, personalmente, la disperazione delle vittime della povertà, di quei milioni di famiglie allontanate dalla propria terra per fare spazio a coltivazioni di prodotti destinati esclusivamente all’esportazione. E che i ragazzi che divorano cheeseburger in un fast-food non siano consapevoli di quanta superficie di foresta pluviale sia stata abbattuta e bruciata per mettere a loro disposizione quel pasto». Il consumatore che acquista una bistecca al supermercato non si sente responsabile dell’immensità del dolore che il suo gesto provoca. Tagliata di manzo«Abbiamo appiattito la ricchezza organica dell’esistenza, trasformando il mondo che ci circonda in astratte equazioni algebriche, statistiche e standard di performance economica».
Il male occulto? Viene perpetuato da istituzioni e individui: il mercato, la globalizzazione del profitto. In un mondo di questo genere, conclude Sabbadini, ci sono ben poche occasioni per essere in sintonia con l’ambiente e proteggere i diritti delle future generazioni. «L’effetto sull’uomo e sull’ambiente del modo moderno di pensare e di strutturare le relazioni è stato quasi catastrofico: ha indebolito gli ecosistemi e minato alla base la stabilità e la sostenibilità delle comunità umane. La grande sfida che dobbiamo affrontare è rappresentata dal lato oscuro della moderna visione del mondo: dobbiamo reagire al male occulto che sta trasformando la natura e la vita in risorse economiche che possono essere mediate, manipolate e ricostruite tecnologicamente, per adeguarle ai ristretti obiettivi dell’utilitarismo e dell’efficienza economica». Primo passo necessario: «Diventare consapevoli dei meccanismi di sfruttamento del pianeta di cui siamo complici». Il secondo passo «non è fare la rivoluzione, e non è neanche aderire a questa o quest’altra organizzazione alternativa (per quanto possa essere positivo), ma è far seguire conseguenti e coerenti azioni personali in armonia con una vita etica e rispettosa dell’ambiente e del prossimo. Se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo iniziare da noi stessi».

fonte: http://www.libreidee.org/

adolescenti e pornografia


Effetti della pornografia sugli adolescenti: quando il porno diventa l’unica modalità di educarsi sessualmente.

L’inizio della pubertà determina cambiamenti drastici nella vita di ragazzi adolescenti; il livello di ormoni subisce delle alterazioni, il corpo cambia e si sviluppano i caratteri sessuali secondari, segnalando il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, e la loro curiosità circa il sesso e la sessualità accelera.

Questo momento può determinare sia unagrande curiosità, ma anche grande confusione, proprio perché la sessualità li spinge a porsi molte domande, ad avere fantasie e avvertire impulsi che prima non esistevano.

Nel passato, i ragazzi adolescenti cercavano informazioni sul sesso attraverso amici o acquistando giornaletti pornografici, nella speranza che questa conoscenza potesse soddisfare la loro curiosità, nonché sollecitarla.

Ma nel mondo digitale di oggi, la maggior parte degli adolescenti dirige il proprio interesse, quasi in modo esclusivo, alla visione di materiale pornografico per ottenere maggiori informazioni; e quando il porno diventa la modalità principale di un adolescente di educazione alla sessualità, può essere dannoso per il suo sviluppo sessuale ...



Tra i 12 e i 20 anni, il cervello umano vive un periodo di grande neuroplasticità; il cervello si trova cioè in una fase malleabile durante la quale si stabiliscono milioni di nuove connessioni sinaptiche.

Questo ovviamente determina una maggiore vulnerabilità all’influenza derivante dal nostro ambiente e porta il cervello ad essere “cablato” dall’insieme delle esperienze e informazioni che riceviamo durante quel periodo di tempo.

Quando un ragazzo adolescente mette in atto un comportamento compulsivo legato alla visione della pornografia, la parte neurofisiologica del cervello risponde in funzione degli atteggiamenti e situazioni che si stanno guardando.

Purtroppo, la pornografia dipinge un quadro poco realistico della sessualità e delle relazioni tanto da creare un’aspettativa per le esperienze della vita reale che non potranno mai essere soddisfatte.

La pornografia può essere eccitante per un adolescente da guardare, ma nello stesso tempo può anche essere intimidatoria.

È importante infatti notare che la dimensione media del pene eretto di un uomo è di circa 15 cm, mentre la dimensione media del pene eretto di un pornoattore varia tra i 18 e i 20 cm.

Inoltre, l’85% delle pornostar femminili hanno protesi mammarie, e la qualità delle immagini porno vengono spesso migliorate attraverso l’utilizzo di altre tecnologie.

La pornografia mostra quindi un mondo in cui i rapporti non significano nulla e la gratificazione immediata vuol dire tutto; pertanto, il cervello dello spettatore adolescente viene collegato ad aspettarsi che il sesso e le relazioni sono separate l’uno dall’altro, e che gli aspetti corporei, nonché dei genitali, dovrebbero essere“sessualmente esagerati” come sono nel porno.

La pornografia su internet è inoltre poco costosa, facile da visitare e facile da nascondere. Molti adolescenti guardano ad esempio porno quando i loro genitori pensano che stanno facendo i compiti per la scuola.

Mentre si pratica la masturbazione durante la visione del porno, il cervello degli adolescenti si sta formando intorno ad un’esperienza sessuale che li sta isolando, e li rende privi di qualsiasi sentimento di amore o compassione.


Questo si pone dunque come fattore predisponente a problemi di compulsività sessuale e dipendenza dal sesso, in quanto la scarica di dopamina eccessiva che subentra durante la visione del porno, non sarà mai uguale a quella rilasciata durante un rapporto sessuale, tale da creare una minore eccitazione e quindi una spinta e un rinforzo a ricercare il materiale pornografico per ottenere quell’eccitazione.

Quando ci si rende conto che le esperienze sessuali reali sono più carenti, un ulteriore rischio è quello di ricercare esperienze rischiose che richiamano quella stessa sensazione.

Si tratta purtroppo di una visione spaventosa per le generazioni a venire, soprattutto se non si prenderanno dei provvedimenti nell’educare i giovani alla visione della pornografia.

È importante parlare con i ragazzi della sessualità, di come vivono i loro cambiamenti corporei, di cosa apprezzano o meno del loro corpo cambiato, stimolarli al confronto e alla discussione della sessualità, informarli di come viverla in maniera sana, insegnarli ad esprimere le emozioni che questa suscita.

Dal momento che l’educazione sessuale è gravemente carente nelle nostre scuole pubbliche, è importante che siano i genitori a cercare di guidare ed educare il proprio figlio al sesso in modo che egli possa un domani godere di una vita sessuale sana.

Fonte: www.psicologi-italiani.it

fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/

domenica 17 dicembre 2017

Mario Pezzi, l'uomo che volò oltre le scie chimiche

Scie di condensazione di una formazione di B-17F sui cieli della Germania, 1943

La teoria del complotto delle scie chimiche, chemtrails conspiracy theory, cerca di sostenere che le scie di condensazione visibili nell'atmosfera terrestre create dagli aerei non siano formate da vapore acqueo ma da agenti chimici o biologici spruzzati da apparecchiature montate sui velivoli, per diverse finalità. Negli ultimi anni il diffondersi della teoria, grazie ai mass media, ha interessato i governi di diverse nazioni, poiché hanno ricevuto richieste di spiegazioni da parte di associazioni o liberi cittadini. I governi, supportati dalla comunità scientifica, hanno più volte ribadito l'inconsistenza di questa teoria. Sull'argomento sono intervenuti piloti ed esperti di meteorologia, affiancati da riviste e programmi televisivi di divulgazione scientifica. Tutti hanno rigettato le tesi proposte dalla teoria delle scie chimiche; alcuni hanno parlato apertamente di bufala. L'incidente potrebbe ritenersi chiuso se non ci fosse una larga parte della popolazione propensa a dare credito a tale teoria. Nel 2011, secondo una ricerca condotta su scala mondiale, il 17% degli intervistati si dichiarava convinta dell'esistenza di programmi per l'irrorazione su larga scala per scopi climatici e per la riduzione della radiazione solare. La teoria del complotto iniziò a diffondersi verso la metà degli anni novanta del secolo scorso, quando l'aeronautica militare statunitense fu accusata di irrorare la popolazione con sostanza misteriose. Questo rilascio era effettuato, stando alle accuse, per mezzo di aerei che rilasciavano scie inusuali. 

Scie di condensazione di bombardieri alleati sui cieli della Germania, 1943

L'aeronautica statunitense rigettò le accuse definendole sciocchezze. Riconobbe che le voci erano alimentate dalla decontestualizzazione di un testo redatto dall'istituto universitario dell'Air Force intitolato Weather as a force multiplier: owning the weather in 2025. L'istituto stesso chiarì definitivamente che in quel periodo non erano in corso politiche e pratiche militari per la modifica del clima. I buoi erano scappati, e la chiusura del del recinto non servì a nulla. La teoria del complotto delle scie chimiche trovò immediato eco in diversi programmi televisivi, radiofonici e su pubblicazioni riguardanti il cospirazionismo. In alcuni paesi furono avanzate interrogazioni parlamentari. I sostenitori di queste teorie, in genere, affermarono che le ipotetiche scie chimiche apparirebbero diverse dalle normali scie di condensazione, delle quali non avrebbero la consistenza e le proprietà note. In particolare, secondo i cospirazionisti, esse tenderebbero a persistere più a lungo, allargandosi pian piano invece di scomparire. Per meglio comprendere questo punto di vista utilizzo le parole del noto conduttore radiofonico Jeff Rense: «le scie chimiche inizialmente sembrano normali scie, ma sono più spesse e si estendono per il cielo in forma di X, griglia o in linee parallele. Invece di dissiparsi rapidamente, si allargano e si diramano. In meno di 30 minuti si aprono in formazioni che si uniscono tra loro formando un sottile velo di finte nuvole simili a cirriche rimangono per ore».
Descrizione delle scie di condensazione risalente al 1921

Nel corso dello sviluppo della teoria del complotto delle scie chimiche, i fautori di tale teoria hanno sostenuto affermazioni chiaramente false su pubblicazioni e riviste, con particolare riguardo alla storia dell'aviazione. La falsità di tali informazioni può risiedere nella non conoscenza o nella volontà di affermare la veridicità della teoria stessa agli occhi di chi non ha tempo e voglia di effettuare ricerche. Tra le tante affermazioni proposte ne estrapolo due che risultano degne di nota in quanto a falsità. La prima teoria afferma che «non esisterebbero foto di scie di condensazione precedenti al 1995. Il che dimostrerebbe che all'epoca le scie non erano comuni», e quando si fa notare che tale affermazione è chiaramente falsa poiché esistono fotografie di tali fenomeni, interviene la seconda teoria ad affermare che «le vecchie foto delle scie di condensazione sarebbero dei falsi in quanto gli aerei dell'epoca non erano pressurizzati e quindi non potevano raggiungere le alte quote». Sulla scia della seconda interviene anche un'altra affermazione che tende a negare l'esistenza di tali fenomeni prima della metà degli anni novanta: «non esisterebbero immagini satellitari delle scie di condensazione precedenti al 1995». Quest'ultima affermazione è chiaramente falsa poiché esistono fotografie satellitari di scie di condensazione anteriori agli anni novanta. Uno studio meteorologico dell'American Meteorological Society riferisce di scie di condensazione già nel periodo compreso dal 1977 al 1979. Gli aerei già durante la seconda guerra mondiale raggiungevano i 10000, 11000 metri. I piloti utilizzavano bombole di ossigeno e indumenti riscaldati elettricamente. Nel 1936 un italiano raggiunse il record di altitudine di 15635 metri. Il suo nome era Mario Pezzi. 

Mario Pezzi con lo scafandro per il volo ad altra quota

Il pilota descrisse chiaramente una scia di condensazione che inizialmente credeva fosse causata da un guasto al motore: «ad un tratto ho una fitta al cuore. Dal motore esce fumo in abbondanza; ho la sensazione che bruci. Ma è un attimo. Capisco che si tratta della ben nota nuvola che forma l’apparecchio navigante alle alte quote. Si forma sulla sinistra forse perché convogliata da quella parte dal flusso dell’elica, lambisce le ali, la fusoliera e si allontana lasciando una scia abbondante. Mi seguirà fino a 12.000 circa». Mario Pezzi nacque a Fossano, Cuneo, il 9 novembre del 1898 da una famiglia di tradizioni militari: il padre era generale di artiglieria, il fratello Pio era sottotenente di fanteria e l'altro fratello Enrico era generale di brigata aerea. Mario si arruolò nel Regio Esercito e, nel 1923, entrò nella Regia Aeronautica dove proseguì la carriera di ufficiale pilota. Nel 1934 fu nominato comandante del reparto per il volo d'alta quota, che aveva sede a Guidonia. A metà degli anni trenta molti piloti di varie nazionalità si contendevano il primato d'alta quota. Il 28 settembre 1936 l'inglese Francis R. D. Swain toccò i 15230 metri a bordo di un Bristol Type 138. Poche settimane dopo Pezzi riuscì nell'impresa di alzarsi sino a 15635 metri a bordo di un Caproni Ca. 161. L'anno seguente l'inglese Adamo lo superò raggiungendo i 16440 metri a bordo sempre di un Bristol Type 138. 

Mario Pezzi con la speciale tuta per il volo d'altra quota

Il giorno 8 del maggio del 1937, l'aviatore italiano riuscì a salire sino a 15655 indossando una speciale tuta pressurizzata e riscaldata elettricamente, con un casco a tenuta stagna. L'anno successivo, esattamente il 22 ottobre del 1938, partendo dall'aeroporto di Guidonia, raggiunse il primato, ancora imbattuto per i biplani con propulsione ad elica, di 17083 metri a bordo di un Caproni Ca. 161/bis. Il pilota indossò uno speciale scafandro per compiere quell'impresa assoluta. Lo stesso Pezzi utilizzò una tra le prime cabine stagne che rappresentavano una importante innovazione per l'epoca. Finita la seconda guerra mondiale Mario Pezzi fu segretario generale dell'aeronautica e capo di gabinetto del Ministero della difesa. Si spense il 28 agosto del 1968 a Roma.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/


Bibliografia / Sitografia
Generale Mario Pezzi, Le Vie dell'Aria numero 20, 15 maggio 1937 

H. S. Appleman, 1953: The Formation of Exhaust Condensation Trails by Jet Aircraft, Bulletin American Meteorological Society, 34 

A. C. Ryan, A. R. MacKenzie, S. Watkins, R. Timmis, World War II contrails: a case study of aviation-induced cloudiness, in International Journal of Climatoglogy, 8 giugno 2011 

Filippo Graziani, La Scuola di Scuola Ingegneria Aerospaziale nell'ottantesimo anniversario della sua fondazione 

Giorgio Di Bernardo, Nella nebbia in attesa del Sole, Di Renzo Editore 

https://www.cicap.org

http://www.enricopezzi.it

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

martedì 12 dicembre 2017

teoria di Darwin, "più facile credere ai miracoli"


Epoch Times intervista Enzo Pennetta sul darwinismo: quali sono i luoghi comuni sulla teoria e quali veri punti deboli.

Oggigiorno la teoria dell’evoluzione di Darwin viene generalmente considerata indiscutibile: a scuola, tutti apprendono la nozione secondo cui l’uomo deriva dalla scimmia e che tutte le specie viventi abbiano subito, nel corso delle ere geologiche, una radicale trasformazione.

Eppure, non pochi accademici e scienziati dissentono fermamente da questa teoria e propongono modelli alternativi che spesso includono l’esistenza di una Mente superiore, un Creatore.

Epoch Times ha intervistato Enzo Pennetta, docente di Scienze naturali alle scuole superiori e responsabile di un sito indipendente di attualità sociale e scientifica. Nel 2011 Pennetta ha scritto un libro sul darwinismo, mettendo in luce come nel 1800 gli scienziati più influenti dell’impero britannico si siano serviti della teoria di Darwin per legittimare il proprio potere...



Dottor Pennetta, il concetto di evoluzione delle specie viene generalmente associato alla teoria di Darwin. Ma questa teoria fa un distinguo, parlando di microevoluzione e macroevoluzione. In che cosa consistono e quali sono le differenze?

In realtà la questione su questi punti non è molto chiara. Uno degli aspetti del darwinismo è che nella teoria si trovano posizioni spesso differenti se non proprio alternative; in questo modo qualsiasi affermazione non viene vista come opposizione ma diventa riconducibile all’interno della teoria stessa.

La microevoluzione si può comunque definire come quei cambiamenti che restando limitati non portano a una nuova specie; la macroevoluzione invece riguarda quei cambiamenti sostanziali che portano a nuove specie che, non solo non si incrociano più con le precedenti, ma presentano caratteri nuovi. Il fatto è che tra i neodarwinisti troviamo chi sostiene che la microevoluzione protratta nel tempo porta a macroevoluzione e chi invece sostiene che si tratta di dinamiche differenti.

In natura la microevoluzione è stata osservata in modo inequivocabile?

Certamente, esistono prove continue. Ad esempio l’anemia mediterranea e il noto esperimento di Lenski.

E per quanto riguarda la macroevoluzione?

Nessun caso di macroevoluzione è stato osservato. Ma attenzione perché approfondendo quanto detto prima, spesso si fa passare qualsiasi speciazione per macroevoluzione. Mi spiego meglio: per speciazione si intende la nascita di nuove specie, ma questo comprende anche i casi in cui all’interno di una stessa specie nasca l’impossibilità di incrociarsi e quindi di avere prole feconda; in questo caso si ha una diversa specie ma non macroevoluzione. Per la macroevoluzione devono comparire caratteri nuovi e non semplici modifiche dei precedenti.

La selezione naturale di cui parla Darwin determina secondo lei l’evoluzione?

Assolutamente no. Come dice la parola la ‘selezione’ toglie, quindi semmai riduce le specie presenti e diminuisce le varietà.

Ci sono delle evidenze scientifiche indiscutibili che provano che la validità della teoria di Darwin?

Già, ma cosa dice la teoria di Darwin? Ridotto all’osso il neodarwinismo afferma che i nuovi caratteri, e quindi l’evoluzione, sono dovuti al caso che provoca mutazioni, e alla selezione. Come detto prima abbiamo solo evidenze di microevoluzione avvenuta così, ma nessuna di macroevoluzione.

Al giorno d’oggi, la teoria dell’evoluzione di Darwin come viene considerata dai vari studiosi, accademici e scienziati?

Un dogma indiscutibile. Ma spesso questo è dovuto al fatto che si è lasciato credere che evoluzione (intesa come cambiamento di specie nel tempo) e teoria darwiniana (che è solo una spiegazione possibile dell’evoluzione) siano la stessa cosa.

La teoria dell’evoluzione postula l’esistenza di un brodo primordiale. Esistono delle lacune in questa teoria?

Sì, secondo la teoria dal brodo primordiale la vita avrebbe una probabilità di nascere pari a uno fratto 10^40.000. Questo significa che è più facile credere ai miracoli che a questa possibilità. Ecco, possiamo dire che si tratta di una forma moderna e materialista di fede nei miracoli.

Darwin ha detto che la sua teoria per reggere deve prevedere l’esistenza di forme fossili intermedie. Sono stati scoperti questi particolari tipi reperti?

I darwinisti dicono di sì, ma di fatto non esiste una serie continua di fossili di nessuna evoluzione. E, difatti, negli anni 70 nacque la teoria degli equilibri punteggiati che afferma proprio l’esistenza di cambiamenti veloci nella nascita di nuove specie.

Cosa ne pensa dell’Archeopterix che da alcuni viene considerato come esempio migliore di forma di congiunzione tra rettili e uccelli?

Vede, il punto è che non è importante se l’Archeopterix sia o no una forma di congiunzione, la domanda è un’altra: basta il meccanismo di caso e selezione a spiegare un passaggio da rettile ad Archeopterix?
Quale sarebbe il vantaggio evolutivo per cui la selezione naturale dovrebbe favorire la forma intermedia di un rettile i cui arti anteriori non sono buoni né a camminare né a volare?

È lecito pensare che non siano state trovate forme intermedie a causa della scarsità di fossili ritrovati?

No. Come diceva S. J. Gould, l’autore della teoria degli equilibri punteggiati, la scarsità di fossili potrebbe giustificare la mancanza di forme intermedie, ma il fatto è che i fossili disponibili testimoniano tutti che le specie restano immutate per milioni di anni. Le specie poi scompaiono bruscamente, così come bruscamente ne compaiono di nuove. Come vede, la mancanza di reperti fossili, argomento sostenuto dallo stesso Darwin, potrebbe forse ancora giustificare la mancanza di anelli intermedi ma i fossili che abbiamo, testimoniano che le specie non cambiano per tutto il corso della loro esistenza.

Ritiene che gli organi vestigiali possano essere considerati come prova dell’evoluzione?

No perché siamo noi ad averli chiamati vestigiali. Si tratta in realtà di organi con funzioni precise come il coccige sul quale si innestano alcuni muscoli, o l’appendice che proprio da uno studio del gennaio 2017 scopriamo essere un organo importante per l’immunità.

Gli embrioni di Haeckael mostrano tra loro una straordinaria somiglianza. È possibile che questa possa essere interpretata come un’evoluzione delle specie?

No, Haeckel fece una vera e propria truffa. La somiglianza era dovuta al fatto che egli usò lo stesso embrione per descrivere le diverse specie. Sappiamo oggi che nelle primissime fasi dello sviluppo embrionale le specie differiscono di molto, poi si avvicinano morfologicamente, per poi divergere nuovamente. A parte il falso di Haeckel, si potrebbe ipotizzare un comune sviluppo iniziale solo ignorando volontariamente lo sviluppo embrionale dall’inizio.

Per quanto riguarda l’uomo, si è sempre detto che il famoso scheletro di Lucy potrebbe essere considerato un anello di congiunzione. Cosa ne pensa?

Nessuno pensa più che Lucy sia un antenato dell’Uomo. Ripeto che in realtà non sarebbe neanche importante se lo fosse o meno, questi sono problemi in realtà secondari, la vera domanda è ancora una volta: i meccanismi darwiniani possono spiegare soddisfacentemente il passaggio dall’australopiteco all’Uomo? Già Wallace, coautore della teoria assieme a Darwin, dieci anni dopo la pubblicazione diceva di no. E infatti nessuno l’ha più nominato.

Esistono al giorno d’oggi secondo lei, indiscutibili esempi di anelli di congiunzione tra l’uomo e la scimmia?

No. Ricordiamo innanzitutto che non si parla in realtà di discendenza dalla scimmia ma da un antenato comune, ma riguardo gli anelli intermedi dobbiamo dire che non ce ne sono. Se discendenza c’è stata, il passaggio sarebbe stato non graduale ma un salto netto.

Diversi scienziati ritengono che gli anelli di congiunzione siano rari e controversi. Qual è il suo pensiero?

Hanno ragione.

È stato inoltre osservato che nella stratigrafia fossile le specie spariscono e poi ricompaiono. Come si può spiegare questo fatto?

La scomparsa e la ricomparsa si possono facilmente spiegare con la mancata formazione di fossili in certo periodo. Ricordo che la fossilizzazione è un evento raro (cosa su cui Darwin aveva ragione) e che le condizioni per cui avvenga non è detto che si verifichino sempre.

Nel 2005 un team di scienziati ha affermato che nelle ere geologiche passate la disintegrazione radioattiva fosse più veloce, il che comporterebbe una sensibile diminuzione dell’età della Terra. Esiste quindi anche un problema di datazione dei fossili?

A prescindere dal caso citato, la datazione dei fossili è un argomento che ritengo dovrebbe essere sottoposto a riesame. Ma anche accettando come definitivi i dati attuali, i conti del darwinismo non tornano. E di molto.

Quale può essere secondo lei la probabilità che un essere vivente si sia formato grazie a dei processi casuali?

È stata calcolata (da un fisico non credente) in una probabilità di 1/10^40.000, qualsiasi persona sensata tradurrebbe questo in ‘zero’.

Esistono secondo lei delle prove secondo cui gli esseri viventi si possono essere formati solo grazie alla mente di un Creatore?

Prove scientifiche non possono essercene ed è normale che sia così. La scienza si occupa di capire i meccanismi, non se essi siano nati per delle leggi di natura o dalle mani di un ‘orlogiaio’.

Infine, la teoria dell’evoluzione e quella della creazione hanno dei punti in comune?

No, non hanno punti in comune e non devono averne nel senso che, come ho detto, si occupano di cose diverse. La scienza, ripeto, si occupa di capire come funzionano le cose (l’evoluzione); la filosofia si occupa di capire se le cose hanno un fine, se sono state volute da qualcuno oppure se non esiste nessun fine (creazione o materialismo).

Fonte: www.enzopennetta.it

fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/

"Dalle teorie sulla popolazione di Thomas Robert Malthus alla lotta per la sopravvivenza dell'evoluzionismo darwiniano. Dall'eugenetica al Brave New World di Aldous Huxley. Dalla Royal e la Fabian Society fino al ruolo delle ong nelle "rivoluzioni colorate". Dietro questa meta-narrazione prometeica che ha fatto di tecnica e libertà un unico concetto, sì manifesta la creazione di un grande dispositivo di dominio e di controllo sociale. 

Quello che porta il nome di Charles Darwin è il modello antropologico perfetto per il neoliberismo, che infatti lo innalzerà a verità inoppugnabile attraverso i secoli, nonostante i dubbi degli stessi autori. Questa è la storia di come Darwin fu preso e buttato in campo, nel bel mezzo di una partita non sua. E di come e perché ci hanno insegnato a venerare la competizione come unico paradigma di interpretazione della vita, mettendo in ombra la vera regola di ingaggio biologica, la strategia vincente che ogni creatura vivente mette in atto come sua prima scelta naturale: la collaborazione... "



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