giovedì 27 dicembre 2018

il delitto di Giarre, gli ziti sotto l'albero


31 ottobre 1980. Un pastore cammina per le campagne di Giarre, un paese circondato da agrumeti, a metà strada fra Catania e Taormina. Il cielo è nuvoloso. Non piove. 
L’uomo è assorto nei suoi pensieri, fischietta. Ha una mano in tasca e nell’altra un bastone in legno. 
Una leggera brezza rinfresca l’aria. L’abitato non è lontano: case popolari, la caserma dei carabinieri, alcune giostrine per bambini. Tutto attorno quel giorno è silenzio. 
Ancora una folata di vento e l’uomo si ferma: aggrotta la fronte come se fosse stato colpito da qualcosa di inaspettato. Annusa l’aria. Fa ancora qualche passo. Un odore acre, denso, quasi oleoso riempie le sue narici. Riprende a camminare, portando la mano libera al volto. Si guarda intorno, per cercare di capire da dove arriva quel tanfo, che ad ogni passo si fa sempre più nauseabondo. 
All’improvviso li vede. 
Sotto ad un pino marittimo scorge due giovani distesi. Sono quasi abbracciati, si tengono per mano. Sono morti da qualche giorno, visto lo stato dei loro corpi, sentito il tanfo che emanano. Nessuno li ha visti prima, nessuno si è accorto di nulla. 
Chi sono? Chi li ha uccisi? E come mai sono uniti quasi in un abbraccio d’amore e morte? 
Uno è Giorgio Agatino Giammona. Ha 25 anni, è gay. In paese tutti lo chiamano “puppu cu’ bullu”, il puppo (gay) col bollo. Si è guadagnato questo nomignolo a 16 anni, quando è sorpreso con un altro ragazzo in auto in atteggiamenti intimi e viene denunciato dai carabinieri per atti osceni. È figlio di un commerciante di strumenti musicali, la famiglia è benestante. Nessuno in casa vede di buon occhio le sue inclinazioni sessuali, tanto che il padre arriva ad allontanarlo da Giarre. Ma serve a poco. 
L’altro è Antonino Galatola, di soli 15 anni. Viene da una famiglia modesta, di lavoratori, che a fatica comprendono il suo modo di essere. Suo padre ha un banco di giocattoli al mercato, gira per tutta la provincia. Tutti a Giarre sanno che è un bravo ragazzo. 
Tre colpi di pistola calibro 7,65 hanno messo fine alla loro vita. 


Mancano da casa da due settimane. Eppure nessuno ha setacciato la zona con i cani, neppure le loro famiglie, nessuno ha sentito il tanfo della carne in putrefazione. Insomma, nessuno li ha cercati. Quell’odore arriva fino alle prime case: come mai nessuno ha fatto nulla? 
I due giovani sono scomparsi dopo che il paese ha cominciato ad additarli come “i ziti”, i fidanzati. Del resto Giorgio e Antonino non hanno fatto nulla per nascondere la loro storia. Hanno iniziato a frequentarsi alla luce del sole, non facendo mistero dei loro sentimenti da qualche mese. La loro sfrontata libertà non passa inosservata per le vie del piccolo borgo della provincia siciliana degli anni ’80. Non passerebbe ora, figuriamoci allora. Iniziano le risatine, le gomitate al loro passaggio mano nella mano per le vie del paese. 
“Talìa i puppi” … “Arrivaru i ziti”. Ben presto le risatine sommesse diventano un coro di scherno. 
In un primo momento, forse anche per chiudere un caso che si prospettava “scomodo” per la reputazione di Giarre, i carabinieri propendono per il suicidio. Forse Antonino ha ucciso Giorgio e poi si è tolto la vita, sparandosi alla tempia. Ma l’arma del delitto dov’è? Davvero la vergogna aveva avuto la meglio sui sentimenti dei due giovani? All’inizio si pensa che sia l’unica ipotesi plausibile: accanto ai due una lettera di addio toglie ogni dubbio: “la nostra vita era legata alle dicerie della gente… non possiamo più vivere”. 
Si cerca l’arma del delitto/suicidio. In seguito ad una analisi più accurata del luogo del ritrovamento, poco lontano dai corpi, viene ritrovato il revolver. Qualcosa non quadra: è semisepolto dalla terra e ha la sicura abbassata. Com’è possibile? Come ha potuto un morto seppellire la pistola dopo aver messo la sicura? Il giorno dopo tutto cambia. Viene accusato del delitto un bambino di 12 anni, Francesco Messina, nipote di Antonino. 


Francesco è davvero un bambino, forse un po’ ritardato. È paffutello, con tante lentiggini, un gran lavoratore che da anni vive con i nonni che aiuta in campagna. È più affezionato a loro che ai genitori, secondo quanto dicono i parenti. Interrogato racconta una strana storia: sembra che i due ziti lo abbiano portato in campagna e gli abbiano chiesto di premere il grilletto. Francesco ha ubbidito, perché non avrebbe dovuto farlo? E poi lo hanno minacciato: “o ci uccidi o ti uccidiamo noi”. Ma qualcosa non torna. 
Anche i colpi sparati non combaciano con il racconto del bambino, che prima dice sette poi tre: due per Giorgio, in testa, uno per Antonino. È mistero anche in merito alla provenienza dell’arma: sarebbe stata consegnata nelle mani di Francesco direttamente dallo zio, ma secondo i testimoni il giovane non è tipo da portare o possedere una pistola. I carabinieri chiudono il caso, hanno un colpevole e questo basata per mettere a tacere le voci. Chiarezza è stata fatta, le indagini vengono chiuse, ma solo per 24 ore. Il giorno successivo un giornalista del quotidiano “L’Ora”, una testata di Palermo, avvicina Francesco e gli fa delle domande. Secondo il bambino non è vero che li ha uccisi. La confessione gli è stata estorta a suon di schiaffi e minacce di ritorsione verso i parenti, verso il nonno che lui ama tanto. Sembra addirittura che per la paura abbia urinato nei pantaloni, fra le risate divertite di tutti i presenti. 


Il paese si divide: innocentisti da una parte, colpevolisti dall’altra. L’Italia intera si divide. Tutti i quotidiani parlano del delitto di Giarre, di come le indagini siano state portate avanti male, con superficialità e troppa fretta di chiuderle. Il sindaco del paese si schiera fra chi non crede all’ipotesi del baby killer. Il quotidiano “La Sicilia” si spinge oltre, avanzando tre ipotesi, una delle quali considera proprio la possibilità che la confessione sia stata estorta in modo non ortodosso ad un ragazzino impaurito e inconsapevole di ciò che stava confermando. Questa tesi è suffragata dal fatto che la confessione sembra recitata a memoria, come frutto di un copione costruito puntualmente. 
Iniziano nuove indagini, non da parte delle forze dell’ordine, impantanate nelle loro argomentazioni, ma condotte dai giornalisti che seguono il caso. Interrogano la famiglia di Francesco, in particolare i nonni, che confermano che il bambino, il giorno del delitto, è sempre stato con loro a lavorare e che anche nei giorni successivi non ha mostrato segni di irrequietezza o di turbamento. 
Una volta aperto il vaso di Pandora, ecco che compaiono tutti i mali del mondo. Si ipotizza ora che i cadaveri in realtà siano stati portati solo in un secondo tempo sul luogo del ritrovamento, cosa plausibile in quanto nessuno prima di quel giorno ha sentito il fetore della decomposizione in zona, per altro molto vicina ad un gruppo di case. Un inviato de “Il Messaggero” insinua addirittura un collegamento fra i carabinieri di Giarre e Giorgio, probabilmente informato di alcuni comportamenti scomodi da parte di un rappresentante delle forze dell’ordine. Ma se fosse vero, di chi si tratta? 
Dalla realtà alle illazioni più fantasiose il passo è breve. Si comincia a parlare di feste e base di sesso e droga, a cui i due “ziti” avrebbero partecipato e portato anche Francesco. Perfino la magistratura comincia a notare irregolarità importanti nelle indagini compiute dall’Arma e la mancanza di comunicazione in merito ai fatti avvenuti a Giarre. 
Il magistrato si domanda come mai ristringere le indagini solo a Francesco, senza interrogare e verificare cosa abbiano fatto i familiari delle vittime il giorno della loro morte. Alla fine, nella Sicilia degli anni ’80, essere gay non era cosa da poco, soprattutto se si considera l’estrema libertà con cui vivevano la loro storia i due ragazzi. 
Poteva essere stata una vera e propria esecuzione, una morte necessaria per salvare il buon nome delle famiglie, per lavare il disonore causato da due figli gay. Il Procuratore che si occupa del caso, Giuseppe Foti, accusa apertamente i carabinieri di aver estorto la confessione. Ma nonostante tutte le irregolarità rilevate, si ritiene che le prove a carico dell’accusato siano inoppugnabili. Il fascicolo completo sul caso arriva a Catania e viene archiviato. Francesco è un baby killer di 12 anni, forse un po’ ritardato. La sola cosa che lo salva è la sua minore età: non è perseguibile. 


Il caso ben presto viene dimenticato e nessuno a Giarre fa nulla per tenere vivo il ricordo dei due giovani uccisi. Un mese dopo a Palermo viene fondata la prima sede dell’Arcigay, in risposta a quanto accaduto e all’indifferenza della gente. Promotori dell’iniziativa sono Marco Bisceglia, sacerdote dichinatosi omosessuale, e un giovane obiettore di coscienza, Nicola Vendola. Con loro Massimo Milani, Gino Campanella. L’Arcigay è la prima sezione dell’Arci dedicata alla cultura gay. Seguiranno poi le aperture di Bologna, Milano, Roma e via via in altre città italiane. 
La storia di Giorgio e Antonino sembra sepolta nella memoria di chi fatica ad accettare che due uomini, negli anni ’80 potessero amarsi liberamente, sopportando le risate e lo scherno di un intero paese. Nel 2005, Franco Grillini, oggi presidente onorario dell’Arcigay, chiede allo scrittore catanese Riccardo di Salvo, di raccontare la storia dei due giovani. Con un collega, Antonio Eredia, ripercorre la vicenda e scrive un libro “Per non dimenticare mai”. Camminare sui loro passi non è stato facile. Il luogo del delitto ha subito una prepotente cementificazione, il pino che li ha riparati è stato colpito da un fulmine. Il piccolo Francesco, divenuto uomo, vive nel degrado abbandonato a sé stesso, in preda ai propri problemi mentali. Forse davvero fu un’esecuzione quella di Giorgio e Antonino. La famiglia non era d’accordo con quella storia d’amore libera, ma schiava del pregiudizio e della cattiveria. Giarre non era d’accordo: le risate, gli sfottò, le parole di scherno, gli insulti. Giorgio e Antonino erano due ragazzi come tanti, che oggi possono rappresentare un esempio per molti giovani che vivono nell’ombra, in preda alla paura del dolore che il pregiudizio della gente può causare. Noi abbiamo il dovere di ricordare quei giorni di sofferenza, quei due innamorati ritrovati morti, quasi abbracciati, mano nella mano. Dobbiamo ricordare coloro che sono stati sepolti dall’ignoranza nella tomba dell’oblio, ricordare Giorgio e Antonino.

Rosella Reali

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

I due ziti di Giarre - Luciano Mirone, da “Diario del mese – Il secolo Gay” - 6 gennaio 2006 

Il caso di Giarre – Andrea Pini, da “Omocidi” - Stampa Alternativa, 2002 

Toni e Giorgio, morti di pregiudizio - Jenner Meletti - "La Repubblica" - 10 luglio 2005 



ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...

giovedì 20 dicembre 2018

Francia terrorista: fa strage a Strasburgo e protegge Battisti

Francia terrorista: i servizi segreti di Parigi hanno organizzato la strage di Strasburgo per aiutare Macron, messo in difficoltà dai Gilet Gialli, mentre in Brasile hanno reso improvvisamente irreperibile Cesare Battisti, un attimo prima che venisse arrestato. Perché la Francia dovrebbe proteggere Battisti, evitandogli di essere estradato in Italia, dove lo attenderebbe l’ergastolo per omicidio? Semplice: «Sono convinto che, all’epoca degli anni di piombo, Battisti sia stato infiltrato dai francesi nel sottobosco dell’eversione italiana». Sono di questo tenore le dichiarazioni rilasciate il 16 dicembre dall’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Adesso basta», si sfoga Carpeoro: «Se qualcuno a Roma ha le palle, convochi l’ambasciatore francese e gli chieda conto dell’operato dei servizi segreti di Parigi. L’Italia ne ha titolo, anche perché a Strasburgo è morto un ragazzo italiano di 28 anni», Antonio Megalizzi, colpito dai proiettili esplosi all’impazzata, l’11 dicembre, dal giovane Cherif Chekatt, noto pregiudicato, con 27 condanne già rimediate in tre diversi paesi. Classificato “islamico radicalizzato” dalla polizia francese, Chekatt ha ucciso sul colpo 3 persone (salite a 4, con Megalizzi) ferendone altre 16. Carpeoro accusa Parigi: il killer è stato appositamente reclutato attraverso le brigate Al-Nusra, eredi di Al-Qaeda in Siria, stanziate a Idlib e segretamente protette dalla Francia.
Giornalista e scrittore, studioso di simbologia e già a capo della più tradizionale obbedienza massonica italiana del Rito Scozzese, non è la prima volta che Carpeoro fornisce clamorose rivelazioni. Di recente, tramite suoi rapporti con logge Gianfranco Carpeorotedesche, ha svelato l’imbarazzante retroscena dietro alla prima bocciatura di Marcello Foa alla guida della Rai, ottenuta su pressione di Jacques Attali, “king maker” di Macron, che si sarebbe rivolto a Giorgio Napolitano e quindi ad Antonio Tajani per premere su Berlusconi affinché revocasse il consenso sulla nomina di Foa che in prima battuta il Cavaliere aveva già assicurato a Salvini. Non è escluso che la retromarcia di Berlusconi, grazie a cui oggi Foa ha raggiunto la presidenza Rai, sia dovuta anche alle scomode rivelazioni di Carpeoro. Fuoriuscito dalla massoneria, nel 2016 l’avvocato ha pubblicato il saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la regia occidentale (non islamica) del “neoterrorismo” europeo targato Isis: opera di manovalanza islamista reclutata da servizi segreti Nato al soldo della “sovragestione” di potere, che interseca trasversalmente governi e apparti di polizia tramite superlogge internazionali come la “Hathor Pentalpha”. Schema classico: strategia della tensione, alimentata da attentati “false flag”, sotto falsa bandiera (attribuiti all’Isis). «Così come già Al-Qaeda, anche l’Isis è il prodotto della medesima sovragestione occidentale», sottolinea Carpeoro. «E l’ultimo attentato, quello di Strasburgo, ne è un esempio perfetto». Obiettivo? «Politico: aiutare Macron a resistere all’assedio dei Gilet Gialli, depistando l’opinione pubblica e indirizzandola verso un nemico esterno».
Mai come nel caso di Strasburgo, dichiara Carpeoro in video-chat con Frabetti, è apparso chiaro il carattere artificioso della strage, progettata dai servizi segreti a poche ore dalla clamorosa “resa” televisiva di Macron, messo in croce dai Gilet Gialli. L’attentatore è stato presentato come “islamico radicalizzato”, ma testimoni raccontano di averlo visto ubriaco fradicio, qualche sera prima, in una birreria. «Il sindaco di Strasburgo ha dichiarato di non riuscire a spiegarsi come Cherif Chekatt, pregiudicato e schedato dalla polizia come sospetto terrorista islamico, possa essere riuscito a inoltrarsi – armato – nel perimetro super-vigilato del centro di Strasburgo, giungendo indisturbato fino al mercatino di Natale dove poi ha compiuto la strage». Ma peggio: «Poco prima – aggiunge Carpeoro – Chekatt era sfuggito all’arresto. Strano, che qualcuno compia una strage (anziché sparire) poco dopo esser sfuggito all’arresto. E ancora più strano è che la polizia non si attivi per braccarlo, non Cherif Chekattdiffonda foto segnaletiche, non disponga posti di blocco». Attenzione: «Chi c’era, a proteggere il centro di Strasburgo? Le forze speciali antiterrorismo». In altre parole: qualcuno che, il killer, “doveva” lasciarlo passare – armato – evitando di perquisirlo?
Il tentato arresto, aggiunge Carpeoro, è chiaramente un alibi per allontanare i sospetti dalle forze di sicurezza. E non è tutto: «Da una perquisizione domiciliare, il killer è risultato essere in possesso di un’altra pistola, diversa da quella usata per la strage, e addirittura di una granata». Domanda: «Se voleva fare una carneficina, perché non ha portato con sé anche le altre armi?». E soprattutto: «Perché ancora oggi non sappiamo che tipo di pistola fosse, quella usata per sparare sulla folla?». Stranezze su stranezze: subito, era corsa voce che Chekatt si fosse rifugiato in Germania. Invece, curiosamente, non si era allontanato da Strasburgo. Nessuno si stupisce più che sia stato ucciso, alla fine, come tutti gli altri killer che negli ultimi anni hanno insanguinato l’Europa: nessun magistrato ha mai potuto interrogarli, sono tutti stati messi a tacere dai cecchini. Carpeoro insiste sull’arma della strage: «Dato che non è stata fatta circolare nessuna informazione, su quella pistola, è altamente probabile che sia di importanza decisiva per risalire alla verità». Un’arma fornita al killer direttamente dai servizi segreti francesi?
Dopo la strage della redazione di Charlie Hebdo, l’Eliseo insabbiò le indagini – apponendo il segreto di Stato (segreto militare) – nel momento in cui un magistrato aveva scoperto che le armi del commando kamizake erano state acquistate, in Belgio, da agenti della Dgse, l’intelligence di Parigi. Uno degli 007 era in contatto con la fidanzata di uno dei giovani attentatori (anch’essi poi freddati dai cecchini, esattamente come Cherif Chekatt). Per Carpeoro, ormai il gioco è spudorato: non si era mai vista tanta tempestività nel fare ricorso al terrorismo per motivi di stringente necessità politica. «Temo che all’attentato di Strasburgo ne possano seguire altri», aggiunge Carpeoro, secondo cui – intanto – un risultato è stato ottenuto: è vero che il Gilet Gialli sono tornati in piazza, ma intanto si sono divisi politicamente. «L’attentato ha prodotto questo effetto: ha costretto i manifestanti a dividersi». Da una parte quelli intenzionati a protestare a oltranza, e dall’altra chi pensa sia meglio una pausa di riflessione, un gesto di solidarietà nazionale. Carpeoro è indignato: i cittadini francesi, dice, dovrebbero sapere che il loro Cesare Battistigoverno protegge in Siria le milizie terroristiche di Al-Nusra, asserragliate a Idlib. «Al-Nusra è la filiazione diretta di Al-Qaeda, e il governo di Damasco vorrebbe cacciarla da Idlib. Ma non ci riesce, perché Al-Nusra è protetta dalla Francia».
Non è un caso che il killer di Strasburgo abbia rivendicato la strage facendo riferimento ai “caduti siriani”. E, dato che tra le vittime c’è anche un italiano, si rivolge direttamente agli inquirenti italiani: proprio la pistola “fantasma” di Chekatt, sparita nel nulla, potrebbe essere la chiave per collegare l’esecutore ai mandanti. Servizi-colabrodo, alle prese con relazioni pericolose? Dipende: «E’ normale che i servizi segreti infiltrino loro uomini anche nelle strutture terroristiche, è il loro mestiere. L’importante è il fine: un conto è se collaborano per evitarli, gli attentati (come avvenuto in Italia in questi anni), e un altro è se invece collaborano per farli». Quanto all’Italia, appunto, forse è giunta l’ora di ribellarsi ai soprusi dell’intelligence “sovragestita” di Parigi: «Non è accettabile che la Francia protegga sottobanco un suo ex agente come Battisti, mentre da noi Alberto Torregiani ha trascorso la vita su una sedia a rotelle, reso paraplegico durante la rapina in cui Battisti uccise suo padre, Pierluigi, a Milano, il 16 febbraio 1979». Insiste, Carpeoro: «Mi assumo la piena responsabilità di quello che dico. E insisto: Roma dovrebbe richiamare l’ambasciatore francese e chiedergli spiegazioni sull’operato dei servizi segreti transalpini, anche a costo di incrinare le relazioni diplomatiche con la Francia».

fonte: http://www.libreidee.org/

venerdì 14 dicembre 2018

le donne canarino (Canary Girls)


Il sacrificio dei soldati durante la prima e la seconda guerra mondiale è ben documentato, e raccontato, mentre gli sforzi delle operaie e degli operai che producevano le munizioni sono una storia meno narrata. Nel 1915, mentre gli uomini stavano combattendo sui campi di battaglia, migliaia di donne rispondevano al grido d’aiuto del governo per unirsi all'enorme sforzo bellico dei vari paesi. Dato che la maggior parte degli uomini in età lavorativa si era unita all'esercito per combattere, le donne dovettero svolgere i lavori di fabbrica tradizionalmente eseguiti dagli uomini. Quest’evento comportò un enorme cambiamento nella cultura del lavoro delle donne poiché la maggior parte di loro, sino a quel momento, si era occupata delle faccende di casa e della crescita dei figli. Nel Regno Unito, nazione di cui analizzeremo il fenomeno, gli slogan come “National Service” e “Women’s Land Army” furono utilizzati per incoraggiare le donne ad unirsi alla forza lavoro presente nel paese.


Le donne furono risparmiate dal trauma delle trincee, ma il loro lavoro non era esente da rischi poiché affrontavano il pericolo quotidiano della manipolazione di sostanze chimiche esplosive; questa lavorazione comportava la possibilità di contrarre malattie potenzialmente letali. Per alcune di loro gli effetti delle lavorazioni furono immediatamente visibili poiché la pelle ed i capelli si macchiavano di una torbida tonalità di giallo, motivo per il quale furono soprannominate le Canary Girls, traducibile in donne canarino. Le Canary Girls erano impiegate nella lavorazione del TNT, trinitrotoluene o tritolo. L’esposizione a questa sostanza era molto tossica e poteva trasformare la pelle in un colore giallo-arancione che ricorda il piumaggio di un canarino.


Una piccola deviazione dal percorso: vorrei ricordare l’utilizzo di questo volatile, il canarino, nelle prime miniere di carbone che non prevedevano sistemi di ventilazione. Sino al 1986 i canarini erano regolarmente utilizzati in queste miniere come primitivo sistema d'allarme. La presenza di gas tossici, come in monossido di carbonio, avrebbe ucciso i canarini prima di avere effetto sui minatori. Poiché questi uccelli tendono a passare cantando la maggior parte del tempo, fornivano un segnale visibile oltreché udibile. La morte del canarino segnava l'immediata evacuazione della miniera. 


Torniamo alle donne impiegate nella produzione di TNT. 
Il trinitrotoluene è costituito da cordite e zolfo. Gli elementi erano noti per la loro pericolosità, e tossicità, ma furono mescolati in modo tale da non entrare in contatto diretto con la pelle delle lavoratrici. I prodotti chimici però reagivano con la melanina presente nella pelle causando una pigmentazione gialla che macchiò le lavoratrici. Questa situazione, malgrado fosse sgradevole, non causava effetti sulla salute. 
Una conseguenza più seria dell’esposizione agli elementi del TNT fu relativa alla tossicità epatica che causò l'ittero tossico. Su oltre 400 casi d’ittero tossico riscontrati tra le lavoratrici delle munizioni durante la prima guerra mondiale, 100 di loro furono fatali. Alla fine della guerra vi erano oltre tre milioni di donne impiegate nelle fabbriche, circa un terzo delle quali lavorava nel campo della produzione di munizioni. Il loro contributo allo sforzo bellico aveva però messo in luce le loro capacità, modificando radicalmente il modo in cui le donne erano considerate nella società e dando un impulso notevole al movimento del suffragio femminile.


Un fenomeno che accompagnò le Canary Girls fu quello dei Canary Babies, ovvero i bimbi nati dalle lavoratrici delle fabbriche di munizioni. Questi bimbi nascevano con un colore della pelle leggermente giallo a causa dell’esposizione delle madri ai componenti del trinitrotoluene. 
Un’inchiesta della BBC portò alla luce testimonianze relative alle Canary Girls impiegate durante la seconda guerra mondiale. Una di queste lavoratrici, Nancy Evans, dichiarò che “eravamo gialli come un canarino. Le sostanze ti penetravano nella pelle; i capelli diventavano biondi”. Nancy lavorò nella fabbrica Rotherwas in Herefordshire. Glady Sangster appartiene ai Canary babies: “Sono nata durante la guerra e la mia pelle era gialla; per questo motivo fummo chiamati Canary Babies. Quasi ogni bambino nacque giallo e gradualmente si sbiadiva. Mia madre mi affermò che lo davano per scontato. Succedeva e basta”. La madre di Glady lavorava vicino ad Oxford presso la National Filling Factory. Un rischio ulteriore, da aggiungere alla tossicità degli elementi del TNT, era relativo al rischio d’amputazione. Nelle fabbriche, le lavoratrici prendevano l’involucro, lo riempivano di polvere e poi lo coprivano con un detonatore. Le esplosioni erano un evento comune, come testimonia Nellie Bagley, operaia della fabbrica Rotherwas: “prima di iniziare il turno di lavoro mi spogliavo completamente; tenevo solo il reggiseno e se aveva un fermaglio metallico sul retro non potevo indossarlo perché avrebbe causato attriti o esplosioni".


Come se non bastassero i rischi relativi alla tossicità ed alla pericolosità degli elementi, a peggiorare l’atmosfera della fabbrica vi erano i serrati controlli da parte del governo, impaurito della possibilità che le informazioni potessero cadere nelle mani sbagliate. Ancora Nellie Bagley ricorda che “eri consapevole che per tutto il tempo in cui lavoravi eri osservato”.
Ma anche nel buio più profondo, una speranza allietava le donne: “La notte cantavamo, spesso sino alle prime ore del mattino. Questo ci faceva andare avanti distraendoci dal pericolo in cui stavamo lavorando”
Una collega di Nellie, Amy Hicks, ricorda che spesso le operaie affermavano che “canteremo anche quando cadranno le bombe”.
Purtroppo le bombe caddero.
Nel 1942 la fabbrica Rotherwas fu attaccata dalla Luftwaffe che fece cadere un paio di bombe da 250 kg sul sito della fabbrica: “Erano le sei del mattino, circa, un aereo scese così in basso da poter vedere la grande croce nera sopra di esso. Poi cadde la bomba. Vi erano numerose ragazze morte vicino a me”.
La figlia di una di queste donne, Jenny Swiffield, affermò che “lavorare in quelle fabbriche era pericoloso come salire, volare e bombardare i nemici. Sono fiera e penso che tutti i figli delle Canary Girls dovrebbero esserlo”.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

Sue V. Rosser (June 2008). Women, Science, and Myth: Gender Beliefs from Antiquity to the Present (encyclopaedia) 

Potts, Lauren; Rimmer, Monica (20 May 2017). "The Canary Girls: The workers the war turned yellow". BBC News

Hall, Edith. Canary Girls and Stockpots. Workers' Educational Association (Luton branch), November 1977

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

lunedì 10 dicembre 2018

la lotteria dell’universo e i numeri sbagliati del pianeta

La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.
Il messia. Alla mia destra, aveva detto, e alla mia sinistra. Sedevano a tavola, semplicemente. Avevano sprecato un sacco di tempo in chiacchiere inconcludenti, e lo sapevano. Con colpevole ritardo, dopo inenarrabili vicissitudini dai risvoltiStele di Minerve, in memoria del martirio dei Catariturpemente malavitosi, si erano infine rimessi al nuovo sire, l’inviato dall’alto. Familiarmente, tra loro, lo chiamavano messia, essendo certi che avrebbe fatto miracoli e rimesso le cose al loro posto, ma non osavano consentirsi confidenze di sorta: ne avevano un timoroso rispetto. Quell’uomo incuteva soggezione, designato com’era dal massimo potere superiore. Non restava che ascoltarlo, in composto silenzio, assecondandolo in tutto e sopportandone la postura da tartufo. La sua grottesca affettazione si trasformava inevitabilmente, per i servi, in squisita eleganza. Gareggiavano, i sudditi, in arte adulatoria. Stili retorici differenti, a tratti, permettevano ancora di distinguere i servitori seduti a destra da quelli accomodati a sinistra.
Tungsteno. L’isoletta era prospera e felice, o almeno così piaceva ripetere al governatore, sempre un po’ duro d’orecchi con chi osava avanzare pretese impudenti, specie in materia di politica economica, magari predicando la necessità di sani investimenti in campo agricolo. Il popolo si sentì magnificare le virtù del nuovo super-caccia al tungsteno, ideale per la difesa aerea. Ma noi non abbiamo nemici, protestarono. Errore: potremmo sempre scoprirne. Il dibattito si trascinò per mesi. I contadini volevano reti irrigue, agronomi, serre sperimentali, esperti universitari in grado di rimediare alle periodiche siccità. Una mattina il cielo si annuvolò e i coloni esultarono. Pioverà, concluse il governatore, firmando un pezzo di carta che indebitava l’isola per trent’anni, giusto il prezzo di un’intera squadriglia di super-caccia al tungsteno.
Stiamo pensando. Stiamo pensando alla situazione nella sua inevitabile complessità, alle sue cause, alle incidenze coincidenti ma nient’affatto scontate. Stiamo pensando a come affrontare una volta per tutte la grana del famosissimo debito pubblico, voi capite, il debito pubblico che è come la mafia, la camorra, l’evasione fiscale, l’Ebola, gli striscioni razzisti negli stadi, la rissa sui dividendi della grande fabbrica scappata oltremare, l’abrogazione di tutto l’abrogabile. Perché abbiamo perso? Stiamo pensando a come non perdere sempre, a come non farvi perdere sempre. Stiamo pensando, compagni. E, in confidenza, di tutte queste problematiche così immense, così universali, così globalmente complicate, be’, diciamocelo: non ne La lotteria dell'universoveniamo mai a capo. Il fatto è che non capiamo, compagni. Non capiamo mai niente. Ma, questa è la novità, ci siamo finalmente ragionando su. Stiamo pensando. Una friggitoria di meningi – non lo sentite, l’odore?
Sentì il cane ululare. Sentì il cane ululare ed ebbe un sussulto. Restò alla finestra a contare i passi, e alla fine lo vide sbucare dal vicolo e alzare gli occhi verso la casa. Era nero, coperto di cenere scura. Posò a terra il mitragliatore e si liberò dello zaino, delle giberne, delle bombe a mano, della piastra antiproiettile. Si tolse anche la giubba: era pieno di segni e cicatrici. Sembrava avesse perduto la facoltà di parola. Era muto. Andò all’acqua, si tuffò nella vasca. Lei lo raggiunse lì, con uno straccio asciutto. Fu allora che parlò. Le disse che non c’era tempo da perdere, dovevano scappare. Sarebbero spariti nel bosco, loro due e il cane, e si sarebbero diretti verso il colle, dove forse avrebbero incontrato qualcuno. E poi dove andremo? Lui scosse la testa. Fece per uscire dalla vasca, e svenne.
Unni. Scrosciarono elezioni, ma il personale di controllo era scadente e il grande mago cominciò a preoccuparsi, dato che i replicanti selezionati non erano esattamente del modello previsto. Lo confermavano a reti unificate gli strilli dei telegiornali, allarmati anche loro dall’invasione degli Unni. Non si capiva quanto fossero sinceri i loro slogan, quanto pericolosi. Provò il dominus ad armeggiare con i soliti tasti, deformando gli indici borsistici, ma non era più nemmeno certo che il trucco funzionasse per l’eternità. Vide un codazzo di Bentley avvicinarsi alla reggia e si sentì come Stalin accerchiato dai suoi fidi, nei giorni in cui i carri di Hitler minacciavano Mosca. Ripensò ai tempi d’oro, quando gli asini volavano e persino gli arcangeli facevano la fila, senza protestare, per l’ultimissimo iPhone.
(Estratto da “La lotteria dell’universo”, di Giorgio Cattaneo. “Siamo in guerra, anche se non si sentono spari. Nessuno sa più quello che sta succedendo, ma tutti credono ancora di saperlo: e vivono come in tempo di pace, limitandosi a scavalcare macerie”. Fotogrammi: 144 pillole narrative descrivono quello che ha l’aria di essere l’inesorabile disfacimento di una civiltà. Il libro: Giorgio Cattaneo, “La lotteria dell’universo”, Youcanprint, 148 pagine, 12 euro).

fonte: http://www.libreidee.org/