lunedì 30 maggio 2016

Francia: senza legge né lavoro

L'occasione non fa solo l'uomo ladro, lo fa anche rivoltoso. Date all'essere umano una possibilità di uscire dalla quotidiana normalità fatta di sveglie mattutine, attese in fila, compiti da svolgere, chiacchiere da ufficio o da bar, schermi dove sfinire gli occhi, poltrone in cui accasciarsi la sera... dategli un'occasione per trasgredire, per farla finita con una vita insulsa trascinata nell'obbedienza in attesa della pensione e della morte, e siate pur certi che la coglierà. Basta per l'appunto che se ne presenti l'occasione, ovvero il momento propizio, il caso che consenta o favorisca l'accadimento. E l'occasione è fugace, spesso si verifica in modo del tutto banale, in sé può anche essere sciocca, non ha nulla a che vedere con una ponderata ragionevolezza.

Che sia questo il motivo per cui i mass-media in Italia non hanno detto praticamente nulla di quanto da mesi sta accadendo oltralpe? Meglio non parlarne perché il vittimistico Je suis Charlie con cui ci hanno rintronato al fine di spingerci all'unità nazionale, di stringerci attorno ad uno Stato infame solo perché minacciato da suoi concorrenti diversamente infami, non corra il rischio di trasformarsi nell'arrabbiato Je suis sans loi ni travail (Sono il lavoro senza legge) in grado di eccitare e spingere alla rivolta? 

Meglio non parlarne perché qui nel Belpaese ogni malefatta istituzionale deve limitarsi a costituire al massimo un'occasione per nuove e ragionevoli rivendicazioni civiche, civili e cittadiniste? 

Meglio non parlarne affinché la politica non sia mai travolta dalla ribellione, la legittimità non sia mai sbriciolata dal furore, l'assemblea deliberante non venga disertata dall'individuo arbitrario?

Ecco, contro questa accurata ed interessata censura proveniente dall'alto - ma anche contro certe acrobazie che in basso impegnano i vari e multicolori strateghi dell'attivismo militante, secondo cui il solo «eccesso» buono è quello vagliato, calcolato, dosato sul bilancino della convenienza politica del giorno - abbiamo pensato di ripercorrere un po' quanto sta accadendo in Francia da diverse settimane.

L'occasione, prima di tutto. È stata fornita dal progetto della nuova legge sul lavoro, che in sostanza prevede una liberalizzazione del mercato - con conseguente aumento dell'orario del lavoro, e diminuzione della paga sugli straordinari - e una maggiore possibilità di licenziamento. A detta della sua artefice, la ministra del Lavoro Myriam El Khomri, si tratta di un «un vero slancio per la democrazia sociale» che propone «al tempo stesso nuove facilitazioni alle imprese per migliorare la competitività della nostra economia, e nuove protezioni, nuovi diritti per i salariati». Fin dal suo annuncio, prima ancora che venisse presentato e discusso al Consiglio dei ministri, il progetto della «loi travail» ha scatenato una forte opposizione in tutto il paese, un paese da tempo attraversato da forti tensioni esacerbate dalle stragi avvenute a Parigi lo scorso novembre e dalla successiva proclamazione dello stato d'emergenza.

Ma se una riforma particolarmente reazionaria del Codice del lavoro ha dato ad innumerevoli persone un motivo per scendere in piazza, non c'è voluto molto prima che la rabbia tracimasse dal contesto originario per estendersi a tutte le condizioni di vita odierne. Ben presto è diventato chiaro che non era più un progetto di legge ad essere contestato da non pochi manifestanti, ma un'intera società, un'intera esistenza priva di significato e di incanto. E questo allargamento della lotta è stato reso palpabile sia nella pratica che nella teoria. È riscontrabile sia negli obiettivi presi di mira con i fatti che nelle parole messe in circolazione, che incitavano fin da subito a passare dalla rivendicazione alla sovversione.

Per fare un riassunto con nessuna pretesa di esaustività, partiamo dal 9 marzo di quest’anno, quando a Parigi si forma un corteo di protesta che riempie di colori un centro di arruolamento dell'esercito, un McDonald, un hotel Ibis, diversi negozi e banche, danneggiando qualche bancomat. A Bordeaux, la facoltà universitaria di sociologia viene devastata e saccheggiata da cima a fondo da una trentina di individui mascherati; ingenti i danni. «Noi che abbiamo delle rivendicazioni, ci dissociamo totalmente da questi teppisti», affermerà un membro dell'unione degli studenti comunisti. Poche ore prima 300 studenti si erano radunati per discutere il blocco delle lezioni. A Rouen e a Dieppe, sono le sedi del Partito Socialista (cioè del partito in cui milita la ministra del Lavoro) a finire sotto il lancio di uova, vernice, estintori. A Lione, allorquando una manifestazione è sul punto di sciogliersi, diversi partecipanti decidono di proseguire verso una sede del Partito Socialista, scontrandosi con la polizia che non lesina l’uso di proiettili e di lacrimogeni. A Niort alcuni manifestanti scavalcano le inferriate della sede locale dell'associazione degli imprenditori e ne forzano il cancello, facendo entrare nel cortile gli altri manifestanti... l'arrivo precipitoso dei soliti sgherri in divisa interromperà la festa. 

Ma solo per un giorno, dato che la notte seguente, il 10 marzo, la facciata della federazione del Partito Socialista sarà ricoperta di scritte. Mentre a Nantes, nel corso di una grossa manifestazione, scoppiano scontri con le forze dell'ordine davanti alla stazione, nel corso dei quali restano feriti alcuni poliziotti.

L'11 marzo, all'apertura dei locali della ditta "Carbone Savoie", a La Léchère (Savoia), si scopre che gli uffici del terzo e quarto piano sono stati devastati durante la notte. Si tratta dell’azienda in cui è in corso uno sciopero illimitato dei dipendenti.

Il 15 marzo, a Perpignan, gli ingressi di alcuni licei vengono bloccati con cassonetti della spazzatura nel corso di una manifestazione selvaggia che attraversa la città. La cancellata di un liceo viene sfondata, e un insegnante rimane ferito.

Il 17 marzo, in tutta la Francia vengono bloccati un numero impreciso di licei (fra i 115 e i 200), e si verificano numerosi scontri con le forze dell'ordine. A Parigi, nel corso di una manifestazione studentesca vengono sfondate le vetrine e le porte di agenzie bancarie, assicurative, immobiliari e commerciali. Un supermercato della catena Franprix viene saccheggiato. Jean-Luc Mélenchon, deputato europeo del Fronte di sinistra, è costretto ad abbandonare precipitosamente il corteo a cui sta partecipando, copiosamente insultato e preso a uova in faccia. A Rennes sono migliaia le persone che invadono la stazione, e centinaia quelle che scendono sui binari interrompendo la circolazione dei treni. Altre nel frattempo ristrutturano il municipio, prima "ridipingono" un'ala, poi cercano di forzarne l’entrata scontrandosi con la polizia. Anche un commissariato e molti sportelli bancomat vengono bersagliati con vernice. Stessa sorte alla facciata del municipio di Nantes, città dove si verifica una vera strage di vetrate: quelle del municipio, di alcune banche, di diverse fermate degli autobus, di una stazione tranviaria, e di una volante della polizia. I locali dell'associazione degli imprenditori vengono riempiti di colore. Una manifestazione di protesta si svolge anche a Lione, terminando con scontri con le forze dell'ordine.

Il 21 marzo, a Parigi, una manifestazione selvaggia partita dalla facoltà di Tolbiac attacca ciò che trova lungo il suo percorso: una sede del Partito Socialista, decine di banche, agenzie di viaggio, cartelloni pubblicitari, assicurazioni, negozi. «Non sono sicuro che il motivo del loro comportamento sia l'obiettivo politico — dice il sindaco socialista del XIII distretto — Abbiamo a che fare con dei casseur e non con studenti, con gruppi autonomi radicalizzati».

Il 22 marzo, mentre durante un corteo a Parigi scoppiano tafferugli fra manifestanti e servizio d'ordine sindacale, gli uffici amministrativi dell'università di Tolbiac vengono devastati.

Il 24 marzo a Parigi sfilano diversi cortei. La tensione è alta, anche fra gli stessi manifestanti. Qua e là si registrano lanci di oggetti, cariche, scontri con le forze dell'ordine. Il portone di un liceo viene dato alle fiamme, così come un’auto vicino alla sede dell'associazione degli imprenditori. Dopo il tramonto «alcuni lavoratori della notte (non sindacalizzati)», vogliosi di ringraziare il sindacato per l'operato sbirresco del suo servizio d'ordine, fanno saltare le vetrine di una sede della CGT. A Nantes è la linea tranviaria ad essere interrotta, con cassonetti della spazzatura piazzati sui binari e poi incendiati. Piccoli gruppi di manifestanti si muovono in lungo e in largo, spaccando le vetrine dei negozi. Anche davanti ad alcuni licei si verificano incidenti. A Rouen il traffico stradale viene rallentato con pneumatici lasciati sulla via e dati alle fiamme, e qualche tafferuglio scoppia davanti alla sede del Partito Socialista. A Marsiglia l'autostrada viene occupata dai manifestanti. A Rennes, oltre ai soliti scontri, alcuni negozi sono assaltati e saccheggiati. A Gisors nel corso di un corteo sono presi di mira un supermercato e alcuni negozi e vengono sfondate le vetrate di un centro per l’impiego. Il traffico si paralizza e davanti alla stazione vengono incendiati cassonetti della spazzatura. A Grenoble una manifestazione indetta dalla sinistra viene disturbata dalla presenza di uno spezzone che si scontra con la polizia e bersaglia con pittura la sede del Partito Socialista e quella dei Repubblicani. Un dirigente di questi ultimi dirà: «Avrebbero potuto agire in maniera responsabile e civica chiedendo di essere ricevuti...».

Il 25 marzo, a Parigi, una manifestazione selvaggia composta da qualche centinaio di persone attacca lungo il percorso due commissariati di polizia, lanciando pietre, fumogeni e tentanto di sfondarne i vetri blindati. Sui muri degli edifici viene espressa la grande ambizione: «Mort aux flics». Due supermercati Franprix vengono saccheggiati. A Villeurbanne, l'ingresso della sede del Partito Socialista viene murato.
L'idea piace, tant'è che il 26 marzo anche quella di Douardenez subisce la stessa sorte. Quello stesso giorno, a Valence, alcuni "zadisti" fanno irruzione nella sede del Partito Socialista e versano letame dappertutto.

Il 29 marzo, a Rennes, alcuni manifestanti bloccano la circonvallazione appiccando il fuoco ad una barricata costruita con cassonetti della spazzatura, altri tirano l'allarme della metropolitana e lanciano sedie sui binari per interromperne il funzionamento. A Lione molti studenti restano a piedi: gli autobus delle linee scolastiche sono stati resi inutilizzabili.

Il 31 marzo è una giornata di mobilitazione nazionale. Circa 150 licei vengono bloccati in tutto il Paese. A Parigi (dove scende in strada un milione di persone), Grenoble, Nantes, Lille, Rouen, nel corso delle manifestazioni sono attaccate banche, agenzie immobiliari, seggi elettorali, esercizi commerciali. È un giorno difficile per i giornalisti, i quali vengono aggrediti sia a Parigi che a Nantes. Qui viene attaccato anche il municipio, vengono date alle fiamme le automobili parcheggiate vicino a un albergo di lusso, e presso alcuni incroci vengono erette delle barricate (alcune delle quali poi incendiate). A Rouen la sede del Partito Socialista viene dipinta per l'ennesima volta. A Gennevilliers, durante il blocco di un liceo, due automobili e dei cassonetti della spazzatura vanno in fumo. A Rennes i manifestanti si scontrano per alcune ore con le forze dell'ordine. Incidenti anche a Lione, Marsiglia, Tolosa, dove il giorno prima è stato sgomberato uno squat. Quello stesso giorno anche l'università di Caen viene invasa dai barbari.

È a partire da questo giorno che a Parigi, in place de la République, cominciano a tenersi assemblee quotidiane. È l'inizio del movimento Nuit Debout, tentativo di dare una ragione politica alla rabbia fino a quel momento esplosa ovunque, di dotare di una speranza la sfiducia verso le istituzioni e i partiti. Nuit Debout cerca di creare una sfera embrionale di democrazia diretta, e place de la République passa da simbolo dell'orrore davanti alla guerra santa a simbolo della rinascita della convivenza civile. Diventa l'agorà in cui il logos evocato dalla discussione dovrebbe trovare una via d'uscita dal vicolo cieco in cui si è ficcata la società. L'iniziativa ha talmente successo fra gli orfani della politica che ad oggi quella piazza è infestata da una ottantina di commissioni...

Il 5 aprile è un'altra giornata calda. A Levallois, davanti ad un liceo viene ammassato vario materiale poi dato alle fiamme, causando gravi danni alla facciata dell'edificio. Vanno in frantumi anche i vetri dello stabile. A Nantes l'ingresso della sede del Partito Socialista (saracinesca e vetrate) subisce la critica tagliente di un flessibile. Lungo il percorso della manifestazione, tutte le banche, le assicurazioni e le agenzie immobiliari vengono attaccate, e alcuni negozi saccheggiati. Sempre in questa città, oltre che a Rennes, Tolosa e a Rouen, viene interrotto il traffico ferroviario e stradale. A Marsiglia viene bloccata l'autostrada in entrambi i sensi. A Parigi le manifestazioni diurne si svolgono sotto stretto controllo sia della polizia, che effettua numerosi fermi, sia dei vari cittadinisti galvanizzati dall'assemblea di place de la République. Al calar della sera viene bloccato il boulevard Saint-Germain da manifestanti che erigono barricate ed esigono la liberazione degli arrestati.

Il 7 aprile, ancora licei bloccati in molte province francesi. Si registrano blocchi della circolazione e scontri fra manifestanti e forze dell'ordine un po' dovunque. A Vaulx-en-Velin vengono fermati sei minorenni, accusati di aver lanciato sassi contro i poliziotti. Nella notte, a Parigi, un'altra sede del sindacato CGT perde le sue vetrate per mano di alcuni «lavoratori demolitori» che ci tengono a precisare: «noi non ci opponiamo alla Legge sul lavoro, ma alla Legge e al Lavoro».

Il 9 aprile si svolgono più di 200 manifestazioni in tutta la Francia. In alcune città, come Parigi e Rennes, scoppiano scontri fra manifestanti e forze dell'ordine. A Nantes viene anche bloccato il traffico, vengono erette barricate, attaccate banche e immobiliari, e aggrediti alcuni giornalisti. Nella notte, a Parigi, alcune manifestazioni selvagge percorrono la città. C'è chi tenta di raggiungere l'abitazione privata del primo ministro Valls, chi smonta le cancellate che impediscono ai rifugiati di accamparsi, chi sfonda le vetrine di qualche banca, chi erige barricate, chi incendia automobili... e chi, come un responsabile di Nuit Debout, invoca la polizia per fermare gli eccessi.

La notte dell’11 aprile, a Tolosa, la facciata della Borsa viene ridipinta e un cassonetto della spazzatura piazzato contro l'ingresso è dato alle fiamme.

Il 14 aprile ancora manifestazioni, ancora scontri fra manifestanti e forze dell'ordine. A Parigi, a Nantes, a Montpellier... non si finisce più di ribadire l'ovvia verità: «tout le monde deteste la police» (tutti odiano la polizia). A Caen una piccola ma bellicosa manifestazione ricorderà che anche i giornalisti sono detestati. A Parigi, dove un paio di funzionari scolastici sono presi di mira dagli studenti e la polizia accerchia e controlla da vicino le manifestazioni diurne, si dovrà attendere il calar delle tenebre per dare il via ai divertimenti. Una manifestazione selvaggia attacca tutti gli obiettivi che destano un certo interesse: hotel Ibis, gallerie d'arte, assicurazioni, automobili in car sharing, centri dell’impiego, una concessionaria Jaguar... Viene saccheggiato un supermercato Franprix. A Rouen, oltre ad una banca, viene attaccata e devastata anche la sede del Fronte Nazionale. Nella notte, due sedi del Partito Socialista a Lille vengono ricolorate con fantasia. A Rennes è la sede dell'associazione degli imprenditori a ricevere la visita di una sessantina di manifestanti, incappucciati e armati di mazze da baseball. Ingenti i danni. Il delegato generale dell'Unione delle imprese dirà: «Molti colleghi sono rimasti traumatizzati da questo scatenamento di violenza che non ha più nulla a che vedere con il ritiro della legge sul lavoro. È inammissibile».

Il 15 aprile sale alla ribalta la CFDT (Confederazione francese democratica del lavoro). In mattinata la facciata e le finestre della sua sede di Marsiglia vengono abbellite dal lancio di pittura e «scritte diffamatorie». In serata invece è una sua sede parigina a finire sotto il lancio di vernice e sassi. Come al solito, il calar della notte favorisce lo svolgimento di manifestazioni selvagge nella capitale, nel corso delle quali si verificano danneggiamenti e tafferugli con le forze dell'ordine. Secondo il ministro dell'Interno, dai primi di marzo sono 151 i poliziotti feriti durante le proteste.

Il 16 aprile, a Marsiglia, un corteo selvaggio serale fa visita alla sede del Partito Socialista. Le spesse vetrate rimangono intonse, i muri no. Poi si dirige verso una sede del Fronte Nazionale, un po’ troppo blindata. Infine i manifestanti trovano una più accogliente sede dell'Azione Francese, dove possono applicarsi con più profitto. A Brest, una cinquantina di individui, vestiti di nero, mascherati e con striscioni anti-capitalisti, lungo una passeggiata notturna rendono omaggio ad alcune banche e relativi bancomat.

Il 20 aprile, a Nantes, l’ennesima manifestazione di protesta contro la legge sul lavoro finisce con scontri con le forze dell'ordine. Molte vetrine ne fanno le spese. Mentre a Rennes la polizia impedisce ai manifestanti l'accesso al centro cittadino, a Tours gli studenti bloccano la facoltà di lettere. A Lione, in serata, durante una manifestazione selvaggia vengono imbrattati alcuni locali della polizia e una volante, mentre le vetrate dell'edificio vanno in frantumi. Stessa sorte a un tribunale. A Lille, sebbene il corteo sia circondato dalla polizia, alcuni negozi e banche vengono colorati a nuovo, mentre la porta a vetri di un grande magazzino va a pezzi.

Il giorno dopo, il 21 aprile, sempre a Lille, la polizia fa irruzione nei locali della CNT dove si sono rifugiati alcuni manifestanti in fuga da una carica. Porta sfondata, locali devastati, alcuni presenti arrestati. Come abbozzo di risposta, la facciata di un commissariato viene condita con olio esausto. A Besançon, i muri e le vetrate della Camera di Commercio e dell’Industria vengono sottoposti a dura critica.

Durante la notte del 22 aprile, a Parigi, un centinaio di persone, forse insoddisfatte dell’assemblea di Nuit Debout, attaccano la polizia, incendiando e distruggendo completamente una auto civetta. Anche due veicoli della RATP, l'ente dei trasporti parigini, vengono danneggiati.

La notte del 26 aprile alcuni impazienti, stanchi di partecipare allo spettacolo della contestazione, stufi di fingere di essere interessati alla legge sul lavoro, desiderosi di essere là dove non sono attesi, attaccano a colpi di molotov un commissariato di polizia a Tolosa.

Per il 28 aprile è prevista un'altra giornata di mobilitazione nazionale. Manifestazioni a Parigi, Nantes, Le Havre, Lione, Marsiglia, Bordeaux, Rennes, Rouen, Tolosa, Grenoble, Tours, Bayonne, Dijon, Strasburgo, Caen, Mans, Orléans... Il bilancio, a detta del ministro dell'Interno, è di 78 poliziotti feriti e 214 manifestanti fermati in seguito agli scontri scoppiati in tutto il Paese. Scontri causati da «casseur estremisti che hanno come unica motivazione l'odio per lo Stato e, quindi, per i valori della Repubblica». A Parigi, la mattina presto, un centinaio di manifestanti cerca di bloccare prima il più importante porto fluviale della regione, incendiando anche degli pneumatici, poi un deposito di autobus. Qui si verificano scontri con la polizia. Durante il grande corteo pomeridiano qualche centinaio di manifestanti attacca le forze dell'ordine, ferendo alcuni poliziotti. La manifestazione prosegue sotto una pioggia di lacrimogeni e sotto l'occhio di droni ed elicotteri, i quali non impediranno né la neutralizzazione della videosorveglianza né l'attacco a banche, immobiliari, agenzie del lavoro. A Lione si verificano violenti scontri con le forze dell'ordine, a dispetto del servizio d'ordine del sindacato. Gli studenti avvisano i giovani di non lasciarsi fotografare dai giornalisti. Una banca viene bersagliata con un po’ di tutto. A Tolosa viene bloccato all'alba l'accesso alla zona dell'Eurocentro, causando pesanti disagi al traffico. Nel corso della manifestazione, sciolta dal sindacato, due poliziotti sono feriti dal lancio di oggetti. A Marsiglia il blocco della stazione darà vita a scontri fra manifestanti e forze dell'ordine. Violenti scontri anche a Rennes, dove il prefetto indignato dichiarerà: «Non era una manifestazione, ma una folla armata». A Nantes la giornata comincia all'alba, con il blocco del deposito dei trasporti pubblici. La manifestazione è costellata da tafferugli fra gruppi di manifestanti e forze dell'ordine. Una Porsche viene incendiata davanti alla prefettura. A Dijon, i manifestanti precisano con scritte il proprio passaggio, finendo col cercare di forzare l'ingresso in una banca.

Il 3 maggio si svolge a Nantes una manifestazione «a rischio», non indetta dai sindacati. Diverse centinaia di persone sfilano per la città. Le vetrine iniziano a perdere i sensi, mentre gruppi di manifestanti si battono contro le forze dell'ordine. Un comandante della Brigata anti-criminalità, trovatosi isolato e circondato da manifestanti furiosi, finisce in ospedale. Feriti leggermente altri sei gendarmi. Durante la notte, a Tolosa, un ufficio di collocamento viene ridipinto con l'aiuto di un estintore caricato con vernice.

La notte del 5 maggio le vetrate di un altro ufficio di collocamento, quello di Mentreuil a Parigi, vengono sfondate a sassate. Sui muri laterali viene lasciata una scritta: «Schiavisti moderni — Né legge né lavoro».

La mattina del 9 maggio, sempre a Parigi, un piccolo gruppo di manifestanti si raduna davanti a un deposito dei tram, costruisce sui binari una barricata con pneumatici e materiale da cantiere e vi appicca il fuoco. Poi, per senso di equità, costruisce una seconda barricata e la infiamma anche all'imbocco della circonvallazione.

Il 10 maggio, la notizia che il governo per far passare la riforma del lavoro ricorrerà all'articolo 49-3 della Costituzione, quello che permette l'approvazione di una legge senza attendere il voto del Parlamento, riscalda ulteriormente gli animi. A Parigi i pompieri di Nuit Debout indicono un presidio «spontaneo» (meglio evitare di usare la parola selvaggio), pacifico e «a volto scoperto» davanti all'Assemblea Nazionale. Lo scopo fin troppo palese è quello di esprimere il proprio sdegno a una classe politica che, pur di raggiungere i propri obiettivi, ricorre ad un mezzo che offende la vera democrazia. Ma, se nella capitale c'è chi si perde in cauti rimproveri, in provincia c'è chi persiste nella critica più ardente. La sera a Grenoble, all'urlo di «Tutti odiano i socialisti», i manifestanti bloccano i tram, rendono un omaggio virulento alla sede del Partito Socialista, fanno saltare i vetri della scuola di commercio, devastano i negozi di una intera via, se la prendono con un annesso di un locale municipale e con la redazione di un giornale, si scontrano con le forze dell'ordine, ferendo sei agenti. A Dijon i locali del Partito Socialista vengono danneggiati dai manifestanti, così come alcuni negozi. A Lille un centinaio di manifestanti invadono il supermercato Match, riempiono i carrelli e pretendono di passare dalle casse senza pagare. L'arrivo della polizia, chiamata dai proprietari, li costringe a lasciar perdere la spesa proletaria e ad allontanarsi in tutta calma. A Caen, i manifestanti fanno irruzione nella sede del Partito Socialista e la devastano. A Nantes, dopo aver attaccato il municipio e le forze dell'ordine, costruiscono una barricata e cercano di forzare l'ingresso di un supermercato prima di scontrarsi violentemente con la polizia. A Lione i manifestanti devastano una sede del Partito Socialista e danneggiano un commissariato. A Montpellier, dopo aver dato fuoco a cassonetti della spazzatura accanto alla stazione, partono in corteo pur circondati dalla polizia. Una volante viene danneggiata e, quando gli agenti fermano un manifestante, partirà contro di loro un fitto lancio di oggetti a cui le forze dell'ordine risponderanno con lacrimogeni e granate assordanti. In seguito viene bloccata anche una linea del tram.

Il 12 maggio, nuova giornata di mobilitazione generale, meno partecipata delle precedenti. A Parigi, per evitare incidenti, la testa della manifestazione viene presa dal servizio d'ordine sindacale. Ciò fa sì che i manifestanti più irruenti, oltre a prendersela con gli sbirri sindacali, sfilino ai lati del corteo, saltando fuori ad ogni occasione propizia. Negozi danneggiati, macchine in fiamme. Attacchi sporadici che a un certo punto fanno posto a scontri più violenti e consistenti. Si registrano numerosi feriti, fra cui qualche giornalista. Mentre gli organizzatori annunciano la fine della manifestazione, un gruppo di instancabili cerca di forzare le porte del retro della Scuola militare. Alcuni di loro, penetrati nel cortile del Museo des Invalides, sono intercettati dai soldati di pattuglia. A Nantes, la giornata inizia con una barricata data alle fiamme nei pressi di un liceo, come buon auspicio per l'imminente manifestazione. Il pomeriggio, il centro cittadino diventa teatro di violenti scontri fra manifestanti e forze dell'ordine. La stazione ferroviaria viene invasa dai manifestanti, i quali bloccano la circolazione dei treni e mandano in frantumi molte vetrine. In piazza, nei pressi della cattedrale, una banca viene devastata. Tre mezzi della celere, bloccati nel traffico, vengono raggiunti da manifestanti inferociti. A Caen, a margine della manifestazione sindacale, vengono occupati i locali della CAF [Cassa Assegni Familiari]. Pronta e muscolosa la reazione della polizia. Nel pomeriggio, nuova occupazione, questa volta della direzione dipartimentale del lavoro. Il mobilio viene messo all'aperto a prendere aria. Nuovo intervento muscoloso delle forze dell'ordine, che gasano, caricano e fermano un po' chiunque. A Lille i manifestanti attaccano alcune banche, un Apple Store, un McDonald, un’agenzia della Air France. La polizia interviene caricando e sparando lacrimogeni. Alcuni fermati fra i manifestanti, qualche ferito fra i poliziotti. In serata 300 manifestanti si recano davanti alla questura per esigere il rilascio dei fermati. Non riuscendo a resistere alla tentazione, parte un lancio di oggetti contro l'edificio. A Marsiglia è il servizio d'ordine del sindacato a finire nel mirino di alcuni manifestanti. Ad Havre i manifestanti sfondano l'ingresso della sede del Partito Socialista e ne devastano l'interno.

Come abbiamo già premesso, questa non può certo essere una cronologia precisa e completa di quanto accaduto, ma è sufficiente per dare un’idea a grandi linee del clima che si respira in questi giorni in tutta la Francia. A spiccare di primo acchito sono le differenze di combattività fra il contesto francese e quello italiano. Qui il «Jobs Act» è passato senza colpo ferire; qui gli operai licenziati non sequestrano manager né dinamitano fabbriche, al massimo mettono in pericolo loro stessi salendo su qualche gru; qui due ore di scontri in qualche via di una sola città bastano e avanzano per mobilitare l'esercito delle spugnette legalitarie; qui ogni ardire collettivo deve fare i conti prima con due stronze, la casalinga di Voghera e la mamma con il passeggino, e poi con le «cascate» strategiche tirate dagli sbirri di movimento...

Ad ogni modo, è facile percepire quale sia la principale caratteristica qualitativa di questa ondata di protesta che non accenna a placarsi. Non si tratta di un movimento sociale, unito da una medesima ragione e guidato da un ceto politico più o meno affiatato o in competizione, ma del contemporaneo scatenamento di forze autonome e talvolta contrapposte: cittadini delusi, lavoratori indignati, sindacalisti scavalcati, studenti annoiati, perditempo facinorosi, bande di quartiere, sovversivi di ogni sfumatura… tutti scesi in strada, a manifestare a proprio modo, unendosi o separandosi o ignorandosi, ma a scontrarsi comunque e dovunque con l’ordine istituzionale. Nessuno ha atteso che l'assemblea sovrana di un movimento - sociale, politico o popolare - dotato di legittima ragione decretasse che era giunta l'ora dell'azione diretta. Chi aveva a cuore la liquidazione del vecchio mondo si è messo immediatamente all'opera, senza passare per la fase di transizione del gioco di sponda con gli amichetti politici. E chi ha sempre coltivato aspirazioni riformiste è rimasto d'un tratto senza parole, ammutolito dall'imbarazzo davanti alla vergogna del potere.

Questo aspetto è stato talmente evidente da costringere gli aspiranti rappresentanti di movimento a fare buon viso a cattivo gioco. Come recuperare quegli assalti incontrollabili, come addolcire quegli slogan irragionevoli («sciopero fino alla pensione», «la notte è fatta per scopare, non per lavorare», «pensione a 13 anni», «sotto il pavé, gli sbirri»...), come trasformare quella tensione utopica da vivere in programma politico da vendere? C'è voluto tempo, pazienza e una buona dose di equilibrismo e sfacciataggine. Frederic Lordon, ad esempio - sociologo, collaboratore di Le Monde Diplomatique, nonché esponente di Nuit Debout - a fine marzo pareva aver smarrito i luoghi comuni di sinistra. «Non rivendichiamo nulla», tuonava dalle pagine del settimanale della intellighenzia transalpina. 

Decenni di batoste e tradimenti lo avevano persuaso ad abbandonare ogni illusione sulla partecipazione elettorale. Ma può un cattedratico, qualcuno nato e cresciuto all'ombra dello Stato, abbandonare il proprio orizzonte istituzionale? Intervistato una settimana dopo, Lordon precisava la sua strategia di prim'ordine: «Tornare al gioco istituzionale è la morte assicurata di tutti i movimenti. Adesso, chiederai, come trasformare queste riunioni in risultati politici affinché non siano successe invano? È una domanda strategica di primo ordine. La mia risposta per uscire da questa terribile tenaglia è che, se tornare al gioco elettorale istituzionale significa la morte, allora non ci rimane altra soluzione che rifare le istituzioni. È per questo che credo che l'obiettivo politico che dobbiamo fissarci... consiste nel riscrivere la Costituzione... Dobbiamo scrivere la Costituzione di una "repubblica sociale"».

Dopo le amenità costituenti degli scroto-negriani appassionati di Spinoza e Foucault, arrivano le cialtronerie destituenti degli scroto-agambeniani appassionati di Foucault e Spinoza. Scoppiato il furore della rivolta mentre erano impegnati chi ad intervenire in consiglio comunale e chi sui mass-media, i neoblanquisti francesi si sono precipitati a ri-ri-riconvertirsi in focosi barricaderi. A metà marzo hanno preso la parola... anzi, no... conoscendo bene i trucchetti autopromozionali delle avanguardie, hanno parassitato quella che era già nella testa di tutti e nel cuore della «racaille» delle periferie, impazzita un anno fa per il pezzo «Le monde ou rien» (il mondo o niente) di un gruppo rap franco-maghrebino. 

E, dopo aver cercato di cavalcare la protesta e disseminato i loro spot commerciali, si sono fatti prendere dalla smania di mettere un po' di sale politico nella zucca vuota di proposte degli insorti. Così, a metà aprile, hanno dispensato un saggio e strategico consiglio diffondendo «l'opinione minoritaria» di Eric Hazan, editore del Comitato Invisibile: è un errore detestare la polizia, bisogna operare una accorta distinzione fra sbirri cattivi da odiare e poliziotti buoni con cui fraternizzare. La sbalorditiva aberrazione è rimasta talmente minoritaria da spingere i neo-blanquisti a fare una rapida marcia indietro e a ripudiare ciò che loro stessi si erano premurati di rendere pubblico, ovvero che non proprio tutti odiano la polizia.

Ora, questi semplici esempi mostrano bene quale sia al tempo stesso il limite e la barriera contro cui si infrange ogni ondata di rivolta, dovunque essa si manifesti. Mettendo da parte la repressione, che in Francia si sta caratterizzando col fermo preventivo dei facinorosi già noti o durante le proteste con la tattica chiamata kettling - circondare, contenere e pressare da vicino i vari spezzoni delle manifestazioni, delimitandone lo spazio e l’agibilità al fine di sedarli -, ciò che ne spezza lo slancio è l'assenza di una prospettiva, di un orizzonte che sappia non solo ignorare, non solo disertare, ma anche contrapporsi risolutamente a una triste orbita istituzionale. 

Tra lotte costituenti e lotte destituenti cambia il vezzo formale, ma non la sostanza, giacché condividono tutte la stessa ossessione: sollevano la questione del rapporto fra autonomia e istituzioni al fine di conciliarle insieme. È anche per questo motivo che l'idiozia della «convergenza delle lotte» abbonda sulle labbra dei militanti. Chi ha interesse a reclamare questa convergenza è solo chi intende rappresentarne e gestirne il punto di incontro. Ma una simile pretesa, oltre a denotare i pruriti autoritari di chi l'avanza, è ridicola per ciò che sottende. 

Per qualcuno i vari conflitti oggi in corso sono deboli perché isolati, e quindi bisognerebbe affidare al sarto più abile il compito di ricucire assieme tutti quei fili separati. Ma è il tessuto dei fili ad essere scadente, mediocre, miserabile, e ciò è diventato talmente palese che l'idea di indossare quella stoffa non appassiona più nessuno. Al di là dei richiami di chi ne fa bottega, la si continua ad usare solo per assuefazione, per disperazione, per mancanza d'altro. Chi è rimasto a volerla davvero, questa vita di merda, a traboccare di desiderio per una carriera ed una pensione? Che la democrazia sia una buona ragione per cui vivere o morire lo possono forse pensare nei paesi che vivono da secoli sotto la tirannia, forse. Ma qui da noi... Qualcuno pensa di poter evitare la decomposizione di un cadavere imbalsamandolo con la formaldeide costituente, con la magia destituente, con l'applicazione di una cera «diretta»?

Quando si smette di battersi per la sopravvivenza della società che ci sta annientando, rimane solo la pura negatività ad alimentare la rivolta. Fine delle rivendicazioni, appunto. Fine del dialogo. Fine del consenso. Fine della politica. Ma che questa negatività sia condannata per forza di cose ad essere effimera, a bruciarsi nel giro di poche ore, di pochi giorni, o di poche settimane, che questa negatività non possa essere altro che un combustibile temporaneo, da maneggiare con cautela e solo quando non se ne può fare a meno, prima di fare ritorno a quello ufficiale: ecco quale sarebbe la peggiore rassegnazione. La ricreazione può non finire mai solo se la campanella viene messa fuori uso e, al tempo stesso, se il cosiddetto immaginario viene bonificato dalla menzogna societaria...


fonte: https://freeondarevolution.blogspot.it

fascino, Cade Hannan, David Harris e in mezzo fate voi



IN BED WITH

giovedì 26 maggio 2016

uccido bambini e progetto attentati, nel nome di Ishmael

L’omicidio rituale di un bambino precede sempre l’ammazzamento eccellente: lo anticipa, come un oscuro presagio. Prima, c’è il ritrovamento del piccolo ucciso. Poche ore dopo, ecco l’attentato. E gli inquirenti onesti, quelli che intuiscono la verità, vengono depistati e poi, sabotati, rimossi, liquidati. «Bravo, vedo che ha capito come funziona, quel sistema». Parola di Francesco Cossiga. All’altro capo del telefono, lo sbigottito Giuseppe Genna, autentico talento letterario, autore del thriller politico “Nel nome di Ishmael”. Un libro sconvolgente. Uscì nel 2001, ma sembra scritto ieri, anzi oggi, in quest’Europa tramortita dal terrorismo opaco firmato Isis, dietro cui si nascondono “menti raffinatissime”, con propensione a “firmare” le loro stragi secondo precisi codici esoterici, come nel caso delle mattanze di Parigi e Bruxelles, ispirate alle date cruciali dell’epopea dei Templari, fondamentale nel pantheon massonico. Tutto questo, in un mondo dal quale spariscono misteriosamente, ogni anno, migliaia di bambini. Un abisso di orrore, che collega terrorismo e potere, servizi segreti e super-élite, logge e sètte, geopolitica e oscure pratiche, basate sul valore magico attribuito ai sacrifici umani, a partire da quelli dei bambini.
L’infanticidio? Simboleggia morte e rinascita. Chi progetta un attentato, se ne “propizia” il successo alla vigilia, massacrando un neonato nel modo più atroce. E’ la legge di Ishmael, la piovra da incubo che il libro di Genna disvela, pagina dopo pagina. La Henry Kissingertrama è quella – potente, incalzante – del noir, giocato in modo perfetto sulla storia parallela di due poliziotti italiani, a quarant’anni di distanza l’uno dall’altro. Il primo è l’ispettore David Montorsi, che scopre un minuscolo cadavere in un campo da rubgy alla periferia di Milano poco prima che, nei cieli dell’Oltrepo Pavese, esploda in volo l’areo di Enrico Mattei, il patron dell’Eni: l’uomo che, da ex partigiano, aveva osato sfidare l’America, in piena guerra fredda. Il secondo è un altro detective della questura milanese, Guido Lopez, impegnato a proteggere l’anziano Kissinger al forum di Cernobbio, poco dopo aver scoperto – nello stesso campo da rugby – il cadavere di un altro minore, spaventosamente seviziato.
Proprio tra i vip planetari convenuti per Cernobbio, Genna fotografa un’epoca: «Bush e Gorbaciov, gli eroi del disgelo. Quello che era successo da dieci anni dipendeva da loro. Muro di Berlino, crollo della Russia, riforma dell’economia mondiale. Erano stati loro. Dopo di loro sarebbe stato l’impero del male: l’impero di Ishmael». Il libro di Genna è stato scritto prima ancora del G8 di Genova e dell’11 Settembre, i due eventi-chiave che hanno aperto il baratro della crisi, con la “guerra infinita” in mezzo mondo, la catastrofe finanziaria e il manifestarsi dell’élite neo-feudale globalizzata che ha raso al suolo quarant’anni di diritti sociali, in Occidente. Tredici anni dopo il thriller “Ishmael”, nel monumentale saggio “Massoni”, Gioele Magaldi rivela che lo stesso Gorbaciov fu affiliato alla superloggia segreta “Golden Eurasia”, mentre Bush padre aveva fondato la “Hathor Pentalpha”, Nel nome di Ishmaeldefinita “loggia del sangue e della vendetta”, molto più estremista (e feroce) della storica “Three Eyes”, ispiratrice dell’ultra-destra economica anglosassone, per decenni dominata da uno dei personaggi centrali del libro di Genna, Henry Kissinger.
I grandi globalizzatori? Anche spietati, certo. Ma non solo: attorno a loro, aggiunge Genna, c’è una nebulosa inquietante, profonda e buia, che caratterizza il Dna dei loro “mandanti” più reconditi, i veri “invisibili”, i super-potenti, quelli che restano al loro posto anche quando i loro politici sono tramontati. Il volto oscuro dell’élite: qualcosa di barbarico, anche. Una “chiesa” di dominatori sanguinari che – all’occorrenza – si procurano bambini da “sacrificare”. «Veramente profetico, Genna, per ammissione dello stesso Cossiga», racconta l’ex avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dei peggiori misteri irrisolti della cronaca italiana, dal Mostro di Firenze alle Bestie di Satana fino alla strana uccisione del piccolo Samuele Lorenzi a Cogne. Un intreccio di poteri occulti, istituzioni infedeli e servizi deviati, attorno a cui fioriscono rituali magici e codici simbolici attorno a crimini che sembrano assurdi, senza un movente.
E’ l’inferno che Genna chiama, semplicemente, “Ishmael”. Nel romanzo lo descrive come un vero e proprio cancro, inoculato dall’élite-ombra statunitense al tempo della sfida con l’Urss, scegliendo proprio l’Italia come fronte strategico da cui poi ingabbiare l’intera Europa. Per questo è così decisivo l’attentato a Mattei, fatto passare per incidente aereo. E sono pagine di altissima intensità quelle che Genna dedica al grande leader del riscatto italiano del dopoguerra. «Sappiamo di esserci, ma non Matteici siamo, a tutti gli effetti. L’Italia è questo qualcosa oltre il corpo e la mente, e la guerra che lui sta facendo è la costruzione di una salvezza», per proteggere il paese dal «regno arido, sormontato da potenze e da angeli oscuri», che è a tutti gli effetti l’America. «Bisogna salvare l’uomo, poiché l’uomo è pronto a divenire un americano e l’americano è pronto ad annullarsi. Annullata l’America, sarà annullata l’umanità. L’Italia, perciò, è l’idea della salvezza che è presente qui e sempre, ora, tra uomo e uomo, tra l’uomo e l’America».
Contro questa salvezza combatte “Ishmael”, facendo esplodere l’aereo del ribelle italiano, il condottiero spericolato e sognatore. Ma poi, la piovra – che si insinua fin dentro le questure e la magistratura del Belpaese, sotto l’occhiuta regia di autentici mostri di cinismo come Kissinger – pian piano sfugge al controllo dei suoi stessi creatori fino a metterli in pericolo, verso l’instaurazione totalitaria del “tempo di Ishmael”, la nuova epoca – questa – in cui non ci sarà più alcuna certezza, cadranno leggi e autorità, tutto il pianeta sarà preda di un’oligarchia potentissima e invisibile, inafferrabile, sempre pronta – all’occorrenza – a usare il terrorismo e l’omicidio, Giuseppe Gennaspesso facendo precedere gli attentati da agghiaccianti ritrovamenti di bambini rapiti dai pedofili, quindi abusati e martoriati dai neo-satanisti dell’élite-fantasma.
Una sequenza di morte, invariabilmente preceduta dal macabro rinvenimento della baby-vittima sacrificale. Nella “cronologia delle operazioni della rete Ishmael”, nell’appendice della fiction di Genna, trovano posto industriali, banchieri e tanti politici, uccisi o sfiorati dalla morte: il tedesco Adenauer e lo stesso De Gaulle, lo spagnolo Luis Carrero Blanco, e naturalmente Aldo Moro. Ci sono due Papi: Albino Luciani, morto, e Karol Wojtyla, ferito. E poi Roberto Calvi, Olof Palme, il craxiano Gabriele Cagliari. E ministri francesi, finanzieri di Stato tedeschi, la stessa Lady Diana. Cronometrico, nelle ore precedenti, il ritrovamento – non lontano – di un piccolo, a volte un neonato, ferocemente “sacrificato”. E’ la legge di Ishmael, scriveva Genna, quando ancora non era comparso un nome tanto simile, così ingannevolmente mediorientale: Isis.
(Il libro: Giuseppe Genna, “Nel nome di Ishmael”, Mondadori, 486 pagine, euro 10,50).

fonte: www.libreidee.org

martedì 24 maggio 2016

"la città organica" storia, urbanistica della civiltà Dauna

intervista all’autore del libro Antonio Matrella.


Architetto Matrella si è inoltrato indietro nel tempo per conoscere le origini e la storia del territorio della Daunia ed in particolare ha analizzato le origini di Foggia e di Troia, allora è proprio vero che la fondazione di Foggia risalgano ai tempi della scoperta delle tre fiammelle e cioè in epoca tardo-romanica?
Assolutamente no, le origini di Foggia come d'altronde di tutto il territorio della Daunia sono molto più antiche ne sono testimonianza i ritrovamenti archeologici datati ad oltre 10mila anni fa, nel periodo cosiddetto paleolitico, avvenuti sia all’interno dell’area urbana della Città sia nelle zone limitrofe nell’arco di 6-10 km, in particolare in località passo di corvo dove negli anni 90 una spedizione archeologica guidata dal prof. Tinè dell’università di Genova scopre il più antico insediamento agricolo d’Europa.
Il suo libro è stato considerato da alcuni studiosi come un libro sconvolgente che farebbe gelare le vene ai polsi ma perché ce lo spiega?
Forse perché metto in evidenza un vuoto culturale quando si parla delle nostre terre, come di chi volutamente preferisca tacere sul passato millenario di una civiltà sorta in questo luogo ma afflitta da innumerevoli sciagure che non hanno permesso una sistematica e coerente datazione. Prima di Arpi è Troia nome di antichissima origine le cui testimonianze rimangono nelle leggende e negli antichi poemi epici omerici, oggi sappiamo che le scoperte archeologiche di Schliemann non trovano corrispondenza scientifica nei luoghi delle coste turche dove si credeva fosse situata la città del passato, più di uno studioso ha smentito tale ipotesi, infatti l’insediamento scoperto in Turchia è poco più di un fortezza priva di abitato. L’unica città in possesso di questo antico nome è la Troia della Daunia, e come vedremo più avanti ha tutte le caratteristiche descritte dal poema omerico.



Tutti i libri di storia asseriscono che Troia è veramente esistita è si situa in territorio Turco, lei non è d’accordo?
Ormai si è certi che la città scoperta da Schliemann non è la Troia Omerica. Frank Kolb, storico dell’antichità e professore all’università tedesca di Tübingen afferma che nessuno degli insediamenti ritrovati ad Hissarlik, a ridosso della costa turca, ha le caratteristiche di una città, al massimo possiamo definirla una fortezza a difesa di una vasta area rurale. Kolb appare come l’anti-Schliemann e la scoperta di Troia risulta una mistificazione allo scopo di ottenere finanziamenti e notorietà, gli scavi hanno portato alla luce soltanto alcuni palazzi aristocratici e qualche casa. 
Dove vivevano i novemila abitanti ipotizzati dagli storici?
Virgilio ci da la descrizione precisa di come doveva essere la città, sulla base delle indicazioni omeriche e di descrizioni urbanistiche probabilmente risalenti a poemi perduti del Ciclo. Abbiamo poemi perduti che ci riportano di avventure simili, questo non deve stupirci, visto che era una regola per l’antichità che gli insediamenti non dovessero superare una certo numero di abitanti. L’Italia è disseminata di città fondate dagli Etruschi e dai Greci, insediamenti piccoli e grandi, semplici forti poi diventate città e la lotta tra popoli nemici per la conquista è accaduta svariate volte. L’Italia è da sempre luogo di incrocio di razze e culture diverse, le terre del sud ricevono l’impatto iniziale, e questo fatto ha modellato il carattere ed inclinazione del meridionale propenso ad accettare quello che viene, ad abituarsi al disagio, all’ accoglienza. Le genti del nord Italia, in apparenza più egoiste ben presto modificano il loro atteggiamento che tende anch’esso all’accoglienza e all’integrazione.
In ogni città dell’Occidente vi è l’immedesimazione con gli eventi narrati da Omero, per vantare l’origine antica del luogo. Da queste riflessioni possiamo affermare che il Mare Adriatico è stato da sempre teatro delle gesta di tanta umanità in diverse epoche, non distanti tra loro, ma lungo tutto l’arco del periodo delle conquiste italiche.
Per Virgilio Troia acquisisce una fisionomia definita: le testimonianze concordano nell’ubicazione di Troia su una collina di modesta altitudine, alle falde dell’Ida (attuale Torrente Vaccarella), circondata dal corso di ben otto fiumi Reso, Eptaporo, Careso, Rodio, Granìco, Esepo, Scamandro, Simoenta, attuali (t. Guenara, Triolo, Salsola, Candelaro, Celone, Cervaro e Carapelle) al centro di una fertile pianura e molto vicina al mare. Essa ci appare differenziata in una Asty (città fortezza) e in una polis, corrispondente alla città vera e propria.

La descrizione di Virgilio, rapportata alla geografia del Tavoliere prima dei mutamenti geologici subiti, avvalora ancor di più l’ipotesi che la Troia dell’antichità fosse quella situata nella Daunia. L’innalzamento della terra ha comportato la mutazione degli scenari della battaglia descritta da Omero tra Paride figlio del Re Priamo, e Menelao fratello di Agamennone (Iliade III-V-VI). Nella descrizione si racconta che la distanza tra la città di Troia e l’accampamento Greco nei pressi del mare, dovette essere percorsa almeno 6 volte dagli Achei e dai loro emissari, questo ci fa ritenere che questa non dovesse essere superiore ai 5/6 Km. Così si deduce che il mare 3200 anni fa penetrasse fino a 6 Km dall’attuale Troia, e poiché la leggenda ci parla anche del mostro del mare Bohu (tradotto dall’Ebraico al Latino Fochia - fossa, cavità) si può avanzare un’altra ipotesi che Foggia (Fochia) dovesse essere nell’antichità un lembo di terra all’interno della palude a comprendeva anche l’area archeologica di Arpi.
Una storia completamente cancellata come mai?
L’affermazione del potere della Chiesa ha comportato l’oscuramento del paganesimo, cancellando il passato di molti luoghi. Poi è sopraggiunta l’unità d’Italia e la cancellazione di gran parte della storia reale in favore di un racconto addomesticato che doveva deprimere il meridione d’Italia, capitò a proposito l’avventura di Schliemann e della scoperta del sito in Turchia, nascondere per comodamente gestire territori ridotti ai minimi termini, privi di cultura e di conseguenza da educare, niente di più sbagliato.
Come fa ad affermare che 3200 anni fa il Tavoliere era una laguna?
Quindicimila anni fa, durante l’ età della pietra, la presenza dell’ uomo era evidente lungo le falde rocciose del Gargano, con i reperti marini incastonati nella roccia a dimostrazione che il mare era molto più in alto di oggi. Questo avvalora l’ ipotesi secondo la quale il Gargano in origine era un’ Isola staccata di poco dal continente in modo che il mare, penetrando in profondità nelle pianure del Tavoliere conducesse una varietà e ricchezza incomparabile. Mentre le acque piovane scendendo copiose dai rilievi dell’Appennino rendevano rigogliosa la pianura per il pascolo dei cavalli ed armenti, l’umidità favoriva i boschi e le foresta a vantaggio dei cervi, cinghiali e uccelli migratori e predatori, dando luogo ad una bio diversità mai veduta in altro luogo.

fonte: https://alfredodecclesia.blogspot.it

non serviranno più password, PIN e chiavi grazie ai nuovi chip dermali NFC


Chip dermaleViene spacciata per “tecnologia amica”, un’idea che rivoluzionerà il nostro modo di vivere, e pare che proprio di rivoluzione si tratterà, visto che questa invenzione produrrà effetti sconvolgenti soprattutto in termini di libertà personale.
Di cosa si tratta?
Del progetto più scellerato che sia mai stato pensato. Ormai la notizia è abbastanza diffusa e comunque il concetto è già vagamente noto a chi possiede, ad esempio, un cane come animale domestico o una carta di identità di ultima generazione contenente dati biometrici.
La creazione di un database globale ottenuto schedando l’intera popolazione mondiale, ovvero, il desiderio di controllare abitudini, spostamenti e di influenzare emotività e capacità di scelta degli individui, è l’obiettivo da sempre auspicato da chi ha fatto del potere la propria ossessione. Fin dal momento in cui è stato concepito il piano era ben chiaro, sia pure con la consapevolezza che si sarebbe realizzato lentamente e solo una volta giunti all’adeguato livello tecnologico. Le sperimentazioni si protraggono ormai da diversi anni e oggi i tempi sono finalmente maturi per compiere i passi decisivi.
L’incombente crisi economica, il terrorismo e l’incremento della criminalità saranno i principali moventi per attuare questo spregievole progetto che consisterà nell’unificazione monetaria (propedeutica per un sistema basato esclusivamente sulla moneta elettronica) e nell’estorcere il controllo alle nazioni a pannaggio di un organo centrale che, grazie alle giuste tattiche, prenderà presto il sopravvento.
Lo scenario che si prospetta è quello di una dittatura orwelliana, dove il potere non è un mezzo ma il fine, che saprà trovare i pretesti per imporre e mantenere un superstato-fascista-globale che con gradualità finirà per annientare l’uomo e ogni sua espressione creativa. Il governo occulto che occupa i vertici del potere sa bene che le persone, una volta impaurite e messe di fronte a vere e proprie tragedie architettate, sono disposte a cedere di fronte all’offerta di una “sicurezza” che potrebbe anche privarli della libertà individuale. Il meccanismo è tanto semplice quanto efficace: creo il problema, piloto la reazione, offro la soluzione (problema-reazione-soluzione).
Agendo in sinergia con nanotecnologia, programmi avanzati per il controllo mentale (si ricorda il progetto MK-Ultra della CIA) e grazie all’imminente instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale, il piccolo impianto dovrebbe garantire ai nostri controllori il successo tanto ambito.
Come riportato dal quotidiano La Repubblica, sono arrivati sul mercato i chip dermali NFC, per dire addio a password, pin e chiavi. Al costo di un piercing
Dopo il VeriChip e l’RFID, quindi ecco i nuovi chip dermali NFC (Near Field Communication) che si iniettano sotto la pelle grazie ad un siringa.
Jonas, il nome è di fantasia, ha una trentina d’anni. È venuto al Cebit, la grande fiera tech di Hannover, in compagnia di un paio di amici. E qualche minuto fa, senza pensarci troppo, ha deciso: diventerà un cyborg. Allo stand della Dangerous Things, una “hacker-gadget company” di Seattle, il ragazzo si è presentato come volontario per farsi impiantare gratuitamente un chip NFC (Near Field Communication) sotto pelle. Un piccolo oggetto di vetro poco più grande di un chicco di riso, sparato da una siringa tra il pollice e l’indice della sua mano sinistra, che per una giornata dovrà essere protetto da garza e cotone. Perciò, per poterlo usare, Jonas dovrà aspettare almeno 24 ore: “Peccato. Volevo collegarmi subito al cellulare”.
Amal Graafstra, che della Dangerous Things è il fondatore, di chip ne ha quattro: il primo risale a otto anni fa, l’ultimo, l’unico sul polso, è ancora coperto da una benda. È il più recente ritrovato della compagnia, leggermente più grande del precedente ma più sottile, flessibile e potente. La pelle, sopra gli impianti, è liscia e senza screpolature. Solo facendo una leggera pressione si avverte la presenza di un corpo estraneo nel tessuto epidermico. “Grazie ai chip mi sono liberato di chiavi, password e pin”, spiega.
Con un solo gesto della mano Graafstra e i circa 10.000 impiantati con la sua tecnologia (ma i chip ordinati lo scorso anno sono stati 50.000) possono aprire serrature, mettere in moto veicoli, interfacciarsi con la Smart-Home, effettuare login a computer e smartphone, pagare in bitcoin. A due condizioni: che si trovino a meno di 4 centimetri di distanza dal dispositivo con cui desiderano interagire, e che il dispositivo usi il protocollo NFC (ormai diffuso su tutti gli smartphone).
Ancora lunga la lista delle precisazioni necessarie per incoraggiare un bacino di utenti potenzialmente grande, ma frenato da dubbi di natura medica, psicologica, persino morale. “Ci sentiamo un po’ come la Apple negli anni ’70” spiega Patrik Kramer, dell’azienda distributrice Digiwell. Ma non a tutti piace l’idea di considerarsi “cyborg”: i più, al Cebit, preferiscono paragonare l’impianto a una sorta di evoluzione tech del piercing. “La differenza però è che i chip non hanno effetti collaterali”, assicura Graafstra. Non a caso, in Germania, gli unici autorizzati a impiantare (ed espiantare) i chip oltre ai medici sono proprio i piercer professionisti: tutta l’operazione dura meno di cinque minuti, e in un paio di settimane la piccola ferita di circa un millimetro si rimargina completamente.
Anche i prezzi sono in linea con il cyberfashion. Dai 40 ai 70 euro, per chi desidera acquistare il “comfort kit” con tutto il necessario per l’operazione, siringa e guanti inclusi. Finanziati attraverso una campagna di crowdfunding, i microchip della Digiwell sono i primi a uso commerciale a utilizzare la comunicazione a corto raggio NFC, un perfezionamento della tecnologia madre RFID (Radio Frequency Identification) di cui si servono i chip VeriChip, Smart Tokens e micoID. La novità dei chip NFC consisterebbe in un’ottima velocità di trasferimento dati e buoni livelli di sicurezza, che ridurrebbero la possibilità di leggere e clonare i chip – vero punto dolente della tecnologia RFID. Quanto alla tracciabilità delle persone impiantate, argomento dibattuto tra appassionati e complottisti, “i nostri chip permettono l’identificazione delle persone – dice Graafstra – non la loro tracciabilità”.
C’è differenza, dunque, tra i chip RFID usati per ritrovare gli animali scomparsi e i chip NFC con cui il cyborg interagisce con le macchine. Al Cebit, oltre a Jonas, si fanno avanti altri sei volontari: “Sarà un successo se arriveremo a trenta”, dice Kramer. “Non abbiamo fretta. Siamo il futuro”, si un futuro di zombies lavoratori e schiavi, di cui il sistema di potere conoscerà tutti i movimenti e che potranno solo seguire le regole imposte, totalmente malleabili e mentalmente inerti nei confronti di un’esistenza che avrà ben poco di umano.
Cliccate qui per vedere alcuni video inerenti a questi chip.
Fonte tratta dal sito .
fonte: wwwblogdicristian.blogspot.it

venerdì 20 maggio 2016

tribù che non sanno che il resto del mondo esiste

Valentina Romano

Immaginate una vostra vita ancestrale direttamente in contatto con la natura sopravvivendo alle catastrofi naturali senza alcun aiuto da tecnologia e solide abitazioni.

Immaginate di andare indietro nel tempo, almeno di mille anni, quando le persone vivevano di tutto ciò che trovavano nelle foreste vicine, nei fiumi e nel mare.

Tutti i filmati che avrete visto in proposito mostravano come era la vita prima che si sviluppasse la civilizzazione, ma adesso voglio farvi un ritratto non tanto dello stile di vita seguito dagli esseri umani di quei tempi lontani ma bensì di alcuni gruppi tribali che vivono nei nostri giorni...

Amazon Forest Tribe

Niente elettricità, acqua potabile e tantomeno internet ma, cosa ancora più incredibile, nessuna idea del fatto che esista il resto del mondo.
In questo “pianeta” infatti esistono alcuni gruppi etnici che solo recentemente hanno scoperto che non sono gli unici esseri umani della terra!

New Guinea Tribe

Come sono riusciti a non avere alcun contatto con il resto del mondo fino a pochi anni fa? Come è possibile che non abbiano mai lasciato i loro villaggi per andare alla scoperta di nuovi territori?
Come hanno fatto a preservare le loro tradizioni culturali e la loro identità etnica fino ad oggi?

La Tribù Sentinelese

La Tribù Sentinelese si trova nella parte nord dell’isola Sentinel in India ed è chiamata così a causa del nome dell’isola poichè nessuno sa come questa gente chiami se stessa. Le informazioni riguardo questo gruppo tribale sono estremamente limitate poiché essi non hanno alcun tipo di contatto con il resto del mondo. Infatti ogni volta che un elicottero tenta di atterrare nell’isola Sentinel i sentinelesi iniziano a scagliare contro di esso le loro frecce. In base agli scritti di Marco Polo “questa tribù è fra le più cruente e brutali ed usa divorare chiunque si imbatta in loro”. In base a ciò, nessuno si è mai avvicinato a loro e per questo essi sono vissuti e ancora vivono completamente isolati dal mondo civilizzato; sanno che esiste ma non hanno alcuna intenzione di farne parte!
(Per approfondire: La misteriosa isola delle Sentinelese, la tribù primitiva che uccide chi prova ad avvicinarsi NdC )

I Korowai

La tribù Korowai vive in Papua, Indonesia. La prima volta che coloro che la compongono hanno scoperto l’esistenza del resto del mondo è stato nel 1970, quando un gruppo di archeologi si imbattè nella loro tribù durante una missione.
Anche se oramai i Korowai sanno dell’esistenza degli altri esseri umani, essi preferiscono vivere in pace e tranquillità senza disturbare gli altri gruppi etnici anche e soprattutto perché non vogliono a loro volta essere disturbati. 
Inoltre i Korowai sono convinti che il mondo verrà distrutto nel caso in cui cambiassero le loro tradizioni.


Old Believers

Old Believers è un gruppo che vive nella parte più isolata della Siberia. Essi provengono dalla setta religiosa russa denominata appunto “The Old Believers”, nata dalla scissione dalla Chiesa Russa avvenuta nel XVII secolo con l’obiettivo di creare una comunità religiosa migliore poiché essi erano convinti che ci fossero corruzione e malcostume in quella tradizionale. Da allora questo gruppo etnico ha vissuto completamente isolato da qualsiasi forma di civilizzazione, praticando i propri riti religiosi ogni giorno per secoli.

Ancora oggi queste persone non hanno alcun tipo di contatto con gli altri esseri umani se non della loro stessa tribù e vivono in modo totalmente naturale. Essi non hanno accesso all’elettricità, all’acqua calda ed a tanti altri confort della vita moderna nonostante vivano in Siberia che non è certamente una regione calda…


Mashco-Piro


Solo recentemente la tribù Mascho-Piro è stata avvistata nei pressi di un fiume in Perù. Nonostante essi siano vissuti nella giungla per secoli, hanno deciso di approcciare la civilizzazione solo negli ultimi anni. Non è ancora chiaro il motivo per il quale essi hanno deciso improvvisamente di mostrarsi al mondo ma fino ad ora sono apparsi sporadicamente solo per qualche minuto nei pressi del corso di questo fiume per poi scomparire nuovamente nella parte più profonda e fitta della foresta. 
Il governo peruviano ha emanato una legge che proibisce qualsiasi tipo di contatto con questa tribù in modo che essa non sia obbligata ad approcciarsi alla civilizzazione; quando e se i componenti della tribù Macho-Piro dovessero decidere di farlo, potranno essere loro a scegliere di fare il primo passo.
fonte: crepanelmuro.blogspot.it