giovedì 25 settembre 2014
Fontamara
Fontamara è il romanzo più noto di Ignazio Silone. Tradotto in innumerevoli lingue, ha ottenuto ampio riconoscimento di pubblico in tutto il mondo. La sua descrizione di un universo contadino, disperato ed immutabile nel tempo, ha trovato ampi riscontri in luoghi remoti rispetto alle montagne dell'Abruzzo, dove è ambientato il romanzo.
Fontamara è un paesino arretrato economicamente e tecnologicamente. Fontamara era e sarà uguale a sé stessa per sempre, non cambierà nulla e ogni anno sarà uguale a quelli precedenti e a quelli successivi: prima la semina, poi l'insolfatura, in seguito la mietitura e, infine, la vendemmia.
In questo universo contadino, sia le catastrofi naturali che le ingiustizie vengono subite passivamente; ecco perché nella premessa tutta la vicenda di Fontamara, ovvero la rivendicazione del diritto all'acqua, è definita "un fatto strano".
Semplice nella trama e nel linguaggio, il romanzo ha a volte il tono di una fiaba, ma assume nel complesso un aspetto epico.
Un altro aspetto del libro è la denuncia contro i potenti e le autorità.
L'azione di denuncia è volta anche contro il fascismo; infatti attraverso l'episodio di Berardo l'autore ci presenta la realtà della censura e dei tentativi d'insurrezione attraverso la stampa clandestina che incitava la gente alla disobbedienza e alla ribellione. Silone descrive anche l'aspetto violento di quell'epoca, ovvero la dura repressione contro i rivoluzionari attuata anche con la pena capitale.
Si scorge il sentimento religioso popolare quando nei dialoghi l'opera di deviazione del corso d'acqua è considerata un sacrilegio, un peccato contro Dio, poiché cambia la natura che Egli ha creato.
Trama
A partire dal 1º giugno del 1929 al paese di Fontamara (vicino Avezzano) non arriva più l'elettricità. Sperando di rimediare a questa “fatalità” ogni contadino firma una misteriosa “carta bianca”, portata loro da un graduato della milizia (il cav. Pelino), che, con il passare delle pagine, si scoprirà essere l'autorizzazione a togliere l'acqua per l'irrigazione portandola ad irrigare i possedimenti dell'Impresario, un “galantuomo” che era diventato podestà del capoluogo. Egli era un imprenditore appoggiato dal regime che si era impossessato della carica di primo cittadino, cercando di favorire i propri interessi in tutti i modi.
Svelato l'inganno, le donne fontamaresi si recano a casa dell'Impresario per tentare di convincerlo a ridare loro l'acqua, indispensabile per la loro sopravvivenza, ottenendo solo altri inganni (in un primo tempo l'avvocato Don Circostanza stabilisce che "tre quarti scorrano nel nuovo letto del fiume, mentre i tre quarti del rimanente continuino nel vecchio, cosicché ognuno abbia tre quarti", più avanti, di fronte alla pretesa dell'Impresario di avere in usufrutto l'acqua per 50 anni, lo stesso avvocato suggerisce di "ridure il termine a soli 10 lustri") che li lasciano senz'acqua e portano alla riduzione del loro salario (tranello sempre ordito dal medesimo avvocato).
Dai soprusi ottenuti con le parole, si passa quindi ai soprusi fisici, con una violenta incursione delle squadracce fasciste, inviate a Fontamara, per segnalazione del cav. Pelino, che aveva riscontrato comportamenti antifascisti. Allora Berardo Viola, l'uomo più forte e robusto del paese, in compagnia di uno dei narratori, decide di reagire tentando di trovare maggior fortuna fuori dal paese.
Durante il viaggio verso Roma egli si rende conto che, al di fuori di Fontamara, sono cambiate molte cose. Quando ormai è evidente il fallimento di Berardo, a cui viene negato il lavoro perché, in quanto fontamarese, è bollato come rivoluzionario, egli viene a conoscenza della morte di Elvira, la sua amata che egli avrebbe dovuto sposare non appena tornato dal suo viaggio in cerca di lavoro. Allora Berardo si convince che per lui la vita non ha più senso e decide di tornare a Fontamara.
Alla stazione di Roma però avviene una svolta: incontra un partigiano (l'Avezzanese), già conosciuto in Abruzzo, che lo mette al corrente dell'avvento del fascismo e dei molti altri cambiamenti avvenuti in Italia e sconosciuti da tutti i fontamaresi. L'incontro a Roma con l'Avezzanese gli apre gli occhi sulla realtà che tutti stanno vivendo e gli fa prendere coscienza della situazione politica attuale.
I due vengono arrestati per un equivoco e nel periodo in cui sono costretti alla convivenza in cella, il contadino sviluppa una notevole maturazione politica. Questo suo nuovo impegno morale lo porta ad autoaccusarsi di essere il “Solito Sconosciuto”, ossia un sostenitore attivo della resistenza. Dopo questa falsa testimonianza lui e il suo compagno di viaggio vengono torturati perché rivelino i nomi dei complici fino all'atroce e ingiusta morte, fatta passare per suicidio, di Berardo.
Venuti a conoscenza del fatto i fontamaresi fondano il “Che fare?”, un giornale in cui scrivono dei soprusi subiti e della ingiusta morte del loro compaesano, e lo portano nei villaggi vicini. La conclusione è tragica in quanto il regime decide di punire tutti i fontamaresi mandando una squadra della Milizia che fa strage di abitanti. Per fortuna però alcuni fontamaresi si salvano, e tra questi vi sono i tre narratori della storia che scappano all'estero dove incontrano (fittiziamente) l'autore e raccontano le loro vicissitudini.
Premesse
Scritto in esilio nel 1930, Fontamara è il primo dei libri con cui Silone, che ha abbandonato una militanza politica attiva, continua il suo impegno morale e civile con la letteratura. In primo luogo Silone ci rende nota la tremenda differenza tra quelli che chiama "cafoni", ovvero i contadini poveri che popolano sia Fontamara sia tanti paesi simili in tutto il mondo che lavorano la terra non per guadagnare, ma per sopravvivere, che si sforzano di estinguere i debiti contratti per superare l'inverno precedente, che parlano solo dialetto, che sono ricchi se hanno un asino o un mulo; ed i cittadini che cambiano il mondo, lasciando i Fontamaresi spettatori.
Silone osserva che le discrepanze sono così notevoli che le due categorie costituiscono addirittura due razze distinte, diverse persino nel linguaggio; un cittadino e un cafone potranno parlare per ore senza comprendersi: per loro è impossibile discutere. Non è così, invece, tra i cafoni del resto del mondo che costituiscono un'unica razza e nella comunicazione riescono a superare le barriere linguistiche e intendersi a meraviglia.
Il personaggio che incarna il potere è quello dell'Impresario, abile uomo d'affari che ha saputo costruire la propria ricchezza in pochi anni, mentre la gente comune gettava il sangue sulla terra da secoli senza riuscire a racimolare qualche soldo per migliorare le proprie condizioni.
Per questo motivo i contadini sostengono, invidiosi, che egli abbia trovato l'America a Fontamara, e i più sospettosi arrivano a supporre che egli sia il diavolo in persona.
L'autore, inoltre, ci narra delle tante burle dei cittadini ai danni dei Fontamaresi, come quando le donne intenzionate a parlare col podestà si recano al municipio e vengono derise da chi sostiene che porterebbero solo i pidocchi nello stabile, o come nell'aneddoto del parroco e dell'asino.
Commento
Il narratore è interno e rappresentato da una famiglia di “cafoni”, i cui membri (gli zii di Elvira), sono Matalè, il marito Giuvà e il loro figlio che hanno ormai raggiunto in esilio l'autore, si alternano a raccontare, in un lungo flashback, ciascuno le proprie esperienze.
I personaggi
I “cafoni” sono i miseri poverelli contadini meridionali proprietari al massimo di un asino o di un mulo, non hanno mezzi per difendersi e vivono in una perpetua ignoranza di cui approfitta persino colui che è considerato “l‘amico del popolo”, Don Circostanza, che rappresenta insieme la difesa e la rovina dei fontamaresi; la loro vita si ripete uguale di generazione in generazione segnata dal lavoro e dalla fatica. Essi sono consapevoli della disperata condizione in cui vivono, come spiegano ad un forestiero... nel brano ci sono dei personaggi insoliti
« In capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo.
Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch'è finito. »
(da "Fontamara")
Il nome Fontamara racchiude in sé già un destino di sventure e sofferenze, inventato appunto dall'autore per rispecchiare meglio la realtà del paese. Quasi tutti i nomi dei personaggi del romanzo non sono casuali: Don Circostanza, infatti si adegua alle diverse situazioni tenendo prima la parte dei contadini, quindi quella degli agiati cittadini, cercando sempre un tornaconto personale; Don Abbacchio il prete, richiama il verbo “abbacchiare” infatti egli non farà altro che deprimere i poveri abitanti della Marsica, ignorando persino il suicidio di Teofilo, sacrestano della chiesa di Fontamara; Don Carlo Magna è il ricco proprietario terriero; l'Impresario, il podestà abile a speculare su alcuni terreni acquistati da don Carlo Magna a poco prezzo e sui quali farà deviare l'acqua del ruscello di Fontamara riducendo alla miseria i cafoni; Innocenzo La Legge, il messo incaricato di portare i nuovi ordinamenti dalla città.
Berardo Viola, protagonista maschile del romanzo, è l'eroe del paese, violento ma altruista è il primo a sacrificarsi tra i cafoni per il bene della collettività: i cafoni infatti erano stati raggirati di continuo ed ogni appello ai notabili del paese risultava inutile poiché questi difendevano sempre gli interessi del ricco podestà, si ritrovavano così sempre più poveri ma ognuno non aveva pensato che al proprio appezzamento di terra, a sé stesso. Attraverso il suo personaggio Silone sembra sottolineare il bisogno che qualcuno muova all'azione, ponga fine alla totale indifferenza dei “cafoni”, sempre più sfruttati e tenuti nell'ignoranza dal nuovo regime che li induce lavorare in modo duro ed estenuante.
I cafoni non avevano mai rappresentato una vera minaccia per i gerarchi della potente città, da cui erano sempre stati osteggiati grazie alla cultura ed all'ingegno ma, nel momento in cui provano anche questi ad avvicinarsi al mondo scritto, sentiti come una forte minaccia vengono rapidamente fatti scomparire.
Lo stile
Si noti che Silone scrive in maniera molto leggibile, narrando l'azione in maniera umile, questo perché, come teorizza Dante Alighieri, lo stile deve adattarsi all'argomento, e se si parla del mondo agricolo, allora anche la forma sarà umile.
Sul piano linguistico prevale una costruzione paratattica del periodo con un linguaggio piuttosto semplice e colloquiale che rispecchia l'ignoranza in cui vivono i contadini, mentre i cittadini più istruiti ed importanti si esprimono in una forma più ricercata e arricchita anche da citazioni e vocaboli latini.
Una sottile ironia diffusa attenua, talvolta, la tragicità di alcuni momenti. Ciò avviene ad esempio quando si riportano le riflessioni dei Fontamaresi, gli scherzi, gli abusi, che evidenziano l'ingenuità dei protagonisti.
Rispetto a Il segreto di Luca la denuncia nei confronti dell'ingiustizia diventa più ampia, da un singolo individuo ad un intero paese, alle ingiustizie che i suoi abitanti sono costretti a subire.
Pubblicazione dell'opera
L'opera non fu subito pubblicata in Italia, dal momento che non sarebbe stata gradita dal regime fascista. La prima pubblicazione infatti avvenne in Svizzera in lingua tedesca; la prima edizione in italiano fu del 1933 (Parigi: N.E.I. - Nuove edizioni italiane), ma fu pubblicata solo all'estero. Per avere l'edizione in italiano anche in Italia, bisognerà aspettare il 1947, addirittura molto tempo dopo l'edizione in esperanto pubblicata nel 1939 nei Paesi Bassi.
Veridicità del romanzo
Nella sua premessa al romanzo Silone non esclude di essersi ispirato ad eventi realmente accaduti e rimasti nei ricordi del suo subconscio. Tra i paesi che possono rivendicare il verificarsi di eventi simili a quelli raccontati su Fontamara, il più simile al romanzo è il Comune di Treglio. Nel 1906, infatti, la sorgente presente nella valle tra le Contrade San Giorgio e Pagliarone fu venduta dall'allora Sindaco di Treglio totalmente al Comune di San Vito Chietino per realizzare l'acquedotto comunale dello stesso, senza tenere in minimo conto delle esigenze e dei diritti dei "cafoni" che abitavano nelle vicinanze della sorgente (diritti riscontrabili anche dagli atti di concessione di livello da parte del Vescovo di Ortona, barone di Treglio). Gli abitanti delle suddette contrade patirono anni di dure ristrettezze che sfociarono in una rivolta, con feriti e condanne penali nel 1919. Grazie alle dure proteste, i contadini coinvolti riuscirono ad ottenere la realizzazione di due fontane: la Fonte di Pagliarone e la Fonte posta sotto il paese. A sostegno della tesi che fossero i fatti relativi alla sorgente di Pagliarone quelli che hanno ispirato a Silone il romanzo Fontamara vi è il fatto che, originario del vicino paese di Rocca San Giovanni e sicuramente a conoscenza dei fatti relativi alla stessa, era l'onorevole comunista Ettore Croce, decano dei comunisti abruzzesi e tra le conoscenze di Silone, nel periodo della sua militanza comunista.
Il paese dove i fatti sono ambientati, è quello del suo paese natìo, Pescina. A sostegno di quanto detto, troviamo dei riferimenti tuttora esistenti nel paese marsicano, sopravvissuti al terremoto del 1915, in particolare il campanile della Chiesa di S. Berardo ["La parte superiore di Fontamara è dominata dalla Chiesa col campanile e da una piazzetta a terrazzo, alla quale si arriva per una via ripida che attraversa l'intero abitato..."], che è un nome tuttora diffuso a Pescina, ed è anche quello con cui viene chiamato il protagonista del romanzo. Ai piedi della Chiesa, è da notare, si trova sepolto lo scrittore per sua espressa volontà. Non dimentichiamo però che ai piedi di Pescina scorreva il fiume Giovenco, altra probabile fonte d'ispirazione per la stesura del romanzo.
Fontamara in altri media
Dal romanzo è stato tratto il film Fontamara di Carlo Lizzani. La vicenda di Berardo è inoltre ripresa da I ratti della Sabina nella canzone La morale dei briganti.
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