venerdì 5 settembre 2014

Umberto Galimberti



 è un filosofo, psicoanalista e docente universitario italiano.

Fino al 1978 è insegnante di filosofia al Liceo Ginnasio Zucchi di Monza, anche se nel frattempo (1976) diventa professore incaricato di antropologia culturale presso la neonata Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, ove oggi non insegna più poiché è andato in quiescenza.

Conosce e frequenta regolarmente Karl Jaspers, di cui diventa uno dei principali traduttori e divulgatori italiani. Diviene professore associato di filosofia della storia nel 1983 ed è ordinario di filosofia della storia e di psicologia dinamica dal 1999. Ha insegnato inoltre filosofia morale. Dal 1985 è membro ordinario dell’International Association for Analytical Psychology. È inoltre dal 2003 vicepresidente dell’Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica “Phronesis”.

Ha collaborato con Il Sole 24 Ore dal 1987 al 1995, e successivamente con La Repubblica sia con editoriali su temi d’attualità sia con approfondimenti di carattere culturale. Cura inoltre la rubrica epistolare di “D, La Repubblica delle Donne”, inserto settimanale de La Repubblica. Nel 2002 gli è stato assegnato il premio internazionale “Maestro e traditore della psicanalisi”.

Pensiero

« E se "filo-sofia" non volesse dire "amore della saggezza" ma "saggezza dell'amore", così come "teologia" vuol dire discorso su Dio e non parola di Dio, o come "metrologia" vuol dire scienza delle misure e non misura della scienza? Perché per filosofia questa inversione nella successione delle parole? Perché in Occidente la filosofia si è strutturata come una logica che formalizza il reale, sottraendosi al mondo della vita, per rinchiudersi nelle università dove, tra iniziati si trasmette da maestro a discepolo un sapere che non ha nessun impatto sull'esistenza e sul modo di condurla? Sarà per questo che da Platone, che indica come condotta filosofica "l'esercizio di morte", ad Heidegger, che tanto insiste sull'essere-per-la-morte, i filosofi si sono innamorati più del saper morire che del saper vivere? »

(Umberto Galimberti, La Repubblica 12 aprile 2008)

Il tempo ciclico nell'età dei greci, e la sua caduta nell'età della tecnica[modifica | modifica sorgente]
Galimberti, ereditando tematiche già toccate da Emanuele Severino e Martin Heidegger, approfondisce la tematica del concetto di tempo e del suo rapporto con l'uomo. La sua indagine evidenzia come nell'età degli antichi greci non si pensasse al tempo come lineare ed escatologico, tanto meno vi era associata l'idea di progresso. Essi concepivano il tempo come kyklos, come un ciclo in cui ogni evento è destinato a ripetersi. Nella Grecia antica era impensabile che l'uomo potesse esercitare un controllo sul cosmo, o di imporre su di esso i propri fini. La dimensione dell'uomo era inserita armonicamente all'interno dei cicli naturali che si susseguivano necessariamente e senza alcuno scopo. Nel ciclo infatti il fine (in greco telos) viene a coincidere con la fine e la forza propulsiva (in greco energheia) porta all'attuazione dell’ergon, l'opera, ciò che è compiuto.

Il ciclo si manifesta dunque con l'esplicitarsi dell'implicito: il seme diventerà frutto solo alla fine del ciclo di crescita e maturazione stagionale, ed il frutto coinciderà con il fine del seme, con il dispiegarsi completo dell'energia e delle potenzialità implicitamente contenute in esso. Nel ciclo, in cui tutto si ripete, non si dà progresso: di conseguenza divengono fondamentali la memoria dei cicli passati e quindi la parola dei vecchi, deposito di esperienza, e l'educazione, come trasmissione della memoria e dell'esperienza passata. Tuttavia, l'uomo è da sempre tentato di conciliare il tempo ciclico della natura con il tempo umano, che è un tempo scopico (dal greco skopeo, che indica un guardare mirato). Con questa operazione l'uomo vuole reintrodurre scopi umani nel tempo naturale, naturalmente privo di scopi. Emerge qui dunque la necessità propriamente umana di progettarsi, cioè di gettarsi-fuori di sé verso un obiettivo, cercando di dotare di senso la propria esistenza. Questa tendenza tuttavia, può armonizzarsi con il kyklos solo se l'uomo vive con la consapevolezza tragica di non poter oltrepassare i limiti posti dalla natura, primo tra tutti la sua mortalità. In caso contrario, egli si macchierà di hybris, la tracotanza, l'unico vero peccato riconosciuto dalla saggezza greca.

In termini esemplificativi, il cacciatore esercita il suo guardare mirato nel bosco (skopos) e solo in questo tempo progettuale e nella compresenza di mezzi e fini, il suo arco diventa strumento e la lepre l'obiettivo. Si tratta di un tempo lineare che si muove tra due estremi: i mezzi ed i fini. V'è tuttavia un terzo elemento che si inserisce tra questi termini, impossibile da controllare, ovvero il Kairos, il tempo opportuno, che è anche imprevedibilità, e che può determinare o meno l'incontro tra mezzi e fini. Non è dunque nelle possibilità dell'uomo il tessere il proprio destino. Egli deve saper cogliere il kairos, la circostanza favorevole, ed in essa espandere sé stesso.

Questo equilibrio tra tempo naturale, umano e del kairos è stato sconvolto dall'uomo nell'età della tecnica: obiettivo di quest'ultima è infatti quello di ridurre fino ad annullare la distanza tra mezzi e scopi (in cui si inseriva il kairos, l'imprevedibile) per realizzare così un controllo ed un dominio assoluti sul mondo, che da cosmo a cui accordarsi è divenuto natura da dominare, e per portare a compimento una tirannia completa del tempo umano. Con l'età della tecnica abbiamo scatenato il Prometeo che gli dèi avevano incatenato, determinando il trionfo del potere della techne sulla necessità (in greco ananke) della natura, fino alla paradossale situazione odierna in cui la tecnica non è più strumento nelle mani dell'uomo ma è l'uomo a trovarsi nella condizione di mero ingranaggio, funzionario inconsapevole dell'apparato tecnico.

Il Corpo: il gioco dell'ambivalenza e l’equivalente generale

Riflettendo sulle modalità in cui l'uomo abita il mondo, Galimberti approfondisce il tema del rapporto tra corpo, natura e cultura. Studiando genealogicamente il concetto di corpo dal periodo arcaico ad oggi, il filosofo mette in contrasto le diverse modalità in cui esso è stato osservato. Il corpo è stato visto come organismo da sanare per la scienza, come forza lavoro da impiegare per l'economia, come carne da redimere per la religione, come inconscio da liberare per la psicoanalisi, come supporto di segni da trasmettere per la sociologia.

Il passaggio che ha portato l'uomo dalla natura alla cultura ha sancito il sacrificio del significato ambivalente e fluttuante che il corpo ha da sempre assunto. Questa ambivalenza del corpo nasce dal suo sottrarsi all'univocità del pensiero categorizzante, concedendosi invece nella con-fusione dei codici con i quali esso è costituito. Per salvarsi dal panico creato da questa opportunità, il pensiero razionale dell'Occidente ha seguito il principio d'identità, collocando il corpo di volta in volta sotto un equivalente generale che gli garantisse univocità.

Cogliendo lo sfondo in cui il corpo si mostra, Galimberti evidenzia la legge fondamentale che lo governa, ovvero lo scambio simbolico, in cui tutto è reversibile e non vi è demarcazione tra significati. L'ambivalenza è una legge inclusiva per cui ciò che è, è sì se stesso, ma anche altro da sé. In questo modo il corpo conserva la sua oscillazione simbolica tra vita e morte: oscillazione che l'Occidente elimina tracciando una violenta disgiunzione tra vita e morte, tra ciò che è e ciò che non è. Proposito conclusivo della sua riflessione è quello non tanto di emancipare o liberare il corpo dalla restrizione impostagli dal pensiero razionale (che non avrebbe altro effetto che confermare i limiti in cui è recluso), bensì quello di restituire il corpo alla sua originaria innocenza.

Le accuse di violazione dei diritti d'autore e il richiamo dell'Università[modifica | modifica sorgente]
Nel luglio del 2011 Umberto Galimberti è stato ufficialmente richiamato dall'Università di Venezia, di cui è uno dei professori, a volersi attenere alle corrette regole di citazione degli scritti di altri autori.

Tutto ha avuto inizio quando in seguito a un articolo de il Giornale dell'aprile 2008 è emerso che il professor Galimberti avrebbe copiato "una decina di brani" dell'autrice Giulia Sissa per il suo L'ospite inquietante. Galimberti ha ammesso di aver violato il copyright riservandosi di riparare al danno. Ciò non ha comunque soddisfatto la Sissa perché «quello di Galimberti non è stato un chiedere scusa, piuttosto un cercare delle scuse, un patetico arrampicarsi sugli specchi».

Con il passare dei giorni sono emersi altri precedenti analoghi. Infatti anche per Invito al pensiero di Martin Heidegger (1986) Galimberti copiò parti significative di un libro del collega Guido Zingari. I due arrivarono a un accordo che prevedeva l'ammissione da parte di Galimberti dell'indebita appropriazione intellettuale nelle successive edizioni del libro e Zingari si impegnasse "a non tornare più sulla questione". Oltre a Giulia Sissa e Guido Zingari sono stati copiati testi di Alida Cresti, Salvatore Natoli e Costica Bradatan, professore della Texas Tech University.

Per difendersi, a Sassuolo, al Festival filosofia 2008 sulla Fantasia, Galimberti disse che "in ogni rielaborazione però, c'è uno scatto di novità".

L'inchiesta giornalistica de Il Giornale ha accusato Galimberti che due dei suoi libri, presentati al concorso per il ruolo di professore ordinario di Filosofia morale all'Università Cà Foscari di Venezia, nel 1999, fossero copiati da altri autori. La commissione giudicante composta da Carmelo Vigna, Giuseppe Poppi, Andrea Poma, Bianca Maria D’Ippolito e Francesco Botturi all’epoca non si accorse del fatto. Il rettore del'Università veneta in merito ha detto che "non ho, ora come ora, estremi per sollecitare il ministero, deve essere un professore del raggruppamento a farlo. Di mio posso dire che in ambito umanistico si producono troppi testi e che questo è uno dei fattori che causano l’impossibilità di fare controlli accurati. Nello specifico, secondo me dovrebbe essere lo stesso Galimberti, nel suo interesse, a chiedere la convocazione di un giurì o comunque a rispondere e a specificare le sue posizioni...».

Nel giugno 2010 la rivista L' Indice dei libri del mese ha pubblicato nel proprio sito un lungo articolo su altri copia-incolla di Galimberti. In particolare il saggio I miti del nostro tempo è, stato indicato come costituito al 75% da un "riciclaggio" di suoi scritti precedenti, alcuni dei quali risalenti persino agli anni ottanta, per il restante 25%, una ristesura di intere frasi e paragrafi, presi da altri autori, quasi identici agli originali.

Sulla questione Gianni Vattimo ha dichiarato al Corriere Della Sera: «Si scrive anche a distanza d'anni dalla lettura; la spiegazione di Galimberti è plausibile. Lui cita l'autore la prima volta; poi ci mette quelle frasi che ricorda anche senza virgolettarle» e «Il sapere umanistico è retorico. Noi si lavora su altri testi, si commenta. Platone e Aristotele sono stati saccheggiati da tutti. Nei saperi umanistici, dal diritto e alla teologia, è tutto un glossare. C'è chi copia dagli altri e chi da se stesso».

Anche lo scrittore Vincenzo Altieri ha effettuato studi approfonditi e circostanziati sui plagi di Umberto Galimberti.

Opere

Heidegger, Jaspers e il tramonto dell’Occidente, Genova, Marietti, 1975; Milano, Il Saggiatore, 1996.

Linguaggio e civiltà. Analisi del linguaggio occidentale in Heidegger e Jaspers, Milano, Mursia, 1977; 1984.

Psichiatria e fenomenologia, Milano, Feltrinelli, 1979; 1999.

Il corpo. Antropologia, psicoanalisi, fenomenologia, Milano, Feltrinelli, 1983; (Premio internazionale S. Valentino d’oro, Terni, 1983)

La terra senza il male. Jung: dall'inconscio al simbolo, Milano, Feltrinelli, 1984; 2001. (premio Fregene, 1984)

Antropologia culturale, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, I, Le discipline, Torino, UTET, 1985,

Cultura, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, II, I concetti, Torino, UTET, 1985.

Morte, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, II, I concetti, Torino, UTET, 1985.

Invito al pensiero di Martin Heidegger, Milano, Mursia, 1986.

Gli equivoci dell'anima, Milano, Feltrinelli, 1987.

L'immaginario sessuale, con Willy Pasini e Claude Crèpault, Milano, Cortina, 1988.

Il gioco delle opinioni, Milano, Feltrinelli, 1989.

Idee: il catalogo è questo, Milano, Feltrinelli, 1992.

Dizionario di psicologia, Torino, UTET, 1992; 1994.

Parole nomadi, Milano, Feltrinelli, 1994.

Paesaggi dell'anima, Milano, A. Mondadori, 1996.

Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica, Milano, Feltrinelli, 1999.

Enciclopedia di psicologia, Milano, Garzanti, 1999.

E ora? La dimensione umana e le sfide della scienza, con Edoardo Boncinelli e con Giovanni Maria Pace, Torino, Einaudi, 2000.

Orme del sacro. Il cristianesimo e la desacralizzazione del sacro, Milano, Feltrinelli, 2000. (premio Corrado Alvaro 2001)

La lampada di Psiche, Bellinzona, Casagrande, 2001.

I vizi capitali e i nuovi vizi, Milano, Feltrinelli, 2003.

Le cose dell'amore, Milano, Feltrinelli, 2004.

Il tramonto dell'Occidente nella lettura di Heidegger e Jaspers, Milano, Feltrinelli, 2005.

Filosofia e biografia, con Luca Grecchi, Pistoia, Petite Plaisance, 2005.

La casa di psiche. Dalla psicoanalisi alla pratica filosofica, Milano, Feltrinelli, 2005. (premio internazionale Cesare De Lollis 2006)

L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 2007.

Il segreto della domanda. Intorno alle cose umane e divine, Milano, Apogeo, 2008. Milano, Feltrinelli, 2011.

La morte dell'agire e il primato del fare nell'età della tecnica, Milano, AlboVersorio, 2008.

I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009.

Il viandante della filosofia, con Marco Alloni, Roma, Aliberti, 2011.

Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto, Milano, Feltrinelli, 2012.

Opere complete

È in corso di ripubblicazione nell’Universale Economica Feltrinelli l’intera opera galimbertiana, a volte riveduta e/o accresciuta.

Sono finora usciti i seguenti volumi:

Opere. Vol. I-III. Il tramonto dell'Occidente nella lettura di Heidegger e Jaspers.
Opere. Vol. IV: Psichiatria e fenomenologia.
Opere. Vol. V: Il corpo.
Opere. Vol. VI: La terra senza il male. Jung: dall'inconscio al simbolo.
Opere. Vol. VII: Gli equivoci dell'anima.
Opere. Vol. VIII: Il gioco delle opinioni.
Opere. Vol. IX: Idee: il catalogo è questo.
Opere. Vol. X: Parole nomadi.
Opere. Vol. XI: Paesaggi dell'anima.
Opere. Vol. XII: Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica.
Opere. Vol. XIII: Orme del sacro. Il Cristianesimo e la desacralizzazione del sacro.
Opere. Vol. XIV: I vizi capitali e i nuovi vizi.
Opere. Vol. XV: Le cose dell'amore.
Opere. Vol. XVI: La casa di psiche. Dalla psicoanalisi alla pratica filosofica.
Opere. Vol. XVII: L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani.
Opere. Vol. XVIII: Il segreto della domanda. Intorno alle cose umane e divine.
Opere. Vol. XIX: I miti del nostro tempo.

Trasmissioni televisive

Le Storie di Corrado Augias. Umberto Galimberti discute del suo libro L'ospite inquietante.
Le Storie di Corrado Augias. Umberto Galimberti discute del suo libro Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto.

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