martedì 25 agosto 2015

emorragie terrestri

Quando si parla di consumi idrici siamo istintivamente portati a pensare a quanta acqua utilizziamo per i fabbisogni personali e viene in mente quanto abbiamo appreso dagli studi fatti o attraverso la lettura di specifici articoli e cioè che ogni essere umano ha bisogno di pochi litri di acqua al giorno per compensare le perdite dovute ai normali processi fisiologici.

Dopo queste prime riflessioni siamo portati a considerare la nostra vita domestica e tutta l’acqua che dilapidiamo per cucinare, per la pulizia personale, della casa e degli indumenti. Molti di noi successivamente riflettono sui potenziali consumi generati dall’industria e dal settore agricolo (attività agronomiche e zootecniche) e solo qualcuno riesce ad ipotizzare i consumi idrici dovuti al terziario (scuole, ospedali, uffici vari, caserme, attività commerciali, ecc.) di cui tutti usufruiamo. Ma quasi nessuno arriva a capire che la maggior parte dei consumi idrici sono dovuti alla nostra alimentazione. Può sembrare strano e quasi impossibile eppure è proprio così. 


Secondo i dati ISTAT il consumo giornaliero medio reale di acqua nei Comuni si aggira intorno ai 160-180 litri procapite. Questo valore può sembrare esorbitante, ma in realtà rappresenta solo un “piccolo numero” nell’oceano della cosiddetta “Impronta idrica italiana” (volume di acqua dolce impiegato per produrre beni e servizi) che in Italia è pari a oltre 130 miliardi cubi l’anno cioè a un consumo di circa 6 mila litri di acqua al giorno per persona!

Per limitare questa “emorragia di acqua” sono state avviate, e tuttora sono in essere, parecchie campagne informative, ma quasi tutte erano e sono basate su una comunicazione poco esatta infatti in questa si sono lanciati imput quasi esclusivamente sui consumi domestici facendo credere alla popolazione che i consumi globali dell’acqua sono generati soprattutto da un mal uso che si fa di questa nell’ambito delle mura delle proprie case. Insomma ci hanno fatto credere che chiudendo il rubinetto mentre ci laviamo i denti o laviamo le stoviglie, che facendo docce meno durature o facendo un minor numero di lavaggi con lavatrici e lavastoviglie avremo dato un forte contributo ai consumi idrici. 


Niente di più falso 

In quanto nessuno ci ha mai detto che i consumi domestici di acqua incidono su circa il 4% del nostro bilancio complessivo quindi anche a seguito di una forte contrazione di questi consumi si potrebbe agire su piccoli valori, lo dimostra il fatto che a seguito di questa incessante comunicazione sul consumo idrico si è passati da 206/litri/abitante/giorno del 2002 agli attuali 160-180 litri (cioè si è registrata una riduzione di circa il 15% sulla quota dell’impronta idrica domestica che come detto risulta essere pari al 4% del totale)!

Con ciò non si vuole affermare che i messaggi di questo tipo rivolti alla popolazione siano completamente sbagliati e forvianti bensì che bisognerebbe indirizzare la comunicazione verso altri fronti! Ma quali? Sull’industria o sull’agricoltura?

Bé, senza alcun dubbio, appare evidente che riducendo il galoppante consumismo (tutti comperiamo beni di cui non abbiamo un reale bisogno se non quello indotto dalle mode e/o dalla pubblicità) ed effettuando un razionale uso agronomico dell’acqua si inciderebbe più proficuamente sui consumi idrici. Il Rapporto UE del 2007 e poi quello del 2012 sulle “Potenzialità di risparmio idrico in agricoltura” hanno permesso di evidenziare che il prelievo totale annuo di acqua dell’UE è di circa 247.000 milioni di metri cubi di cui il 44% viene impiegato nel comparto energetico, il 24% in attività agronomiche e zootecniche, il 17% per il rifornimento idrico pubblico di acqua potabile e 15% per le attività industriali.

Appare chiaro che in Europa la principale fonte di consumo idrico è rappresentata dalla produzione di energia e successivamente dall’agricoltura; quindi, ritornando alla comunicazione al cittadino, sarebbe sicuramente più proficuo dare messaggi tipo “riduci i consumi energetici in ambito domestico” attraverso un uso più razionale della corrente elettrica (lavaggi in lavatrice e in lavastoviglie a temperature più basse, spegnere le luci quando non necessarie, ecc.).

Per quanto concerne l’agricoltura si può agire su due fronti: sulla produzione e sui consumi (diretti e soprattutto su quelli indiretti).

Va subito specificato che non bisogna assolutamente agire riducendo i consumi procapite dei prodotti orto-frutticoli, anzi questi andrebbero privilegiati in virtù degli apporti indispensabili di sostanze nutritive per l’organismo umano (vitamine, sali minerali, antiossidanti, ecc.) bensì si dovrebbe agire sulla quota di proteine e grassi di origine animale che ogni giorno consumate.

Può sembrare bizzarro, ma per avere una gestione sostenibile dell’acqua, limitando la pressione che le attività agricole e zootecniche hanno sui corpi idrici (acque superficiali e sotterranee), bisogna ridurre, se non eliminare, i consumi di carne e dei suoi derivati.

Quasi nessuno ci dice che le vostre abitudini alimentari incidono drasticamente sull’Impronta Idrica soprattutto attraverso i cresciuti consumi di carne avvenuti negli ultimi decenni. Per produrre una bistecca di carne di circa 300-400 grammi (ottenuta attraverso allevamenti intensivi, attualmente i più frequenti) ci vogliono approssimativamente 1.000 litri di acqua! 


Appare chiaro che il consumo di cibi, e quindi le differenti abitudini alimentari dell’italiano medio (dieta molto ricca di carne bovina e suina), implicano un impatto idrico molto forte e spesso trascurato dalla popolazione che spinta dall’informazione fondata soprattutto sul risparmio idrico in ambito domestico non considera la propria alimentazione come fattore importantissimo per tutelare le risorse idriche. Sarebbe quindi auspicabile che le future campagne informative sul risparmio idrico siano più protese a quest’aspetto piuttosto che considerare e soffermarsi su “quanto tempo rimane aperto un rubinetto mentre ci laviamo i denti”! 

Senza entrare nel merito degli utili vantaggi salutari che si avrebbero, rimane importante il fatto che la nostra Dieta Mediterranea non solo risulta essere sana e utile al mantenimento della salute, ma incide veramente poco sull’impronta idrica.
Sentiamo continuamente il mantra: "bisogna produrre più cibo per sfamare una popolazione che nel 2050 sarà tra i 9 e i 10 miliardi". È un mito. 

Già ora produciamo abbastanza cibo per sfamare 14 miliardi di persone. Eppure oltre 800 milioni soffrono ancora la fame. Non c’è una crisi di produzione, ma di qualità, in declino a causa dell’agricoltura industriale, e di accessibilità al cibo. L’agricoltura industriale basata sull’uso di fertilizzanti e pesticidi chimici, tecniche che danneggiano il suolo, crudeltà sugli animali, e sprechi mette a rischio la nostra capacità futura di sfamare il mondo.

In Brasile i terreni a pascolo sono stati convertiti in campi per coltivare soia destinata agli allevamenti industriali europei, e gli allevatori di bestiame brasiliani sono costretti a spingersi sempre più all’interno della foresta, devastandola per far posto al bestiame. È un effetto domino. Eppure un quarto della terra utilizzabile del pianeta è costituita da pascoli, che sono ovunque. Perché sprecare preziosa terra arabile coltivando mangimi per animali al confino. Meglio riportarli fuori nei pascoli, che sono anche un mezzo per sequestrare anidride carbonica. La natura non ama le monoculture, l’agricoltura industriale sì, perché costano meno e non hanno bisogno di lavoratori.

A questo punto la disamina sulle implicazioni che l’alimentazione ha sull’acqua sembrerebbe terminata, ma in realtà se così fosse l’indagine appena fatta sarebbe “monca” poiché non è stata trattata la problematica definita “inquinamento”. Infatti con un’alimentazione di tipo occidentale si intensificano le produzioni agricole per produrre i foraggi destinati agli animali d’allevamento e ciò spesso porta ad un maggior uso agronomico di pesticidi e di fertilizzanti chimici che possono incidere sull’inquinamento idrico (per approfondire vedi La Cospirazione delle Mucche).

Un esempio di quanto scritto sono la presenza di nitrati (NO3–) e nitriti (NO2–), composti adoperati per intensificare la qualità e quantità dei prodotti agricoli, nelle acque superficiali e soprattutto di falda. Queste sostanze possono determinare seri problemi alla salute umana sui quali non ci soffermeremo.

Per quanto concerne l’analisi dei pesticidi presenti nei corpi idrici risulta molto utile il “Rapporto nazionale pesticidi nella acque – dati 2011-2012”, edizione 2014, redatto dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) in collaborazione con le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente (ARPA) e delle Agenzie Provinciali per la Protezione dell’Ambiente (APPA) che hanno effettuato indagini e analisi sul territorio.

La normativa considera sia i “prodotti fitosanitari” (sostanze utilizzate per la protezione delle piante e per la conservazione dei prodotti vegetali – Reg. CE 1107/2009) che i “biocidi” (sostanze impiegate in diverse attività quali disinfezione, preservazione, uso non agricolo, ecc. – Reg. UE 528/2012) come pesticidi. Attualmente vengono adoperate in agricoltura circa 400 sostanze e nel 2012  sono state vendute 134.242 tonnellate di prodotti fitosanitari.

Nel rapporto è emerso che delle sostanze cercate (attraverso quasi 28 mila campioni per un totale di 1.208.671 determinazioni analitiche) su tutto il territorio nazionale (anche se alcune regioni quali il Molise e la Calabria non hanno fornito dati) nelle acque superficiali sono stati trovati pesticidi nel quasi 57% dei punti controllati mentre nelle acque sotterranee (anche nelle falde profonde e quindi spesso considerate protette) sono risultati contaminati il 31% dei punti. Anche se le concentrazioni rilevate spesso sono basse, i dati rendono evidente la diffusione dell’inquinamento. Delle 175 sostanze rilevate predominano gli erbicidi (spesso utilizzati nei periodi di maggiori precipitazioni meteoriche che ne determinano la lisciviazione e trasporto nei corpi idrici sotterranei e soprattutto in quelli superficiali) e risultano più presenti gli insetticidi e i fungicidi.

L’area più contaminata da pesticidi è la pianura Padano-Veneta sia a seguito delle caratteristiche idrogeologiche dell’area che per l’intensa attività agricola.

Nelle acque sotterranee il 6,3% dei punti di monitoraggio esaminati (152 punti) hanno evidenziato concentrazioni superiori ai limiti di legge (soprattutto di bentazone, terbutilazina, metalaxil, atrazina come coda di una contaminazione di vecchia data in quanto non più utilizzabile, atrazina-desetil, oxadiaxil, imidacloprid, bromacile, 2,6-diclorobenzammide e metolaclor) mentre nelle acque superficiali si sono riscontrati valori oltre i limite di legge del 17,2% (253) dei punti esaminati (principalmente di glisofate e il suo metabolita AMPA, metolaclor, triciclazolo, oxadiazon, terbutilazina e il suo principale metablita).

Le vendite dei prodotti fitosanitari hanno registrato una forte diminuzione e soprattutto dei “molto tossici e tossici”, considerati i più pericolosi; però si ha un incremento di vendite di quelli “nocivi”. Questi valori principalmente sono dovuti alle recenti norme UE che indirizzano verso una difesa fitosanitaria a ridotto impatto. Dal rapporto emerge la crescente presenza nelle acque di più sostanze contemporaneamente (una sorta di “pericoloso cocktail”) di cui non si conoscono i reali rischi per l’ambiente e per la salute umana.


Bisogna però considerare che le norme UE potrebbero venire aggirate se verrà firmato il famoso trattato TTIP tra Usa ed Europa.  

Gli organismi geneticamente modificati sono a pieno titolo sul tavolo negoziale dell’accordo di libero scambio con gli USA, come dimostrano alcune email ottenute tramite il Freedom Information Act Corporate Europe Observatory. I messaggi raccontano di un incontro fra lobby dell’industria e delegati europei a Washington, mostrando la strategia delle multinazionali del biotech: esse stanno spingendo per ottenere che i prodotti transgenici cosiddetti di “prossima generazione” sfuggano alla legislazione europea in materia e vengano perciò autorizzati senza alcuna etichettatura.

In parole povere, non solo c’è il pericolo che alimenti geneticamente modificati si riversino nei nostri confini con l’approvazione del TTIP, ma addirittura si rischia di non poterli riconoscere perché potrebbero non essere segnalati. A questo punto, anche il consumatore più attento potrebbe acquistare OGM senza saperlo.


L’industria sostiene che la semplificazione delle procedure promossa dal TTIP per snellire i commerci non costringerebbe l’Unione Europea a cambiare le proprie leggi più cautelative. Ma questa non è una garanzia: i regolamenti possono essere lasciati intatti e bellamente aggirati, tramite il meccanismo di mutuo riconoscimento proposto dalle lobby. Questa formula implicherebbe l’accettazione di prodotti fabbricati negli Stati Uniti anche secondo prescrizioni diverse da quelle comunitarie.

Attualmente l’Unione Europea tollera soltanto OGM per alimenti e mangimi elencati nel registro europeo e la loro presenza deve essere obbligatoriamente dichiarata in etichetta se superiore allo 0.9%. Molti rappresentanti politici eletti dagli Stati membri, Italia compresa, affermano che l’agricoltura di qualità non verrà intaccata dal TTIP e che gli OGM non sono oggetto di trattativa. Queste affermazioni, al momento non sono suffragate da prove. Anzi, semmai sono da esse smentite.

Le colture OGM, più che una tecnologia agricola, sono uno strumento corporativo di controllo dell'agricoltura. Mai nella storia dell'agricoltura e dell'alimentazione c'è stata una maggiore concentrazione dei semi, la chiave di tutta la catena alimentare, nelle mani di così poche corporazioni. I sei più grandi produttori di prodotti agrochimici controllano a livello mondiale il 76% del mercato globale dei pesticidi. Gli stessi sei sono tra le più grandi corporazioni di semi a livello mondiale, controllando il 60% di questo mercato. E queste sei controllano il 100% del mercato globale delle sementi transgeniche.


Non vi è dubbio che coloro che traggono i maggiori vantaggi dalle colture OGM sono le 6 società che controllano il 100% delle sementi transgeniche a livello globale: Monsanto, Syngenta, DuPont, Dow AgroSciences, Bayer, BASF.

Mai prima nella storia dell'alimentazione si era verificato un tale grado di concentrazione delle imprese in un settore essenziale per la sopravvivenza. Questa configurazione spiega anche che gli OGM comportano un enorme aumento dell'uso di pesticidi, in quanto è ciò che dà loro maggiori profitti: il mercato della vendita di pesticidi è molto superiore a quella delle vendite di sementi.

L'industria biotech sostiene che gli OGM sono le coltivazioni "più analizzate" della storia. E' falso perché i paesi in cui sono stati autorizzati, si sono basati sugli studi e le conclusioni delle stesse imprese. In Europa, dove sono necessari ulteriori studi, praticamente non si coltivano transgenici e molti paesi europei hanno scelto di vietarne anche la semina.

La realtà è che le colture OGM sono piene di incertezze e di rischi per la salute e per l'ambiente e non forniscono alcun vantaggio rispetto alle colture già esistenti. L'unica ragione per cui sono sul mercato è che le imprese guadagnano profitti più elevati, anche se è un prodotto peggiore degli ibridi già esistenti, e per la diversità di terreno e delle variazioni climatiche e geografiche dove operano la stragrande maggioranza dei piccoli agricoltori nel mondo, non funziona nemmeno.


In tutto il mondo, le indagini confermano che la stragrande maggioranza dei consumatori non vuole mangiare OGM. Le aziende lo sanno, e per questo si oppongono all'etichettatura dei loro prodotti, spendendo decine di milioni di dollari per impedirlo. Se gli OGM non dovessero comportare un danno, come essi sostengono, non dovrebbero avere alcun problema alla loro etichettatura!
La stragrande maggioranza di contadini e contadine si oppongono agli OGM, perché rappresentano una minaccia alla loro precaria situazione economica, trasferendo i mercati, contaminando i loro semi, la terra e l'acqua. I piccoli fornitori di cibo (contadini, orti urbani, ecc) sono quelli che nutrono oltre il 70% della popolazione mondiale. L'industria degli OGM li espelle e minaccia i loro semi e metodi di produzione attraverso molti canali, e quindi aumenta la fame e la malnutrizione più di quanto qualsiasi seme tecnologico "miracoloso" potrebbe diminuirla.

La realtà è che gli OGM servono in larga parte per nutrire animali non persone. E quelli resistenti ai pesticidi finiscono per dar vita a un circolo vizioso che alla fine porterà a un maggiore uso di pesticidi.

Bisogna riconoscere che viviamo in una grande illusione. Il sistema economico si fonda sull’idea di una crescita infinita, in un mondo dalle risorse limitate che stiamo velocemente depauperando. Ci servono 2 pianeti per sostenere il nostro stile di vita, che diventeranno 4 se non cambiamo rotta. Il cibo lo paghiamo tre volte: la prima alla cassa del supermercato, la seconda attraverso le tasse che in Europa finiscono nei sussidi all’agricoltura, la terza per i costi di pulizia dell’ambiente inquinato dall’agricoltura industriale e per curare la nostra salute, minata da un’alimentazione di scarsa qualità.

È importante pensare a soluzioni olistiche ai problemi complessi che abbiamo di fronte. In verità non è neppure un problema complesso. In fondo è davvero semplice: l’agricoltura industriale più che produrre cibo lo spreca. E lo fa in modo dannoso. Quindi la soluzione è abbandonare l’agricoltura industriale, e chiedere ai governi occidentale di smetterla di promuovere un sistema agricolo fallito anche nei paesi in via di sviluppo. Non ha funzionato per noi, perché dovrebbe funzionare per loro?


Ci sono molte alternative di sistemi agricolivari e più in sintonia con la natura, che non creano dipendenza dalle multinazionali, che rafforzano la sovranità, la biodiversità, e le varie forme di sviluppo locale, che favoriscono i "poveri" in campagna e in città, aumentando le opportunità di lavoro, i mercati e le agroindustrie locali, senza rischi per la salute e per l'ambiente, e sono molto più economiche. All'occorrenza c'è sempre la dieta pranica...

Riferimenti:


fonte: freeondarevolution.blogspot.it

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