sabato 26 novembre 2016

Thomas Mann e il prossimo Hitler invocato da noi umiliati

Il romanziere tedesco Thomas Mann era «cittadino di un popolo che nel 1925 ancora rappresentava un apice della civiltà e della cultura mondiale». Solo vent’anni dopo, «divenne uno degli abomini della civiltà mondiale». Cosa lo trasfigurò a tal punto? La crisi. Che è sempre “indotta” e trasferisce immense ricchezze nelle mani di pochi, impoverendo tutti gli altri. Dopo la Brexit e l’exploit di Trump, Paolo Barnard invita a rileggere il Thomas Mann che rievocava «la follia dell’iperinflazione tedesca», capace di tracciare «una linea diretta» verso il Terzo Reich: «In quei giorni la negoziante che senza battere un ciglio chiedeva 100 milioni di marchi per un uovo, dimostrava che nulla più al mondo l’avrebbe potuta scioccare». Fu durante la crisi, aggiunge Mann, che «i tedeschi persero la capacità di confidare in se stessi, e impararono ad aspettarsi ormai qualsiasi cosa dalla politica, dallo Stato, dal destino». Milioni di cittadini, «rapinati dei loro stipendi e risparmi, divennero le masse su cui lavorò Goebbels». Oggi ci risiamo? Deflagra «la furia sommessa di centinaia di milioni di occidentali», verso l’avvento del prossimo Hitler: «Trump, Le Pen, Hofer, Orbán, Petry o Wilders sono per adesso solo il primo tratto di quella linea».
La crisi della Repubblica di Weimar, scrive Barnard nel suo blog, insegna che «quando i popoli si sentono traditi e abbandonati proprio dalle classi politiche che avrebbero dovuto proteggerli», finisce che «si gettano per esasperazione nelle Thomas Mannmani del vendicatore, quello che poi fa l’Apocalisse». La negoziante tedesca citata da Thoman Mann oggi «rappresenta i milioni di noi», ormai rassegnati «alla morte dei redditi, delle pensioni, di ogni singolo diritto che fino a ieri sembrava scontato», consapevoli che i bambini «saranno servi delle gleba, letteralmente», e che «dei milionari non-eletti sono il loro vero governo», mentre «il politico di casa non può più neppure parlare, senza il permesso di cento cravatte blu a Bruxelles o a Manhattan». I cittadini «si lamentano, disperati»? Vengono «tranciati a metà da parole come razzista, fascista, retrogrado, nemico della modernità, ignorante bifolco» che non capisce le “riforme”. Sono centinaia di milioni, oggi, quelli ridotti come la negoziante tedesca di Thomas Mann: «Lo siamo, e ormai siamo impossibili da scioccare, non spostiamo più un gomito». Però «siamo furenti, come lo erano i tedeschi allora».
Ieri come oggi, la crisi priva i cittadini di ogni «capacità di confidare in se stessi». Anche la crisi di Weimar, da cui nacque la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, fu innescata  «dalla consapevole follia predatoria delle potenze, senza la minima considerazione dei costi sugli esseri umani». Nel 1919, ricorda Barnard, un giovane brillante economista della delegazione inglese al Trattato di Versailles – dove i vincitori della Prima Guerra Mondiale decisero le sanzioni e la spoliazione della Germania – rassegnò le dimissioni orripilato. Scrisse un volume storico chiamato “Le Conseguenze Economiche della Pace”, dove denunciò la follia predatoria degli Alleati, denunciò che nulla veniva fatto per l’occupazione in Europa, e avvertì che il popolo tedesco sarebbe stato schiacciato delle austerità impostegli. Predisse il peggio, e indovinò tutto. Era John Maynard BarnardKeynes, il maggior economista del ‘900. Siamo di nuovo lì: la finanza-barracuda «non ha un secondo di considerazione per i costi umani sui popoli, sulle classi medie ormai divenute straccioni, sugli anziani, sugli ammalati, sui bambini».
Oggi, come allora, l’espressione “piena occupazione” è scomparsa anche dai sindacati, non solo da Washington o da Bruxelles. Entrambe le crisi sono «alimentate dalla pervicace insistenza delle potenze nel ripetere gli errori micidiali e il sadismo sociale». L’economista americano Randall Wray, sempre nel parallelo fra Weimar e oggi, scrive: «Il Trattato di Versailles fu una follia sanguinaria dei vincitori, ma ci ricorda adesso il comportamento della Germania della Merkel ai danni del Sud Europa». Pervicace insistenza nell’errore, appunto: «Guardate oggi cosa gracchiano la Ue o ancora i democratici americani dopo Brexit e Trump», sono «recidivi fino al crimine contro l’umanità». E’ un’Europa che, «invece di capire il ‘Quarto Reich’ in arrivo, fa le riunioni per punire Brexit e Trump, tutti a culo in aria di fronte al volto deforme di Angela Merkel». E Obama? Dopo aver «distrutto la vita di milioni di americani», ancora fa lezioncine contro “il nazionalismo populista”, applaudito dal solito codazzo italiano («De Benedetti, Pd, Benigni, Saviano, Severgnini, Travaglio, Vincenzo Boccia, il “Sole 24 Ore”»), mentre intanto «la furia sommessa di oceani umani cresce», avvicinando «l’Apocalisse di un nuovo Hitler». E’ un vecchio film: «Abbiamo già visto a cosa poi si abbandonano i milioni di furenti, impoveriti, esclusi, ridicolizzati e ignorati quando arriva l’uomo forte. Si abbandonano alla “politica della mannaia”, quella che li vendica, certo, ma mozza teste, diritti, ricchezza, intelligenza, compassione e civiltà senza più distinguere nulla».

fonte: www.libreidee.org

Stefi, gettyimages, Catherine Cabrol, Tony Barson Archive


Facebook collabora con il governo di Israele per stabilire cosa deve essere censurato


facebookisraelecensura
DI GLEEN GREENWALD
theintercept.com
Una seria controversia e’ scoppiata la settimana scorsa quando Facebook ha cominciato a cancellare tutti i post contenenti la foto iconica della “Ragazza del Napalm” vietnamita in base al fatto che violerebbe le condizioni riguardo l’uso di immagini di nudità di minori. Facebook ha persino rimosso un post del Primo Ministro norvegese, che aveva caricato una foto di protesta di questo atto censorio. Non appena le reazioni di oltraggio si sono diffuse, Facebook ha cambiato idea e ha ammesso “la storia e l’importanza a livello globale di questa immagine nel documentare un particolare momento storico”. In qualche modo, però, l’episodio fornisce un altro esempio dei pericoli che si corrono nel lasciare ad un nugolo di aziende tech come Google, Facebook e Twitter, la decisione ultima su ciò che possiamo o non possiamo vedere.
Ora che Facebook si è risollevata da questo atto di censura, sembra che si sia buttata a capofitto in un altro. L’Associated Press riporta da Gerusalemme che oggi (12 Settembre, NdT) il governo di Israele e Facebook hanno raggiunto un accordo su come trattare, congiuntamente, l’incitamento alla violenza e all’odio, sul social media. Questi meetings si stanno tenendo in questi giorni, mentre il governo sta mettendo a punto un disegno di legge per costringere i social network a limitare i contenuti che Israele indica incitare alla violenza. In altre parole Israele sta per costringere Facebook, per legge, a censurare i contenuti che le autorità politiche israeliane considerano “improprio”, e Facebook appare reagire con entusiasmo a questa minaccia lavorando direttamente col governo di Israele per determinare quale contenuti debbano essere censurati.
Non è necessario aggiungere che l’operazione di censura congiunta tra Isreele e Facebook sarà diretta ad Arabi, Mussulmani, e Palestinesi che si oppongono all’occupazione Israeliana. L’articolo di AP è chiaro sul punto: “Israele ribatte che l’ondata di violenza con i Palestinesi negli anni recenti è stata alimentata dall’incitamento avvenuto in gran parte sui social media.” Come riporta Alex Kane su The Intercept di giungo, Israele ha attivamente monitorato i contenuti pubblicati dai Palestinesi su Facebook e in alcuni casi arrestato individui per i loro post di natura politica. L’ossessione Israeliana per il controllo dell’uso dei social media da parte dei Palestinesi è motivata dal fatto che Facebook ha giocato un ruolo chiave nell’organizzare gruppi politici che si oppongono all’occupazione. Come scrive Kane: “Una dimostrazione contro l’occupazione di Israele può essere organizzata in una manciata di ore, mentre il monitoraggio dei Palestinesi può essere condotto più facilmente grazie all’impronta digitale che questi lasciano nei loro portatili e cellulari.”
Da notare che in questo meeting con Facebook, Israele era rappresentata dal Ministro di Giustizia Ayelet Shaked, un estremista a tutti gli effetti, il quale ha precedentemente dichiarato che non crede in uno Stato Palestinese. E’ stato Shaked che ha proposto “una legislazione atta a costringere i social network a rimuovere contenuti che Israele considera di incitamento”. Recentemente ha fatto notare, con orgoglio, come Facebook sia già molto “in regola” con i diktat della censura di Israele: “negli ultimi 4 mesi, Israele ha trasmesso a Facebook 158 richieste di rimozione di contenuti, e Facebook ha accettato il 95% dei casi.”
Tutto questo non fa altro che riportare all’attenzione i serissimi pericoli di avere le nostre dichiarazioni pubbliche sotto il controllo e la responsabilità di un piccolo numero di giganti tech, senza un mandato democratico. Suppongo che qualcuno sia confortato dall’idea che managers benevoli come Mark Zuckenberg ci proteggeranno dai discorsi di incitamento all’odio. Però, parole come “terrorismo” non hanno un significato fisso; sono costantemente malleabili e soggette a manipolazioni per scopi propagandistici. Puoi dire di fidarti veramente di Facebook o del governo di Israele nel giudicare quando un post Palestinese contro l’occupazione sia considerato “incitamento alla violenza e odio”?
Mentre l’attenzione si concentra sull’ “incitamento” dei Palestinesi, è in realtà molto frequente l’uso che gli Israeliani fanno di Facebook per incitare alla violenza sui Palestinesi, incluso l’incitamento alla vendetta degli Ebrei che vivono negli insediamenti contro i Palestinesi quando vi sono attacchi a Israele. Come ha fatto notare recentemente il Washington Post “I Palestinesi hanno anche loro messo in rilievo il fatto che i social network incitano alla violenza e diffondono una propaganda d’odio, razzismo e discriminazione nei confronti dei Palestinesi.”
Nel 2014, migliaia di Israeliani hanno usato Facebook per pubblicare messaggi in favore dell’assassinio dei Palestinesi. Quando un soldato dell’IDF nei territori occupati fu arrestato l’anno scorso per aver ucciso, senza motivo e con un colpo in testa, un Palestinese ferito a terra, il soldato ha usato Facebook per lodare il gesto e giustificare quella violenza, con tutta la cricca di soldati Israeliani accorsi in suo supporto. Persino lo stesso Ministro Shaked, adesso parte del governo che deve decidere sulla censura, ha usato Facebookper pubblicare messaggi incredibilmente estremisti, violenti, e di una retorica rabbiosa anti-Palestinese. Il Primo Ministro Netanyahu e altri ministri del suo gabinetto hanno fatto lo stesso. Al Jazeera America ha riportato nel 2014:
I messaggi d’odio contro gli Arabi pubblicati su Facebook si sono tradotti in atti di violenza sulle strade di Gerusalemme nel momento in cui gli estremisti Israeliani hanno fomentato la violenza e provocato caos. Questa violenza è poi circolata, di ritorno, nei video di YouTube eFacebook, i quali mostrano centinaia di gruppi di Israeliani cantare con rabbia “Morte agli Arabi”, in cerca di Palestinesi da attaccare”. Il video di un Ebreo Israeliano che attacca un Palestinese in un autobus pubblico, gridando “Sporco Arabo, sporco Arabo, assassino di bambini” è emerso da Tel Aviv. E altri video che mostrano le forze di sicurezza Israeliane usare una forza eccessiva su un ragazzino Israelo-Americano in manette, vien da chiedersi chi fosse in realtà ad incitare la violenza:

VIDEO https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=rImgsRg-a-8
C’e’ qualcuno che riesca ad immaginare il fatto che Facebook possa rimuovere messaggi di importanti figure Israeliane che fanno appello alla violenza o oppressione sul popolo Palestinese? Allo stesso modo, chi può minimamente immaginare Facebook cancellare i messaggi di Americani o Europei che chiedono guerre di aggressione o altre forme di violenza contro paesi Mussulmani, o paesi che criticano le politiche occidentali? La risposta è ovvia. Facebook è una azienda privata la cui missione legale è quella di massimizzare i profitti, e quindi interpreterà concetti scivolosi come “discorsi d’odio” o “incitamento alla violenza” per far piacere a coloro che detengono il potere. E’ quindi inconcepibile il fatto che Facebook possa minimamente sognarsi l’idea di cancellare questo tipo di difesa e incitamento alla violenza:
Facebook è sotto la pressione di vari governi per cancellare contenuti non graditi a questi ultimi. Gli Stati Uniti e Gran Bretagna hanno recentemente lanciato una campagna di veleni contro aziende di Silicon Valley ritenute essere di supporto ai terroristi o all’ISIS, per il solo fatto di essersi rifiutate ad avere un ruolo piu’ attivo nel bandire contenuti che questi governi considerano “terroristici”. Israele è stata particolarmente aggressiva nel tentare di dare la colpa a Facebook per gli atti di violenza e quindi costringerla a venire al tavolo. Famiglie Israeliane i cui membri sono stati uccisi dai Palestinesi stannoportando in tribunale Facebook con l’accusa di aver facilitato questi attacchi. Alcuni hanno persinoaccusato Facebook di essere sbilanciata contro Israele nelle sue attività di censura dei contenuti.
In tutto questo, The Intercept ha inviato le seguenti domande a Facebook, ma ancora non abbiamo ricevuto risposta. Aggiorneremo questo articolo se succederà:
1) Ha Facebook mai incontrato leader Palestinesi in uno sforzo congiunto per identificare e sopprimere messaggi di Israeliani che incitano alla violenza? Avete in programma di farlo?
2) Se un Israeliano dichiarasse apertamente un attacco o bombardamento della Palestina, questo post violerebbe i termini d’uso di Facebook? E’ stato mai rimosso un tale contenuto?
3) Quale ruolo, esattamente, gioca il governo Israeliano nell’aiutare Facebook ad identificare i contenuti da bandire?
4) Facebook ha dichiarato che ha “approvato il 95% delle richieste di rimozione dei contenuti” dagli ufficiali Israeliani. Quale percentuale di simili richieste da parte Palestinese è stata approvata?
5) Se qualcuno dice che l’occupazione Israeliana è illegale e deve essere fatta resistenza con ogni mezzo, è questa una dichiarazione permessa?
E’ vero che queste aziende private abbiano il diritto legale di censurare quello che vogliono. Ma questo fatto ignora il controllo (mai avuto prima da nessuna azienda) che un così piccolo gruppo di corporazioni possono esercitare sull’informazione a livello globale. Che questa attività di censura sia parte dei diritti concessi alle corporazioni non li assolve dai seri pericoli che queste aziende pongono, per le ragioni descritte sopra. (E’ di oggi la notizia che Twitter ha bandito un gruppo Scozzese a favore dell’indipendenza della regione dopo che ha criticato l’articolo di un giornalista di un tabloid, il quale si era lamentato di essere stato “maltrattato verbalmente”).
Non è una esagerazione dire che Facebook, in questo momento, è di gran lunga la forza più dominante nel giornalismo. Ed ecco perché è incredibilmente significativo vederlo al lavoro in collusione con governi nel censurare i contenuti degli oppositori di questi governi. Ma come spesso succedere con la censura, la gente la approva fino a quando non vengono toccati contenuti che sui quali sono d’accordo ideologicamente.
Una delle vecchie promesse di Internet era nella sua capacità di livellare le disparità, di dare a coloro senza potere la possibilità di parlare tanto liberamente e efficacemente quanto quelli che il potere lo detengono. E, in ultima analisi, di potersi organizzare politicamente in maniera più efficace. Coloro che difendono l’opportunità di aziende come Twitter e Facebook di censurare contenuti, stanno mettendo seriamente in discussione questi valori, non importa quanto nobili siano i loro intenti. E’ difficile immaginare uno scenario più lontano da questi principi di uguaglianza di quello di un gruppo di funzionari governativi Israeliani e managers di Facebook mettersi d’accordo su ciò che i Palestinesi sono autorizzati (o non autorizzati) a dire.
Fonte:  https://theintercept.comhttps://theintercept.com
Link: https://theintercept.com/2016/09/12/facebook-is-collaborating-with-the-israeli-government-to-determine-what-should-be-censored/
12.09.2016
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di COLOSSEUM
http://comedonchisciotte.org/facebook-collabora-governo-israele-stabilire-cosa-deve-censurato/
fonte: https://alfredodecclesia.blogspot.it

giovedì 17 novembre 2016

è guerra alla libera informazione




E' GUERRA ALLA LIBERA INFORMAZIONE: 
Sequestrato il blog di Alessandro Carluccio



Le Iene non ci stanno, quando tocca a loro essere le "vittime" allora passano alle maniere forti: querele, denunci e censura!

 A farne le spese il blogger indipendente Alessandro Carluccio che si è visto chiudere il sito, e a breve forse anche la pagina Facebook e il canale YouTube... 

La Procura di Brindisi su ordine delle Iene ha provveduto al sequestro del sito indipendente, un vergognoso attacco all'informazione libera gestita da un normale cittadino, e quindi non "finanziata" e non diretta da terzi ignoti, come invece accade per l'informazione "ufficiale".

Il  provvedimento è stato emesso d’urgenza (interessante notare come la giustizia si muova veloce quando si tratta di punire i pesci piccoli...) per una "grave accusa di diffamazione" da parte di Carluccio nei confronti degli inviati di Le Iene, Giovanna Palmieri e Nicolò De Vitis, che lo hanno denunciato.

Io ho visto personalmente il suo video tempo fa e sinceramente non ho notato nessuna diffamazione, ma al contrario ho visto una normale intervista dove si chiedevano informazioni sul "Signoraggio Bancario" agli inviati delle Iene.

Ovviamente, nelle varie testate giornalistiche d'Italia, tutti uniti contro il blogger indipendente  Alessandro Carluccio, nessuno, guarda caso, che parli di signoraggio bancario, ovvero l'argomento tabù di cui il blogger si stava da tempo occupando e di cui aveva chiesto proprio a quelli delle Iene il motivo del perché parlino di tante cose tranne che di temi scottanti e scomodi quali il signoraggio. (una foto presa dalla pagina facebook di Alessandro)


Insomma alle Iene non è andata giù l'idea di diventare loro stesse le vittime, di aver dovuto essere interrogate su argomenti di cui non possono parlare, e dunque sono passate all'attacco, un vergognoso attacco che ha mirato volutamente alla chiusura del blog libero.

Una vera e propria lezione di censura, che certamente vuole cancellare le indagini personali di Alessandro Carluccio, che da solo è stato capace di smascherare e mettere a nudo un programma del sistema, dimostrando come in Italia l'informazione ufficiale sia controllata.

Ma come ha scritto un utente nella sua pagina facebook, potranno anche cancellare il suo blog e querelarlo, sapendo di avere il coltello dalla parte del manico, ma non potranno mai più cancellare la presa di coscienza collettiva che i suoi video e i suoi articoli hanno portato a tutti noi, che con quei video e con le sue domande scomode abbiamo aperto gli occhi, su un programma che prima guardavamo con ammirazione, ma che ora si è rivelato per quel che è, un programma al servizio del potere.

Fonte tratta dal sito .
fonte: https://wwwblogdicristian.blogspot.it