martedì 25 settembre 2018
mercoledì 19 settembre 2018
Pansa: ho paura per l’Italia, golpe in arrivo o guerra civile
Sarà un golpe a far cadere l’esecutivo Conte, incapace di gestire un’Italia ormai nel caos. Giampaolo Pansa, ovvero l’apocalisse: il governo gialloverde «è pericoloso perché fa solo danni al paese, fa solo annunci e non combina niente: prima o poi verrà abbattuto». Fine della democrazia: «Non si andrà a votare: nessuno andrà a votare, perché le forze armate (che sono le sole ad avere le armi) interverranno. E’ la legge della vita». E’ un fiume in piena, Pansa, nel salotto televisivo di Lilli Gruber, su “La7”. Vede un’Italia sull’orlo della guerra civile: «Qui siamo di fronte a quelli che ti rubano la casa e ti ammazzano la moglie. Siamo in situazione di pre-guerriglia…. e sono peggio del fascismo». Salvini? Imprudente, nel rivolgersi alla “pancia” degli italiani. Di Maio e i 5 Stelle? Drammaticamente inadeguati. «Volete Grillo? Volete una nazione governata da Di Maio? Volete che Grillo decida cosa fare della disoccupazione giovanile in Italia? Che decida come far pagare le tasse a chi non le paga, o come rimettere ordine negli asili, dove i bambini non riescono a trovare posto? Cavoli vostri, provateci. Io cerco di starne lontano. Poi – aggiunge – mi rendo conto che, se qualcuno comincia a usare delle armi diverse da quelle della protesta, e quindi comincia a sparare – cosa che avverrà (lo dico qui, la sera del 18 settembre) – non fingiamo di non sapere che questo è un paese pronto per una nuova guerra civile».
Ad accogliere le clamorose esternazioni di Pansa, oltre all’attonita Gruber, Antonio Padellaro del “Fatto” e Marco Damilano de “L’Espresso”, il quale ammette che «l’attuale classe dirigente sollecita le frange estremistiche». Padellaro getta acqua sul fuoco, citando Ennio Flaiano: le barricate, gli italiani le fanno “coi mobili degli altri”. «Siamo in Italia: tutte le tensioni che verifichiamo ogni giorno poi si stemperano sempre in qualcosa che assomiglia al melodramma. Non scordiamoci che abbiamo attraversato persino le Brigate Rosse. E a proposito di complotti, abbiamo avuto la P2. Ricordando il passato, forse il presente ci appare meno drammatico». Pansa non concorda: per lui, Padellaro e il “Fatto” non hanno «gli occhiali giusti per vedere quello che succede davvero». Le Br? Le avremo anche “attraversate”, ma intanto «hanno ammazzato il politico più importante d’Italia, Aldo Moro, dopo averlo tenuto prigioniero per settimane in un “carcere del popolo” che gli apparati dello Stato facevano finta di non trovare». Flaiano? «Bella battuta, la sua, ma da caffè di via Veneto». La verità non è quella, sostiene Pansa: «C’è un odio profondo, che in Italia cova in tutti i ceti, anche in quelli che non consideriamo mai e chiamiamo ceti popolari: pensionati, casalinghe disperate, giovani che non trovano lavoro».
Catastrofe imminente? «Io non vedo attorno a me un clima da guerra civile», protesta la Gruber. «Non lo vedi – replica Pansa – perché sei ancora agganciata all’oggi. Anch’io, se sto agganciato all’oggi, non vedo un clima da guerra civile, perché gli italiani pensano alle vacanze, alle donne, al modo di non pagare le tasse. Vorrebbero lavorare poco e guadagnare molto. Questo è un paese che non ha più spina dorsale». L’anziano giornalista, oggi 83enne, vede un odio dilagante e pericolosissimo, alimentato – più che da questo o quel partito – «dallo stato di fatto delle cose». Ammette: «Da un po’ di anni non vado più a votare, perché so che il mio voto verrebbe comunque sprecato: tutti i partiti sono screditati, la casta politica fa schifo». Insiste, Pansa: «Il governo di Di Maio finisce male perché è composto di prepotenti come Salvini o incompetenti che distruggeranno tutto: o finiscono male da soli o li faranno finire male altri». Il futuro è nero, sostiene il giornalista: «Non sono troppo pessimista, ho sempre visto verificarsi delle storie che non immaginavo si sviluppassero in quel modo». E aggiunge: «Quando succederà, la signora Lilli Gruber dirà: quella sera, quel vecchiaccio pessimista del “Giampa” aveva ragione».
Fa impressione, ascoltare Giampaolo Pansa nelle vesti di profeta di sventure. Come giornalista fece storia, fin dagli esordi di “Repubblica”: proprio in una sua intervista, Enrico Berlinguer consumò il celebre strappo da Mosca (meglio la Nato che il Patto di Varsavia). Nel suo impareggiabile “Bestiario”, rubrica settimanale di Pansa su “L’Espresso”, trovavano posto l’Elefante Rosso e la Balena Bianca, impietosi ritratti del Pci e della Dc, colonne portanti del potere della Prima Repubblica. Ironico e tagliente, irriverente e sempre indipendente, Pansa, fino a dare scandalo con il saggio “Il sangue dei vinti”, bestseller da un milione di copie, vero e proprio tsunami capace di demolire i tabù della Resistenza raccontando le efferate vendette partigiane dell’immediato dopoguerra. Oggi, il vecchio Pansa appare smarrito di fronte ai confusi albori dell’ipotetica Terza Repubblica. Si rivolge a Lilli Gruber in modo affabile: «Tu sei una donna intelligente, una giornalista esperta, hai fatto politica, sei stata pure parlamentare europea». Già, ma la Gruber è anche ospite fissa del Gruppo Bilderberg, dettaglio che Pansa non cita. Gli altri due giornalisti nello studio di “Otto e mezzo” il 18 settembre? Damilano, punta di lancia del gruppo “Espresso-Repubblica”, è impegnato nel cannoneggiamento quotidiano del governo gialloverde, bombardando Salvini con accuse di xenofobia, razzismo e fascismo. Padellaro e il “Fatto”? Più indulgenti con i 5 Stelle, ma rigorosamente allineati all’impostazione neoliberista della narrazione economica mainstream: i tagli alla spesa sono sacrosanti, dogmi di fede.
Da anziano veggente, come in una tragedia greca, Pansa-Tiresia vede che l’Italia si sta frantumando, ma è come se non sapesse leggere le cause della catastrofe in atto: una rivolta politica generalizzata, classificata comodamente sotto il nome di “populismo”, ma in realtà innescata dall’inaudito sfascio sociale prodotto dall’economia privatizzata “a tradimento” negli anni ruggenti di Pansa e colleghi. Quanti di loro videro davvero quel che si stava preparando? Quanti, tra gli allora fan di Di Pietro e Mani Pulite, si accorsero del summit a bordo del Britannia per la svendita del paese al capitale finanziario globalizzato? In quanti si accorsero del disastroso effetto del divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, che trasformò il debito pubblico in un’autentica sciagura nazionale? Da eterno battitore libero, oggi Pansa scorge – con angoscia – i sintomi di un malessere che potrebbe anche degenerare in brutalità palese. Ma sembra non aver ancora metabolizzato la gravità degli eventi maturati nella storiarecente, con il “golpe delle élite” che ci ha precipitato nella post-democrazia (ben prima dell’avvento del governo Conte). Se non altro Pansa parla per sé e racconta quello che gli sembra di vedere. Non è impegnato nella fabbricazione quotidiana del consenso, come invece i propagandisti di “Repubblica” e come la stessa Gruber, che oltre che “donna intelligente” e “giornalista esperta” è anche, di fatto, contigua agli architetti occulti della post-democrazia, gli “sciacalli” che hanno progettato l’attuale sfacelo – che, come dice Pansa, potrebbe anche far saltare in aria il paese.
fonte: http://www.libreidee.org/
fonte: http://www.libreidee.org/
venerdì 14 settembre 2018
i Giganti di Mont'e Prama
Nel marzo del 1974 in località Mont'e Prama – Sinis/Cabras (Or), (Monte e Prama, il luogo del ritrovamento, significa monte per l’altezza di 50 metri e Prama per la palma nana diffusa in questa zona) un contadino durante una semplice aratura del suo terreno, toccò inavvertitamente con la lama qualcosa di anomalo che si rivelò una testa gigantesca di una statua.
Sono statue in pietra arenaria, diritte in piedi e con braccia piegate a tenere scudi o armi.
Le statue furono ritrovate all’interno di una area sacra sopra delle basi che delimitavano alcune tombe a nuraghe e diversi betili. Giovanni Lilliu, l’archeologo che lavorò agli scavi, raccontò che al momento della scoperta il sole limpido e caldo che caratterizzava la giornata fu improvvisamente oscurato da una tempesta tremenda che si era abbattuta mentre si portavano le statue alla luce. Sembrava che gli antichi dei si fossero risvegliati insieme alle statue, una sensazione impossibile da descrivere ricorda con paura lo stesso Lilliu.
L’occultamento
Il restauro
Mille interrogativi e nessuna risposta, l’unica certezza è stata che i Giganti invece che iniziare a vedere la luce del sole, dal giorno della loro scoperta ritornarono nel buio profondo della terra.
Possibile che in 32 anni nessun sopraintendente del museo di Cagliari non abbia avuto il desiderio di esporre questa scoperta, incidendo magari il proprio nome nella storia dell’archeologia sarda? Oggi si trovano a Li Punti sotto il lavoro di attenti restauratori che stanno assemblando tra di loro quasi 4000 frantumi, che la “conservazione” nello scantinato non ha certo contribuito a migliorarne la situazione.
La storia
Ma non si spiegano gli occhi..
Perché vennero realizzati con due cerchi concentrici come fossero due occhiali? Forse un tentativo di rappresentare la pupilla o si desiderava richiamare qualcosa d’altro?
Nella storia dell’umanità gli occhi non sono mai stati disegnati in questo modo.
E’ stato detto che derivavano dalle statue greche più antiche, le Kore e i Kuroi (statua femminile e maschile), molto stilizzate che si avvicinano a questo stile di scultura.
Peccato che, se si osserva la datazione, i Giganti del Mont'e Prama sono assolutamente antecedenti.
Dire che è avvenuto il contrario, che le statue greche si siano ispirate ai Giganti, forse è un’affermazione troppo forte, certo è che non si esclude nulla.
Le statue
I pugilatori
Hanno tutti:
- il petto nudo
- un gonnellino cinto da lacci che lo tenevano legato
- un elmo liscio (forse a rappresentarne uno di cuoio o di stoffa)
- delle lunghe trecce pettinate alla “celtica”
- Il braccio destro ha una protezione di cuoio fino alla mano e tiene la parte corta dello scudo
- Il braccio sinistro tiene lo scudo che copre il capo come a “difesa”
La caratteristica dei pugilatori è il braccio sinistro in alto che tiene uno scudo a proteggere la testa, mentre il braccio destro tiene la parte corta dello scudo. Questa azione veniva spesso seguita in fase di battaglia proprio per difendersi dalla pioggia di frecce di nemici arcieri.
I pugilatori in questo caso sarebbero dunque in fase di difesa e non di attacco. Hanno similitudini con i bronzetti di DORGALI
Gli arcieri
Hanno:
- Una placca pettorale
- Una corta tunica
- Un elmo con le corna
- delle lunghe trecce pettinate alla “celtica”
- Hanno sui polpacci a protezione degli schinieri
- Il braccio sinistro tiene l’arco
- Il braccio destro in posizione di offerta oppure uno scudo
- Non sono né a difesa e né ad attacco, ma sono a riposo.
Sono prevalentemente arcieri a riposo perché con la mano destra a volte tengono uno scudo, altre la tendono in segno di offerta. Tra loro differiscono parecchio, cosa che non succede nel gruppo dei pugilatori molto più simili tra di loro. Hanno similitudini con i bronzetti di TETI ABINI.
Il guerriero
Insieme a loro sono stati ritrovati dei modelli di Nuraghe.
Le tombe del ritrovamento
Le tombe a pozzetto, dove furono ritrovati, si chiamano così perché contenevano i corpi in posizione fetale. In tutto sono 33, quasi uno per ogni statua-guerriero.
Le tombe sono prive di corredo funerario. Solo una tomba aveva uno scarabeo del VII secolo a.C., in stile egizio tipo Hyksos, unica prova sulla quale è possibile datare le statue, anche se è probabile un riutilizzo delle tombe in epoche successive.
La Sardegna è piena di ritrovamenti di bronzetti (considerando anche i migliaia di reperti trafugati dai tombaroli e venduti a privati) ma statue di questo tipo che richiamano i bronzetti sono state ritrovate solo qui. Non è cosa di poco conto. L’arduo lavoro, oltre al restauro, è anche quello di comprenderle e capire il messaggio che da millenni portano con sé: chi e perché le ha costruite? L’area funeraria in cui sono state ritrovate, piena di corredi o di indicazioni, era dedicata a una famiglia o a un clan, che non era di particolare importanza. Però loro erano lì, a guardia di questo luogo.
Lo studioso TRONCHETTI, afferma che i pugilatori non siano “veri guerrieri”, ma che siano “Guerrieri del culto”, magari a rappresentare una sorta di rituale funerario a difendere l’anima a ad accompagnarla nell’aldilà dove nessuna arma di bronzo poteva servire contro le forze delle tenebre.
L’enigma degli occhi
Tra gli strumenti di lavorazione si presuppone ci fosse il compasso o qualcosa di simile senza il quale sarebbe stato impossibile realizzare i cerchi degli occhi così perfetti.
Sicuramente sono stati usati strumenti di metallo o di bronzo per la scultura, scalpelli, raschietti, punte. Alcuni passaggi dell’opera presuppongono l’utilizzo di una “Gradina” una sorta di scalpello con bordo dentellato di cui se ne ha notizia certa per la prima volta però secoli più avanti, solo nel VI secolo a.C. in Grecia.
Gli occhi fatti da due cerchi concentrici sanno quasi magnetizzare lo sguardo di chi li osserva, uno sguardo fisso e ipnotico accentuato dalle soppraciglie e dal naso profondamente accentuati che danno tridimensionalità agli occhi che scompaiano nell’ombra del volto innaturale. Gli occhi così protetti e caratterizzati sembrano parlare laddove la bocca è assente, perché appena accentuata. Essendo statue, non potendo emettere alcun suono, non gli resta che dialogare con gli occhi, la vera voce dell’anima, esse sembrano parlare ma noi ancora non le sappiamo ascoltare e le fissiamo per ore senza neppure sapere il perché.
Da visionare anche i seguenti video molto interessanti pubblicati da
http://www.youtube.com/user/teleindipendentzia
Spaventato dal ritrovamento chiese aiuto alle autorità che fecero intervenire due dei più famosi archeologi sardi dell’epoca, Giovanni Lilliu e Enrico Atzeni che diedero il via alla più grande ed enigmatica scoperta in territorio sardo.
Gli scavi da loro organizzati diedero alla luce trenta gigantesche statue di pietra, alte due metri circa, di almeno 2700 anni fa.
Trattasi di 30 guerrieri, tra arcieri e pugilatori, forse a custodia di una tomba proprio come i famosi guerrieri cinesi, l’unica differenza è che questi personaggi non sono la copia esatta di esseri umani, bensì riportano fattezze anomale: hanno occhi come due cerchi sovrapposti e la bocca è una semplice fessura. Hanno una pettinatura in stile celtico fatta a trecce e abiti orientalizzanti. Ma ciò che li rende unici è la loro titanica altezza, che va tra i 2 e i 2,60 metri, oltre al fatto che portano il 52 di piede!
Gli scavi da loro organizzati diedero alla luce trenta gigantesche statue di pietra, alte due metri circa, di almeno 2700 anni fa.
Trattasi di 30 guerrieri, tra arcieri e pugilatori, forse a custodia di una tomba proprio come i famosi guerrieri cinesi, l’unica differenza è che questi personaggi non sono la copia esatta di esseri umani, bensì riportano fattezze anomale: hanno occhi come due cerchi sovrapposti e la bocca è una semplice fessura. Hanno una pettinatura in stile celtico fatta a trecce e abiti orientalizzanti. Ma ciò che li rende unici è la loro titanica altezza, che va tra i 2 e i 2,60 metri, oltre al fatto che portano il 52 di piede!
Sono statue in pietra arenaria, diritte in piedi e con braccia piegate a tenere scudi o armi.
Le statue furono ritrovate all’interno di una area sacra sopra delle basi che delimitavano alcune tombe a nuraghe e diversi betili. Giovanni Lilliu, l’archeologo che lavorò agli scavi, raccontò che al momento della scoperta il sole limpido e caldo che caratterizzava la giornata fu improvvisamente oscurato da una tempesta tremenda che si era abbattuta mentre si portavano le statue alla luce. Sembrava che gli antichi dei si fossero risvegliati insieme alle statue, una sensazione impossibile da descrivere ricorda con paura lo stesso Lilliu.
L’occultamento
Oltre a questo, ciò che è incredibile e che ci lascia attoniti è il fatto che di loro e dell’eccezionale ritrovamento non se ne è mai saputo nulla, se non da pochi anni.
Infatti furono “abbandonati” per ben 32 anni nel museo di Cagliari, ma non in una sala di visita, bensì negli scantinati umidi e bui… perché?
Solo nel 2003, quando furono quasi del tutto dimenticati, venne deciso finalmente di trasportarli, in maniera anche poco pubblica, in un centro di restauro, a Li Punti, in provincia di Sassari.
Questo gesto fu compiuto probabilmente anche in seguito alle innumerevoli pressioni da parte di studiosi ed appassionati che trovarono assurdo che uno dei ritrovamenti più incredibili del nostro paese si stava lentamente sgretolando in un sotterraneo di un museo! Perché? Per quale motivo statue così eccezionali furono da sempre celate? Perché non gli è stato dato uno spazio degno al museo che per primo dovrebbe raccogliere l’intera storia della Sardegna?
La giustificazione del museo di Cagliari fu che “non sembrava un ritrovamento così importante” e che “mancavano gli spazi … oltre che i soldi, dato che in Sardegna si finanziano le spiagge e non l’archeologia”.
Per saperne doi più leggi il comunicato ufficiale di iRS:
http://www.teleindipendentzia.net/giganti.htm
Infatti furono “abbandonati” per ben 32 anni nel museo di Cagliari, ma non in una sala di visita, bensì negli scantinati umidi e bui… perché?
Solo nel 2003, quando furono quasi del tutto dimenticati, venne deciso finalmente di trasportarli, in maniera anche poco pubblica, in un centro di restauro, a Li Punti, in provincia di Sassari.
Questo gesto fu compiuto probabilmente anche in seguito alle innumerevoli pressioni da parte di studiosi ed appassionati che trovarono assurdo che uno dei ritrovamenti più incredibili del nostro paese si stava lentamente sgretolando in un sotterraneo di un museo! Perché? Per quale motivo statue così eccezionali furono da sempre celate? Perché non gli è stato dato uno spazio degno al museo che per primo dovrebbe raccogliere l’intera storia della Sardegna?
La giustificazione del museo di Cagliari fu che “non sembrava un ritrovamento così importante” e che “mancavano gli spazi … oltre che i soldi, dato che in Sardegna si finanziano le spiagge e non l’archeologia”.
Per saperne doi più leggi il comunicato ufficiale di iRS:
http://www.teleindipendentzia.net/giganti.htm
Il restauro
Mille interrogativi e nessuna risposta, l’unica certezza è stata che i Giganti invece che iniziare a vedere la luce del sole, dal giorno della loro scoperta ritornarono nel buio profondo della terra.
Possibile che in 32 anni nessun sopraintendente del museo di Cagliari non abbia avuto il desiderio di esporre questa scoperta, incidendo magari il proprio nome nella storia dell’archeologia sarda? Oggi si trovano a Li Punti sotto il lavoro di attenti restauratori che stanno assemblando tra di loro quasi 4000 frantumi, che la “conservazione” nello scantinato non ha certo contribuito a migliorarne la situazione.
Osservandoli più da vicino veniamo invasi da 1000 domande.
Chi doveva difendere questo esercito? Un re o un popolo? Dagli stranieri o dalle forze del male? Da chi sono stati scolpiti?
Le pettinature sono celtiche, gli elmi hanno delle corna, gli scudi sono elaborati.
Chi doveva difendere questo esercito? Un re o un popolo? Dagli stranieri o dalle forze del male? Da chi sono stati scolpiti?
Le pettinature sono celtiche, gli elmi hanno delle corna, gli scudi sono elaborati.
Sono molto simili ai bronzetti dei ritrovamenti di “Abini/Serri” (dal nome dei luoghi di ritrovamento: Abini/Teti e Santa/Serri) per volti, vestiari e armi e per questo vengono datati tra il VII e l’VIII secolo a.C., periodo in cui gli Shardana (il popolo del mare sardo) avrebbero già girato il mondo allora conosciuto, acquisendo innumerevoli conoscenze nel vestiario (orientale), nei capelli (celtici) e nelle armi. L’autentica datazione non è mai stata accertata, ma vi sono altre ipotesi che vanno anche dal 2700 a.C. al 1° millennio a.C. fino al VII secolo a.C.
Le prime forme d’arte degli Shardana sono i bronzetti di UTA, ma poi in seguito ad una catastrofe (che ricorda molto le vicende di Atlantide) furono costretti a lasciare l’isola nel 1200 a.C. e girarono il mondo. Vi ritornarono e realizzarono le Grandi Statue per qualche ragione a noi ignota.
In seguito nel II secolo a.C. la Sardegna era diventata molto potente avendo come capitale la fenice Tharros, che nessun esercito riusciva a sottomettere. Nel 540 a.C. il generale cartaginese Malko dopo aver conquistato quasi tutta la Sicilia con 80.000 uomini cercò invano di invadere la Sardegna, finendo decimato.
In seguito nel II secolo a.C. la Sardegna era diventata molto potente avendo come capitale la fenice Tharros, che nessun esercito riusciva a sottomettere. Nel 540 a.C. il generale cartaginese Malko dopo aver conquistato quasi tutta la Sicilia con 80.000 uomini cercò invano di invadere la Sardegna, finendo decimato.
Perché vennero realizzati con due cerchi concentrici come fossero due occhiali? Forse un tentativo di rappresentare la pupilla o si desiderava richiamare qualcosa d’altro?
Nella storia dell’umanità gli occhi non sono mai stati disegnati in questo modo.
E’ stato detto che derivavano dalle statue greche più antiche, le Kore e i Kuroi (statua femminile e maschile), molto stilizzate che si avvicinano a questo stile di scultura.
Peccato che, se si osserva la datazione, i Giganti del Mont'e Prama sono assolutamente antecedenti.
Dire che è avvenuto il contrario, che le statue greche si siano ispirate ai Giganti, forse è un’affermazione troppo forte, certo è che non si esclude nulla.
Le statue sono molto stilizzate e con il naso molto accentuato. I cerchi degli occhi sono perfetti. Anche l’arcata sopraccigliare è marcata forse a voler sottolineare le sopracciglia folte, classiche dei sardi. I piedi taglia 52 sono molto presenti, poggiano sicuri su ampie basi. Sono tutti arcieri e pugili e solo uno è un guerriero. Sono state rinvenute tracce di colore rosso e nero. Non è stato ancora possibile ricostruire una statua per intero. Sono state per certo identificate 25 statue di cui 17 pugilatori e 8 arcieri.
Hanno tutti:
- il petto nudo
- un gonnellino cinto da lacci che lo tenevano legato
- un elmo liscio (forse a rappresentarne uno di cuoio o di stoffa)
- delle lunghe trecce pettinate alla “celtica”
- Il braccio destro ha una protezione di cuoio fino alla mano e tiene la parte corta dello scudo
- Il braccio sinistro tiene lo scudo che copre il capo come a “difesa”
La caratteristica dei pugilatori è il braccio sinistro in alto che tiene uno scudo a proteggere la testa, mentre il braccio destro tiene la parte corta dello scudo. Questa azione veniva spesso seguita in fase di battaglia proprio per difendersi dalla pioggia di frecce di nemici arcieri.
I pugilatori in questo caso sarebbero dunque in fase di difesa e non di attacco. Hanno similitudini con i bronzetti di DORGALI
Hanno:
- Una placca pettorale
- Una corta tunica
- Un elmo con le corna
- delle lunghe trecce pettinate alla “celtica”
- Hanno sui polpacci a protezione degli schinieri
- Il braccio sinistro tiene l’arco
- Il braccio destro in posizione di offerta oppure uno scudo
- Non sono né a difesa e né ad attacco, ma sono a riposo.
Sono prevalentemente arcieri a riposo perché con la mano destra a volte tengono uno scudo, altre la tendono in segno di offerta. Tra loro differiscono parecchio, cosa che non succede nel gruppo dei pugilatori molto più simili tra di loro. Hanno similitudini con i bronzetti di TETI ABINI.
L’unico guerriero non può essere descritto nei particolari perché quasi totalmente distrutto.
I modelli di nuraghe e betili
I modelli di nuraghe e betili
Insieme a loro sono stati ritrovati dei modelli di Nuraghe.
Le tombe del ritrovamento
Le tombe a pozzetto, dove furono ritrovati, si chiamano così perché contenevano i corpi in posizione fetale. In tutto sono 33, quasi uno per ogni statua-guerriero.
Le tombe sono prive di corredo funerario. Solo una tomba aveva uno scarabeo del VII secolo a.C., in stile egizio tipo Hyksos, unica prova sulla quale è possibile datare le statue, anche se è probabile un riutilizzo delle tombe in epoche successive.
Lo studioso TRONCHETTI, afferma che i pugilatori non siano “veri guerrieri”, ma che siano “Guerrieri del culto”, magari a rappresentare una sorta di rituale funerario a difendere l’anima a ad accompagnarla nell’aldilà dove nessuna arma di bronzo poteva servire contro le forze delle tenebre.
Tra gli strumenti di lavorazione si presuppone ci fosse il compasso o qualcosa di simile senza il quale sarebbe stato impossibile realizzare i cerchi degli occhi così perfetti.
Sicuramente sono stati usati strumenti di metallo o di bronzo per la scultura, scalpelli, raschietti, punte. Alcuni passaggi dell’opera presuppongono l’utilizzo di una “Gradina” una sorta di scalpello con bordo dentellato di cui se ne ha notizia certa per la prima volta però secoli più avanti, solo nel VI secolo a.C. in Grecia.
Da visionare anche i seguenti video molto interessanti pubblicati da
http://www.youtube.com/user/teleindipendentzia
Fonte (con altre foto e video): www.luoghimisteriosi.it
Presto la ricerca potrebbe spostarsi a qualche chilometro di distanza da Cabras. Anche la Nasa pensa di partecipare alla caccia ai reperti con un super satellite ...
Queste misteriose statue hanno affascinato anche gli scienziati della Nasa, l’ente spaziale americano. Dei Giganti ha parlato a Mountain View, Silicon Valley, il professor Ranieri, che una settimana fa è rientrato dagli Stati Uniti, dove proprio con la Nasa conduce un importante progetto scentifico. Gli scienziati si sono mostrati molto interessati ai Giganti, di cui erano a conoscenza. La Nasa dispone di un satellite in grado di vedere il sottosuolo con un margine di errore di 3, 4 metri. Troppo, per questa ricerca; ma il satellite potrebbe anche essere ritarato, e la sua precisione aumentata. E chissà che in questa storia, ancora in gran parte da scrivere, non possa aggiungersi anche il contributo degli scienziati americani. Sarebbe, questa, una internazionalizzazione di una ricerca che riguarderà pure la Sardegna, ma la cui portata sarebbe folle restringere dentro i confini dell’isola.
Tratto da: lanuovasardegna.gelocal.it
fonte: https://crepanelmuro.blogspot.com/
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Ci sono altri venti Giganti nascosti
a Riola Sardo
a Riola Sardo
Tratto da: lanuovasardegna.gelocal.it
fonte: https://crepanelmuro.blogspot.com/
giovedì 13 settembre 2018
i metalli tossici
Luca Fortuna
I metalli tossici sono sostanze inquinanti che penetrano in maniera insidiosa nel nostro organismo attraverso cibi, bevande, aria, acqua, cosmetici, farmaci, vestiti, vernici e oggetti di uso. Sono pericolosi perché tendono a bioaccumularsi: tendono cioè ad aumentare la propria concentrazione in un organismo biologico.
I metalli tossici sono sostanze inquinanti che penetrano in maniera insidiosa nel nostro organismo attraverso cibi, bevande, aria, acqua, cosmetici, farmaci, vestiti, vernici e oggetti di uso. Sono pericolosi perché tendono a bioaccumularsi: tendono cioè ad aumentare la propria concentrazione in un organismo biologico.
Si accumulano lentamente e progressivamente nelle ossa, nel fegato, nei reni, nei tessuti connettivi, nel cervello e in altri organi. Il nostro organismo non riesce, con i normali processi detossinanti, a rimuoverli. Senza l’ausilio di sostanze chelanti, capaci di legarsi al metallo e di trasportarlo all’esterno dell’organismo, permangono per decenni e rappresentano un serio pericolo per la salute.
Cosa sono i metalli pesanti?
Il termine metallo pesante si riferisce a tutti gli elementi chimici metallici che hanno una densità relativamente alta e sono tossici in basse concentrazioni. Sono componenti naturali della crosta terrestre che non possono essere degradati o distrutti. Come elementi in tracce, alcuni metalli pesanti (per esempio rame, selenio, zinco) sono essenziali per mantenere il metabolismo del corpo umano.
Tuttavia, a concentrazioni più alte possono portare ad avvelenamento. La tossicità e la pericolosità dei metalli pesanti non è semplicemente legata alla loro presenza nell’ambiente ed al loro possibile contatto con gli organismi viventi, ma soprattutto alla forma chimica in cui essi sono presenti. Nella maggior parte dei casi i metalli non sono tossici quando presenti nel loro stato elementare, ad eccezione del mercurio allo stato di vapore (ma non allo stato liquido).
I tre metalli pesanti più inquinanti sono piombo, cadmio e mercurio. All’esposizione ai metalli pesanti sono associati molteplici effetti sulla salute, con diversi livelli di gravità e condizioni: problemi ai reni e alle ossa, disordini neurocomportamentali e dello sviluppo, ipertensione, diabete, tumore. Nonostante i miglioramenti tecnologici abbiano portato a una diminuzione nell’esposizione ambientale, molti metalli pesanti sono presenti nell’atmosfera. Vengono spinti anche a grande distanza dalle loro fonti di emissione dagli agenti atmosferici e possono contaminare luoghi impensabili.
I danni per la salute
L’eccesso di metalli nel nostro corpo blocca l’attività di numerosi complessi enzimatici determinando un danno metabolico. Sono responsabili di una vasta gamma di sintomi spesso di difficile interpretazione.
Quando queste sostanze tossiche vengono assorbite dall’organismo per ingestione, inalazione o per via cutanea, vanno incontro ad una serie di reazioni. La biodisponibilità è un parametro molto importante per quantificare l’effetto citotossicologico di un metallo pesante ed esso varia in funzione di: fattori intrinseci (età, sesso, ambiente) e fattori estrinseci ( proprietà fisiche: solubilità in acqua, in alcol, nei lipidi, nel succo gastrico, nel succo intestinale; proprietà chimiche: l’elemento può reagire con altri componenti della matrice alimentare, oppure con farmaci, formando composti in cui ha diverso grado di ossidazione; proprietà biochimiche: interessa in particolare la capacità di competere con altri elementi per i siti attivi dell’organismo).
Vademecum: quali sono gli effetti dei principali metalli tossici
- Allumino: danni al sistema nervoso centrale, demenza, perdita di memoria, autismo.
- Antimonio: danni cardiaci, diarrea, vomito, ulcera allo stomaco.
- Arsenico: cancro linfatico, cancro al fegato, cancro della pelle.
- Bario: ipertensione, paralisi.
- Bismuto: dermatite, stomatite ulcerosa, diarrea.
- Cadmio: diarrea, dolori di stomaco, vomito, fratture ossee, danni immunitari, disordini psicologici, tumore.
- Cromo: danni ai reni e al fegato, problemi respiratori, cancro polmonare.
- Rame: irritazioni al naso, bocca ed occhi; cirrosi epatica, danni al cervello e ai reni. Emicranie croniche
- Gallio: irritazione alla gola, difficoltà respiratorie, dolori alla cassa toracica.
- Afnio: irritazione agli occhi, alla pelle e alle mucose.
- Indio: danni al cuore, reni e fegato.
- Iridio: irritazione agli occhi e al tratto digestivo.
- Lantanio: cancro polmonare, danni al fegato.
- Piombo: danni al cervello, disfunzioni alla nascita, danni ai reni, difficoltà di apprendimento, distruzione del sistema nervoso.
- Manganese : turbe alla coagulazione del sangue, intolleranza al glucosio, disordini allo scheletro.
- Mercurio: distruzione del sistema nervoso, danni al cervello, danni al DNA.
- Nickel: embolia polmonare, difficoltà respiratorie, asma e bronchite cronica, reazione allergiche della pelle.
- Palladio: altamente tossico e cancerogeno, irritante per le mucose.
- Platino: alterazioni del DNA, cancro, danni all’intestino e reni.
- Rodio: macchie alla pelle, potenzialmente tossico e sospetto cancerogeno.
- Rutenio: altamente tossico e cancerogeno, danni alle ossa.
- Scandio: embolia polmonare, danni al fegato.
- Stronzio: cancro ai polmoni, nei bambini difficoltà di sviluppo delle ossa.
- Tantalio: irritazione agli occhi e alla pelle, lesione del tratto respiratorio superiore.
- Tallio: danni allo stomaco, al sistema nervoso, coma e morte, per chi sopravvive al Tallio rimangono danni al sistema nervoso e paralisi.
- Stagno: irritazione agli occhi e alla pelle, emicrania, dolori di stomaco, difficoltà ad urinare.
- Tungsteno: danni alle mucose e alle membrane, irritazione agli occhi.
- Vanadio: disturbi cardiaci e cardiovascolari, infiammazioni allo stomaco ed intestino.
- Ittrio : altamente tossico, cancro ai polmoni, embolia polmonare, danni al fegato.
Un pericolo sottovalutato
I metalli tossici sono dei nemici silenziosi, poiché a causa di negligenza e disinformazione, l’attenzione nei loro confronti è minima. Lo studio dei metalli tossici e dei loro meccanismi d’azione è spesso completamente ignorato dalla classe medica. La gran parte dei testi di nutrizione, si limita a qualche accenno, senza approfondirli come meriterebbero. Nella stragrande maggioranza dei casi l’avvelenamento o l’intossicazione da metalli pesanti avviene senza clamori, in assoluto silenzio e senza segnali eclatanti. E’ un processo lentissimo, che avviene giorno dopo giorno, attraverso più canali (l’aria, l’acqua, gli alimenti, le esalazioni, il contatto con depositi) e che si manifesta sotto forma di disturbi, alterazioni, malattie piccole e grandi. Inevitabilmente l’attenzione si focalizza su questi sintomi, tralasciando completamente, e colpevolmente, di verificare se i metalli tossici sono in qualche modo in relazione con lo stato di salute. Qualche anno fa la prestigiosa rivista scientifica americana “Lancet” ha pubblicato uno studio che dimostrava una correlazione tra il morbo di Alzheimer ed un accumulo di alluminio nell’organismo. Altri studi invece dimostrano un collegamento tra la sclerosi multipla, l’autismo e la presenza di mercurio; altri ancora il nesso tra cadmio, piombo e sclerosi laterale amiotrofica, altri infine l’effetto nocivo dei metalli pesanti sul sistema immunitario.
Un nemico subdolo
I metalli tossici vengono da molti definiti come “killer subdoli” poiché si sostituiscono nell’organismo ai minerali necessari per la vita, alterando funzioni e strutture biologiche.
Il concetto di sostituzione degli elementi vitali con altri meno idonei è un principio di base della sopravvivenza di tutti gli esseri viventi. Esaminato sotto questo profili, il principio della sostituzione da un minerale ad un metallo tossico, può essere visto come un meccanismo di adattamento. L’accumulo dei metalli tossici nel nostro organismo, si può spiegare, come un processo adattativo che si innesca nei casi in cui si debba fronteggiare una carenza di elementi vitali.
L’organismo che si trova ad affrontare una mancanza di minerali o vitamine indispensabili per la salute, ricorre ai metalli tossici, che li sostituiscono nei siti di legame degli enzimi e dei sistemi enzimatici. Si tratta di un processo subdolo, poiché in qualche modo è il nostro stesso organismo che apre la strada ai suoi nemici e li posiziona proprio nelle componenti più vitali e indispensabili.
Ad esempio il piombo sostituisce il calcio nel cervello, il cadmio sostituisce lo zinco e l’alluminio sostituisce il magnesio. La sostituzione permette ai sistemi enzimatici, vitali per la nostra salute, di continuare a funzionare, ma non di funzionare esattamente come prima. Il metallo incorporato causa infatti una o più alterazioni fisiologiche. Le reazioni non avvengono esattamente come prima, ma trovano una via alternativa, danno vita ad una variante che inevitabilmente determina delle conseguenze negative per l’equilibrio generale. L’organismo può rimediare a questa varianti se avvengono per un periodo limitato di tempo, tuttavia se perdurano abbastanza a lungo, non è più possibile porvi rimedio. Per questa ragione è opportuno seguire periodicamente un programma di disintossicazione
Precauzioni utili
Poiché prevenire è sempre meglio che curare è opportuno prestare attenzione alle possibili fonti di intossicazione, adottando le cautele del caso.
Nell’alimentazione:
- Utilizzare per quanto possibile alimenti provenienti da agricoltura ed allevamento biologici certificati e controllati.
- Variare spesso fornitori, in modo da consumare alimenti provenienti da diverse zone geografiche, riducendo quindi i rischi statistici di intossicazione acuta.
- Evitare alimenti ricchi di additivi, coloranti, conservanti, aromatizzanti ed altre sostanze inutili e dannose.
Per la salute:
- Non abusare di farmaci e non assumere mai farmaci mediante autoprescrizione.
- Almeno due volte l’anno è importante una cura disintossicante a base di piante, integratori ed altri prodotti naturali.
Nella bellezza:
- Molti cosmetici contengono metalli tossici, leggere con attenzione le etichette e sostituirli con alternative naturali.
In casa:
- Scegliere detersivi a base di sostanze naturali innocue per l’ambiente.
- Evitare di acquistare ed utilizzare oggetti che contengono metalli tossici (come le padelle antiaderenti con PFOA) preferendo le alternative che ne sono prive.
- Non utilizzare incensi, fragranze per l’ambiente e candele industriali, che liberano molte tossine nell’aria. Scegliere profumi, incensi, candele a base di oli essenziali.
- Non utilizzare prodotti chimici per la pulizia degli ambienti, la cura delle piante o la lotta agli insetti.
Come eliminare i metalli tossici dal nostro organismo?
La terapia con sostanze chelanti sintetiche presenta moltissimi effetti collaterali ed è consigliabile solo nei casi di avvelenamenti acuti, in cui il rischio per la salute è così alto da non poter aspettare. In tutti gli altri casi, è preferibile un approccio più delicato, che consente di rimuovere gli eccessi dei metalli tossici nell’arco di alcune settimane o mesi, senza comportare rischi o pericoli per la salute.
I chelanti naturali offrono numerosi vantaggi rispetto a quelli sintetici, risultano perfettamente tollerabili dall’organismo, non producono effetti collaterali e non danneggiano a loro volta gli organi con entrano in contatto. L’unico limite dei chelanti naturali è rappresentato dal tempo, la loro assunzione deve infatti essere continuativa e protratta per mesi. Gli oli essenziali sono ottimi chelanti naturali, capaci di detossificare in profondità.
L’olio essenziale è una miscela molto complessa di sostanze volatili aromatiche, che vengono prodotte naturalmente dalle piante. Gli oli essenziali possono venire assorbiti dall’uomo essenzialmente attraverso due vie: quella esterna (inalazione, bagni, assorbimento epidermico, massaggi) e quella interna (assunzione orale). Gli oli essenziali sono le sostanze più concentrate, attive e potenti, che siano presenti in Natura. Possono essere utilizzati per detossificare il corpo dai metalli pesanti. Tra gli oli più utili vanno ricordati: solidago, arancio, maggiorana, pompelmo, mirra e carota.
Un rimedio ai metalli pesanti
Preparare un mix con
- 25 ml di Olio Base di Calophylla
- 30 gocce di Olio Essenziale di Arancio amaro
- 20 gocce di Olio Essenziale di Pompelmo
- 10 gocce di Olio Essenziale di Maggiorana
- 5 gocce di Olio Essenziale di Carota
Miscelare e lasciar riposare 24 ore. Frizionare sulle piante dei piedi, tutte le sere per 28 giorni, poche gocce dell’olio aromatico.
Per difendersi con successo dal pericolo dei metalli tossici è importante conoscere le fonti di contaminazione, imparare a scegliere i prodotti che usiamo ed essere consapevoli dei possibili rischi per la salute.
Nel libro Come Difendersi dai Metalli Pesanti si trovano semplici schede che guidano passo dopo passo.
fonte: http://www.viviconsapevole.it/
fonte: http://www.viviconsapevole.it/
martedì 11 settembre 2018
l'alcol per gli Antichi: le bevande più antiche del mondo
di Elena Manzini
Grazie alle nuove tecnologie e le analisi chimiche, gli scienziati sono in grado di scrivere una storia dettagliata delle feste antiche, rituali durante i quali risulta che le persone consumavano abitualmente bevande alcoliche.
In Egitto, l’utilizzo di orzo era abbastanza comune nella produzione di alcol. Si produceva la birra d’orzo. Così come lo si utilizzava per produrre alcool. Quest’ultimo molto utilizzato non solo nella Terra dei Faraoni ma anche in Sumeria come un farmaco.
Celebrazioni del Vino
I Romani, iniziarono a produrre e bere vino solo dopo aver conquistato le terre dove vi era già da tempo la produzione. Pare che avessero iniziato ad assumere vino da Greci ed Etruschi.
Non solo citazioni per il “nettare degli Dei” ma vere e proprie opere. La prima sul vino e sull’agricoltura è stata scritta in punico. Dopo la distruzione di Cartagine nel 146 a.C, il Senato romano decretò che questo trattato fosse tradotto in latino ed in seguito divenne la fonte di tutta la scrittura romana sulla viticoltura.
Ironia della sorte, fu Catone ad insistere per la distruzione di Cartagine nelle guerre puniche e che, circa nel 160 a.C, scrisse “De agri cultura”, la prima indagine della viticoltura romana, che
è anche l’unica opera superstite in latino. In essa, si discute in merito alla la produzione di vino su larga scala e si precisa quanto sia importante la coltivazione della vite per un’economia agraria che tradizionalmente si basava su agricoltura di sussistenza.
Nel 154 a. C, circa, Plinio scrisse che: “La produzione di vino in Italia è stata insuperabile”.
Per i primi due secoli a. C, il vino fu esportato nelle province, in particolare in Gallia, in cambio di schiavi il cui lavoro era necessario per coltivare i grandi vigneti. Il commercio di vino con la Gallia era imponente tant’è che Diodoro Siculo si spinse a scrivere che: “Le genti di Gallia sono così infatuate dal vino da ritrovarsi bevitori senza moderazione”.
Una bottiglia di sogni archeologici
Ora, i ricercatori discutono se sia giusto aprire o meno quella bottiglia. Da un punto di vista microbiologico, potrebbe essere pericoloso aprirla.
La città tedesca di Brema detiene una grande collezione di vino 17esimo secolo, il più antico dei quali è datato 1653. Ovviamente è imbevibile ma la raccolta continua ad essere un omaggio al passato. Si tratta di una delle più antiche collezioni di vino al mondo.
L’alcol è quasi sempre stata una parte della vita quotidiana. Molte delle ricette antiche sono ancora un segreto, tuttavia è noto che antichi vini contenevano olio di oliva. Le nuove tecnologie consentiranno ai ricercatori di recuperare ulteriori informazioni sulle antiche miscele e magari produrre vino con i metodi tradizionali antichi.
Grazie alle nuove tecnologie e le analisi chimiche, gli scienziati sono in grado di scrivere una storia dettagliata delle feste antiche, rituali durante i quali risulta che le persone consumavano abitualmente bevande alcoliche.
La più antica bevanda alcolica nota proviene dal villaggio cinese Jiahu nella provincia di Henan (la datazione è compresa tra 7.000 – 6.500 a.C). Ma si è a conoscenza che venissero assunte anche in Messico ed in altre parti del Sud America.
Dalla Georgia, invece, ci arrivano notizie che già nel 6000 a.C. si consumava birra d’orzo. Il vino era consumato da un’antica popolazione che viveva in prossimità dei fiumi Tigri ed Eufrate.
Bere in Medio Oriente
In Egitto, l’utilizzo di orzo era abbastanza comune nella produzione di alcol. Si produceva la birra d’orzo. Così come lo si utilizzava per produrre alcool. Quest’ultimo molto utilizzato non solo nella Terra dei Faraoni ma anche in Sumeria come un farmaco.
Nel libro sacro del cristianesimo si cita invece il vino come medicamento da somministrare alle persone colte da depressione ...
La tradizione europea di bere vino, probabilmente prese avvio nel territorio della Grecia classica, dove la gente definiva “barbaro” colui che non lo beveva. Tuttavia non mancarono le critiche da parte di famosi filosofi come Aristotele e Platone, riguardo una società troppo dedita al vino.
I Romani, iniziarono a produrre e bere vino solo dopo aver conquistato le terre dove vi era già da tempo la produzione. Pare che avessero iniziato ad assumere vino da Greci ed Etruschi.
Non solo citazioni per il “nettare degli Dei” ma vere e proprie opere. La prima sul vino e sull’agricoltura è stata scritta in punico. Dopo la distruzione di Cartagine nel 146 a.C, il Senato romano decretò che questo trattato fosse tradotto in latino ed in seguito divenne la fonte di tutta la scrittura romana sulla viticoltura.
Ironia della sorte, fu Catone ad insistere per la distruzione di Cartagine nelle guerre puniche e che, circa nel 160 a.C, scrisse “De agri cultura”, la prima indagine della viticoltura romana, che
è anche l’unica opera superstite in latino. In essa, si discute in merito alla la produzione di vino su larga scala e si precisa quanto sia importante la coltivazione della vite per un’economia agraria che tradizionalmente si basava su agricoltura di sussistenza.
Nel 154 a. C, circa, Plinio scrisse che: “La produzione di vino in Italia è stata insuperabile”.
Per i primi due secoli a. C, il vino fu esportato nelle province, in particolare in Gallia, in cambio di schiavi il cui lavoro era necessario per coltivare i grandi vigneti. Il commercio di vino con la Gallia era imponente tant’è che Diodoro Siculo si spinse a scrivere che: “Le genti di Gallia sono così infatuate dal vino da ritrovarsi bevitori senza moderazione”.
Una bottiglia di vino insolito è stata scoperto in Germania nel 1867. Nel 350 d.C, un nobile romano fu sepolto con una bottiglia di vino di produzione locale.
Quando fu portato alla luce nei pressi della città di Speyer, i ricercatori rimasero scioccati che vi fosse ancora liquido all’interno del contenitore.
E’ stato il più antico vino liquido noto recuperato da un sito archeologico.
Anche se è stato analizzata da un chimico durante la prima guerra mondiale, la bottiglia quanto pare non è mai stata aperta.
Nel 1960, i ricercatori hanno scoperto un vecchio residuo di vino di uva a Hajji Firuz Tepe in Iran. E’ anche la più antica testimonianza archeologica inerente produzione di vino.
Anche se i resti del vino sulla ceramica non possono essere utilizzati per ricreare la ricetta, è ancora una preziosa fonte di informazioni sulla produzione di vino antico.
L’alcol come una parte della storia
La città tedesca di Brema detiene una grande collezione di vino 17esimo secolo, il più antico dei quali è datato 1653. Ovviamente è imbevibile ma la raccolta continua ad essere un omaggio al passato. Si tratta di una delle più antiche collezioni di vino al mondo.
L’alcol è quasi sempre stata una parte della vita quotidiana. Molte delle ricette antiche sono ancora un segreto, tuttavia è noto che antichi vini contenevano olio di oliva. Le nuove tecnologie consentiranno ai ricercatori di recuperare ulteriori informazioni sulle antiche miscele e magari produrre vino con i metodi tradizionali antichi.
giovedì 6 settembre 2018
l'anarchico che scoprì di non saper volare
Attentato a New York - 1920 |
Giuseppe Pinelli fu un anarchico e ferroviere italiano, animatore del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa. Morì nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre 1969 precipitando dalla finestra della questura di Milano, dove era trattenuto per accertamenti in seguito all'esplosione di una bomba in piazza Fontana, evento noto come la Strage di piazza Fontana.
Eppure il povero Pinelli non fu il primo anarchico che volò dalla finestra di un grattacielo.
Il 3 maggio del 1920 Andrea Salsedo precipitò dal quattordicesimo piano di uno dei grattacieli più alti di New York, Nuova York come era conosciuta tra i cafoni siciliani compaesani di Andrea.
Chi era Andrea Salsedo, il primo anarchico che si accorse di non saper volare?
Andrea nacque il 21 settembre del 1881 a Pantelleria, provincia di Trapani. A soli tredici anni si avvicinò al movimento politico riformista sull'onda dell'entusiasmo provocato dalla carismatica figura di Luigi Galleani, confinato politico a Pantelleria, che realizzò una scuola popolare frequentata da giovani panteschi. All'interno di questa esperienza sociale, i ragazzi potevano discutere di anarchia, politica e radicalismo sociale.
Per quale motivo Galleani fu confinato a Pantelleria?
Luigi divenne anarchico quando era studente di legge all'Università di Torino. Dovette trasferirsi in Francia poiché fu minacciato di procedimenti giudiziari a suo carico. Alcuni anni dopo fu espulso dalla Francia per aver preso parte ad una manifestazione di protesta. Si trasferì in Svizzera dove frequentò il geografo anarchico Reclus. In seguito alla sua partecipazione alla commemorazione dei Martiri di Haymarket, un gruppo di anarchici giustiziati a Chicago nel 1887, fu espulso anche dalla Svizzera trovando nuovamente casa in Italia. Nel 1895 fu arrestato e confinato a Pantelleria, da dove riuscì a fuggire nel 1900 trovando rifugio in Egitto. Galleani decise di attraversare l'oceano per recarsi negli Stati Uniti nel 1901.
Andrea Salsedo |
Un personaggio di questo livello non poteva che travolgere le idee rivoluzionarie dei giovani abitanti di Pantelleria dove Galleani istituì il circolo sociale per ragazzi. Andrea Salsedo divenne uno dei più assidui frequentatori di questo ristretto circolo di uomini. Nel 1901, anno di morte del regicida Gaetano Bresci, Andrea si era trasferito a Marsala dove stampava La Falange, un foglio di rabbia. Nella città siciliana Andrea ebbe molti problemi con la legge a causa delle continue ordinanze di sequestro. Alla fine dovette chiudere il piccolo foglio di protesta. Fu allora che prese la decisione di trasferirsi negli Stati Uniti. Verso la fine del primo decennio del XX secolo, Andrea giunse a New York. Nella città americana iniziò a lavorare come garzone sino a quando non incontrò quello che a lui parve un fantasma: Luigi Galleani. All'ombra della Statua della Libertà Luigi animava un circolo anarchico frequentato da italiani e pubblicava una rivista,
Mulberry Street, l'ingresso di Little Italy agli inizi del novecento |
La Cronaca Sovversiva. Salsedo iniziò a collaborare con il vecchio maestro in qualità di tipografo. Andrea era bravo, molto bravo. Aveva imparato i trucchi del mestiere, soprattutto a risparmiare. Con i soldi che riuscì ad accumulare, divenne editore in proprio. Stampava libri anarchici ed una rivista, Il domani, che finì immediatamente nel mirino dell'Fbi. Con l'ingresso negli anni venti del secolo scorso l'aria a New York divenne irrespirabile per gli anarchici. Gli uomini del Federal Bureau of Investigation chiusero molte tipografie, e quasi tutti i circoli. L'opera di repressione giunse ad arrestare sino a 4.000 persone in un solo giorno. Nelle settimane successive oltre 3.000 individui furono espulsi dagli Stati Uniti, tra cui il maestro di Andrea, Luigi Galleani. Alla repressione gli anarchici risposero con le bombe.
Attentato a New York - 1920 |
Una di queste scoppiò a Washington dove, vicino al corpo di un attentatore crivellato dai proiettili di stato, furono rinvenuti alcuni volantini rossi. Gli inquirenti si prodigarono alla ricerca delle persone che avevano stampato quei volantini. Le indagini condussero le autorità ad arrestare un certo Ravarini che immediatamente fece un nome, quello di Roberto Elia, che lavorava in una tipografia dove si “stampavano anche cose anarchiche”. La tipografia era quello di Andrea Salsedo. La notte del 25 febbraio del 1920, Andrea e Roberto Elia furono prelevati dalle loro abitazioni e condotti negli uffici dell'Fbi a New York. I due arrestati furono interrogati separatamente. Roberto Elia disse di non avere informazioni circa i volantini rossi trovati addosso all'attentatore di Washington. Poche ore dopo fu rilasciato.
Cosa accadde ad Andrea Salsedo?
Dal momento dell'arresto iniziò il calvario dell'anarchico italiano.
Gli fu negata la possibilità di mettersi in contatto con il proprio avvocato.
Fu sottoposto ad interrogatori brutali, che spezzarono il fisico e la mente dell'uomo.
Fu selvaggiamente picchiato.
Fu lasciato senza assistenza medica anche quando, disperato, urlava per il dolore provocato dal mal di testa, causato dai numerosi colpi ricevuti.
Come possiamo essere sicuri che fu brutalmente picchiato, addirittura torturato, dagli uomini dell'Fbi?
Esistono due testimonianze a supporto di queste affermazioni. La prima è dello stesso Roberto Elia che, poco dopo il rilascio, dichiarò d'aver intravisto, anche se per pochi secondi, Andrea Salsedo con la faccia insanguinata. La seconda è quella di Maria Petrillo, moglie di Andrea, che denunciò alla stampa, poco dopo l'unico colloquio avuto con il marito, che il viso di Salsedo era sfigurato a causa delle botte ricevute. In una lunga intervista rilasciata alla stampa, che fece scalpore nelle immediatezze delle operazioni di polizia o pulizia volute dall'Fbi, Maria Petrillo dichiarò che l'avvocato difensore, tale Narciso Donato, aveva fatto di tutto tranne che il proprio lavoro. Qualche tempo dopo si scoprirà che Donato era pagato dal Ministero della Giustizia, come affermerà la figlia di Andrea, Silvestra Salsedo.
Il Park Row Building negli anni 20: edificio dal quale precipitò Andrea Salsedo |
Dopo due mesi e mezzo di agonia, la vita di Andrea Salsedo si interruppe improvvisamente.
Il 3 maggio del 1920 morì precipitando dal quattordicesimo piano del Park Row Building, edificio dove erano siti i locali dell'Fbi.
L'Fbi dichiarò che si trattava di suicidio.
Il Dipartimento di Giustizia fece eco: suicidio.
La Polizia di New York affermò che Andrea Salsedo si suicidò.
Le autorità negarono con fermezza ogni responsabilità circa la morte dell'anarchico.
Roberto Elia, che tornerò in Italia poco tempo dopo il rilascio trovando la morte in circostanze misteriose, seguì le indicazioni impartite dichiarando che Andrea si era suicidato.
Non tutti seguirono le indicazioni e le parole delle autorità. La comunità anarchica italiana presente negli Stati Uniti, di cui facevano parte anche Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco – i famosi Sacco & Vanzetti, si ribellò. Nicola Sacco dichiarò: “Andrea Salsedo è stato pestato brutalmente per giorni, finché è morto fra le mani dei suoi aguzzini che l'hanno fatto volare dalla finestra per giustificare quel corpo martoriato e quel viso sfigurato”. Vanzetti affermò: “da lui si voleva conoscere l'intera mappa dell'anarchismo in America”. Vanzetti, amico di Salsedo, organizzò un comizio per il 9 maggio che avrebbe dovuto aver luogo a Brockton. Purtroppo furono arrestati poco prima dell'incontro pubblico. I motivi alla base dell'arresto erano vari: entrambi furono trovati in possesso di una rivoltella e di alcuni appunti da destinarsi alla tipografia per l'annuncio del comizio a Brockton.
Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco |
Pochi giorni dopo furono accusati di una rapina avvenuta in un sobborgo di Boston dove morirono il cassiere della ditta rapinata ed una guardia giurata. I due furono giustiziati per il tramite della sedia elettrica sette anni dopo. 50 anni dopo la morte di Sacco & Vanzetti, il governatore del Massachusetts riabiliterà i due anarchici italiani riconoscendo l'errore giudiziario, il voluto e cercato errore giudiziario.
Ed Andrea Salsedo?
Nei pochi istanti che precedettero l'urto sul suolo americano scoprì che gli anarchici non sanno volare.
Fabio Casalini
fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/
Bibliografia
Anna Bandettini, L'anarchico di Fo è tornato sulla scena, Repubblica, 2 dicembre 2002
Pino Casamassima, Un anarchico a New York, Focus Storia, 2015
Luigi Rusticucci, Tragedia e supplizio di Sacco e Vanzetti: Vicende giudiziarie desunte dall'istruttoria, Società Editrice Partenopea, Napoli, 1928
Howard Fast, Sacco e Vanzetti, Edizioni di Cultura Sociale, Roma, 1953
FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.
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