giovedì 31 ottobre 2013
mercoledì 30 ottobre 2013
martedì 29 ottobre 2013
sabato 26 ottobre 2013
DMT
La dimetiltriptamina (DMT), è una triptamina allucinogena endogena, presente in molte piante e nel fluido cerebrospinale degli esseri umani, sintetizzata per la prima volta nel 1931 dal chimico Richard Manske.
La DMT è presente in alcune varietà di mimosa, acacia, virola, desmodium, graminacee della specie phalaris, anadenanthera e molte altre piante. L'estrazione è possibile con alcuni solventi quali alcool, gasolio, esano oppure per distillazione. Nel bacino amazzonico alcuni popoli tribali hanno una tradizione di uso di piante contenenti DMT (utilizzando la linfa degli alberi virola, parente della noce moscata, o i semi macinati e tostati di Anadenanthera peregrina, un enorme albero della famiglia delle Leguminose).
Strutturalmente la DMT è analoga al neurotrasmettitore serotonina, all'ormone melatonina e ad altre triptamine psicoattive come psilocibina, psilocina e bufotenina, avendo rispettivamente formula chimica O-fosforil-4-idrossi-N.N dimetiltriptamina, 4-hydroxy-N,N-dimetiltriptamina e 5-idrossi-N, N-dimetiltriptamina ed ha un effetto quasi del tutto simile a queste, anche se differente per intensità.
Secondo Rick Strassman, medico specializzato in psichiatria che condusse numerose ricerche sulla DMT, la ghiandola pineale situata nel encefalo è in grado di produrre più o meno blande quantità di DMT, specialmente intorno alle ore 3, 4 del mattino, durante la fase REM dei sogni.
Storia
L'uso di piante contenenti dimetiltriptamina, specialmente fra i popoli indigeni del Brasile ed alcune tribù del sud America, è una pratica antichissima, spesso riservata agli sciamani che la utilizzavano nei rituali per entrare in contatto con gli "spiriti" o in pratiche di medicina. La prima testimonianza registrata dell'uso di un preparato a base di DMT si ha da un frate impiegato nella seconda spedizione di Colombo nelle Americhe. Nel 1496, sull'isola di Hispaniola, osservò gli indiani Taino inalare una potente polvere enteogena chiamata 'kohhobba', "così forte che chi la assumeva perdeva coscienza".
Dal 1931 era nota come un prodotto di laboratorio dopo che venne sintetizzata per la prima volta dal chimico canadese Richard Manske. La sua scoperta come prodotto naturale è da attribuirsi al chimico e microbiologo brasiliano Oswaldo Gonçalves de Lima (1908-1989) che, nel 1946, la isolò dalla corteccia della radice di Mimosa tenuiflora. Dal 1955 la DMT è stata trovata in almeno 50 specie di piante appartenenti a 10 famiglie, e in almeno 4 specie di animali, tra cui una gorgonia, e 3 specie di mammiferi. Nel 1957, oltre un quarto di secolo dopo la sua sintesi iniziale, il farmacologo Stephen Szara ha stabilito che la DMT causa effetti enteogeni in soggetti umani quando iniettato per via intramuscolare: "Entro cinque minuti dall'iniezione di 50-60 mg della sostanza, i soggetti sentono l'insorgenza dello stato alterato di percezioni. L'effetto di picco si verifica all'interno di un quarto d'ora. Questa fase è stata caratterizzata da allucinazioni visive, sia con gli occhi aperti o chiusi. Gli effetti tendono a diminuire fino a svanire totalmente entro 30 minuti/un'ora."
Biosintesi
La dimetiltriptamina è un indolo-alcaloide proveniente dal percorso shikimico. È un derivato del triptofano con due gruppi metili aggiunti all'atomo ammina di azoto (N). La sua biosintesi è relativamente semplice, illustrata nello schema accanto. L'amminoacido triptofano nelle piante è un prodotto endogeno, mentre negli animali proviene dalla dieta e si trova abbondante nel cioccolato, nell'avena, nelle banane, nei datteri, nelle arachidi, nel latte e nei latticini.
La sintesi comincia con la decarbossilazione del triptofano da parte di un enzima aminoacido-aromatico-decarbossilasi (AADC) (fase 1). Il conseguente triptofano decarbossilato è triptamina; questa subisce metilazione dall'enzima indoletilamina-N-metiltransferasi (INMT) che catalizza il trasferimento di un gruppo metilico dal cofattore S-adenosil metionina(SAM), tramite addizione nucleofila, alla triptamina. (fase 2) Questa reazione trasforma SAM in S-adenosilomocisteina (ESA), generando il prodotto intermedio N-metiltriptamina (NMT). NMT è a sua volta rimetilata tramite il medesimo procedimento (fase 3) formando il prodotto finale N,N-di-metil-triptamina.
Endogena
Nel 1961, Julius Axelrod trovò nel polmone di coniglio un enzima N-metiltransferasi in grado di mediare la biotrasformazione della triptamina in DMT. Da allora numerosi studi sono partiti alla ricerca di sottoprodotti della DMT endogena nei fluidi corporei e tessuti in esseri umani e altri mammiferi. Successive ricerche (l'ultima nel 2005) da parte di numerosi studiosi hanno permesso di rilevare tracce di NMT, bufotenina e di DMT nelle urine, nel sangue, in alcuni tessuti e nelle feci. Negli esseri umani un gene che codifica l'enzima INMT è stato mappato sul cromosoma 7 in posizione 15.2bp-15.3bp. Tracce di DMT sono state rinvenute in: plasma sanguigno (1.000 e 10.600 ng / L), sangue (50-790 ng / L), feci (50 ng / kg), urine (100 ng / L ), rene (15 ng / kg), rachicentesi (2,330-7,210 ng / L).
Farmacologia
Facendo parte del metabolismo del 5-HTP la DMT si trova spesso legata a:
recettori serotoninergici (agisce come agonista parziale sui recettori, in particolare su 5-HT2A e 5-HT2C),
recettori adrenergici (in particolare su α1 e α2)
Recettori sigma-1. In particolare, la DMT è l'unico ligando agonista endogeno noto del recettore sigma-1, una delle quali funzioni è la modulazione del rilascio di Ca2+ e di inibire l'attivita' dei canali K+.
Recettori della dopamina (D1)
Gli effetti psichedelici della DMT si possono probabilmente attribuire in gran parte alla attivazione del recettore serotoinergico 5-HT2A, anche se non si può escludere che altri recettori come 5-HT2C, sigma-1, ed altri, possano giocare un ruolo importante.
Assunzione
Si può assumere respirandone i vapori, inalando direttamente la sostanza per via nasale o ingerirla sotto forma di bevanda ayahuasca. La DMT diventa attiva oralmente solo se associata a MAO inibitori delle β-carboline: armina, armalina e tetraidroarmina; questi 3 principi attivi sono presenti nei rami di Banisteriopsis caapi, pianta principale della bevanda, ed in altre piante del globo come la ruta siriana (Peganum harmala). Grazie a queste sostanze la degradazione periferica della DMT nello stomaco viene evitata ed il principio attivo riesce ad agire. Fumata, invece, la DMT non ha bisogno di essere associata ad alcuna sostanza, gli effetti si possono riscontrare dopo pochissimi secondi dall'assunzione dei vapori. A seconda del tipo di assunzione è differente la durata dell'effetto: fumata svanisce dopo 20-30 minuti, ingerita la DMT, può durare anche 2-3 ore.
Dosaggi
Fumato
Il dosaggio medio per una persona di 60/70 kg, è di circa 0.05 / 0.08 grammi. Una volta estratta, generalmente viene assunto in tre modi:
Fumando i cristalli tramite una pipa di vetro, bong o chiloom in un'unica boccata.
Trasferendo tramite un solvente i cristalli estratti all'interno di un piccolo quantitativo di tabacco o qualsiasi altra erba fumabile da assumere tramite pipa di vetro, bong o chiloom in un'unica boccata.
Mischiando i cristalli al tabacco, rollando una comune sigaretta.
Ingerito
Analisi sull'ayahuasca hanno stabilito che il dosaggio medio del MAO inibitore armina è di circa 0.1/0.12 grammi associato a 0.03/0.05 grammi di DMT. Altri esperimenti evincevano l'attività del composto con 0.1 grammi di Armalina idrocloridrico associati a 0.1 grammi di DMT.
Effetti (Inalazione dei vapori)
Sono stati fatti degli esperimenti e degli studi sulla DMT da parte di un importante esponente della rivoluzione psichedelica: Terence McKenna. In molte interviste da lui rilasciate o in conferenze parla di un viaggio breve di 20-30 minuti che porta la mente in una dimensione di trascendenza quasi totale e sembra che esseri provenienti da altri mondi facciano comparsa nella nostra realtà parlando e interagendo con noi. Mc Kenna parla di un suo viaggio ricorrente in cui delle palle da basket ingioiellate si autodribblano parlando in greco demotico.
Pochissimi secondi dopo l'assunzione dei vapori si riscontrano i primi effetti: allucinazioni visive vivide, maggiore nitidezza e brillantezza dei colori, alterazione di ciò che vediamo ed in generale di tutte le percezioni, presenza di un ronzio/fischio ad alte frequenze, ricorrente in tutte le esperienze. Dopo questo primo stato di "semi-coscienza" si passa ad uno stato nel quale il corpo "dorme", caratterizzato dalla percezione / visione di figure geometriche perfette come un caleidoscopio nel quale si muovono dei frattali coloratissimi e fluorescenti. Questa fase potrebbe essere descritta da alcuni come «l'esperienza di divenire uno "spazio obiettivo" di almeno tre dimensioni nel quale oggetti non terrestri ed entità possono verificarsi ed interagire con noi. Esperienza in apparenza estremamente energetica, rapida e confusa le prime volte». Nel giro di una decina di minuti le allucinazioni perdono vividezza, si ripassa alla fase di "semi-coscienza" per poi tornare nel giro di altri 10-20 minuti alla normalità.
Mc Kenna descrive alcune sue esperienze in questo modo:
Un livello sonoro che diviene più denso e si materializza in piccole creature simili a gnomi fatti di un materiale simile all’ossidiana, emesso dal corpo, dalla bocca e dagli organi sessuali, per tutta la durata del suono. È effervescente, fosforescente e indescrivibile. Le metafore linguistiche diventano inutili, perché questa materia è al di là del linguaggio, non un linguaggio fatto di parole, un linguaggio che diviene le cose che descrive
Terence McKenna sostiene inoltre che non sia una molecola pericolosa per la salute, a meno che uno non muoia dallo stupore. Effettivamente, non ci sono ad oggi prove di danni fisici causati da questa sostanza, ma è possibile che un utilizzo continuato possa indurre psicosi e altre disfunzioni difficilmente prevedibili data la sua bassa diffusione.
Stato legale
Attualmente è un composto classificato nella categoria 1 negli Stati Uniti. In altri paesi del mondo come Canada, Francia, Regno Unito, Italia è illegale il possesso della molecola, ma non della pianta che la contiene. In Brasile recentemente è stata resa legale per culti e cerimonie religiose.
venerdì 25 ottobre 2013
mutazione antropologica
La "mutazione antropologica"
Alla luce del dibattito che seguiamo con piacere sul blog http://www.caprarola.com/, aggiungiamo un punto di vista che ci è sembrato interessante. Già un grande pensatore italiano, Pier Paolo Pasolini, aveva parlato nei suoi scritti di una "mutazione antropologica" degli italiani: una mutazione che avveniva negli anni Sessanta, nel periodo del boom economico e dell'avvento dei mezzi di comunicazione di massa che avevano letteralmente trasformato gli usi e i costumi degli italiani.
Oggi questo tema si arricchisce di nuove prospettive, sotto il faro a volte accecante del "Ruby Gate" che sembra accendere negli italiani passioni contrastanti. Pubblichiamo pertanto questo interessante articolo tratto dalla rivista settimanale Left.
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Tutto cominciò al (e col) “Drive in”. Sì, esattamente, proprio quello. Naturalmente, non un generico cinema all’aperto fruibile dai seggiolini della propria auto ma il programma televisivo di Antonio Ricci che cominciò ad andare in onda nell’anno di grazia (per così dire…) 1983. Suvvia! Ma si può attribuire tanta rilevanza a (addirittura) un “programma tv”, come dicono alcuni studiosi con obiezioni di cui tenere conto ma anche, con tutt’altri obiettivi, vari interessati e pelosi difensori dello status quo politico? Certo che sì, se si vive, in questo periodo storico, nell’“anomalia Italia”, come viene giudicata dal consesso internazionale delle altre nazioni occidentali, in possesso anche loro di qualche vizio, naturalmente, ma nelle quali l’onnipotenza del combinato disposto politica-mass media non risulta comparabile, né tanto meno così dirompente sotto il profilo degli effetti sulla vita pubblica.
Negli ultimissimi anni, d’altronde, sono giunte diverse riflessioni di qualità (da quella di Nicola Lagioia a quelle di Luca Mastrantonio e Francesco Bonami, al romanzo di Carlo D’Amicis, La battuta perfetta) sul mondo della neotelevisione (copyright Umberto Eco) di matrice commerciale e su quell’autentica “controrivoluzione televisiva” che è stato “Drive in”, il programma che ci ha scaraventato, attraverso il tubo catodico, negli anni Ottanta del montante neoliberismo, accompagnando l’involuzione italiana tra “ragazze fast food” e macchiette da neocommedia dell’arte reinventate in chiave, usiamo quest’espressione, “postmoderna”. Il tutto detto, peraltro, lo vogliamo specificare, senza particolari nostalgie nei confronti della vecchia tv in bianco e nero di Ettore Bernabei, che sicuramente più di una virtù l’aveva, ma era irrimediabilmente connotata dalla propria epoca e da un certo marcato orientamento politico.
Riflettere su questa fase della vita nazionale e sulla dimensione culturale e antropologica di quello che, da tempo, chiamiamo comunemente “berlusconismo”, ci impone quindi di analizzare innanzitutto la centralità della televisione nel riplasmare l’immaginario e la vita materiale (ovvero, in primis, consumistica) degli italiani, checché ne dicano le geremiadi di coloro secondo i quali questa sarebbe una “banalizzazione”, perché “non si può ridurre tutto alle tv”, e gli individui “possono scegliere” cosa guardare sul piccolo schermo (obiezione fintamente ispirata al pluralismo di mercato), e via proseguendo.
Peccato, però, omissione colpevole di tutte queste tesi ad maiorem gloriam dell’oligopolio tv esistente, che la realtà sia quella di un Paese per il quale le ricerche di un linguista autorevole come Tullio De Mauro mostrano la preponderanza del tubo catodico quale unica finestra informativa a disposizione di una parte significativa dei nostri connazionali, un tempo “masse”, oggetto prediletto dei tentativi di egemonia culturale del Partito comunista italiano e delle forze della sinistra storica, e oggi, mutatis mutandis, postmoderni ceti di più difficile e varia definizione sociologica, sottoposti invece all’egemonia sottoculturale di Alfonso Signorini e Maria De Filippi e dei vari reality. Un Paese nel quale la moneta cattiva (cattivissima) dell’iperrealtà, su cui si sono variamente esercitati diversi pensatori post-strutturalisti (a partire dal ben noto Jean Baudrillard), ha scacciato ignominiosamente quella buona del riconoscimento della realtà e dell’identificazione precisa dei rapporti materiali vigenti e ci ha scaraventati all’interno di una sorta di triste Second Life, grattando la superficie della quale - fatta di ricchi premi e cotillon, di “sottocultura dell’aperitivo”, di vincite (virtuali e anelatissime) alle lotterie istantanee, e di corpi femminili denudati - ci sono il grigiore e l’opacità dell’epoca delle passioni tristi, come le ha magistralmente definite il filosofo e psicanalista franco-argentino Miguel Benasayag.
Di questo mondo artificiale, arrivato dopo la stagione delle passioni calde degli anni Sessanta e Settanta (a volte discutibili ma intrise di punte di partecipazione mai più raggiunte), il programma tv “Drive in” è stato il manifesto programmatico anticipatore, quello contenente in nuce tutti i pilastri dell’egemonia sottoculturale che sarebbe stata diffusa nel Paese voglioso di disimpegno, di edonismo e di occuparsi solo dei fatti propri (ricordate “il privato è bello” o l’invito all’arricchimento senza sensi di colpa, e con ogni mezzo, rivolto da Margaret Thatcher ai sudditi di sua maestà britannica?). Un’egemonia gramsciana davvero in senso filologico - absit iniuria verbis - volta a conquistare i cuori e le menti a un progetto culturale e politico. E questa egemonia si è così irresistibilmente dispiegata mediante un micidiale combinato disposto di gossip, tv trash, sport, divertimento, infotainment - la fusione di informazione ed entertainment, che induce a porsi molte domande sull’attendibilità delle news che ci vengono dispensate sotto forma di giornalismo “oggettivo” (basti pensare a cosa è diventata, per citare un esempio, l’ex ammiraglia dell’informazione pubblica, il Tg1 minzoliniano) -, consumismo privo di freni inibitori, mercificazione del corpo femminile (che al maschio italiano medio, Homo voyeur, piace tanto, e che anche il programma della De Filippi distribuisce a piene mani sotto forma di procaci “corteggiatrici”; perché, come noto, nel bestiario televisivo non ci sono soltanto le veline…), e… politica. Per l’appunto, la composita e articolatissima strategia di egemonia sottoculturale, che risponde ad assai precisi interessi economici e di potere, e rappresenta una declinazione italiota (un po’ “brianzola” e un po’ “all’amatriciana”) della “rivoluzione conservatrice” e del radicalismo neocon impostosi negli anni Ottanta a partire dal mondo anglosassone.
Negli ultimissimi anni, d’altronde, sono giunte diverse riflessioni di qualità (da quella di Nicola Lagioia a quelle di Luca Mastrantonio e Francesco Bonami, al romanzo di Carlo D’Amicis, La battuta perfetta) sul mondo della neotelevisione (copyright Umberto Eco) di matrice commerciale e su quell’autentica “controrivoluzione televisiva” che è stato “Drive in”, il programma che ci ha scaraventato, attraverso il tubo catodico, negli anni Ottanta del montante neoliberismo, accompagnando l’involuzione italiana tra “ragazze fast food” e macchiette da neocommedia dell’arte reinventate in chiave, usiamo quest’espressione, “postmoderna”. Il tutto detto, peraltro, lo vogliamo specificare, senza particolari nostalgie nei confronti della vecchia tv in bianco e nero di Ettore Bernabei, che sicuramente più di una virtù l’aveva, ma era irrimediabilmente connotata dalla propria epoca e da un certo marcato orientamento politico.
Riflettere su questa fase della vita nazionale e sulla dimensione culturale e antropologica di quello che, da tempo, chiamiamo comunemente “berlusconismo”, ci impone quindi di analizzare innanzitutto la centralità della televisione nel riplasmare l’immaginario e la vita materiale (ovvero, in primis, consumistica) degli italiani, checché ne dicano le geremiadi di coloro secondo i quali questa sarebbe una “banalizzazione”, perché “non si può ridurre tutto alle tv”, e gli individui “possono scegliere” cosa guardare sul piccolo schermo (obiezione fintamente ispirata al pluralismo di mercato), e via proseguendo.
Peccato, però, omissione colpevole di tutte queste tesi ad maiorem gloriam dell’oligopolio tv esistente, che la realtà sia quella di un Paese per il quale le ricerche di un linguista autorevole come Tullio De Mauro mostrano la preponderanza del tubo catodico quale unica finestra informativa a disposizione di una parte significativa dei nostri connazionali, un tempo “masse”, oggetto prediletto dei tentativi di egemonia culturale del Partito comunista italiano e delle forze della sinistra storica, e oggi, mutatis mutandis, postmoderni ceti di più difficile e varia definizione sociologica, sottoposti invece all’egemonia sottoculturale di Alfonso Signorini e Maria De Filippi e dei vari reality. Un Paese nel quale la moneta cattiva (cattivissima) dell’iperrealtà, su cui si sono variamente esercitati diversi pensatori post-strutturalisti (a partire dal ben noto Jean Baudrillard), ha scacciato ignominiosamente quella buona del riconoscimento della realtà e dell’identificazione precisa dei rapporti materiali vigenti e ci ha scaraventati all’interno di una sorta di triste Second Life, grattando la superficie della quale - fatta di ricchi premi e cotillon, di “sottocultura dell’aperitivo”, di vincite (virtuali e anelatissime) alle lotterie istantanee, e di corpi femminili denudati - ci sono il grigiore e l’opacità dell’epoca delle passioni tristi, come le ha magistralmente definite il filosofo e psicanalista franco-argentino Miguel Benasayag.
Di questo mondo artificiale, arrivato dopo la stagione delle passioni calde degli anni Sessanta e Settanta (a volte discutibili ma intrise di punte di partecipazione mai più raggiunte), il programma tv “Drive in” è stato il manifesto programmatico anticipatore, quello contenente in nuce tutti i pilastri dell’egemonia sottoculturale che sarebbe stata diffusa nel Paese voglioso di disimpegno, di edonismo e di occuparsi solo dei fatti propri (ricordate “il privato è bello” o l’invito all’arricchimento senza sensi di colpa, e con ogni mezzo, rivolto da Margaret Thatcher ai sudditi di sua maestà britannica?). Un’egemonia gramsciana davvero in senso filologico - absit iniuria verbis - volta a conquistare i cuori e le menti a un progetto culturale e politico. E questa egemonia si è così irresistibilmente dispiegata mediante un micidiale combinato disposto di gossip, tv trash, sport, divertimento, infotainment - la fusione di informazione ed entertainment, che induce a porsi molte domande sull’attendibilità delle news che ci vengono dispensate sotto forma di giornalismo “oggettivo” (basti pensare a cosa è diventata, per citare un esempio, l’ex ammiraglia dell’informazione pubblica, il Tg1 minzoliniano) -, consumismo privo di freni inibitori, mercificazione del corpo femminile (che al maschio italiano medio, Homo voyeur, piace tanto, e che anche il programma della De Filippi distribuisce a piene mani sotto forma di procaci “corteggiatrici”; perché, come noto, nel bestiario televisivo non ci sono soltanto le veline…), e… politica. Per l’appunto, la composita e articolatissima strategia di egemonia sottoculturale, che risponde ad assai precisi interessi economici e di potere, e rappresenta una declinazione italiota (un po’ “brianzola” e un po’ “all’amatriciana”) della “rivoluzione conservatrice” e del radicalismo neocon impostosi negli anni Ottanta a partire dal mondo anglosassone.
Il tutto ha così prodotto un’operazione di manipolazione fortissima dell’immaginario, portato naturaliter in una direzione politica di destra. Perché, attraverso il modello di televisione commerciale dilagato nel Paese - nel quale è confluita anche, rovesciata di segno, una strumentazione culturale proveniente dalla migliore sinistra degli anni Sessanta e Settanta (a partire dai situazionisti) - e per il mezzo di un umorismo “cortigiano” e “di regime” (come nel caso di “Striscia la notizia”), si è accompagnata e accelerata la metamorfosi in negativo dell’Italia, a suon di esaltazione della peggiore religione dei consumi, dell’individualismo più spinto e dell’egoismo sociale.
Ecco perché le indubbie difficoltà politiche che sta vivendo il berlusconismo, autobiografia della nazione postdemocratica, non preludono affatto a un suo superamento culturale. I solchi scavati in questi anni dalla peculiare “versione di Silvio” di un fenomeno planetario (il neoliberalismo) sono davvero profondi, e si sono saldati con alcuni tratti negativi endemici e di lunga durata dell’antropologia italica. La narrazione berlusconiana ha toccato le corde, già sensibili, di una parte ampia del Paese - anche perché, in un gioco di rimandi continuo, al suo successo non è estraneo il ripetere, amplificato, all’uditorio di ciò che gli ascoltatori, anzi i telespettatori, vogliono sentirsi dire. E la transizione infinita che stiamo vivendo da decenni ormai non aiuta di certo il rinnovamento culturale.
Tutto è perduto, allora? No, di certo: pessimismo della ragione ma anche e sempre ottimismo della volontà. E, dunque, occorre moltiplicare tutte le operazioni culturali di “decostruzione”, di analisi e disvelamento dei meccanismi che stanno dietro il successo e le finalità autentiche di questa ideologia sottoculturale (innanzitutto televisiva, perché, in tante sue trasmissioni, il piccolo schermo è, giustappunto, il vero oppio postmoderno dei popoli). In attesa che la sinistra ricostruisca un progetto culturale e politico all’altezza dell’età dei pensieri apparentemente deboli, e in verità, al solito, semplicisticamente fortissimi della destra.
Ecco perché le indubbie difficoltà politiche che sta vivendo il berlusconismo, autobiografia della nazione postdemocratica, non preludono affatto a un suo superamento culturale. I solchi scavati in questi anni dalla peculiare “versione di Silvio” di un fenomeno planetario (il neoliberalismo) sono davvero profondi, e si sono saldati con alcuni tratti negativi endemici e di lunga durata dell’antropologia italica. La narrazione berlusconiana ha toccato le corde, già sensibili, di una parte ampia del Paese - anche perché, in un gioco di rimandi continuo, al suo successo non è estraneo il ripetere, amplificato, all’uditorio di ciò che gli ascoltatori, anzi i telespettatori, vogliono sentirsi dire. E la transizione infinita che stiamo vivendo da decenni ormai non aiuta di certo il rinnovamento culturale.
Tutto è perduto, allora? No, di certo: pessimismo della ragione ma anche e sempre ottimismo della volontà. E, dunque, occorre moltiplicare tutte le operazioni culturali di “decostruzione”, di analisi e disvelamento dei meccanismi che stanno dietro il successo e le finalità autentiche di questa ideologia sottoculturale (innanzitutto televisiva, perché, in tante sue trasmissioni, il piccolo schermo è, giustappunto, il vero oppio postmoderno dei popoli). In attesa che la sinistra ricostruisca un progetto culturale e politico all’altezza dell’età dei pensieri apparentemente deboli, e in verità, al solito, semplicisticamente fortissimi della destra.
fonte: selcaprarola.blogspot.it
martedì 22 ottobre 2013
disastro ambientale
Il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon è stato uno sversamento massiccio di petrolio nelle acque del Golfo del Messico in seguito a un incidente riguardante il Pozzo Macondo, posto a oltre 1.500 m di profondità. Lo sversamento è iniziato il 20 aprile 2010 ed è terminato 106 giorni più tardi, il 4 agosto 2010, con milioni di barili di petrolio che ancora galleggiano sulle acque di fronte a Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida, oltre alla frazione più pesante del petrolio che ha formato ammassi chilometrici sul fondale marino.
È il disastro ambientale più grave della storia americana, avendo superato di oltre dieci volte per entità quello della petroliera Exxon Valdez nel 1989. Pertanto, spesso ci si riferisce a questo disastro con l'espressione "Marea nera".
Antefatto
Deepwater Horizon
La Deepwater Horizon era una piattaforma petrolifera, dal valore di circa 560 milioni di dollari, di proprietà dell'azienda svizzera Transocean, la più grande compagnia del mondo nel settore delle perforazioni off-shore; affittata alla multinazionale British Petroleum per 496.000 dollari al giorno. Estraeva circa 9000 barili di petrolio al giorno, era grande quanto 2 campi da calcio e si trovava a circa 80 km dalla Louisiana, nel Golfo del Messico, e poteva ospitare circa 130 persone. Il 2 settembre 2009 la Deepwater Horizon ha trivellato il pozzo di idrocarburi più profondo al mondo, lungo 10 685 metri di cui 1259 di acqua, nel giacimento di Tiber, sempre nel Golfo del Messico. La trivella della Deepwater Horizon era una delle più grandi al mondo, lunga 121 metri per 78 metri di larghezza, poteva operare in acque profonde fino a 2400 metri e scavare pozzi profondi fino a 9100 metri.
Il disastro ambientale
Il 20 aprile 2010, mentre la trivella della Deepwater Horizon stava completando il Pozzo Macondo su un fondale profondo 400 metri al largo della Louisiana, un'esplosione sulla piattaforma ha innescato un violentissimo incendio; 11 persone sono morte all'istante, incenerite dalle fiamme, mentre 17 lavoratori sono rimasti feriti.
In seguito all'incendio la flotta della BP ha tentato invano di spegnere le fiamme, oltre a recuperare i superstiti.
Nei giorni successivi all'esplosione della piattaforma il contrammiraglio di Guardia Costiera Mary Landry intervistato dall'ABC escludeva un'emergenza ambientale significante.
Due giorni dopo la piattaforma Deepwater Horizon si è rovesciata, affondando e depositandosi sul fondale profondo 400 metri a circa mezzo chilometro più a nord-ovest del pozzo. Le valvole di sicurezza presenti all'imboccatura del pozzo sul fondale marino non hanno funzionato correttamente e il petrolio greggio, spinto dalla pressione del giacimento petrolifero ha iniziato a uscire senza controllo, in parte risalendo in superficie per via della minor densità rispetto all'acqua. Il 7 maggio 2010 la BP ha poi tentato col progetto Top Kill di arginare la falla utilizzando una cupola di cemento e acciaio dal peso di 100 tonnellate, ma la perdita non si è arrestata ed il tentativo di ridurre il danno è fallito.
In attesa di trovare una strategia risolutiva la BP ha poi approntato il progetto Lower Marine Riser Package (LMRP), con la posa in opera di un imbuto convogliatore sospeso sopra al pozzo e collegato a una nave cisterna in superficie, volto a recuperare almeno in parte il petrolio che fuoriusciva senza controllo dal pozzo sul fondo del mare.
In contemporanea la BP iniziava a trivellare due pozzi sussidiari in previsione di riuscire a giungere per fine agosto 2010 al condotto del pozzo che perdeva, intercettandolo in profondità, per cementarlo definitivamente.
Il 10 luglio 2010 - quando ormai l'entità della perdita era stimata da un minimo dai 35 000 ai 60 000 barili (tra i 5 e 10 milioni di litri) di idrocarburi al giorno, di cui solo la metà riusciva in qualche modo ad essere recuperata - veniva effettuato un secondo tentativo con un nuovo tappo per ridurre drasticamente la perdita di petrolio, e l'obiettivo di fermare interamente le perdite entro una decina di giorni, non cessando comunque di lavorare anche a quella che viene considerata dalla BP essere la soluzione definitiva del problema: ossia la trivellazione dei due pozzi collaterali di emergenza.
Dopo 86 giorni dall'inizio dello sversamento di petrolio, il 15 luglio 2010 la BP dichiarava di essere riuscita a tappare la perdita del greggio, per la prima volta dal 20 aprile, giorno dell'esplosione, pur non essendo ancora sicura di quanto tempo avrebbe potuto resistere quest'ultima soluzione. Secondo le stime della BP stessa erano già stati riversati in mare, al 15 luglio, tra i 3 e i 5 milioni di barili di petrolio, ovvero tra i 506 e gli 868 milioni di litri (che, convertiti con un fattore di 0,920 che rappresenta in media il peso specifico del greggio, fanno 460.000-800.000 tonnellate).
Dopo 100 giorni dall'inizio delle perdite - e a due settimane dal nuovo tappo che chiude il pozzo in attesa di una soluzione definitiva - presumibilmente grazie alla tempesta tropicale che si è abbattuta sulla zona per più giorni, la macchia di petrolio che prima galleggiava sull'acqua è praticamente scomparsa. Rimane visibile solo il catrame spiaggiato sulle coste. Quanto manca - a eccezione di quanto aspirato nelle operazioni di pulizia (circa 800.000 barili - corrispondenti a 127 milioni di litri) o date alle fiamme in incendi controllati - si presume sia in parte evaporato, in parte dissolto (sono stati impiegati 7 milioni di litri di solventi rovesciati sulla macchia nera nelle prime settimane dell'emergenza), in parte digerito dai batteri; ma si ipotizza che la maggior parte sia finita sul fondale marino formando laghi di petrolio destinato a solidificarsi. Un terzo delle acque degli stati USA che si affacciano sul Golfo del Messico sono state chiuse, la pesca sta morendo e il turismo registra la chiusura del 20% delle spiagge.
Il 3 agosto 2010 inizia l'operazione Static Kill, con la quale la BP si propone di tappare definitivamente il pozzo mediante un'iniezione di fango e cemento attraverso i pozzi sussidiari, così da deviare il greggio in un bacino sicuro posto a 4 km di profondità.
Il 19 settembre 2010 viene terminata la cementificazione definitiva del pozzo.
Gli sforzi dei soccorsi
Nel tentativo di porre rimedio al disastro gli ingegneri hanno adottato almeno cinque strategie:
veicoli sottomarini operanti in remoto allo scopo di chiudere le valvole di sicurezza sul fondo del mare;
spargimento di agenti disperdenti attraverso robot sommergibili, aerei e navi di supporto, allo scopo di legare chimicamente il petrolio e farlo precipitare sul fondo del mare, dove dovrebbe rimanere inerte nei confronti dell'uomo;
trivellazione adiacente al punto di fuoriuscita del petrolio, allo scopo di raggiungere con un tubo di perforazione il canale di comunicazione fra il giacimento petrolifero e il fondale marino per potervi iniettare del cemento, questa operazione è stata denominata "Top Kill";
piattaforme galleggianti aspiranti il petrolio che raggiunge la superficie;
camera di contenimento calata al di sopra della perdita primaria del tubo di perforazione danneggiato.
Le conseguenze
Conseguenze sulla salute umana
Il disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon avrà nel breve e medio periodo effetti sulla popolazione locale in termini di intensificazione di malattie respiratorie e patologie della pelle (follicoliti cutanee) e, nel lungo periodo, gravi effetti in termini di aumento statistico dell'incidenza di tumori. Gli effetti nel lungo periodo comprendono anche aumenti statistici degli aborti spontanei, neonati di basso peso alla nascita o pretermine.
Il petrolio e le sostanze chimiche disperdenti rilasciate sul luogo del disastro contamineranno la popolazione locale nel breve e medio termine per via inalatoria; nel lungo termine per via orale, come conseguenza dell'accumulo degli idrocarburi nella catena alimentare.
Conseguenze ambientali su fauna e flora
Le prime specie animali vittime del disastro sono state quelle di dimensioni più piccole e alla base della catena alimentare, come ad esempio il plancton. Sono seguite le specie di dimensioni via via maggiori che sono state contaminate direttamente (dagli idrocarburi e dalle sostanze chimiche dispersanti) oppure indirettamente (per essersi alimentate di animali contaminati). Fra le specie coinvolte: numerose specie di pesci, tartarughe marine, squali, delfini e capodogli, tonni, granchi e gamberi, ostriche, menhaden, varie specie di uccelli delle rive, molte specie di uccelli migratori, pellicani.
Gli agenti disperdenti (fra i quali il prodotto commercializzato come corexit), cioè le sostanze chimiche utilizzate per disperdere gli idrocarburi in parti più piccole e per farli precipitare sul fondale del mare hanno consentito di nascondere la marea nera della superficie; tuttavia tali sostanze non hanno ridotto la quantità di greggio ma l'hanno solo nascosta alla vista, ad oltre 1600 metri di profondità, dove continua ad esercitare i suoi effetti nefasti sulla catena alimentare a tutti i livelli, uomo compreso.
Di grande importanza anche i timori che si concentrano sulle specie già a rischio per le quali l'estinzione potrebbe essere accelerata.
Il danno economico
I danni del disastro ambientale sono impossibili da calcolare, tuttavia è possibile farne una stima.
I danni diretti, cioè quelli immediatamente visibili ed evidenti sono:
il valore, non stimabile né riparabile, della perdita di 11 vite umane;
il valore, non stimabile né riparabile, del danno ambientale procurato;
il valore economico della piattaforma (equivalente a circa 560 milioni di dollari), degli investimenti per la trivellazione del pozzo (andati in fumo), la perdita azionaria della British Petroleum, della Transocean e della Cameron International;
il costo dei primi soccorsi, per lo spegnimento dell'incendio ed il salvataggio del personale della piattaforma e la ricerca dei dispersi, il costo dell'operazione per la calata della cupola più il costo della cupola da 100 tonnellate, il costo delle operazioni per arginare o tappare la fuoriuscita dal pozzo;
il costo per il tentativo di arginare l'area sul mare dove si è sparso il petrolio fuoriuscito;
il costo per limitare il danno tentando la bonifica delle acque e delle coste e la pulizia degli animali.
Fra quelli indiretti, cioè quelli correlati ma non strettamente conseguenti al disastro, vi sono:
il danno all'industria locale della pesca;
il danno all'industria del turismo;
l'aumento del prezzo del petrolio.
Le indagini
Il 12 giugno la guardia costiera statunitense ha comunicato un ultimatum di 48 ore per fermare la fuoriuscita del greggio.
Ai primi di luglio 2010 viene denunciato mediante un video che alcune spiagge inquinate dal petrolio non sono state ripulite come promesso dalla BP, bensì sono state ricoperte con sabbia pulita, al fine di nascondere l'inquinamento.
Le dichiarazioni politiche dopo il disastro
Il presidente Barack Obama è deciso a far pagare una grossa somma alla Bp come risarcimento del disastro ambientale. Il presidente è stato criticato dai repubblicani che ritengono abbia gestito male il disastro. Al 28 giugno 2010 la Bp annuncia di aver già versato 2,65 miliardi di dollari.
Le manifestazioni contro il disastro
Risultando prive di efficacia le azioni volte a fermare la fuoriuscita di petrolio, a poco più di un mese dall'incidente - e a perdite ancora in corso - a New York si sono avute manifestazioni di protesta per chiedere che in futuro simili tragedie ambientali non possano più accadere.
Il dopo-disastro
A dicembre 2011, per rientrare delle perdite, Bp ha chiesto un risarcimento da 20 miliardi di dollari all'americana Halliburton, accusandola di avere intenzionalmente cancellato delle prove chiave dopo il disastro.
Una verifica biologica, compiuta dal dipartimento di biologia marina dell'Università del South Florida a due anni dal disastro, mostra chiari segni di malattie della fauna marina legate all'ingestione di petrolio.
domenica 20 ottobre 2013
sabato 19 ottobre 2013
crisi dei biscotti
Notizie del genere sono diventate quasi ordinaria amministrazione in questi tempi di feroce crisi economica. E invece ordinaria amministrazione non dovrebbe essere, come non dovrebbe esserci indifferenza, né da parte dei media né da parte delle istituzioni, sui licenziamenti di massa. Perché licenziamento di massa è, in realtà, quello prospettato di recente dalla Plasmon, che ha in mente di lasciare a casa il 25% dei suoi operai. Questa mattina si è verificato uno sciopero, che le prime stime rivelano aver riscontrato un enorme successo. Il ministro dello Sviluppo Economico Zanonato si è mobilitato per mediare tra l’azienda e i lavoratori.
Sciopero Plasmon: lavoratori compatti contro i licenziamenti
“L’azienda ha rifiutato il confronto con il sindacato su un piano industriale che dia garanzie per il futuro e dentro il quale si possono trovare soluzioni alternative ai licenziamenti” è questa la motivazione, o per meglio dire l’aggravante, che ha spinto i lavoratori a procedere con l’imponente sciopero di stamattina 25 settembre. La nota è stata emessa nella serata di ieri dai sindacati che hanno indetto la protesta. C’è stato un richiamo anche alla storia dell’azienda e a ruolo da loro giocato nella crescita di molte generazioni: “Auspichiamo che il gruppo Heinz non rifiuti l’incontro dando uno schiaffo non solo ai dipendenti ed al sindacato, ma al Paese intero dove intere generazioni sono cresciute con gli omogeneizzati e i biscotti Plasmon”.
I sindacati Fai Cisl, Flai Cgil, Uil hanno organizzato lo sciopero per protestare contro il licenziamento di 204 operai su 904. Una sorta di decimazione che metterà alla fame centinaia di famiglie. Lo sciopero, realizzato in contemporanea a Ozzano, Latina e a Milano, ha riscontrato un certo successo. L’adesione, nel complesso, è stata stimata nella misura del 90%, mentre a Ozzano è stato registrato addirittura il 100%.
L’intervento di Zanonato
La protesta è stata causata dalla sordità manifestata dai vertici del gruppo Heinz (detentore di Plasmon), che non ha voluto incontrare i rappresentanti delle istituzioni. Zanonato ha espresso la sua solidarietà già stamane, in occasione della riunione con l’Unione Industriale. Il ministro ha dichiarato che seguirà personalmente la situazione, anche se da Roma, e che si porrà che intermediario tra il gruppo Heinze e gli operai che rischiano l’esubero, rappresentati dai sindacati.
fonte: www.investireoggi.it
articolo 138
Intervista a Barbara Spinelli di Silvia Truzzi, da il Fatto Quotidiano
Tra urla, appelli e minacce che accompagnano in questi giorni il dibattito sulla decadenza del senatore Silvio Berlusconi, pare che nessuno si sia posto una semplice, ma capitale, domanda: quanto costerebbe al Paese sacrificare un principio fondamentale come l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge? Lo abbiamo chiesto a Barbara Spinelli, scrittrice ed editorialista di Repubblica.
Perché sembra una bestemmia dire che una persona condannata definitivamente per frode fiscale – reato ai danni dello Stato – non può rappresentare i cittadini in Parlamento?
Perché è difficile dire quel che pure è ovvio: questo nostro Stato si definisce a parole democratico, ma ha perduto la coscienza di essere una democrazia costituzionale, cioè dotata di una legge fondamentale che garantisce principi come la separazione dei poteri e, appunto, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Si procede con sospetta premura alla modifica dell’articolo cardine della Costituzione, il 138, che disciplina la revisione della Carta con procedure di garanzia. Tutto questo per volontà di un governo “contro natura”, nato da un’infedeltà elettorale, insieme a un Parlamento eletto con una legge fortemente sospetta di incostituzionalità. C’è più di qualcosa che non quadra.
Cambiare la Costituzione con procedure accelerate che stravolgono l’articolo 138 – una valvola di sicurezza pensata dai Padri costituenti proprio per evitare manomissioni – è un colpo di mano. Si parla di deroga, ma la parola giusta è violazione della Costituzione: finché non è modificato, l’articolo 138 è legge da osservare. Tanto più è un colpo di mano se pensiamo alla presente congiuntura storica: un Parlamento di nominati, un governo di larghe intese che gli elettori non volevano e che distorce la democrazia. Infine il conflitto di interessi: immutato, esso resta il male volutamente non curato del sistema politico. Come rafforzare i poteri dell’esecutivo, quando chi più si batte per il rafforzamento è Berlusconi, condannato e interdetto dai pubblici uffici perché frodava lo Stato per i propri interessi di imprenditore mentre governava? Altra stortura, gravissima: la legge elettorale viene accorpata al riesame costituzionale, dunque chissà quando ne avremo una nuova. Come se il Porcellum fosse parte della Carta!
Che impressione ha di questa lunga discussione nella Giunta per le elezioni del Senato: stanno prendendo/perdendo tempo?
Certo: già questo è un successo per Berlusconi. È come nei processi: rinvii, cavilli, dilazioni fino ad arrivare alla prescrizione. Anche in politica il traguardo pare essere una sorta di prescrizione. A forza di allungare i tempi si giungerà a ottobre, quando Berlusconi deciderà sull'affidamento ai servizi sociali e quando la Corte d’appello ridefinirà l’interdizione dai pubblici uffici. Sarebbe una vittoria per lui: vorrebbe dire che il parlamento non è riuscito a farlo decadere e che lo faranno i giudici, contro cui potrà inveire in nome del popolo sovrano e del Parlamento.
Il capo dello Stato martedì ha dichiarato: “Se non teniamo fermi e consolidiamo questi pilastri della nostra convivenza nazionale tutto è a rischio”. L’appello all’unità è stato messo in relazione con il braccio di ferro sulla decadenza di Berlusconi. Lei cosa pensa di questo intervento?
Il Presidente è intervenuto due volte, in agosto e settembre, sulla decadenza. Un’interferenza abbastanza irrituale, che tradisce la sua gerarchia delle urgenze: la cosa che più conta è la sopravvivenza del governo delle grandi intese. In altre parole: dà a quest’ultimo il primato, e pesa sulla Giunta ricordandole che essenziale è non abbattere i “pilastri della convivenza nazionale” con una rottura tra Pd e Pdl. L’intervento è pericoloso, e anche singolare: se è vero che le sentenze vanno rispettate, e Napolitano lo ribadisce con forza, come evitare uno scontro fra Pd e Pdl? Nella sostanza, siamo a un bivio: se vuole ritrovare identità ed elettori, il Pd deve interrompere questa venerazione di Napolitano, che va ben al di là del rispetto istituzionale. È l’adesione a una visione emergenziale della democrazia italiana, fatta propria dal Quirinale: da anni siamo “sull'orlo del precipizio”, “a un passo dal baratro”, dunque in stato di eccezione. Nulla deve muoversi. La democrazia è sospesa. Io non ritengo affatto pericolosa la caduta di un governo. Ne abbiamo avute tante e l’economia ne ha risentito poco.
Napolitano è stato rieletto, per la prima volta nella storia repubblicana, al sesto scrutinio. Ma ci sono stati presidenti eletti al 21esimo. E così ora una possibile caduta del governo cui seguissero nuove consultazioni ed eventualmente un nuovo esecutivo sembra un strappo. Che fine ha fatto la fisiologia istituzionale?
L’ideologia emergenziale permette a oligarchie chiuse di governare aggirando il normale funzionamento delle istituzioni, e anche gli esiti elettorali. È un ricatto sotto il quale viviamo da tempo. Ci ha anestetizzati. Il terrore del tracollo si è insinuato nelle menti, tanto ossessivamente viene ripetuto. Ci sono poi parole assassine: “governo di scopo”, “governo di servizio” trasmettono un’unica immagine: qualunque altro governo nato da elezioni non sarà “di servizio”. Nella migliore delle ipotesi sarà “senza scopo”, nella peggiore sarà in mano a populisti e malfattori.
Paolo Mieli ha detto: “Il ricatto di Berlusconi sulla caduta del governo è una pistola scarica”. Non è che tutto questo urlare alla catastrofe in caso di caduta del governo, carica quest’arma?
Berlusconi si è sempre nutrito della retorica emergenziale. La sua idea del capo legibus solutus, non ostacolato da nessuno, è coerente all’idea, valida in tempi di guerra, dello stato di necessità.
Perché si sono consegnati mani e piedi a un uomo che stava per essere condannato?
Nel 2009, a proposito del lodo Alfano, Ghedini disse che il premier non è un primus inter pares, ma un primus super pares. Che la “legge è uguale per tutti, non la sua applicazione”. Sono controverità entrate negli usi e costumi della Repubblica. Nella dichiarazione del 13 agosto, Napolitano ha preso atto della condanna di Berlusconi, ma al tempo stesso ha considerato “legittimi” gli attacchi e le rimostranze del Pdl contro i magistrati e la sentenza. Contrapporre la legittimità alla legalità è materia incandescente. È uno iato di cui s'è nutrita la cultura antilegalitaria delle destre e sinistre estreme, nella storia d'Europa.
Il capo dello Stato ha ricevuto il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che secondo il Corriere della Sera, è salito al Colle in veste di ambasciatore di Berlusconi.
Il fatto in sé non mi scompone. Ma era il caso di riceverlo proprio in questi giorni? È il momento prescelto che inquieta. Come le telefonate di Nicola Mancino. Telefonare con Mancino è del tutto normale, tranne nel momento in cui l’ex ministro è indagato sulla trattativa Stato-mafia.
(12 settembre 2013)
fonte: temi.repubblica.it
martedì 15 ottobre 2013
diario di uno scandalo
Notes on a Scandal è un film del 2006 diretto da Richard Eyre, tratto dal romanzo di Zoë Heller La donna dello scandalo.
La pellicola ha ricevuto quattro candidature ai premi Oscar nel 2007: miglior attrice protagonista (Judi Dench) e non protagonista (Cate Blanchett), miglior sceneggiatura non originale e migliore colonna sonora.
Trama
Barbara Covett (Judi Dench) è un'anziana insegnante di storia in una scuola pubblica a Londra. Solitaria e single, è decisamente poco popolare fra colleghi e studenti e il suo unico "rapporto" è quello che tiene col proprio diario, a cui confida tutto il disprezzo che prova per il prossimo.
All'inizio del nuovo anno scolastico, arriva a scuola una nuova insegnante, l'idealista Sheba Hart (Cate Blanchett), che sembra catalizzare intorno a sé l'attenzione di tutti, compresa quella di Barbara. In una occasione, Barbara aiuta Sheba a riportare l'ordine nella sua classe, ottenendone cosi la riconoscenza. Barbara coglie l'occasione per cercare di farsela amica.
Barbara scopre cosi che Sheba è sposata con un uomo molto più anziano di lei (Bill Nighy) e ha due figli, Polly e Ben, affetto dalla sindrome di Down (Barbara li definisce malignamente nel suo diario "una principessa sul pisello e un buffone di corte"). Inoltre, Barbara scopre che Sheba ha una relazione con uno studente di quindici anni, Steven Connelly (Andrew Simpson). Barbara accetta di mantenere il segreto, rendendo Sheba sempre più debitrice nei suoi confronti e convincendosi così di aver fortificato la loro amicizia.
Tuttavia, quando Barbara si presenta a Sheba cercando consolazione per la morte della sua gatta Portia, la donna non può prestarle attenzione perché impegnata con la recita scolastica di Ben e questo fa andare Barbara su tutte le furie. Barbara rivela "velatamente" ad un collega la relazione fra Sheba e Steven, lasciando che lui sparga la voce.
Dopo poco infatti, Sheba viene assalita dalla madre di Steven, perde il lavoro e la storia finisce su tutti i giornali. Anche Barbara viene fatta pensionare anticipatamente, perché a conoscenza dei fatti. Cacciata di casa dal marito, Sheba - convinta che a divulgare la storia sia stato Steven - cerca rifugio da Barbara.
Nonostante lo stress e il patimento di Sheba, Barbara passa in sua compagnia il mese più bello della sua vita. Un giorno, tuttavia, commette l'imprudenza di lasciarla sola in casa, dandole la possibilità di leggere il diario. Scoperta la verità, Sheba affronta duramente Barbara e lascia l'appartamento per tornare dal marito che sembra disposto a perdonarla.
Sheba viene condannata a dieci mesi, mentre Barbara, indefessa, sul finire della pellicola comincia una nuova amicizia con una giovane donna di nome Annabel, conosciuta nel luogo in cui era solita passare del tempo con Sheba.
sabato 12 ottobre 2013
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