domenica 25 gennaio 2015

il rispetto di K



Il rispetto è un sentimento dovuto o qualcosa che ci si deve meritare?
Storicamente il rispetto è sempre stato collegato a un’autorità o a un potere, implicando un rapporto fra un superiore e un inferiore. E questo è ciò che mi hanno insegnato. Ma questo atteggiamento di riguardo e di stima nei confronti delle persone che mi sono superiori per condizione di una morale giuridica o economica o professionale è sempre stata per me come un pasto mal digerito, qualcosa che resta lì sullo stomaco e non va né su né giù.
Sarà forse perché sono figlia degli anni ‘60/’70 dove ribellarsi ai poteri costituiti era una necessità personale di liberazione intellettuale per una nuova crescita? Sì, credo che buona parte sia dovuto a quegli anni lì della mia formazione adolescenziale, ma non avrei avuto problema a portare rispetto a chi se lo meritava veramente. E beh, certo, e chi sono io per decidere chi e per cosa una persona si merita il mio rispetto? Da qui il mio acquisito divieto di imporre agli altri la mia verità lasciando ad ognuno la propria libertà interiore perché ciò che ti meriti ti sarà dato e non in termini di denaro, ma di stima e di rispetto da chi saprà cogliere le sfumature della tua più vera interiorità.
Della serie è meglio una cruda verità che un falso atteggiarsi.
Di conseguenza il rispetto che sento per gli altri si concretizza in due distinte categorie:
la stima (il più alto sentimento che a mio parere si può provare per gli altri) per persone che agiscono secondo un personale senso di dignità, persone che concretizzano le loro passioni, che agiscono seguendo un istinto naturale di comprensione, che sfruttano le proprie capacità e inclinazioni per costruire bellezza, questo e ancora di più ma che corrisponda a quello che è la persona veramente nel suo più profondo, sia esso un chirurgo o un barbone, un  intellettuale o un ignorante;
e il riguardo (sentimento più di scrupolo e di attenzione) per coloro che in buona fede hanno tentato di essere una persona degna di rispetto.
A questa seconda categoria per esempio fanno parte i miei genitori.
Non è un senso di superiorità il mio perché non so se a mia volta sarò degna di rispetto, un rispetto considerato come stima e non come semplice riguardo.
Io sono convinta che il rispetto dobbiamo meritarcelo.
Non voglio che mia figlia mi debba portare rispetto in quando io investita di una autorità parentale. Di fatti non ho mai detto a lei la classica frase “porta rispetto”, proprio perché la trovo senza valore. Io per prima ho sempre portato rispetto per lei, già da quando era in fasce, già dalla prima volta che l’ho attaccata al mio seno, rispetto e fiducia nella persona che già era. Forse è qui la differenza.
Non potrò mai essere quella gran donna degna di stima che banalmente mi piacerebbe essere (espressione del sentimento di inadeguatezza che alberga in me) e questo perché mi è impossibile riuscire ad arrivare alla vera me stessa e comportarmi come dignitosamente essa brama. E’ una forma di insicurezza dovuta ai geni, all’educazione, al mio passato. Ma non mi sforzo nemmeno di fare il possibile per meritarmelo il rispetto. Sono quel che sono, nella mia cruda e nuda e oscena verità, nascosta tra le piaghe di sentimenti che spesso non trovano dignità.
Il rispetto si ispira e non si comanda.
Non lo pretendo per me stessa; non pretendete che io lo provi per gli altri.

Kamala

(16 novembre 2013)

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