giovedì 15 gennaio 2015

il disastro del Moby Prince



è stato un incidente marittimo avvenuto la sera del 10 aprile 1991, quando il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo entrarono in collisione al largo del porto di Livorno.

In seguito allo scontro, si sviluppò un incendio che causò la morte delle 140 persone a bordo del Moby Prince, equipaggio e passeggeri, tranne il giovane mozzo napoletano Alessio Bertrand.

Il 28 maggio 1998, la nave (posta sotto sequestro) affondò nelle acque del Porto di Livorno mentre era ormeggiata alla banchina; fu poi recuperata e avviata alla demolizione in Turchia.

Cause

Alle ore 22:03 del 10 aprile 1991, il traghetto Moby Prince, in servizio di linea tra Livorno e Olbia, mollò gli ormeggi per la traversata. A bordo era presente l'intero equipaggio, formato da 65 persone agli ordini del Comandante CSLC Ugo Chessa e 75 passeggeri. Il traghetto, durante la percorrenza del cono di uscita del porto, colpì con la prua la petroliera Agip Abruzzo, penetrando all'interno della cisterna numero 7, contenente circa 2700 tonnellate di petrolio Iranian Light. Alle ore 22:25, il marconista di bordo lanciò il Mayday dal VHF portatile, e non dalla postazione radio, dato che, come stabilito anche dal punto in cui fu ritrovato il cadavere, al momento dell'impatto non si trovava in sala radio.

Parte del petrolio che fuoriuscì dalla cisterna n. 7 della petroliera Agip Abruzzo si riversò in mare, parte invece investì in pieno la prua del traghetto. A causa delle scintille prodotte dallo sfregamento delle lamiere delle due navi al momento dell'impatto, il petrolio prese rapidamente fuoco, incendiando il traghetto.

Non è possibile stabilire esattamente quanto greggio sia stato "spruzzato" sul Moby; secondo l'ingegnere Del Bene, nominato come consulente di parte civile nel processo, si trattò di una quantità compresa tra le 100 e le 300 tonnellate.

L'incendio sprigionatosi all'esterno della nave probabilmente penetrò all'interno del traghetto a causa della rottura di due coperchi che separavano la coperta prodiera dal garage superiore (probabilmente fino al locale eliche di prua).

Tuttavia l'incendio non si propagò subito a tutta la nave, in quanto il Moby Prince era provvisto di paratie tagliafuoco per impedire la propagazione delle fiamme. Si stima che le fiamme siano arrivate all'altezza del salone "De Lux" (dove sono state ritrovate gran parte delle 140 vittime) in un tempo sicuramente superiore alla mezz'ora. I soccorsi partirono in mare solo dopo le ripetute richieste di aiuto da parte dell'Agip Abruzzo. Lo scafo in fiamme della Moby Prince non venne individuato fino alle ore 23:35. Il Moby Prince, con i motori ancora in funzione, percorse ancora alcune migliaia di metri, allontanandosi dal punto d'impatto e iniziando a girare in senso circolare e rendendo ancora più difficoltosa la sua individuazione.

Si appurò, in seguito, che l'equipaggio fece sistemare, in attesa dei soccorsi (attesi in brevissimo tempo, visto la vicinanza delle banchine del porto), gran parte dei passeggeri nel salone De Luxe posto a prua della nave e dotato di pareti e porte tagliafuoco. Le fiamme provenivano appunto dalla parte anteriore della nave e, raggiunto il salone, lo "scavalcarono", passando intorno e infiammando tutti gli arredi e le strutture circostanti al suo perimetro. In questo modo il salone De Luxe si trovò esattamente al centro dell'incendio e, quando l'equipaggio si accorse del ritardo dei soccorsi, non fu più possibile evacuare le persone dall'uscita posteriore del salone, tanto meno da quella anteriore, già luogo di provenienza delle fiamme. Gli esami tossicologici rilevarono inoltre un elevatissimo tasso di monossido di carbonio nel sangue delle vittime, sintomo del fatto che in molti sopravvissero per ore (anche in stato di incoscienza) all'incendio, e non tutti quindi morirono a causa delle fiamme nel giro di pochi minuti dall'impatto.

Un fattore che ha contribuito in maniera importante alla mortalità sul traghetto è stato di sicuro il fumo nero e denso originato dalla combustione del petrolio e dei materiali plastici, e in misura minore i gas prodotti dall'evaporazione del petrolio che, concentrati in ambienti ridotti come quelli di un traghetto, hanno aumentato il loro potere soffocante. Ad aggravare la presenza dei fumi e dei gas è poi intervenuto il sistema di aria condizionata e di aria forzata in circolazione sul traghetto, rimasto accesso durante tutto l'evolversi dell'incendio (fu trovato ancora in funzione il giorno dopo l'incidente), che ha distribuito il fumo e i gas tossici anche negli ambienti della nave non direttamente interessati dall'incendio.

Tredici salme (tutte, con una eccezione, di membri dell'equipaggio) vennero rinvenute sul ponte imbarcazioni, otto delle quali nell'area scoperta di poppa (ponte sole), due nell'atrio abbandono nave di prua (nei pressi della plancia; una delle due era quella del comandante Chessa), una nell'atrio tra il ristorante e la discoteca Moby Club e due nelle cucine. La maggior parte delle vittime fu ritrovata nel ponte coperta. Un salma fu rinvenuta nel corridoio che dalle cabine di II classe portava sul ponte scoperto di poppa, altre tre sulle scale che portavano al garage, 30 nella zona cabine di II classe (principalmente nei corridoi, tranne i resti di 6 persone trovati in un locale adiacente adibito a bar/ripostiglio), 28 nel vestibolo abbandono nave (l'atrio tra la zona cabine di II classe ed il salone De Lux), 60 nel salone De Lux e due in un bagno a destra del vestibolo abbandono nave. I corpi di un motorista e di un passeggero vennero invece trovati in sala macchine, mentre quello di un altro motorista fu trovato negli alloggi dell'equipaggio, vicino ad una manichetta antincendio. Un’unica salma, quella del barista Francesco Esposito, venne ritrovata in mare, unica vittima deceduta per annegamento.

I familiari delle vittime del Moby Prince si sono costituiti in due associazioni. La prima chiamata "140" e presieduta da Loris Rispoli, che nel rogo del traghetto ha perduto la sorella e che raccoglie la maggioranza dei familiari. Quella più recente denominata "10 aprile" e presieduta da Angelo Chessa, figlio del comandante della Moby Prince il Com.te CSLC Ugo Chessa. Entrambe le associazioni, continuano a chiedere alle autorità competenti che sia fatta luce e giustizia su questo terribile avvenimento.

Dinamiche e causa dell'incidente accertate in sede giudiziaria

Errore umano

Un aspetto più volte indicato come possibile causa dello scontro, fu quello dell'errore umano da parte dell'equipaggio di Moby: tutte le commissioni di inchiesta e tutti processi, fino all'ultima archiviazione disposta dalla Procura di Livorno nel 2010, censurano il comportamento della plancia del Traghetto, comandata da Ugo Chessa, defunto anch'egli nella tragedia. L'imprudenza del Comandante Chessa, secondo i giudici non ha certo determinato la tragedia nei suoi mortali sviluppi tuttavia ha contribuito a non evitarla. Tra le accuse rivolte all'equipaggio del Moby Prince si elencano: il mal funzionamento di alcuni apparati di sicurezza a bordo della nave; l'aver fatto scendere prima del dovuto il pilota del porto Federico Sgherri; la mancata dovuta attenzione nelle procedure di uscita dal porto; la velocità troppo elevata in fase di uscita; l'aver lasciato aperto il portello del traghetto in fase di navigazione.

Tra le cause della disattenzione è stato indicato più volte erroneamente, anche dagli organi di stampa dell'epoca, il fatto che l'equipaggio potesse essere distratto dalla gara di ritorno della semifinale di Coppa delle Coppe tra la Juventus e il Barcellona. Questa ipotesi è stata però decisamente respinta dalla testimonianza del superstite Bertrand, il quale, durante vari interrogatori, ha più volte dichiarato di aver personalmente portato alcuni panini in plancia comandi e che il personale di guardia si trovasse al proprio posto nella gestione del traghetto.

Problemi tecnici a bordo della Moby Prince

1. L'avaria del timone di Moby Prince

L'avaria al timone di navigazione, è stata smentita dalle perizie richieste dal tribunale di Livorno.

2. L'impianto antincendio spento

È stato appurato in sede giudiziaria che il traghetto Moby Prince navigava con gli impianti sprinkler non in funzione e con gli altri in attivazione manuale. Della questione si è occupato il Tribunale di Livorno nel processo di primo grado, conferendo ai periti uno specifico quesito. Tale questione infatti risultava cruciale per determinare se i soccorsi fossero stati tempestivi e adeguati, considerato che il mancato funzionamento dell'impianto antincendio poteva determinare una sostanziale riduzione del tempo di sopravvivenza delle vittime. L'impianto sprinkler è il sistema antincendio di cui le navi devono essere obbligatoriamente dotate secondo le normative nazionali ed internazionali: esso deve entrare automaticamente in funzione al superamento della soglia della temperatura critica (74 °C). È dato acquisito dagli accertamenti tecnici (v. in particolare la perizia dibattimentale) che l'intero impianto sprinklers non è mai entrato in funzione durante l'incendio. È stato accertato che le valvole manuali di comando dell'impianto di acqua spruzzata alloggiate nell'apposito vano di comando del piano garage erano in posizione di chiusura e che la valvola di presa a mare dell'impianto sprinklers era in posizione di chiusura e l'elettropompa era in posizione di comando manuale e non automatico.

La presenza della nebbia

Tra le cause ufficiali del disastro è attribuito un ruolo significativo alla nebbia che quella sera secondo alcuni gravava sulla zona. I magistrati si sono espressi in favore del cosiddetto fenomeno della nebbia da avvezione, che può provocare la formazione repentina di un banco, anche molto fitto e localizzato, a causa della discesa di aria calda e umida sulla superficie fredda del mare. Il banco di nebbia sarebbe calato all'improvviso sul tratto di mare circostante all'Agip Abruzzo, impedendo al Moby Prince di individuare correttamente la petroliera. La testimonianza dell'unico sopravvissuto nel corso del processo di I grado viene assunta, unitamente al parere della maggior parte dei consulenti tecnici, dai giudici del Tribunale di Livorno, che scrivono

« ...Conclusiva e risolvente in ordine alla presenza di nebbia oscurante la petroliera è infine la deposizione del mozzo Bertrand Alessio (cfr. verbale di udienza 31/10/1996) il quale (sine causa qualificato in un’arringa “losco personaggio”, cui può solo “imputarsi” di essere l’unico sopravvissuto e che non risulta proprio aver mai mentito) ha riferito di aver dopo l’impatto incontrato nel corridoio cabine passeggeri il timoniere Padula che gli disse: “c’era la nebbia e siamo andati contro un’altra nave”... »

Secondo i figli del comandante Chessa, costituitisi in associazione, esistono tuttavia alcuni elementi che fanno dubitare sulla effettiva presenza di condizioni di scarsa visibilità. In un filmato amatoriale trasmesso dal Tg1 all'epoca dei fatti, sembra evidente che la visibilità nel porto fosse quantomeno buona. L'ipotesi della nebbia è stata comunque smentita da varie testimonianze tra cui quella rilasciata in tribunale dal capitano della Guardia di Finanza Cesare Gentile. A capo di una motovedetta dei soccorritori uscita dal porto di Livorno intorno alle 22:35 ha dichiarato che "in quel momento c'era bellissimo tempo, il mare calmissimo e una visibilità meravigliosa".

La posizione dell'Agip Abruzzo

Sulla posizione della Agip Abruzzo al momento dell'incidente esistono delle controversie. Il comandante della nave dichiarò, subito dopo l'incidente, di essere orientato con la prua rivolta a sud, ma successivamente ritratterà questa affermazione. La nave apparve rivolta a sud nelle ore successive alla collisione, tesi avvalorata da un video emerso nei mesi successivi all'incidente Mai chiarito infine il punto cruciale, che dovrebbe determinare se fu il traghetto passeggeri, sbagliando rotta o a causa di una distrazione, che andò a colpire la petroliera, o se viceversa la petroliera si trovasse all'interno del cono. Da sottolineare che, nella sentenza di primo grado del 31/10/1998, la posizione attribuita alla petroliera è 43°29'.8 NORD e 10°15'.3 EST. Questa posizione è stata ricavata dalle comunicazioni radio registrate dal canale 16 VHF ed è stata trasmessa direttamente dal comandante dell'Agip Abruzzo Renato Superina nei minuti successivi alla collisione. Andando a riportare la posizione sulla carta nautica, è facile notare come il punto riportato rientri senza alcun dubbio all'interno del triangolo di divieto di ancoraggio e pesca nel quale era proibito alle imbarcazioni di restare alla fonda o di pescare proprio perché utilizzato dalle altre imbarcazioni per l'uscita dal porto.

Grave ritardo nei soccorsi

I soccorsi tardarono in maniera decisiva negli interventi di salvataggio dei passeggeri del Moby Prince, anche perché in un primo momento tutti i mezzi di soccorso partiti dal porto di Livorno si concentrano sull'Agip Abruzzo (che viene raggiunta intorno alle 23:00, e sul quale nessun membro dell'equipaggio perderà la vita), in quanto per motivi mai accertati il Mayday del Moby Prince giunse via radio debolissimo e disturbato a causa di un improvviso calo di volume nelle comunicazioni tra Moby Prince e la Capitaneria di porto.

« Mayday Mayday Mayday, Moby Prince Moby Prince Moby Prince, Mayday Mayday Mayday, Moby Prince! Siamo in collisione, siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Mayday Mayday Mayday, Moby Prince, siamo in collisione ci serve aiuto! »

( Marconista del Moby Prince dopo l'impatto).

Inoltre il comandante dell'Agip Abruzzo Renato Superina, in una comunicazione via radio ai soccorritori alle 22:36, fa riferimento ad un impatto con una bettolina (una imbarcazione molto più piccola usata prevalentemente nei porti) e non con un traghetto passeggeri, urlando ai soccorritori di recarsi con urgenza verso l'Agip Abruzzo, e soprattutto di "non scambiare loro per noi".

Tale indicazione venne ripetuta dall'ufficiale Rt dell'Agip Abruzzo, in una comunicazione radio:

« ...sembra una bettolina quella che ci è venuta addosso.. »

( ufficiale Rt Agip Abruzzo dopo l'impatto )

I primi a raggiungere per puro caso il Moby Prince verso le 23:35 sono due ormeggiatori su una piccola imbarcazione: Mauro Valli e Walter Mattei, i quali raccolsero anche l'unico superstite, il mozzo napoletano Alessio Bertrand. Bertrand si salvò rimanendo attaccato al parapetto della poppa della nave, evitando l'incendio e lanciandosi poi in mare dopo le sollecitazioni dei due ormeggiatori.

Insieme agli ormeggiatori giunge anche una motovedetta (la CP232) della Capitaneria di Porto. In quegli attimi concitati Valli e Mattei invocarono più volte aiuto alla Capitaneria, anche considerando le dichiarazioni di Bertrand, che asseriva vi fossero ancora persone da salvare, ma per motivi mai chiariti, le operazioni di soccorso sulla Moby ebbero un decorso tragicamente lungo.

Il naufrago venne caricato sulla motovedetta che rimase sul posto per più di mezz'ora, quindi ripartì alla volta del porto in quanto le condizioni del naufrago andavano aggravandosi. Stranamente dopo questo avvenimento gli ormeggiatori contraddicendo quanto detto in precedenza riferirono via radio che il naufrago avrebbe detto: "non c'è più nessuno da salvare, tutti morti bruciati".

In seguito rimorchiatori e mezzi dei Vigili del Fuoco cercarono di raffreddare le lamiere del Moby con potenti getti d'acqua. Alle 3.30 il marinaio Giovanni Veneruso, in forza ad un rimorchiatore privato, venne fatto salire sul traghetto in fiamme per il tempo necessario ad agganciare un cavo di traino. È in assoluto il primo soccorritore a salire sulla nave dopo la tragedia. Dopo di lui, la nave verrà di nuovo visitata dai soccorritori soltanto a mattina inoltrata, una volta spento l'incendio.

L'episodio del cadavere sul ponte

In un filmato girato da un elicottero dei Carabinieri la mattina presto dell'11 aprile si vede chiaramente un cadavere disteso sulla schiena a poppa, sulle lamiere bruciate. Al momento delle riprese aeree del cadavere, si poté notare chiaramente come l'uomo non fosse carbonizzato, ma, al contrario, il cadavere fosse stranamente integro per trovarsi sul ponte distrutto dalle fiamme. All'ingresso nel porto di Livorno, nei video girati dai Vigili del fuoco lo stesso uomo risulta completamente bruciato, avvalorando così l'ipotesi secondo cui molti dei passeggeri non morirono in breve tempo, ma a causa del monossido di carbonio sprigionato dall'incendio. L'ipotesi, smentita in fase processuale da alcune perizie, ma accettata da altre, è quella che il passeggero, sopravvissuto durante la notte all'incendio e ai fumi tossici, sia uscito alle prime luci dell'alba per raggiungere i soccorritori e a causa dell'enorme calore ancora sprigionato dalle lamiere del ponte, sia morto successivamente.

La tesi è che alcuni passeggeri abbiano resistito a lungo all'interno del traghetto, e che all'interno dello stesso, almeno in alcune zone le temperature non fossero eccessivamente elevate, parve trovare conferma quando, nel settembre del 1992, venne trasmesso dai telegiornali un video amatoriale, girato da uno dei passeggeri nei minuti precedenti lo scontro. Il fatto che la cassetta, trovata in una borsa nel salone De Luxe, abbia resistito integra all'incendio dimostrerebbe che l'incendio, almeno in quella zona della nave, non avrebbe provocato temperature tali da fondere neanche la plastica.

Commissioni di inchiesta, processi e condanne

Il processo di I grado (Livorno)

Immediatamente dopo la collisione, la Procura di Livorno apre un fascicolo per omissione di soccorso e omicidio colposo. Il processo di primo grado inizia il 29 novembre 1995. Gli imputati sono 4: il terzo ufficiale di coperta dell'Agip Abruzzo Valentino Rolla, accusato di omicidio colposo plurimo e incendio colposo; Angelo Cedro, comandante in seconda della Capitaneria di Porto e l'ufficiale di guardia Lorenzo Checcacci, accusati di omicidio colposo plurimo per non avere attivato i soccorsi con tempestività; Gianluigi Spartano, marinaio di leva, imputato per omicidio colposo per non aver trasmesso la richiesta di soccorso.

In istruttoria il giudice per le indagini preliminari, sulla base di quanto presentato da due commissioni di inchiesta, decide di archiviare le posizioni dell'armatore di Navarma, Achille Onorato, e del comandante dell'Agip Abruzzo, Renato Superina.

Il processo, pieno di momenti di tensione, si conclude due anni dopo: la sentenza viene pronunciata nella notte tra il 31 ottobre e il 1º novembre 1997. In un'aula piena di polizia e carabinieri, chiamati dal tribunale per la tutela dell'ordine pubblico, il presidente Germano Lamberti lesse il dispositivo della sentenza con cui furono assolti tutti gli imputati perché «il fatto non sussiste». La sentenza verrà però parzialmente riformata in appello: la terza sezione penale della Corte d'Appello di Firenze dichiara il non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.

Il processo di II grado (Firenze)

Il 5 febbraio 1999 la III Sezione della Corte d'Appello di Firenze dichiara di "non doversi procedere nei confronti del Rolla in ordine ai reati ascrittigli perché estinti per intervenuta prescrizione". I giudici di Firenze aggiungono tuttavia in sentenza "(...) non si può non rilevare, che l'inchiesta sommaria della Capitaneria, che per alcuni versi è la più importante perché interviene nell'immediatezza del fatto ed è in qualche modo in grado di indirizzare i successivi accertamenti e di influire sulle stesse indagini penali, può essere condotta da alcuni dei possibili responsabili del disastro".

Nel novembre 1997, alcuni parlamentari proposero una nuova commissione parlamentare d'inchiesta.

Il processo parallelo contro le manomissioni a bordo (Pretore di Firenze)

Contemporaneamente al processo principale, nell'allora Pretura vennero giudicate due posizioni stralciate: quella del nostromo Ciro Di Lauro, che si autoaccusò della manomissione, sulla carcassa del traghetto, di un pezzo del timone, e quella del tecnico alle manutenzioni di Navarma, Pasquale D'Orsi, chiamato in causa da Di Lauro. I due erano accusati di frode processuale, per aver modificato le condizioni del luogo del delitto, ovvero per aver orientato diversamente la leva del timone in sala macchine da manuale ad automatico, nel tentativo di addossare l'intera responsabilità della vicenda al comando del Moby Prince.

Nel corso di una udienza, Ciro Di Lauro confessò di aver manomesso il timone. Ma il pretore di Livorno assolse entrambi gli imputati per «difetto di punibilità». Il pretore di Livorno, pur concordando con il PM sulle responsabilità degli imputati, non ritiene punibili gli stessi, poiché pure essendo accertata la manomissione, quest'ultima non ha tratto in inganno i periti saliti successivamente a bordo e quindi, seppur deprecabile, non è punibile penalmente. La sentenza verrà confermata sia dal processo di appello sia in Cassazione.

Verso un terzo processo

Nel 2006 la Procura di Livorno, su richiesta dei figli del comandante Chessa, decise di riaprire un filone d'inchiesta sul disastro del traghetto.

Nel 2009, l'associazione dei familiari delle vittime presieduta dai Chessa, in una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiede a questi di farsi portavoce presso il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, della richiesta di rendere pubblici i tracciati radar, le immagini satellitari, o altro materiale in possesso delle autorità americane della rada del porto di Livorno durante le ore del disastro del Moby Prince.

Nell'aprile 2009, l'onorevole Ermete Realacci ha presentato una nuova interrogazione parlamentare riguardo al coinvolgimento di altre navi, in particolar modo imbarcazioni militari americane presenti la notte della tragedia nel porto di Livorno e riguardo alla presenza mai accertata definitivamente dei tracciati radar e delle comunicazioni radio registrate a Camp Darby.

L'istanza di riapertura delle indagini per appurare le reali responsabilità, con motivazioni non condivise da tutti i familiari delle vittime, è stata presentata dal legale dei figli del Comandante Chessa nel 2006. Con maggiore attenzione era stato chiesto di occuparsi della questione del traffico illecito di armi e della presenza di navi militari o comunque navi al di fuori del controllo della Capitaneria di Porto, che possano essere causa o una delle concause del disastro.

Nel 2006, l'ipotesi di trovare immagini satellitari della sciagura prese di nuovo corpo dopo il ritrovamento di alcune bobine di immagini negli uffici della Procura di Livorno.

Il 16 novembre 2007 un consulente in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali, Fabio Piselli (ex parà della "Folgore") di origine livornese, mentre stava privatamente indagando sulla morte di un suo cugino impiegato alla Defense Intelligence Agency presso l'ambasciata americana di Roma, ha raccolto delle notizie utili anche per la tragedia del Moby Prince. Per questo dopo aver incontrato l'avvocato Carlo Palermo per organizzare l'ascolto di un potenziale testimone, è stato aggredito da quattro persone incappucciate che dopo averlo stordito lo hanno successivamente chiuso in macchina alla quale hanno appiccato il fuoco: per fortuna l'uomo è riuscito ad uscire in tempo dall'auto. Fabio Piselli era già stato precedentemente interrogato dalla Procura di Livorno come persona a conoscenza di fatti riguardanti il Moby Prince con particolare interesse verso il monitoraggio elettronico della rada di Livorno avvenuto la sera della tragedia. Inoltre ha partecipato ai soccorsi sin dai primi momenti della tragedia fino al riconoscimento dei resti delle vittime morte a bordo del traghetto. La Procura di Livorno ha aperto un fascicolo per tentato omicidio in danno di Fabio Piselli ad opera di ignoti; la sua auto è stata sottoposta alle indagini scientifiche da parte dei Carabinieri del RIS.

Il 1º aprile 2014 il sig. Fabio Piselli ha nuovamente parlato dell'accaduto ricordando gli eventi e la sua ipotesi sugli stessi in una diretta streaming con l'ex magistrato Paolo Ferraro.

Nel giugno del 2009, a seguito delle indagini riaperte dalla procura, viene sentito nuovamente come persona informata sui fatti il mozzo di bordo Alessio Bertrand, unico sopravvissuto al rogo.

Nel luglio del 2009, su richiesta della magistratura, sono state eseguite scandagliature della zona di porto in cui è avvenuto lo scontro, e stando alle prime indiscrezioni, sarebbero emersi alcuni reperti utili alle indagini.

Il 5 maggio 2010 è stata presentata dalla Procura della Repubblica di Livorno e accolta dal GIP di Livorno la richiesta di archiviazione in merito al nuovo processo richiesto dai figli del comandante Chessa. Secondo i magistrati incaricati le ricostruzioni proposte dai Chessa sono risultate fantasiose e non rispondenti in alcun modo alla veridicità dei fatti ormai ampiamente ricostruiti. A pagina 140 della richiesta di archiviazione si legge inoltre:

« "A questo punto, sgombrato il campo da ricostruzioni viziate da suggestioni, cattiva conoscenza e interpretazione degli atti processuali e interessate forzature, è doveroso ricostruire il sinistro individuando le reali cause dello stesso e, conseguentemente, le responsabilità, anche al fine di valutare l'attuale possibilità di esercizio dell'azione penale. La presente indagine infatti non si è limitata alla verifica degli scenari ricostruttivi ipotizzati dalla difesa dei Chessa, verificandone l'infondatezza con particolare riferimento alle cause e dinamica della tragica collisione, ma ha avuto il proposito di dare una risposta esaustiva alle domande sulle reali cause dell'evento. I dati significativi si possono riassumere nel seguente modo:

1) il traghetto Moby Prince è uscito dal porto di Livorno con destinazione Olbia impostando la velocità massima di crociera (o prossima alla massima) secondo prassi, nella convinzione del comando nave di trovarsi in condizioni di assoluta normalità dal punto di vista meteo marino e quindi anche della visibilità e perciò nella errata convinzione di conoscere e poter controllare otticamente la situazione delle navi alla fonda nella zona della rada ed in particolare di quelle che si trovavano in prossimità della rotta più diretta per Olbia;

2) la apparente normalità delle condizioni creava il tipico meccanismo psicologico di allentamento della attenzione nel personale di plancia e nel resto dell'equipaggio, clamorosamente esplicitato, in particolare, dalle condizioni con le quali la nave Moby Prince veniva fatta viaggiare, avendo il portellone prodiero di seconda difesa - prescritto dalla normativa MARPOL 73-78 - ANNEX 1 - aperto (cfr. da ultimo la relazione di consulenza tecnica depositata dall'ing. Gennaro il 17 novembre 2009) e dell'impianto sprinkler (antincendio) non funzionanete, in quanto disabilitato;

3) imporovvisamente la nave entrava in un banco di nebbia (v., da ultimo: le dichiarazioni di Mattei e Valli - gli ormeggiatori che hanno salvato la vita all'unico superstite del Moby Prince - al P.M. il 23.11.2009, quelle di Muzio - pilota del porto che usci la notte della tragedia - rese al P.M.l'8/11/2009, ed ancora le dichiarazioni dell'unico superstite del Moby Prince, Bertrand, nuovamente sentito dal P.M. il 9 giugno 2009, e quelle di Rolal in sede di nuovo interrogatorio il 5 giugno 2009), che coglieva totalmente impreparata la plancia del traghetto in quanto non visibile otticamente, tenuto conto del buio della notte e della collocazione del banco stesso che si trovava basso sull'orizzonte verso il largo rispetto alla direzione del traghetto in modo da non costituire ostacolo né per l'osservazione delle luci della costa né per quella delle stelle;

4) la plancia del Moby Prince, presa alla sprovvista e con le nave ormai lanciata alla velocità di crociera, provvedeva incautamente ad accendere i fari collocati a prua della nave - c.d. cercanaufraghi - (prima spenti: v. dichiarazione del pilota Muzio sopra richiamate, e che aveva poco prima incrociato il Moby Prince conducendo una nave all'interno del porto) nella speranza di migliorare la visibilità sullo specchio di mare davanti a sé, ma in realtà peggiorando le condizioni di visibilità;

5) l'urto con l'Agip Abruzzo, ferma all'ancora con prua orientata su 300° circa (v. da ultimo sul punto la relazione di consulenza tecnica del P.M. dell'ing. Rosati e dott. borsa depositata il 17 giugno 2009 che riassume il complesso degli elementi che consentono con certezza tale ricostruzione dell'orientamento della nave) avveniva poco dopo interessando la fiancata di destra con un angolo calcolato di circa 71° prora - poppa (109° prora - prora), navigando il Moby Prince con direzione di circa 191° ad una velocità di circa 18 nodi. Come è stato spiegato dal C.T. ing. Gennaro, la collisione ha avuto caratteristiche fondamentalmente anelastiche, "nel senso che tutta l'energia cinetica disponibile da parte del M.P. al momento della collisione con l'Agip Abruzzo si è tramutata in lavoro di lacerazione, deformazione, riscaldamento, rumore e scintille" (par. 19 della relazione);

6) pressoché immediatamente si incendiava il greggio della cisterna 7 di destra della petroliera, dentro la quale era penetrata la prua del Moby Prince. Infatti la penetrazione della prua del Moby Prince nella cisterna sollevava dinamicamente il livello del carico (5,71 mt sul livello del mare: v. rel. Gennaro) e conseguentemente parte del carico si riversava sulla parte prodiera del ponte di coperta (ponte prodiero di manovra) elevato di circa 7,8 mt sulla superficie del mare, incendiandosi;

7) l'apertura della porta stagna prodiera e l'impianto di ventilazione in funzione agevolano decisamente l'ingresso di greggio e vapori nei garage e nei locali interni del Moby Prince, cominciando a divampare il fuoco su tutta la parte prodiera del traghetto coinvolgendo il personale di plancia e progressivamente le restanti parti e locali della nave; Una causa della tragedia - anche se è doloroso affermarlo - è dunque individuabile in una condotta gravemente colposa, in termini di imprudenza e negligenza, della plancia del Moby Prince. La ricostruzione della dinamica dell'evento può apparire - come più volte sottolineato - banale nella sua semplicità, e dunque non accettabile emotivamente, prima che razionalmente, soprattutto in considerazione dell'enorme portata delle conseguenze che ne sono derivate in termini di vite umane. Occorre tornare al quesito di base: comprendere fino in fondo come sia possibile che personale di bordo ritenuto preparato, al comando di una nave dotata degli impianti per la sicurezza della navigazione secondo le regole in vigore all'epoca, possa avere così gravemente errato nella conduzione della nave; e come sia possibile che una collisione con una petroliera alla fonda, avvenuta a così poca distanza dal porto di Livorno abbia potuto avere così tragiche conseguenze"... »

Il relitto del Moby Prince, completamente arso ma ancora galleggiante, è rimasto per anni sotto sequestro nel porto di Livorno. Nel 1998 è quasi affondato mentre era attraccato in banchina. Recuperato e dissequestrato, è stato avviato allo smantellamento nel cantiere di Aliaga, in Turchia.

Altre ipotesi del disastro escluse in sede giudiziaria

L'ipotesi dell'attentato

Al vaglio della magistratura passò anche l'ipotesi di un ordigno collocato all'interno del traghetto, che con l'esplosione avesse mandato fuori rotta il traghetto. Tale ipotesi, inizialmente molto accreditata, venne definitivamente smontata, durante lo svolgimento del processo, grazie a perizie e testimonianze, in particolare quella dell'unico superstite, che in sede processuale ribadì che a bordo non vi fu alcuna esplosione, ma che dopo la collisione il mare intorno al traghetto fosse letteralmente in fiamme a causa del petrolio fuoriuscito dall'Agip Abruzzo.

Il traffico in rada

L'ipotesi che si potessero trovare immagini e dati sullo scontro tra le due imbarcazioni negli archivi satellitari americani e in quelli delle basi Nato ebbe per qualche tempo una certa risonanza, ma fu successivamente categoricamente smentita.

La presenza di eventuali bettoline, invece, non è mai stata confermata. Il comandante della petroliera, nei messaggi iniziali inviati ai soccorritori, indicò più volte in una bettolina la nave coinvolta nello scontro, inconsapevole della reale natura, cioè del fatto che lo scontro avvenne con Moby Prince. I primi messaggi radio del comandante della Agip Abruzzo potrebbero essere attribuiti alla concitazione del momento e alla scarsa visibilità provocata dal fumo dell'incendio. Del resto alcuni marinai della Agip Abruzzo dichiararono di avere intravisto la sagoma della nave investitrice tra il fumo e le fiamme nei minuti successivi all'incidente, ma solo alcuni di loro riconobbero in essa un traghetto.

A sostegno della tesi della presenza di almeno una bettolina sono essenzialmente tre elementi:

la constatazione, alcuni giorni dopo l'incidente, che la cisterna 6 della Agip Abruzzo non era correttamente sigillata

il rinvenimento di un tubo semi carbonizzato idoneo al rifornimento di una nave di piccole dimensioni,

la seguente annotazione delle ore 23:30 circa nel diario di bordo del capitano della "Efdim Junior":

« Venivamo a conoscenza che due navi, una passeggeri ed una cisterna, erano entrate in collisione ed era scoppiato un incendio. Decidevo di rimanere all'ancora a causa del gran numero di navi in movimento che si allontanavano dalla nave in fiamme ed al gran numero di imbarcazioni che prendevano parte alle operazioni di ricerca e salvataggio con visibilità zero. »

Contro l'ipotesi della bettolina incidono pesantemente le testimonianze verbalizzate durante il processo, in cui più persone tra cui l'avvisatore marittimo Romeo Ricci e il pilota di porto Federico Sgherri oltre a molti altri ufficiali dell'Agip Abruzzo e ormeggiatori del porto

Sulla posizione delle navi, almeno due dei mercantili americani (presumibilmente la Cape Breton e la Gallant II) compaiono alla fonda assieme alla Agip Abruzzo in una fotografia scattata dal lungomare di Livorno durante il pomeriggio antecedente la tragedia. Inoltre, sempre il capitano Gentile chiarisce nella sua testimonianza la posizione di alcune delle navi in rada poco dopo il disastro:

« Vidi la sagoma dell'Agip Abruzzo appena uscito dal porto, ma non il Moby in fiamme [...] Avevo una petroliera sul lato sinistro, a circa 700-800 metri dall'Accademia navale. Poi c'era la petroliera messa in questa posizione. Sull'altro raggio c'erano altre quattro navi fra cui c'era anche una nave, forse di munizioni; mentre all'imboccatura nord, proprio all'altezza del Calambrone, c'era, illuminata, la nave americana che stava caricando munizioni. »

Resta inoltre da valutare il ruolo della famosa nave Theresa, la cui reale esistenza è stata accertata nel gennaio del 2008, ma di cui restava una misteriosa traccia audio registrata alle 22,45 della notte dello scontro:

« This is Theresa, this is Theresa for the ship one in Livorno anchorage i'm moving out, i'm moving out.... »

(registrazione audio proveniente da Theresa)

Nei registri del porto di Livorno di quella notte non risulta essere mai stata presente Theresa, né si chiarì mai a chi comunicò l'imminente abbandono (la nave uno) del porto in tutta fretta.

La questione delle navi militari e il traffico d'armi nel porto di Livorno

Un punto mai chiarito, a causa dello stretto riserbo da parte delle autorità italiane ed americane in merito, è quello dell'eventuale presenza in rada (all'interno cioè della zona di porto teatro della sciagura) di navi militari americane o di altre nazioni e delle loro eventuali attività. Appurato da verbali e registri che molte navi americane transitavano e sostavano nel Porto di Livorno nella notte dell'incidente, esistono alcune zone d'ombra mai chiarite, in merito ad un'eventuale responsabilità di queste ultime o dei loro carichi nella dinamica dello scontro. La vicinanza della base americana di Camp Darby di fatto rendeva frequente la presenza di navi americane nel porto. Ma nella notte in questione, molte navi militari erano ferme in rada sotto falso nome o con nomi di copertura, si presume eseguendo attività militari che non risultarono autorizzate dalla prefettura come previsto dalla legge italiana.

Alcune ipotesi spingono invece per affermare che l'incidente, fortuitamente o volutamente provocato da terzi, sia da mettere in relazione con traffici illeciti di armamenti militari avvenuti la notte dell'incidente nel Porto di Livorno.

Elenco delle vittime

Il seguente elenco riporta i nomi e l'età delle vittime.

Abbattista Giovanni, 45, Macchinista
Allegrini Stefano, 23, Passeggero
Alves Sandrine, 24, Passeggera
Amato Natale, 52, Motorista
Ambrosio Francesco, 22, Passeggero
Ambrosio Vittorio, 30, Passeggero
Andreazzoli Marco, 28, Passeggero
Averta Mariano Rocco, 36, Cameriere
Avolio Antonio, 45, Ingrassatore
Baffa Nicodemo, 52, Caporale macchinista
Baldauf Gerhard, 27, Passeggero
Barbaro Luciano, 24, Cameriere
Barsuglia Luca, 24, Passeggero
Bartolozzi Umberto, 48, Commissario di bordo
Belintende Sergio, 31, Passeggero
Bianco Gavino, 40, Cameriere
Bisbocci Alberto, 20, Passeggero
Bommarito Giuseppe, 43, Cameriere
Botturi Adriana, 60, Passeggera
Brandano Raimondo, 60, Passeggero
Campo Antonino, 26, Marinaio
Campus Giovanni Battista, 53, Ufficiale radiotelegrafista
Campus Gianfranco, 21, Passeggero
Canu Angelo, 28, Passeggero
Canu Sara, 5, Passeggera
Canu Ilenia, 1, Passeggera
Caprari Alessia, 19, Passeggera
Cassano Antonello, 25, Allievo ufficiale di macchina
Castorina Rosario, 39, Primo ufficiale di macchina
Cervini Domenico, 21, Cassiere
Cesari Diego, 24, Passeggero
Chessa Ugo, 54, Comandante
Cinapro Graziano, 45, Passeggero
Cirillo Ciro, 25, Piccolo di camera
Ciriotti Tiziana, 22, Piccola di camera/Hostess assistente del commissario di bordo
Congiu Giuseppe, 23, Passeggero
Crupi Francesco, 34, Cameriere
Dal Tezzon Antonietta, 47, Passeggera
Dal Zotto Pasquale, 32, Passeggero
D'Antonio Giovanni, 22, Giovanotto di coperta
De Barba Mauro, 30, Passeggero
De Caritat Beatrice, 31, Passeggera
Defendenti Anna, 24, Passeggera
De Gennaro Giuseppe, 29, Garzone di cucina
De Montis Angelita, 23, Passeggera
De Pretto Tatiana, 18, Cassiera
Esposito Francesco, 43, Barista
Falanga Nicola, 19, Garzone di cucina
Farnesi Cristina, 22, Cassiera
Ferraro Sabrina, 20, Commessa della boutique di bordo
Ferrini Carlo, 32, Passeggero
Filigheddu Maria, 40, Passeggera
Filippeddu Giovanni, 46, Passeggero
Fondacaro Mario, 57, Primo cuoco
Formica Maria Giovanna, 51, Passeggera
Fratini Bruno, 34, Passeggero
Frulio Ciro, 18, Piccolo di camera
Fumagalli Andrea Alfredo, 23, Piccolo di camera
Furcas Daniele, 33, Passeggero
Fusinato Angelo, 58, Passeggero
Gabelli Antonino, 72, Passeggero
Gasparini Giuseppe, 62, Passeggero
Ghezzani Maria Giulia, 57, Passeggera
Giacomelli Piera, 55, Passeggera
Giampedroni Lido, 29, Secondo ufficiale
Gianoli Giorgio, 29, Passeggero
Giardini Priscilla, 23, Cassiera
Giglio Alessandra, 26, Passeggera
Gnerre Erminio, 29, Passeggero
Granatelli Giuseppina 27, Passeggera
Guida Gerardo, 23, Mozzo
Guizzo Gino, 52, Passeggero
Ilari Salvatore, 31, Secondo ufficiale di macchina
La Vespa Gaspare, 31, Terzo ufficiale di macchina
Lazzarini Giuseppe, 32, Passeggero
Lazzarini Romana, 22, Passeggera
Lipparelli Raffaela, 50
Manca Giuseppe, 48, Motorista
Marcon Maria, 83, Passeggera
Martignago Giuseppina, 46
Massa Angelo, 30, Marinaio
Mazzitelli Francesco, 56, Dispensiere
Mela Maria, 44, Passeggera
Minutti Giovanni V., 50, Passeggero
Molaro Gabriele, 35, Passeggero
Mori Aldo, 52, Passeggero
Mura Paolo, 34, Medico di bordo
Padovan Giovanna, 54, Passeggera
Padula Aniello, 44, Marinaio timoniere
Pagnini Vladimiro, 59, Passeggero
Paino Vincenzo, 34, Garzone di camera
Parrela Maurizio, 15, Piccolo di camera
Pasqualino Ignazio, 36, Secondo cuoco
Paternico Rosana, 43, Passeggera
Perazzoni Arnaldo, 28, Passeggero
Perez De Vera Luigi, 24, Garzone di camera
Pernice Rocco, 41, Cameriere
Picone Arcangelo, 34, Terzo ufficiale
Piu Pasqualino, 28, Passeggero
Porciello Pasquale, 23, Marinaio
Prini Silvana, 38, Passeggera
Prola Mauro, 27, Maitre
Regnier Bernard, 53, Passeggero
Rispoli Liana, 29, Commessa della boutique di bordo
Rizzi Monica, 27, Passeggera
Rizzi Umberto, 47, Passeggero
Rizzo Salvatore, 29, Elettricista
Rodi Antonio, 41, Cameriere
Romano Rosario, 24, Macchinista
Romboni Cesare, 56, Passeggero
Roncalbati Amelio, 54, Passeggero
Rosetti Sergio, 52, Motorista
Rota Vania, 22, Piccola di camera
Saccaro Ernesto, 50, Passeggero
Saccaro Ivan, 17, Passeggero
Salsi Giuliano, 41, Passeggero
Salvemini Nicola, 35, Cameriere
Sansone Massimo, 26, Passeggero
Santini Roberto, 53, Direttore di macchina
Sari Gianfranco, 39, Passeggero
Scano Salvatore, 73, Passeggero
Sciacca Giuseppe, 53, Primo ufficiale
Scuotto Mario, 31, Marinaio
Serra Maria Antonia, 54, Passeggera
Sicignano Gerardo, 34, Elettricista
Simoncini Maria Rosa, 25, Passeggero
Sini Antonio, 42, Passeggero
Soro Gabriella, 29, Passeggera
Stellati Mara, 44, Passeggera
Tagliamonte Giovanni, 38, Marinaio
Timpano Giulio, 29, Garzone di camera
Trevisan Ranieri, 30, Passeggero
Trevisan Rino, 58, Passeggero
Tumeo Francesco, 58, Cameriere
Vacca Alessandro, 37, Passeggero
Vidili Raimondo, 22, Passeggero
Vigerello Giuliano, 44, Passeggero
Vigliani Carlo, 31, Cameriere
Vinattieri Roberto, 44, Passeggero
Vitiello Ciro, 31, Cameriere

Alle vittime della sciagura, il comune di Livorno ha dedicato una piazza e diverse manifestazioni.

Dal 5 maggio 2013 ha preso avvio una campagna permanente per sostenere la lotta civile dei familiari delle vittime del Moby Prince per ottenere verità e giustizia. La campagna, chiamata #IoSono141 e ispirata al Movimento Yo Soy 132, è sostenuta dalle associazioni familiari delle vittime del Moby Prince e mira soprattutto al creare una forte spinta popolare di sostegno alla creazione di una Commissione Parlamentare di inchiesta sul Moby Prince.

È stato depositato il disegno di legge per l'istituzione della Commissione parlamentare di inchiesta per fare luce sulla vicenda, accogliendo la richiesta dei familiari delle vittime.

Spettacoli teatrali e film sul Moby Prince

Nel 2006 è andato in scena lo spettacolo teatrale M/T Moby Prince, con la prima svoltasi al teatro Goldoni di Livorno. Lo spettacolo, recitato da due attori, è composto in gran parte da spezzoni audio e video dei soccorsi e della tragedia e dagli atti processuali che hanno portato alle assoluzioni. Nell'aprile 2012, in occasione del 21º anniversario, presso la Fortezza Vecchia di Livorno, è andato in scena lo spettacolo "1991 Il fatto non sussiste" della compagnia Effetto Collaterale. Un gruppo di attori e cittadini livornesi ha raccontato la vicenda intrecciando i propri ricordi di quella notte con gli atti processuali e le testimonianze dei familiari delle vittime. Il 10 aprile 2012, il giorno del 21º anniversario, è stato presentato in anteprima a Livorno (Cinema 4 Mori) il film-documentario "Ventanni. Storia privata del Moby Prince" (Mediaxion, 2012) che racconta l'incontro di quattro familiari delle vittime (Loris Rispoli, Angelo Chessa, Giacomo Sini e Mauro Filippeddu) a vent'anni dalla strage che sconvolse le loro vite. Il documentario è stato rilasciato con licenza creative commons e reso scaricabile gratuitamente mediante file torrent dal sito web della società produttrice Atto finale | Mediaxion sc.

Bibliografia

Aloe Francesco, Il vento porta farfalle o neve, Edizioni Ambiente, collana VerdeNero noir, 2011

Andrea Affricano e Loris Rispoli, 140. Il libro di due uomini che non dimenticano, Associazione, 2003

Elisabetta Arrighi, 140 La tragedia del Moby Prince, Pisa, Valenti ed Allegranti, 1993

Enrico Fedrighini, Moby Prince. Un caso ancora aperto, Paoline Editoriale Libri, 2005

Luigi Grimaldi e Luciano Scalettari, 1994. L'anno che ha cambiato l'Italia. Dal caso Moby Prince agli omicidi di Mauro Rostagno e Ilaria Alpi. Una storia mai raccontata, Chiarelettere, 2010

Andrea Vivaldo, Moby Prince. La notte dei Fuochi, a cura di F. Colarieti, BeccoGiallo, 2010

Francesco Sanna, Verità privata del Moby Prince, site-book Homepage | Verità privata del Moby Prince, 2013

fonte: Wikipedia

Nessun commento:

Posta un commento