martedì 24 febbraio 2015
la valigia dei sogni
è un film del 1953, diretto dal regista Luigi Comencini. Alcune immagini sono riprese da un vecchio cortometraggio dello stesso artista (così come la voce dello speaker che apre e chiude il film), ovvero “Il museo dei sogni” (1949).
Trama
L'ex attore del cinema muto Ettore Omeri ha salvato dal macero vecchie pellicole dei suoi tempi. Con la proiezione di questi film Omeri allestisce degli spettacoli ricreativi negli istituti d'educazione. Dopo alcune vicende, per sbaglio le pellicole prendono fuoco, e Omeri viene imprigionato per "detenzione di materiale infiammabile". Per fortuna l'intervento di un ricco produttore riuscirà a farlo liberare. Non solo: egli otterrà del lavoro dal suo protettore e potrà costruire un vero museo del cinema.
Critica
Ettore Omeri (dal nome del personaggio dell’iliade e dall’autore “narrastorie” della stessa, che simbolicamente vengono messi in contatto), è un signore che colleziona film muti che proietta nelle piazze italiane. Il film si articola come una fiaba, che deve far dimenticare agli spettatori le difficoltà quotidiane donandogli momenti di felicità (come una fiaba, appunto). I sogni sono dunque i film. Sotto queste metafore e simbolismi si celano due storia reali: la prima riguarda un certo Mario Ferrari, realmente esistito (che fino al 1938-anno della morte-raccoglieva film per la sua personale cineteca), la seconda lo stesso Comencini che, con il fratello minore e Lattauda, fu fondatore della cineteca di Milano (uno dei primi musei dedicati al cinema del mondo). Nel film si sceglie il registro della finzione, senza tuttavia rinunciare a quella vena di pubblicizzazione, indottrinamento e sostegno al cinema contemporaneo ma non solo.
Il film venne realizzato per la Cineteca Italiana, in crisi economica, e con un budget bassissimo (sia Comencini che gli attori rinunciarono al loro compenso), non riscuotendo tuttavia alcun successo. Il cinema si inserisce in un filone metalinguista ben preciso (fra il 1951 e il 1953 uscirono “Siamo Donne” di Zavattini, la “Signora delle Camelie” di Antognoni e “Bellissima” di Visconti), fenomeno che non si riscontra solo in Italia bensì a livello internazionale. In tutti questi film dell’epoca si avverte una visione del cinema come strumento di indagine conoscitiva (e riflessiva). Anche “il viale della speranza” di Risi, pur rimanendo nell’ambito della commedia senza mai sforare nel tragico, verte verso quella direzione (metalinguismo del cinema anche qui molto evidente). Il film di Comencini ha la particolarità, come “Cinema d’altri tempi” di Steno e “Viva il cinema” di Trapani, di rivolgersi anche ad un tempo andato, passato… e dunque ad un cinema d’altri tempi. Comencini insiste sul concetto di “cinema come arte”, in un periodo in cui le istituzioni faticavano ancora a riconoscerlo come tale (elargendo quindi pochi fondi in sostegno di un prodotto non ancora considerato come “bene culturale”). Le pellicole di Omeri vengono rifiutate in musei e biblioteche: le pellicole vengono riciclate (in fabbriche che sembrano lager) in palline da tennis o altri beni di consumo; Comencini in questo modo ci indica la materia dei sogni e la loro deperibilità (mostrando immagini realmente girate in una fabbrica milanese).
La vicenda di Omeri sviluppa attraverso un percorso dimostrativo, con poco intreccio (come un autentico film “di montaggio”), in modo da dare spazio alla successione di brani antologici della storia del cinema italiano (attraverso il rito della “memoria collettiva”). I film vengono proiettati da Omeri in 4 posti (convento di suore, salotto borghese, cinema privato e stazione di polizia), che comportano 4 funzioni diverse del cinema, 4 pubblichi diversi e persino 4 reazioni diverse alle pellicole (alcuni scandalizzati, alcuni divertiti ecc.). Il cinema viene presentato prima di tutto come elemento istruttivo e poi come elemento ricreativo e di svago. Scrive Comencini: “le macchinose, tormentate pellicole d’epoca, sono più che altro dei sensazionali documenti per la mentalità collettiva di un'epoca” (anche se fanno ridere per ingenuità, vanno contestualizzate e comprese dunque, perché si riferiscono ad un Italia con usi e costumi diversi…”il tempo è precario”). Nel terzo episodio omeri incontra un'altra ex stella del cinema muto, e gli mostra un film sperimentale che racconta la storia d’amore di una donna con un uomo inquadrando soltanto i piedi. Comencini, inserendo questa sequenza, vuol dire che il cinema è immortale. I piedi, rispetto ai volti, non sono così soggetti all’invecchiamento, ma solo alle mode (basti pensare alle scarpe). Sembrano anzi non invecchiare mai. “Questo film andrà bene sempre, non passerà mai di moda” (traduzione: il cinema è per sempre, i costumi descritti e le consuetudini di un popolo, invece, no). Il cinema è immortale dunque, e fissa la presenza dell’uomo.
Tutti i quattro episodi sono raccontati dal narratore-Omeri, che è qui “traghettatore di racconti”, evocatore di magie e riti del passato (come l’Omero originale), alle figure defunte. Nel finale Comencini ricorre ad un espediente tipico del meta-cinema: mostra Omeri in prigione (come da risvolto logico del film), ma al contempo si capisce che siamo su un set cinatografico, in un film in un film. Con questa sorpresa di mostra “il cinema al lavoro, dopo aver visto il lavoro del cinema” (Omeri viene così “restituito” al suo lavoro di attore). L’alto scopo è quello di conservazione dell’arte cinematogradica,e della divulgazione della propria idea dell’arte del film.
fonte: Wikipedia
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