martedì 9 giugno 2015

nel cinema, oltre il cinema, la vita


“Io sto sempre andando a casa, sempre alla casa di mio padre.”
Novalis. (in Youth, di Paolo Sorrentino)
io anche, nonostante tutto.

giovedì sera sono andata a vedere un simpatico film brasiliano: E' arrivata mia figlia!
un titolo pessimo, da azzeramento delle idee, pericolosamente banale,  ma il film è godibile, eseguito con appropriatezza, dice bene e non si perde in spiegazioni: quel che c'è da capire sui ruoli sociali e la tirannia che si nasconde sotto mentite spoglie di democratica accoglienza, si capisce perfettamente, amabilmente.
la regista, Anna Muylaert, è presente in sala, sta facendo un tour promozionale e l'Anteo non se l'è lasciata sfuggire. l'accompagna qualcuno, un uomo, giovane, non so chi sia, e nemmeno voglio saperlo. lo cito, il meschino, solo perché ha fatto un'affermazione, al contrario, del tutto impropria, se non imbecille. nel presentarsi la gentil regista afferma di aver fatto un film all'italiana e riferisce che a Roma, il giorno prima, le hanno proprio detto che il suo sembra un film italiano. cosa voglia dire non lo so, ma la regista pare lusingata del complimento, invece l'accompagnatore esordisce con un: speriamo però che non sia come i film italiani, che sia meglio dei film italiani!
ora.
o è stato ibernato fino a ieri ed è rimasto ai film dei Vanzina.
o, purtroppo, presenta la regista brasiliana ma non è al corrente dell'attuale andamento della filmografia italiana, per gravi motivi personali e una crudele dissociazione temporo-spaziale è lì a presentare un film ma cosa sia un film non lo sa.
oppure, semplicemente, è un inetto. 
che fastidio.
potrei dire, al contrario, e senza fare un'affermazione azzardata, senza espormi a giudizi di un entusiasmo senza senso, senza sembrare una fanatica, che il cinema italiano gode di ottima salute. veramente un gran figo in splendida forma. complimenti.
"ma chi è?" chiede Michael Caine? "e' dio" risponde Harvey Keitel.
parlano della bellezza, della giovinezza, del corpo divino di chi le abita.
senza spingermi troppo in là citando film poco conosciuti e, purtroppo, scarsamente distribuiti (ma ne ho visti parecchi...), soffermandomi anche solo sulla trade di Cannes, già ampiamente citata da qualsiasi giornale italiano (ma li leggerà il meschino?), posso dire senza tema che ho visto tre bei film.
Mia madre è un bel film di Nanni Moretti, è un film che lascia il segno in chiunque abbia vissuto la perdita della madre. ma soprattutto in chi abbia avuto modo di ripensare alla propria posizione nel momento della perdita della madre, a quel momento, quello in cui sta o starà per perderla. con un colpo di genio non interpreta se stesso ma delega la sua incapacità di accettazione della morte alla Buy, sottraendosi a quegli stereotipi che vogliono, di fronte al dolore, il maschio in un modo, la donna in un altro. chissenefrega dice Moretti, la sorella regista non sa stare nella perdita, si ribella, ne fa una questione di principio, dunque, perdente. il fratello si mostra umile di fronte alla morte, a capo chino, inerme, quindi dentro, quindi prossemico, quindi senza rabbia né rancore, quindi lì, dove deve essere, disarmato e paziente. una in lotta e l'altro arreso, una lontana, presa da sè, l'altro vicino, disposto a perdersi. una lezione esemplare, con una grande Lazzarini, una commozione inesauribile, senza lacrime, per quel distacco non demandabile, inevitabile, necessario. il distacco della vita, il distacco che ci rende, per sempre, soli.
Il racconto dei racconti di Matteo Garrone è un film inaspettato, una grande narrazione fiabesca, un bello spazio per vedere e sognare, il luogo di racconti carichi di significanti e legami. bellissimo il racconto dei fratelli albini, ecco eternamente presente una madre coccodrillo che tutto vuole per se, che divora ogni cosa, anche chi crede di amare ma, invece, solamente deglutisce nelle fauci, vorace di un'approvazione della propria potenza femminea: creo e distruggo. ecco ancora una volta il mito della bellezza, che è nella nostra mente non nell'obiettività della carne, letteralmente nella scorticazione, non della pelle ma dei pregiudizi, sempre mai troppo tardi per capirlo. ma il bello del film sono la fiaba, i luoghi incantati, i palazzi stupefacenti, le stanze, le gole nei boschi magici, gli animali sottomarini, gli scafandri, i draghi e gli indovini. ho immagini nella mente, ho una storia fatata dell'uomo e della donna, negli occhi.
Youth è un film meraviglioso, un capolavoro, più un omaggio all'estetica che alla giovinezza, un film perfetto e ineguagliabile, un racconto del corpo, della sua regalità e decadenza, del suo assoluto dominio e della nostra sottomissione.
"son vecchio e non si sa perché lo sono". Sorrentino ama pontificare - a volte ci riesce benissimo-, mettere frasi e farne dei monumenti, ma la sua forza sta nella musica, nell'immagine, nella costruzione delle sequenze, nella magia del racconto cinematografico. la paura della morte, della vecchiaia sorregge tutto il film e produce la bellezza, la paura fa da guida nell'incanto del corpo, del suo movimento, della musica che lo orienta. il film si compone, improvvisamente e potentemente, in una delle scene finali, quella in cui dopo la costruzione visionaria più estetizzante possibile l'inquadratura si fissa sull'immagine crudele, inaspettata, terrificante, orribile, della morte, di una donna, moglie, fissa e immobile, pietrificata su una finestra, ormai scheletro, ormai putrefatta. è lì che si fa il film, è lì che diventa verità, che ci inchioda sulla croce, è lì che rivela tutta la sua fragilità: un vaso di vetro che va in mille pezzi, si scompone nel peggiore dei modi. eppure abbiamo passato una vita a venerarlo, quel pezzo di vetro. un concerto finale da capogiro, un'orchestra che fluttua su uno sfondo bianco che potrebbe essere l'aldilà, ci consola della nostra miseria, del destino scomposto che ci attende...ma quanta vita prima!!

viva il cinema italiano, viva la nostra vita fragile e mortale.

fonte: nuovateoria.blogspot.it

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