Sola. In questa mia bella casa, coi mobili ricchi e dalla radio la voce del paese che amo e ho davanti la piccola lampada della fedeltà che non basta a calmare l’irrequietudine, a riempire la vita. E questo terrore: mi perdo, non mi ritroverò, non mi riguadagnerò più. Piccole cose mi scalpellano, miserie mi corrodono. Quanto bene vorrei volere e non c’è nessuno e se qualcuno venisse, ormai è forse troppo tardi e il sangue è ancora malato di te, di voi. […] Penso anche a te, lontanissimo e dolce, che non avevi corpo e mi baciavi così puro: ala bianca dell’adolescenza.
come è stato infinitamente più bello e rivelatore il film di Marina Spada Poesia che mi guardi.
intelligente e misurato, un film di poesia sulla poesia fatto di poesia che non fa inciampi, celebra Milano, città di Antonia Pozzi, i suoi luoghi, senza cadere nel ridicolo della retorica.
Antonia di Ferdinando Cito Filomarino va fuori registro in molti e diversi aspetti. la localizzazione di Antonia non risulta mai vera. totalmente disautentica, sempre, in ogni inquadratura. Antonia era goffa, timida, certamente imbrigliata dalla sua educazione, torturata dall'appartenenza alla sua rigidissima famiglia. è invece troppo disinibita ed elegante e ardita e disinvolta e moderna nelle movenze questa Antonia che in nulla mi fa pensare a una sofferenza sul corpo. della carne. nella mente. una Milano assurdamente travestita di cui si scopre subito il trucco - che pena- senza nessuna cura dei dettagli, errori così macroscopici da invocare l'ergastolo cinematografico. macchine d'epoca appiccicate come su ritagli su un cartoncino quando appaiono in primo piano gli archetti gialli antiparcheggio. pure con le biciclette legate. tram con personaggi che salgono dall'entrata di mezzo, usanza contemporanea impensabile negli anni '30 con i tram con il bigliettaio. e altre sono le sciatterie imperdonabili di questo film che vede Antonia sviluppare le sue foto, ammesso che lo facesse, con attrezzature improbabili. un'Antonia che certamente sognava l'amore, anche fisico come alcune sue poesie apertamente raccontano, ma che in questo film indugia su una sua corporeità troppo intima, troppo nota, con posture troppo clamorose, propagandistiche di un eros maturo e contemporaneo che certamente Antonia non possedeva, così incerta nel mostrare la sua femminilità nelle foto che la ritraggono.
mancano la sofferenza, l'ambiente universitario prestigioso ma distante, il padre oppressivo simpatizzante del regime, l'incombenza della guerra, il fallimento sentimentale, mancano, non giustificano l'atto finale che, come ho ripetutamente letto, la vedono sulla neve, e non con un soprabitino, adagiarsi sul suolo per poi morire di barbiturici e disperazione.
manca tutto di Antonia che per troppa vita che ho nel sangue tremo nel vasto inverno, questa è un'invenzione veramente poco convincente, un'erotica contemporanea senza conoscenza per non parlare delle sue poesie inquadrate sui libri pubblicati postumi, un gioco che amplifica la confusione di un neo regista che, probabilmente, ha letto le sue poesie per l'occasione ghiotta consigliata da Luca Guadagnino, produttore del film, ma che non le ha amate, non le ha guardate.
Poesia che mi guardi, questa è Antonia Pozzi,
fonte: nuovateoria.blogspot.it
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