Sicuri che sia stato davvero un incidente, e non invece un naufragio deliberato? Nel caso, quello della Costa Concordia risulterebbe “firmato” in modo inequivocabile, massonico. Troppe coincidenze alimentano fondati sospetti, afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, saggista e studioso di simbologia. “Seguite i soldi”, direbbe un detective americano, e forse scoprirete che dietro al disastro della nave da crociera incagliatasi davanti all’Isola del Giglio il 13 gennaio 2012 potrebbe nascondersi il più classico dei moventi, quello economico. E cioè: sbarazzarsi di una nave ormai anziana, scansando gli esorbitanti costi dello smantellamento. Un’ipotesi non così fantascientifica, per Carpeoro, che nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” svela il codice esoterico con cui settori deviati dell’intelligence Nato avrebbero “firmato” gli attentati in Europa eseguiti da manovalanza islamista targata Isis. «In una serie di elementi di questa vicenda – afferma Carpeoro, parlando della Concordia ai microfoni di “Border Nights” – ho trovato qualcosa che somiglia al meccanismo consueto, che è quello della “firma”. Cioè: attraverso la scelta di circostanze e di date, qualcuno l’ha “firmato”, l’evento». Gli ipotetici autori? «Soggetti che generalmente lavorano per servizi, per società segrete anche paramassoniche». E i 32 morti? «Non voluti: probabilmente un errore di calcolo, che però si appoggiava su un’ipotesi criminosa».
L’affondamento della Concordia è avvenuto un venerdì 13, data funesta per i Templari: il 13 ottobre 1307, il sovrano francese Filippo il Bello epurò Parigi dei cavalieri rosso-crociati, precursori della massoneria. La nave ha fatto naufragio davanti all’isola che porta il nome del giglio, simbolo massonico rosacrociano ma anche della città di Firenze. “Concordia”, poi, è il nome di una potente loggia massonica fiorentina fondata nel dopoguerra e, secondo Carpeoro, implicata in alcune delle più fosche trame della strategia della tensione, fino a estendere la sua ombra su vicende come quelle dei delitti rituali, dal Mostro di Firenze alla morte di Yara Gambirasio. Sempre rincorrendo le tracce “esoteriche” dell’ipotetico sabotaggio marittimo, il nome Concordia fa anche riferimento all’unità e alla pace tra le nazioni europee: «Per questo i 13 ponti della nave prendevano il nome di altrettanti Stati europei», fa notare “Border Nights”, ricordando che proprio il 13 gennaio 2012 l’agenzia Standard & Poor’s tagliò bruscamente il rating a mezza Europa, “affondando” i titoli di Stato. Anche questa sembra una coincidenza particolare: dopo che affonda (per davvero) una nave dedicata all’Europa, si cola a picco (finanziariamente) l’Unione Europea, con una crisi bancaria creata a tavolino. Un modo per rivendicare, con l’uso della simbologia, una tragedia annunciata?
Un musicista a bordo della Concordia la sera del naufragio, intervistato dal conduttore di “Border Nights”, Fabio Frabetti, racconta che sull’intera crociera gravava una palpabile tensione, con esercitazioni di salvataggio stranamente ripetute. L’uomo accosta il disastro del Giglio al più clamoroso e controverso affondamento della storia, quello del Titanic, risalente al 14 aprile 1912: «Da quello della Concordia lo separano 99 anni e 9 mesi. Capovolgendo le cifre, si ottiene un numero tristemente famoso: 666». Nel caso fosse credibile l’ipotesi dolosa, secondo Carpeoro non è escluso che gli eventuali autori del “suicidio” della Concorda possano aver scelto deliberatamente quella data, per alludere esattamente a quei numeri “maledetti”, adottati dal satanismo. La “firma” sulla fine della Concordia ha una sua rilevanza, afferma l’avvocato, «ed è sicuramente di natura paramassonica». I possibili esecutori materiali «probabilmente appartengono a un’organizzazione che ha un background esoterico-occultistico massonico». Tuttavia, Carpeoro ipotizza un altro movente, quello economico, cioè la dismissione di un nave ormai vecchia e «non vendibile», il cui restauro avrebbe significato «mesi di fermo, in cantiere», a costi stellari. «Altra cosa – ragiona Carpeoro, in linea teorica – è fare in modo che la dismissione te la paghi l’assicurazione, e tu con quei soldi ti compri un’altra nave».
Secondo Carpeoro, le indagini – che hanno portato alla condanna del comandante, Francesco Schettino – avrebbero trascurato alcuni aspetti economici della tragedia. «Mi chiedo chi ha pagato gli avvocati a Schettino», dice Carpeoro. «Per prima cosa, se fossi stato un investigatore, mi sarei preoccupato di monitorare come Schettino ha assunto gli avvocati e chi glieli ha pagati. Non scordiamoci che Schettino, mentre la gente moriva, era già in salvo, tranquillo, in albergo: e quindi vuol dire che Schettino sapeva qualcosa in più, rispetto a tutti gli altri». Carperoro inoltre definisce «una manfrina» la burrascosa telefonata tra il comandante della Concordia e la capitaneria di porto livornese: «Mi sa di cosa precostituita per scaricare le responsabilità della capitaneria». Insiste l’avvocato: «Mi piacerebbe conoscere la soluzione economica di questa vicenda: se c’è un’assicurazione, se questa assicurazione ha pagato, chi ha pagato, chi ha pagato gli avvocati a Schettino. Sarebbe interessante fare un’indagine di questo tipo, che non mi risulta sia stata fatta». Ulteriore elemento, decisamente sconcertante: già l’indomani, i giornali erano invasi da maxi-pubblicità di compagnie di crociera concorrenti della Concordia. «Era già accaduto all’epopa del crac Parlamat: il giorno dopo, sui giornali campeggiavano réclame a tutta pagina di produttori di latte e derivati, concorrenti dell’azienda emiliana».
Sono notorie le dinamiche del mercato pubblicitario: normalmente, un’uscita sui giornali richiede una programmazione di almeno un mese, osserva Carpeoro. «Anche se le disdette degli spazi già comprati da parte di Costa Crociere fossero stati immediati, la rivendita di quegli spazi non avrebbe potuto avvenire con tanta celerità, a meno che anche le altre compagnie sapessero che ci sarebbe stata l’opportunità di fare campagne pubblicitarie sul cadavere della Concordia». E anche su questo, aggiunge l’avvocato, non si sono svolte indagini. Disattenzione? «In Italia spesso le indagini si svolgono senza cervello – o probabilmente senza voglia di usarlo, il cervello». Certo, il caso Concordia trabocca di stranezze. «Molti testimoni hanno riferito che diversi alberghi, al Giglio, riaprirono solo alla vigilia del disastro», dichiara sempre a “Border Nighs” un altro avvocato, Paolo Franceschetti, indagatore di tanti misteri italiani. E “Alessandro”, il musicista di bordo intervistato in trasmissione, fa notare l’assurdità del famigerato “inchino” della maxi-nave: «Al Giglio, notoriamente, il 13 gennaio non c’è nessuno: a chi si sarebbe dovuta “inchinare” la Concordia, finita contro gli scogli all’anomala velocità di 16,5 nodi?».
Proprio dall’elevata velocità di navigazione sarebbe dipesa la pericolosità della manovra: la brusca inclinazione dello scafo, con tutti quei morti. Una notte da incubo: il prodigarsi del personale della nave, poi l’arrivo dei soccorsi: 4.200 persone tratte in salvo con lance di salvataggio, motovedette ed elicotteri. Le 32 vittime? Sicuramente un incidente, un “danno collaterale” non cercato, conclude Carpeoro, sempre prendendo in considerazione l’ipotesi del disastro doloso: «E’ come la storia del killer che parte per uccidere una persona ma poi ne uccide dieci, perché ha sbagliato il modo di piazzare l’ordigno». Carpeoro ci crede, alla tesi dell’attentato: «Erano partiti per fare una porcheria e si sono avvalsi di personaggi “borderline”», cioè collaboratori di servizi segreti, mercenari di formazione esoterico-massonica che adottano sistematicamente le stesse “modalità di firma”, «da un lato per una questione di riconoscibilità sul “mercato”», cioè per garantirsi nuovi “incarichi”, «e dall’altro per un gusto loro, una loro “estetica”». Ma è bene non dare troppa importanza al peso delle simbologie, pur presenti: «Alla fine noi ci arrovelliamo sulle date e sulle “firme”, e non andiamo a guardare i conti correnti bancari».
fonte: http://www.libreidee.org/
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