mercoledì 7 novembre 2012

miracolo del Creato di Gia Van Rollenoof


.... Dio! Che cosa bella… incredibile, ha saputo donarci il Creato! Ha voluto proprio baciarci a noi donne: quanto è bella… un miracolo della natura! Che poi, per gran parte sta dentro noi, nell’intimo del nostro corpo, per poi mostrarsi solamente in quella sua parte, così bella… amabile! Io mi identifico completamente in lei, come se tutto il mio corpo ed anche la mia mente fossero solo lei! Io sono lei: con tutta la mia persona ed anche il mio cervello. E quella di Laila… così bella, tanto da commuovermi! Come è entusiasmante osservare quel fiore enfiarsi e schiudersi… com'è emozionante quel contrasto con la sua pelle bruna, che rende quel suo colore rosato, delicatamente imperlato da timide gocce di rugiada, così acceso. Ed ognuna è sempre diversa, l'una dall’altra: non ne esistono al mondo due uguali, ma tutte… sono straordinariamente belle, così come i fiori, tutti diversi, e tutti straordinari per il loro splendore, e divinamente profumati! Quanto vorrei baciare ogni fiore del mondo!
Poi, la sua mente, continuando a volare,
c’è una cosa che desidero moltissimo, da molto tempo… non ho ancora mai avuto il piacere di baciare la fica di una donna di colore… quanto mi piacerebbe farlo… scoprirne il profumo… il sapore… ma chissà! Non poniamo limiti alla provvidenza!...

http://www.erosartmalie.blogspot.it

domenica 4 novembre 2012

Mario Balocco


Orazio


(LA)
« Dum loquimur fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero. »
(IT)
« Mentre stiamo parlando il tempo invidioso sarà già fuggito.
Ruba un giorno, confidando il meno possibile nel domani. »
(Orazio, Odi, I, 11, 7-8)


Quinto Orazio Flacco, ritratto di Anton von Werner
Quinto Orazio Flacco, in latino Quintus Horatius Flaccus e noto semplicemente comeOrazio, è stato un poeta romano. Considerato uno dei maggiori poeti dell'età antica, nonché maestro di eleganza stilistica e dotato di inusuale ironia, seppe affrontare le vicissitudini politiche e civili del suo tempo da placido epicureo amante dei piaceri della vita, dettando quelli che per molti sono ancora i canoni dell'ars vivendi.

Orazio nacque l'8 dicembre del 65 a.C. a Venosa, colonia romana fondata in posizione strategica tra Apulia e Lucania, nell'attuale Basilicata, figlio di un fattore liberto che si trasferì poi a Roma per fare l'esattore delle aste pubbliche (coactor), compito poco stimato ma redditizio. Il poeta era dunque di umili origini, ma di buona condizione economica. Orazio seguì perciò un regolare corso di studi a Roma, sotto l'insegnamento del grammatico Orbilioe poi ad Atene, all'età di circa vent'anni, dove studiò greco e filosofia presso Cratippo di Pergamo. Qui entrò in contatto con la lezione epicurea ma, sebbene se ne sentisse particolarmente attratto, decise di non aderire alla scuola. Sarà all'interno dell'ambiente romano che Orazio aderirà alla corrente, la quale gli permise di trovare un rifugio nell'otium contemplativo. Il poeta espresse la sua gratitudine verso il padre in un tributo nelle Satire (I, 6)Quando scoppiò la guerra civile Orazio si arruolò, dopo la morte di Cesare, nell'esercito di Bruto, nel quale il poeta incarnò il proprio ideale di libertà in antitesi alla tirannide imperante e combatté come tribuno militare nella battaglia di Filippi (42 a.C.), persa dai sostenitori di Bruto e vinta da Ottaviano. Nel 41 a.C. tornò in Italia grazie a un'amnistia e, appresa la notizia della confisca del podere paterno, si mantenne divenendo segretario di un questore (scriba quaestorius), in questo periodo cominciò a scrivere versi, che iniziarono a dargli una certa fama. Nel 38 a.C. venne presentato a Mecenate da Virgilio e Vario, probabilmente incontrati nel contesto delle scuole epicuree di Sirone, presso Napoli ed Ercolano. Dopo nove mesi Mecenate lo ammise nel suo circolo. Da allora Orazio si dedicò interamente alla letteratura, non si sposò mai e non ebbe figli. Già in questo periodo Orazio risulta debole di occhi, avendo contratto una congiuntivite.

Mecenate gli donò nel 33 a.C. un piccolo possedimento in Sabina, le cui rovine sono ancor oggi visitabili nei pressi di Licenza (RM), cosa molto gradita al poeta che, in perfetta osservanza del modus vivendi predicato da Epicuro, non amava la vita cittadina. Con la sua poesia fece spesso azioni di propaganda per l’imperatore Augusto, anche se, a dire il vero, in questo periodo Ottaviano lasciò una maggiore libertà compositiva ai suoi poeti (tendenza che sarebbe però stata invertita dopo la scomparsa di Mecenate: lo testimonia la vicenda biografica di Ovidio). Esempi di propaganda augustea sono, ad ogni modo, alcune Odi e il Carmen saeculare, composto nel 17 a.C. in occasione della ricorrenza dei Ludi Saeculares.
Morì nel novembre dell'8 a.C. e fu sepolto sul colle Esquilino, accanto al suo amico Mecenate, morto solo due mesi prima.

Orazio di fronte alla morte


La cosiddetta casa di Orazio a Venosa
Verso la fine dell'impero la romanità cominciò a perdere fede nel sistema religioso del paganesimo, che non li difendeva più dai nemici e soprattutto dai barbari. Come era accaduto per gli etruschi, di fronte ai grandi pericoli esterni la religione si modifica. Gli dei Etruschi, piuttosto disinvolti e gioiosi prima, si mostrano terrifici quando i Romani cominciano ad assoggettarli e a distruggere le loro città. Ma questa fede non fu scelta così liberamente, perché fu man mano obbligata, attraverso persecuzioni e demolizioni o sostituzioni di templi. Ma nel I secolo a.C. questa fede non vacilla, bensì la scuola greca si trasmette a Roma insieme alle sue splendide arti. L'epicureismo è una delle scuole di pensiero che si fa domande sull'uomo e sul suo comportamento, in fondo cerca una risposta ai mali e ai dolori del mondo, che non devono offuscare la gioia di vivere. In questo periodo sorgono nelle città romane diversi circoli epicurei, dove forse Orazio conobbe Virgilio e Vario, che forse lo introdussero a Mecenate. L’epicureismo non voleva far svanire ogni angoscia e dubbio esistenziale riguardo alla morte attraverso una fede nell'aldilà, bensì attraverso la consapevolezza della propria precarietà. La morte è quindi vista come una serena liberazione dalla vita, densa di dolori, ma soprattutto come una certezza che l'uomo forte e saggio deve saper affrontare. Anche Lucrezio riconosce la verità della natura e le illusioni delle religioni, per lui basta guardare la natura e osservare la scienza per riconoscere la verità.

Statua di Orazio a Venosa
Orazio aderisce parzialmente all’epicureismo, anch’egli alla ricerca di risposte sui grandi temi esistenziali, risposte che di fatto non troverà mai: il poeta sembra infatti non essere mai sfuggito all’angoscia della morte, percepita sempre come imminente. È interessante analizzare la visione che il poeta latino aveva dell’aldilà, in quanto è indubbiamente molto sincera: sebbene velata da una certa sicurezza, propria di quella "aurea mediocritas" di cui Orazio voleva essere esempio, in molteplici occasioni traspare una vena di malinconia, accompagnata da cupe note di lirismo e di elegia, che tradisce il suo reale stato interiore. Orazio appare, a sprazzi, come quello che forse veramente era: un uomo che ha trovato nella vita il rifugio dalla morte, ma che in verità non è mai riuscito a curare del tutto la paura della morte, che preferisce fuggire piuttosto che combattere stoicamente. La sua personalità può quindi risultare, ad una prima lettura, ambigua: tale ambiguità nasce dalla discordanza che talvolta si viene a creare tra l’immagine che Orazio voleva dare di sé, e la vera personalità del poeta che inevitabilmente trapassa dalla righe: non a caso, come sostiene Ugo Enrico Paoli, "nulla [...] appare così difficile come penetrare nell’animo di Orazio". La rappresentazione dell’aldilà oraziano è comunque di forte stampo epicureo, e viene suggellata nel modo migliore nell’affermazione, non priva di una nota malinconica, espressa nell’Ode 7 del Libro IV:
« Pulvis et umbra sumus »

Quinto Orazio Flacco, ritratto di Giacomo Di Chirico
In questa affermazione Orazio riesce ad esprimere non solo il suo punto di vista sulla morte, ma anche l’angoscia che lo investe in vita, proprio in funzione del prossimo e certo annullamento dell’esperienza terrena. Dai versi di Orazio, quando il poeta parla della morte, risulta davvero difficile cogliere una nota di serenità, di gioia: il sentimento che invece predomina e che si identifica nella reazione psicologica del poeta di fronte alla morte, è una triste accettazione di un fatto naturale. In particolare questo sentimento viene espresso nell’Ode 14 del II libro, nella quale afferma (vv. 8 -12):
« ...tristi
[...] unda, scilicet omnibus,
quicumquae terrae munere vescimur,
enaviganda, sive reges
sive inopes erimus coloni
»
Questi versi ci esprimono quanto Orazio percepisse la morte cupa e fonte di grande turbamento: viene qui rappresentata come una palude (unda, parola che già nel suono anticipa il concetto che sta per essere espresso, e rafforza il simbolismo di cui è oggetto: palude=morte), a cui accosta l’aggettivo "triste" (tristi), che reca con sé anche un profondo senso di inevitabilità. La palude a cui allude Orazio è lo Stige:In questo caso, il riferimento mitologico ha valore simbolico, ed è funzionale non solo ad esprimere il concetto della morte, ma anche a rendere più vivida ed espressiva la poesia. Invece scilicet (come è naturale) afferma un dato di fatto: l’inevitabilità della morte, alla quale non vi è modo di sfuggire. Questo concetto in realtà viene qui ripetuto, ma era già stato espresso all’inizio dell’ode:
« ...nec pietas moram
Rugis et instanti senectae
Adfert indomitaeque morti
»
Inutile e vana è la religione, incapace di porre un rimedio (moram) all’incalzante vecchiaia e alla morte: questo è il punto di vista del poeta riguardo alla religione, e traduce un sentimento diffuso ed esteso a tutta la romanità del secolo. La religione è ormai incapace di dare spiegazioni sufficienti riguardo alla vita dopo la morte, il fervore religioso (pietas) non potrà salvare l’uomo dalla sua naturale condizione di mortale.

Interno della casa di Orazio
È davvero grande la differenza che corre tra l’attacco e la critica che Lucrezio aveva fatto nei confronti della religio, accusata di offuscare la ragione e di far nascere inutili tribolazioni e angosce, e questa, che suona più come una triste constatazione dell’incapacità di essere rasserenati da una religione nella quale non si riesce più a credere. Centrale nei versi 8-12 è ilgerundivo enaviganda, che esprime pienamente l’inevitabilità e la certezza della morte, non senza una nota di cupa e profonda malinconia, già anticipata da tristi unda. Risulta già chiara da questi pochi versi la percezione che Orazio aveva della morte, percezione che spiega e motiva la sua scelta di vita: una vita caratterizzata dal godere del presente e delle poche gioie che la vita ci offre (identificabili principalmente nell’amicizia, nel convivio, nella pace interiore) e che ci consentono di vivere con serenità e stabilità. Orazio appare a tratti molto pessimista: la morte è sempre in agguato e la vita potrebbe finire in ogni momento; è meglio, quindi, non riporre le proprie speranze nel domani. Questa idea di brevità della vita (che ritroviamo anche in Catullo: brevis lux) è un ulteriore invito a godersi la vita il più possibile, concetto che ritroviamo in numerosi versi, come nell’Ode 11 del libro I:
« ...Dum loquimur fugerit invida
Aetas: carpe diem, quam minimum credula postero
.[2] »
Il tempo è in una fuga perpetua, che non lascia adito a speranze future: occorre sfruttare al massimo il tempo che ci è concesso, e considerare ogni momento che ci è dato come un dono, così come afferma nell’Ode 9, del libro I (vv.14-15: "...Quem Fors dierum cumque dabit, lucro/Adpone..."); la sua concezione della fuga temporis sarà un perfetto modello per un grande poeta italiano come Francesco Petrarca, che, dopo aver letto classici come Orazio, Seneca e Agostino, lamenterà, nel Canzoniere, la caducità del tempo e la sua essenza fuggitiva in liriche come La vita fugge via e non s'arresta un'ora, molto vicina alla poetica oraziana. È chiaro dai suoi versi quanto la visione della morte condizioni in modo netto l’esperienza di vita del poeta, che ci viene vivacemente descritta dalla sua poesia: la morte non è, al contrario di quanto si crede, un evento che ci attende alla fine del nostro percorso vitale, ma è qualcosa che ci lasciamo dietro ogni giorno e dietro ogni momento, che estingue e brucia, attraverso il tempo, tutto ciò che è.

Opere



Le Odi di Orazio tradotte daMario Rapisardi
Orazio è considerato dal classicismo uno dei più importanti poeti latini, citato addirittura nell'Inferno diDante nel Limbo, al verso 89 del Canto IV. Molte delle sue frasi sono diventate modi di dire ancora in uso: esempi sono carpe diemnunc est bibendum e aurea mediocritas, oltre che Odi profanum vulgus, et arceo, e, recentemente, gli è stato intitolato anche un cratere sulla superficie di Mercurio. Inoltre Orazio è protagonista del giallo storico Meminisse Iuvabit, ambientato nel 23 a.C. e scritto daLuigi Calcerano.
  • Epodi (Epodon libri o Iambi, come li definisce l'autore), 17 componimenti, pubblicati nel 30 a.C.
  • Satire (Saturae o Sermones, come le definisce l'autore), in due libri che comprendono 18 satire, scritte tra il 41 e il 30 a.C.: il I libro (10 satire) fu dedicato a Mecenate e pubblicato tra il 35 e il 33 a.C., mentre il II libro (8 satire) fu pubblicato nel 30 a.C. insieme agli Epodi.
  • Odi (Carmina, come li definisce l'autore), in tre libri con 88 componimenti, pubblicati nel 23 a.C.Un quarto libro con altri 15 componimenti venne pubblicato intorno al 13 a.C.
  • Epistole, in due libri. Il I libro comprende 20 lettere composte a partire dal 23 e pubblicate nel 20 a.C., con dedica a Mecenate, mentre il II libro, con tre lettere, scritto tra il 19 e il 13 a.C., comprende l'epistola ai Pisoni, o Ars Poetica in 476 esametri, che fu presa a canone per la composizione poetica nelle epoche successive.
  • Carme secolare (Carmen saeculare), del 17 a.C., scritto per incarico di Augusto e destinato alla cerimonia conclusiva dei ludi saeculares.

venerdì 2 novembre 2012

Ruta Gedmintas


antropologia



L'antropologia (termine composto col prefisso antropo-, dal greco άνθρωπος ànthropos = "uomo" più il suffisso -logia, dal greco λόγος, lògos = "parola, discorso"), nata come disciplina interna alla biologia, studia l'uomo sotto diversi punti di vista: sociale, culturale, morfologico, psico-evolutivo, artistico-espressivo, filosofico-religioso ed in genere dei suoi comportamenti all'interno di una società.
Nella contemporaneità, dal punto di vista accademico, l'antropologia è suddivisa, nella tradizione di studi italiana, in due aree principali:
l'antropologia fisica (o "antropologia biologica"), che studia l'evoluzione e le caratteristiche fisiche degli esseri umani, la genetica delle popolazioni e le basi biologiche dei comportamenti della specie umana e dei suoi parenti più stretti, le grandi scimmie (primatologia);
le discipline demo-etnoantropologiche, che si occupano degli aspetti socio-culturali ecc. (ad esempio le reti di relazioni sociali, i comportamenti, usi e costumi, gli schemi di parentela, le leggi e istituzioni politiche, le ideologie, religioni e credenze, gli schemi di comportamento, i modi di produzione e consumo o scambio dei beni, i meccanismi percettivi, le relazioni di potere). Grande importanza ha per tale area di studi la ricerca etnografica, spesso considerata come base imprescindibile per riflessioni teoriche ed eventuali comparazioni.
Generalmente quando viene utilizzato il termine antropologia senza specificazioni ci si riferisce a questo secondo gruppo.
Le definizioni "antropologia culturale", di derivazione statunitense, "antropologia sociale", di provenienza britannica, ed "etnologia", di scuola francese, vengono spesso utilizzate per riferirsi genericamente al campo di studi delle scienze antropologiche o etnoantropologiche. L'utilizzo di queste etichette comporta diverse letture teoriche dell'antropologia, che possono essere in linea di massima messe in relazione con le diverse tradizioni di studi. Tuttavia vi è ampio consenso nella contemporaneità nell'individuare un'unità epistemologica di fondo del campo disciplinare.
In Italia si tende quindi a preferire la dizione "scienze (o discipline) etnoantropologiche" per evitare le implicazioni teoriche della scelta tra etnologia e antropologia sociale e culturale. In accordo con tale tendenza la voce enciclopedica di riferimento per tale campo di studi è Scienze etnoantropologiche, ed in essa viene trattata la storia della disciplina.

Uomo e natura (la specie umana, le teorie dell'evoluzione, la primatologia comparata, l'ecologia umana, la paleoantropologia, l'antropologia molecolare)
Società e politica
politica, la guerra, (la ricerca del potere e dell'autorità)
Antropologia economica (economia delle società tradizionali, antropologia dell'impresa)
Antropologia culturale e Antropologia dei simboli
Aspetti simbolici (arte e creatività, simboli gestuali, aspetti visuali, magia e credenze, filosofia e religione)
Usanze e rituali (giochi della crescita e sociali, parole e comunicazione, riti, costumi)
Corpo (antropologia medica, tecniche corporali)
Antropologia criminale teorizzata dal medico criminologo Cesare Lombroso
Cognizione e mente (educazione, percezione, categorizzazione, teorie della mente)
Modelli e classificazioni sociali (cultura, etnia, identità, ruoli, scambi culturali, reti sociali, gerarchia, generi sessuali)
Antropologia delle religioni (in prospettive storica e comparata, nella definizione di religione e negli aspetti magici e soprannaturali)
Sono inoltre strettamente collegate le discipline dell'etno-linguistica, che si occupa delle variazioni linguistiche delle diverse società umane, e l'archeologia e la paletnologia, che indagano le società del passato attraverso i resti materiali che esse hanno lasciato ("cultura materiale").

Considerazioni generali sull'antropologia

Data l'enorme varietà di fenomeni che ricadono nel campo di interesse di questa disciplina e in seguito ad evoluzioni storiche delle configurazioni e delle politiche accademiche, e non, relative ad essa, proliferano le direzioni di ricerca ed esiste, di conseguenza, una grande varietà di sottodiscipline istituzionalizzate in corsi e specializzazioni nelle università di tutto il mondo (per citarne solo alcune: antropologia visuale; antropologia dello stato; antropologia economica; antropologia amazzonica; antropologia dello sviluppo; antropologia delle organizzazioni, ecc.).
La grande quantità di sottodiscipline e campi di interesse che caratterizza attualmente l'antropologia culturale e sociale deve la sua esistenza principalmente alla crisi di due pilastri delle costruzioni teoriche di entrambe: gli stessi concetti di cultura e società. D'altra parte va pur tenuto presente che una qualsiasi società si esprime all'interno di una cultura e una cultura crea il proprio esoscheletro nella società.

Cenni storici

Se già gli antichi Egizi solevano distinguere le differenze tra i popoli, raffigurando i nemici catturati con un colore della pelle diverso, come ad esempio i libici dalla pelle chiara, ed evidenziando inoltre usanze e tratti fisici differenti, come la barba lunga degli stessi libici, bisognerà attendere gli studi dello storico e geografo greco Erodoto di Alicarnasso, per poter leggere una descrizione dei caratteri di varie popolazioni antiche (Etiopi, Greci, Egizi, Sciti), nella quale l'autore distinse tra i caratteri fisici e quelli etnografici.
Uno dei primi precursori dell'antropologia, nell'antichità fu Aristotele, che si preoccupò di classificare il mondo zoologico, comprendente l'uomo animale ragionevole. Le conoscenze dei tipi umani si approfondirono grazie agli studi dei medici Ippocrate e Galeno ed ai racconti dei viaggiatori, da Marco Polo a Magellano.
Nel XVII secolo, in uno studio sulle Antille, il padre domenicano Jean-Baptiste Du Tertre descrisse in chiave antropologico-razziale gli abitanti di quelle isole. Nel Settecento Linneo istituì una catalogazione delle varietà umane imperniata sia sui caratteri fisici sia su quelli morali o etnologici e l'antropologia ottocentesca ricevette un grande sviluppo grazie alle ricerche fornite, qualche anno prima, da Buffon (1707-1788), basate sul concetto di razza umana e dalla teoria dell'adattamento ai vari ambienti naturali. Seguirono Lamarck (1744-1829), Blumenbach (1752-1840), con le sue norme descrittive del cranio, Paul Broca (1824-1880) e la craniometria, Manouvrier (1850-1927) con la focalizzazione dei rapporti tra morfologia e funzionalità.
In Italia si misero in evidenza, oltre al caposcuola Giustiniano Nicolucci (1819-1904), che nel 1857 scrisse il primo trattato italiano di antropologia ed etnologia, anche Paolo Mantegazza (1831-1910), fondatore della prima cattedra di antropologia nella penisola, a Firenze nel 1870, ed Enrico Morselli (1852-1929).
Fondamenti filosofici
Le tradizioni di pensiero moderno che possono essere definite come costituenti una antropologia filosofica, hanno i principali esponenti in Immanuel Kant, Johann Gottfried Herder, Ralph Waldo Emerson, Friedrich Nietzsche, Max Scheler, Arnold Gehlen e Helmuth Plessner.


The Rocky Horror Picture Show




« Non sognatelo, siatelo. »
(Il Dr. Frank-N-Furter)

The Rocky Horror Picture Show è un film del 1975 diretto da Jim Sharman e tratto dallo spettacolo teatrale The Rocky Horror Show del 1973, di Richard O'Brien, sceneggiatore ed autore delle musiche, nate per lo spettacolo e usate anche nel film. O'Brien appare nella pellicola anche come attore, nel ruolo del misterioso servitore Riff Raff.
Nella classifica dei migliori 50 cult movies, stilata nel 2003 dalla rivista stanutitense Entertainment Weekly, viene piazzato al primo posto precedendo This Is Spinal Tap di Rob Reiner (1984) e Freaks di Tod Browning (1932).
Nel 2005 sono stati celebrati i 30 anni del The Rocky Horror Picture Show, che ha in tutto il mondo una enorme schiera di fan. Nel 2011, invece, si sono compiuti i 30 anni consecutivi di proiezione nel cinema Mexico di Milano.
Questo film è stato considerato fuori dagli schemi per l'esplicita trattazione di tematiche sessuali, cosa che lo rese rivoluzionario per l'epoca in cui fu prodotto e che ancora oggi gli fa conservare elementi di trasgressività non comuni. I ruoli eterosessuali, bisessuali ed il travestitismo vengono esibiti in un'allegoria pronta ad attingere da ogni situazione per irridere o dimostrare quanto siano effimeri i ruoli imposti dalla "normalità".
Il film merita di essere ricordato anche per i molteplici riferimenti alla cultura, sia americana che europea, contemporanea. Si vedono quadri famosi, il salvagente del Titanic, l'antenna della R.K.O., la Creazione di Michelangelo sul fondo della piscina, il David di Michelangelo (simbolo di bellezza virile visibile in più scene del film, in una delle quali si nota in particolare la modifica, rispetto all'originale, degli attributi sessuali della statua, il cui fallo è assai ingrandito), La madre di James Whistler ed anche una stanza orientale, che richiama la moda delle cineserie, molto in voga alla fine del XIX secolo. Inoltre ricorre in tutto il musical l'immagine dell'American Gothic del pittore Grant Wood, che simboleggia da tempo quell'atmosfera di "horror puritano" che permea anche questo film e non ultima la Gioconda sistemata sopra il camino nel salone dove si tiene l'Annuale Convegno Transilvano.
Nel 2005 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

La trama ruota intorno alla figura del dottor Frank-N-Furter, uno scienziato travestito e bisessuale di dubbie origini e movimentata vita sessuale, creatore di Rocky, l'amante perfetto.
La vicenda viene interamente raccontata da un narratore, che i titoli del film chiamano semplicemente "Il Criminologo", che riappare diverse volte lungo la trama, per commentare i fatti con il senno di poi.
È il 9 agosto 1974: due castissimi fidanzati, Janet Weiss e Brad Majors assistono ad un matrimonio e nell'impeto della celebrazione Brad chiede a Janet di fidanzarsi. La ragazza, ben contenta, accetta la proposta e insieme decidono di andare dal Dr. Scott, il professore che aveva tenuto il corso universitario in cui i due ragazzi si erano conosciuti. Durante il viaggio, si trovano nottetempo vittime di un guasto all'automobile in un bosco nel pieno di un temporale, mentre alla radio passa il discorso di dimissioni di Nixon. Sotto una pioggia battente, i due cercano rifugio in un vicino castello. Ad accoglierli ci sono l'inquietante maggiordomo Riff Raff e l'ambigua domestica Magenta. Poco dopo si troveranno davanti ai Transilvani, eccentrici invitati alla festa del dottor Frank-n-Furter e assisteranno increduli al ballo del Time Warp nel quale compare Columbia, che si esibisce in un tip tap mal riuscito.
Arriva quindi Frank-N-Furter, che si presenta come un "dolce travestito" (sweet transvestite) proveniente da Transexual, Transylvania. Egli, snobbando le richieste di Brad e Janet che chiedono semplicemente di fare una telefonata, li invita a salire nel suo laboratorio per vedere la nascita di Rocky, la creatura frutto delle sue ricerche scientifiche.
Brad e Janet vengono spogliati quasi completamente e accedono al laboratorio di Frank, completamente rosa. In una bara di cristallo giace il corpo completamente bendato di Rocky, al quale poco dopo viene infusa la vita. Rocky è l'incarnazione dell'amante perfetto: biondo, muscoloso, stupido e depilato. Nella canzone che spiega l'origine di Rocky, Frank-N-Furter cita un celeberrimo slogan culturista "In soli sette giorni posso fare di te un uomo" trasformandolo in: "In soli sette giorni posso farti un uomo". Ma nella realizzazione del suo nuovo amante, Frank ha utilizzato metà del cervello di un suo precedente amante, Eddie, perciò Rocky risulterà piuttosto tonto. Proprio Eddie riappare a sorpresa a bordo di una motocicletta, scatenando l'entusiasmo di Columbia (sua ex amante) e dei Transilvani nel laboratorio, l'interesse di Rocky e l'ira di Frank-N-Furter che si vede rubare la scena e l'amante. Frank quindi, in un delirio di onnipotenza e gelosia, imbraccia un piccone e uccide Eddie.
Frank sposa Rocky e più tardi inizia alla vita sessuale sia Janet che Brad. Ma Rocky, lasciato solo nel talamo, viene terrorizzato da Riff Raff con un candelabro, scappa e si nasconde. A scoprirlo è una Janet disperata e in colpa per il tradimento ai danni di Brad e arrabbiata per il tradimento di quest'ultimo con Frank-N-Furter; così decide di lasciarsi sedurre da Rocky.
Nel frattempo al castello arriva un altro ospite non gradito a Frank: il dottor Von Scott, ex professore di Brad e di Janet, che sta studiando le ricerche di Frank-N-Furter. Frank si autoconvince di conseguenza che i due giovani ospiti collaborino all'operazione di spionaggio di Von Scott e siano giunti al castello con quell'unico scopo. Nel diverbio che ne segue vengono scoperti Janet e Rocky entrambi seminudi, nell'imbarazzo generale. Di lì a breve, durante la cena, la tensione è palpabile ma nonostante ciò Frank festeggia il primo compleanno di Rocky e si viene a sapere che Eddie è il nipote del dottor Scott. Allora Frank rimuove la tovaglia rivelando che il tavolo su cui i commensali stavano cenando era in realtà una bara di cristallo contenente il corpo di Eddie mancante della carne appena offerta agli ospiti. Si genera una grande confusione alla quale Frank pone fine con un raggio immobilizzante che colpisce tutti tranne Riff Raff e Magenta, i suoi fedeli servitori, per poi farli recitare nel suo "spettacolo".
Diviene a questo punto chiaro che Frank è un alieno proveniente dal pianeta Transexual della galassia Transylvania, atterrato sulla Terra con i servitori Riff Raff e Magenta. La sua semplice filosofia di vita basata sulla ricerca totale e perenne del piacere però lo ha portato a compiere gesti poco ortodossi (vedi ad esempio la nascita di Rocky, l'uccisione di Eddie, il comportamento tenuto con Brad e Janet...). Per questo motivo nel finale Riff Raff e Magenta si ribellano al padrone, lo uccidono insieme a Rocky e Columbia (intervenuti a difendere il loro amore-padrone-amante), e tornano sul pianeta nativo con l'astronave costituita dallo stesso castello, facendo scappare gli altri ospiti. Il dottor Von Scott, Brad e Janet si trovano così sperduti e confusi nella polvere lasciata dal decollo. "E striscianti sulla superficie della terra, degli insetti, chiamati "la razza umana"... Persi nel tempo. Persi nello spazio. E nel significato". È con queste ultime parole che il criminologo pone fine alla storia, nel suo ufficio, chiudendo il fascicolo che regge in mano.
Frank-N-Furter da cattivo diventa una vittima del vero traditore Riff Raff, che oltre a ribellarsi al suo padrone plagia anche la sorella-amante Magenta per i suoi scopi, quando si capisce che, forse per amore o forse solo per devozione, lei avrebbe voluto un finale diverso per Frank-N-Furter, reo solo (se vogliamo così definirlo) di perseguire la filosofia del piacere con tutti i mezzi in suo possesso.