martedì 25 luglio 2017

quando i clandestini eravamo noi e la Romania non voleva gli italiani

La Storia ricorda e narra soltanto ciò che fa più comodo a chi ha il potere di raccontarla. Ecco uno dei tanti esempi, quello dell'emigrazione italiana verso la Romania, forse meno conosciuto di quello dell'emigrazione italiana verso gli Stati Uniti. Forse più taciuto...
Catherine


Il ministero dell’Interno nel 1942 cercò di fermare gli espatri a Bucarest dove i nostri connazionali erano malvisti. A Bombay chi aveva a che fare con la prostituzione veniva chiamato "italiano". Documenti di un'epoca nella quale a varcare le frontiere erano i poveri del nostro Paese, a volte criminali, spesso criminalizzati

di Stefania Parmeggiani

Quando i rumeni eravamo noi… E le cose andavano più o meno come oggi, solo a ruoli invertiti. Gli italiani andavano a Bucarest in cerca di fortuna, per lavorare come falegnami, nelle miniere o nelle fabbriche. Avevano un permesso di soggiorno in tasca, ma alla scadenza restavano oltre confine. Clandestini appunto. Come erano molti rumeni in Italia prima del loro ingresso nell’Unione Europea. Non graditi, come lo sono oggi che vengono guardati con rabbia e sospetto.

A metà del ‘900 non erano gli italiani a considerare i rumeni criminali, ma i rumeni a controllare le dogane per non essere invasi dagli italiani. I nostri connazionali creavano non pochi problemi: violenti, indisciplinati. La loro storia, fatta di stracci e pregiudizi, si è intrecciata con i tentativi italiani di evitare che gli indesiderabili lasciassero i confini nazionali e andassero a creare problemi alla dittatura amica del generale Ion Antonescu ...


Cancellati dalla memoria di un Paese, facile a rovesciare i pregiudizi su altri, i problemi dell’emigrazione italiana in Romania escono dalla polvere degli Archivi di Stato grazie alla mostra “Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo”. Oltre cento documenti, molti gli inediti. Tra questi una lettera con il timbro del ministero dell’Interno (Il documento.tif) inviata il 28 agosto 1942 a tutti i questori del Regno, al ministero degli Affari esteri, al Governo della Dalmazia, alla direzione di polizia di Zara e all’alto commissario di Lubiana. Diramava un ordine preciso: evitare che gli italiani espatriassero in Romania.

Carmine Senise, uno dei partecipanti alla congiura del 25 luglio, l’ uomo che propose di fare arrestare Mussolini a Villa Savoia, fu anche il capo della polizia che stigmatizzò il comportamento dei connazionali: “La legazione in Bucarest segnala che alcuni connazionali, giunti in Romania a titolo temporaneo, non lasciano il Paese alla scadenza del loro permesso di soggiorno provocando inconvenienti con le autorità di polizia romene anche per il contegno non sempre esemplare da loro tenuto e per l’attività non completamente chiara dai predetti svolta”. La situazione lo preoccupava non poco: “Stante il crescente afflusso di connazionali in Romania si dispone che le richieste di espatrio colà vengano vagliate con particolare severità per quanto riguarda in special modo la condotta morale o politica degli interessati ed i motivi addotti, inoltrando a questo Ministero, Ufficio Passaporti, soltanto quelle che rivestano carattere di assoluta e inderogabile necessità”.

D’altronde che tra gli emigrati non ci fossero solo lavoratori in cerca dell’America, ma anche avventurieri con pochi scrupoli è storia risaputa e testimoniata, in questa mostra, da altre missive, denunce e lamentele. La più antica è una lettera del console italiano in India che nel 1893 informava la madrepatria come a Bombay tutti coloro che sfruttavano la prostituzione venissero chiamati “italiani”. Un’associazione di idee non certo lusinghiera.

I nostri connazionali, come tutti gli emigranti, non rappresentavano solo un problema di sicurezza, ma anche una risorsa economica, tanto che Mussolini, come testimonia una delle circolari esposte, vietò l’espatrio alla manodopera specializzata. Potevano partire solo operai semplici, braccia che rischiavano di finire nel tritacarne dell’immigrazione clandestina. Che esisteva allora come oggi. La mostra documenta una serie di espatri irregolari avvenuti tra il 1925 e il 1973: gli italiani arrivavano in Francia e in Corsica, ma anche in altri paesi, con permessi turistici e poi si fermavano ben oltre la scadenza, altri entravano con in mano un visto di transito, ma non lasciavano il paese in cui erano solo di passaggio. Altri ancora ottenevano passaporti falsi o raggiungevano l’America tramite biglietti inviati, ufficialmente, da parenti e amici. In realtà, una volta dall’altra parte dell’Oceano, ad attenderli erano agrari che li costringevano a turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza. Anche questo “racket”, documentato con materiale del 1908 (Ministero degli Esteri pag. 1/2/3.tif), contribuisce all’affresco di un’epoca, non troppo lontana, in cui i rumeni – criminalizzati, non graditi o sfruttati – eravamo noi.
(14 aprile 2009)

Fonte: parma.repubblica.it

fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/

partiti morti, 500 parlamentari (1 su 3) han cambiato casa

Oramai i “nostri” sono diventati specialisti inimitabili. Unici al mondo. Già da qualche anno i parlamentari italiani stavano scalando le classifiche internazionali del trasformismo, ma l’ultimo dato – reso noto da “Openpolis” – fissa un dato strabiliante. Inarrivabile. Dall’inizio della legislatura – era la primavera del 2013 – sino ad oggi i cambi di gruppo sono stati 502, circa 10 al mese: un valzer che ha coinvolto sino ad oggi 324 parlamentari, il 34% del totale. Un “turismo parlamentare” senza eguali nel mondo occidentale e che non trova riscontri nella storia italiana, sia nella stagione che diede il via al trasformismo nell’Ottocento, ma neppure durante la vituperata Prima Repubblica: in quell’epoca la transumanza da un gruppo parlamentare all’altro era un fenomeno pressoché sconosciuto. Fino a quando, nel 1994, curiosamente col sistema maggioritario, i numeri via via si sono ingrossati e nel corso di questa legislatura il “turismo parlamentare” è diventato fenomeno di massa: a memoria d’uomo mai era capitato in una democrazia matura che un parlamentare su tre cambiasse casacca.
Un fenomeno che sembra fatto apposta per essere oggetto di una generica indignazione contro i parlamentari “sporchi e cattivi” di questa ultima generazione. Ma il boom della transumanza parlamentare ha molte cause. Tanto per cominciare i Alfanopartiti non sono più quelli di una volta. Oramai ci mettono poco a sfarinarsi. Le forze politiche entrate in Parlamento ad inizio legislatura hanno subito diverse scomposizioni nell’arco di 4 anni. Il Pdl si è diviso tra la berlusconiana Forza Italia e l’alfaniana Alternativa Popolare, i parlamentari di Scelta Civica di Monti si sono sparpagliati, dando vita ad una frammentata diaspora e un processo simile ha coinvolto Sel di Vendola, Sinistra Italiana, “Possibile” di Pippo Civati. Continue secessioni hanno investito anche il Pd(con la nascita di Mdp) e Cinque Stelle, e soltanto Lega Nord e Fratelli d’Italia hanno mantenuto la loro conformazione originale. Come documenta “Openpolis”, escludendo il gruppo misto, alla Camera solamente 4 gruppi su 11 sono diretta emanazione di quanto uscito dalle elezioni politiche del 2013: Pd, M5s, Lega e Fratelli d’ Italia. Risultato finale: nella legislatura dei governi Letta, Renzi e Gentiloni, i “trasmigranti” sono quasi raddoppiati rispetto alla precedente.
Ma l’autentico moltiplicatore del “turismo parlamentare” è un altro. Spiega il professor Gianfranco Pasquino, uno dei maestri della scienza politica italiana: «Per effetto di una legge elettorale che ha portato in Parlamento i “nominati”, i parlamentari non rappresentano più nessuno. Né gli elettori del collegio, né quelli che li sceglievano con le preferenze. Nessuno sa chi siano, ma non sappiamo neppure chi siano i loro elettori. Parlamentari svincolati da qualsiasi mandato, e dunque il loro movimento è in gran parte determinato dal calcolo: chi mi rinominerà? Un “movimento” che incide anche sul processo legislativo: quando Pasquinoi parlamentari si spostano, votano come vuole il loro nuovo “padrone” e anche per questo preferiscono il voto palese. In questo trasformismo non c’ è nulla di folcloristico. Solo calcoli, previsioni, aspettative. Per i “nominati” la parola giusta, ahimé, è schiavi».
Un’altra ragione del boom del trasformismo parlamentare la spiega un osservatore privilegiato come Pino Pisicchio, presidente del gruppo misto della Camera, eletto deputato per la prima volta nel 1987: «Il fenomeno è scoppiato con i partiti personali e con l’annullamento totale delle garanzie della democrazia interna: se il leader, che ha in mano la selezione delle nomine parlamentari, fa strame delle regole democratiche, che strumenti ha l’opposizione interna per contrastarlo e far valere le sue ragioni? Nessuno. E infatti l’unica via resta quella della scissione, della secessione, dell’uscita laterale». Il boom delle trasmigrazioni ha determinato fenomeni originalissimi. Come il continuo cambio dei nomi dei gruppi parlamentari. Gli “alfaniani” sono usciti dal Popolo delle Libertà il 18 novembre 2013 e decisero di chiamarsi “Nuovo Centrodestra”. Una definizione presto invecchiata per un partito che ha continuato a far parte di governi a guida Pd, e infatti nel dicembre del 2014 l’Ncd è diventato “Area Popolare” (Ncd-Udc).
Ma a dicembre del 2016 si slitta su “Area Popolare-Ncd-Centristi per l’Italia”, mentre a febbraio del 2017 si passa a “Area Popolare-Ncd-Centristi per l’Europa” e nel marzo dello stesso anno si approda ad “Alternativa Popolare-Centristi per l’Europa-Ncd”. Infinite scomposizioni hanno preso corpo al Senato. Esemplare il caso del gruppo “Grandi Autonomie e Libertà”, che per dare spazio alle sue tante componenti ha cambiato denominazione 14 volte. Ma una volta superato ogni record, fra qualche mese potrebbe maturare la novità: su iniziativa di Pisicchio, la presidente della Camera ha convocato la Giunta del Regolamento e in autunno potrebbe essere approvata una riforma dei regolamenti parlamentari, con tanto di disincentivi per le transumanze “facili”.
(Fabio Martini, “Volete la dimostrazione che i partiti sono morti”, articolo pubblicato da “La Stampa” e ripreso da “Dagospia” il 3 luglio 2017).

fonte: http://www.libreidee.org/

Barbablù ovvero la storia di Gilles de Rais


Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro.
E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà in te.
[Friedrich Nietzsche]
Esiste la possibilità di divenire mostri?
Riflettiamo a sufficienza sulle motivazioni che scatenano gli istinti peggiori dell'uomo? 

Nietzsche mi avverte ogni notte: stai attento, scruti negli abissi più profondi per raccontare la verità.
Ognuno di noi ha la possibilità di fare, di ricercare, di essere diverso.
Molti si fermano di fronte all'abisso generato da alcuni personaggi.
Cesare Lombroso, antropologo e criminologo, sosteneva che “non vi è delitto che non abbia radice in molteplici cause”.
Nel quotidiano, di fronte ad un delitto, si cercano le cause e si misurano le conseguenze.
Le vittime?
Dimentichiamo spesso le vittime.
Quando decido l'argomento di un articolo penso sempre a coloro che hanno pagato le conseguenze delle azioni di altre persone.
Entrare nella mente non possiamo, e non è compito di questo progetto.
Entrare nella storia si, è lo specifico obiettivo di questa iniziativa.
Siete pronti a scendere nell'abisso?
Intorno al 1405 nacque, a Champtocé-sur-Loire, Gilles de Rais.
Famiglia aristocratica. Il pargolo vide la luce, purtroppo oserei dire, nel castello di famiglia.
Il bambino era sveglio, intellettualmente dotato.
Parlava correntemente il latino.
Formò il proprio carattere nella disciplina militare.


All'età di 10 anni perse entrambi i genitori: la madre per malattia, il padre ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia.
Insieme al fratello furono affidati al nonno materno, Jean de Craon.
Il nonno, arrivista e ben inserito negli ambienti nobiliari, cercò di organizzare un matrimonio per aumentare le fortune della famiglia. Il primo tentativo fu con la bimba di quattro anni Jeanne Paynel, ereditiera di una delle famiglie più ricche della Normandia. La prematura scomparsa della giovane impedì le nozze.
Il nonno non si scoraggiò. Decise per il matrimonio con Beatrice de Rohan, nipote del Duca di Bretagna. Anche in questo caso la bimba lasciò prematuramente la terra sulla quale camminiamo.
Finalmente il 30 novembre del 1420, all'età di 15 anni, Gilles si sposò con Caterina de Thouars, ereditiera della Vandea e Poitou.
Dalla relazione nacque un'unica figlia, Marie.
Gilles dimostrò grande coraggio e competenza militare. A 16 anni prese parte ai primi conflitti in terra di Francia.
A 20 anni entrò nella corte di Carlo VII, a Saumur, grazie ai risultati ottenuti sul campo di battaglia in svariati episodi della guerra dei cent'anni.
Il nonno fu grande maestro poiché, l'ancora ventenne Gilles, riuscì ad entrare nelle grazie del Re sfruttando la parentela con il gran ciambellano di Francia.
Combatté al fianco della Pulzella d'Orleans, Giovanna d'Arco, a Jargeau, Meung-sur-Loire e Beaugency.
Carlo VII lo nominò consigliere e ciambellano.
In questa veste presenziò alla consacrazione del sovrano, avvenuta a Reims il 17 luglio del 1429.
Anni difficili.
Giovanna d'Arco, dopo esser stata l'artefice principale della vittoria francese, finisce la propria vita sul rogo purificatore.
Gilles, dopo esser stato elevato al titolo di Maresciallo di Francia, continuò a combattere in Normandia e nella zona della Loira alla testa di un esercito personale, che egli stesso manteneva.
Lo svolgimento della narrazione non è l'anticamera per un articolo su Giovanna d'Arco.
Allora, perché scrivo di un onesto combattente francese elevato al rango di Maresciallo di Francia?
Perché la vita riserva sorprese ad ogni angolo.
Nel 1432 muore il nonno e Gilles eredita un'immensa fortuna, consistente soprattutto in proprietà terriere nelle regioni della Bretagna, nel Maine e nell'Angiò.
L'eredità si accumula alle ricchezze della famiglia di provenienza e del casato della moglie.
Gilles de Rais si ritrovò uno degli uomini più ricchi del suo tempo.
Lo stesso anno decise di ritirarsi dal campo di battaglia, malgrado avesse compiuto da poco 27 anni.


La ricchezza trasformò un militare devoto a Carlo VII in un uomo dispendioso e raffinato. Iniziò a circondarsi di manoscritti preziosi e ad interessarsi al teatro finanziando spettacoli ed opere. Un tratto della biografia, a metà strada tra storia e leggenda, narra che durante una visita ad Orleans il suo seguito, composto da oltre 200 persone, riuscì nella non facile impresa d'occupare tutte le stanze delle locande della città.
Nel suo vivere dispendioso non dimenticò la religione, costruendo una sfarzosa cappella privata e finanziando opere caritatevoli.
Siamo in presenza di un combattente disciplinato, aiutante sul campo di Giovanna d'Arco, che una volta ritiratosi spese un'immensa fortuna nel finanziamento di opere teatrali e religiose.
I soldi finiscono spesso nelle tasche sbagliate, e quando ciò avviene, i soldi finiscono.
Sempre.
Gilles dissipò in breve tempo il patrimonio della famiglia.
Come riuscire a sopravvivere?
Prestiti e svendita dei possedimenti terrieri a somme irrisorie.
Nel mese di giugno del 1435, i membri della famiglia si riunirono per fermare le scelleratezze di Gilles. Fecero appello a Papa Eugenio IV per sconfessare la cappella dei Santi Innocenti, luogo per il quale Gilles aveva dissipato una fortuna immensa. Il Papa oppose un secco rifiuto. La famiglia decise di appellarsi a Carlo VII. Il sovrano accolse le richieste ed emise, il 2 luglio del 1435, un editto reale con il quale erano dichiarate nulle le vendite future di Gilles. L'editto non fu accolto da Giovanni V di Bretagna, per motivi puramente politici. Il Duca decise di nominare Gilles de Rais luogotenente generale di Bretagna.
L'uomo ritrovò la perduta serenità nella dolce terra di Bretagna?
No, assolutamente no.
In questo periodo, cercando la perduta fortuna, si avvicinò al mondo dell'occultismo. Affidò al suo cappellano, Eustache Blanchet, il compito di trovare alchimisti ed evocatori di demoni. Il cappellano decise di recarsi in Toscana per parlare con Francesco Prelati, un giovane monaco spretato aretino dedito all'occultismo. Non sappiamo quali tasti pigiò Blanchet, ma siamo a conoscenza che riuscì ad assoldare Prelati portandolo con sé in Bretagna.
Correva il 1439.
Il male iniziava a coprire i cieli di Francia.
Prelati, impegnato nel tentativo di ottenere la pietra filosofale, convinse de Rais di avere al proprio servizio un demone personale, di nome "Barron". Non essendo ovviamente in grado di soddisfare i desideri del suo mecenate, che ogni giorno era più bisognoso di denaro, Prelati richiese a nome del demone il sacrificio di un cadavere di bambino.
Furono l'alchimia e l'occultismo a trasformare un militare in un pedofilo, sadico ed uccisore di bambini?
Assolutamente no.
Nello stesso anno della morte del nonno, 1432, si erano verificati i primi assalti sui bambini. I primi omicidi, di cui lo stesso Gilles in seguito si incolperà, si verificarono a Champtocé, luogo del castello di famiglia. Di questi omicidi non rimane altra traccia se non le parole del carnefice. Negli anni seguenti Gilles si trasferì a Machecoul. In questo luogo avvennero omicidi in serie. Ma l'omicidio del bambino fu solo il finale di un tragico cammino: Gilles rapì, o fece rapire, i bimbi per sodomizzarli, torturarli ed infine ucciderli. Nel 1437, a Machecoul, furono scoperti i corpi nudi di 40 bambini.
L'occultismo, la magia e il monaco spretato di nome Prelati non furono la causa della perversione di Gilles.
Aveva iniziato molto prima ad uccidere i bambini.
Dobbiamo procedere in direzione del futuro per comprendere il passato.
Il 15 maggio del 1440 Gilles de Rais riprese le armi per conquistare il castello di Saint-Etienne de Mermorte, che lo stesso Gilles vendette al tesoriere di Bretagna.
Nella sua folle impresa, de Rais infranse il contratto con la Bretagna e violò le leggi della chiesa entrando con le armi in pugno in un luogo sacro.
La follia era tale che decise di prendere in ostaggio il canonico Le Ferron, fratello del proprietario del castello, che stava celebrando la messa. Il vescovo di Nantes non attese oltre e decise d'aprire un'indagine inquisitoriale. Nel settembre dello stesso anno il canonico fu liberato e Gilles de Rais imprigionato.
Il 28 settembre del 1440 iniziò il processo. Il primo giorno si presentarono otto testimoni per l'accusa: tutti lamentavano la scomparsa di un bimbo, attribuendo il rapimento ad una serva di Gilles, Perrine Martin, imprigionata a Nantes.
Il 13 ottobre furono stilati 49 capi d'imputazione: Gilles de Rais fu accusato di aver rapito ed ucciso 140 bambini. Fu altresì accusato d'averli torturati, smembrati, bruciati, offerti in sacrificio ai demoni. Altre accuse vertevano sulla pratica stregonesca.
Il 16 e 17 ottobre furono raccolte le deposizioni dei complici.
Etienne Corrillaut, complice di Gilles, confessò che “il padrone spogliò un bambino e l'appese con delle corde ad un gancio per impedirgli di gridare. Poi si masturbava sulla pancia e sulle cosce del bambino.”


Corrillaut confessò che de Rais uccideva i bimbi per decapitazione, smembramento e rottura del collo con un bastone. Il servo, complice, testimoniò che prima degli omicidi il padrone abusava sessualmente dei bimbi. Gilles de Rais inizialmente si scagliò con violenza contro i giudici, accusandoli apertamente di volerlo processare per sottrargli le sue ricchezze. Il vescovo e l'inquisitore lo minacciarono di scomunica, e gli diedero 48 ore di tempo per preparare una difesa. Nelle fasi successive del processo Gilles ammise che “quando detti bimbi erano morti, li baciavo e li ammiravo. Provavo gioia e piacere alla vista dei loro organi interni e molto spesso quando i bambini morivano mi sedevo sulla pancia e ridevo”.
Gli aiutanti testimoniarono che “bruciavamo i corpi nel camino interno di Gilles. I vestiti delle vittime erano collocati nel fuoco per far si che l'odore fosse ridotto al minimo. Le ceneri venivano gettate nel pozzo nero, nel fossato o in altri nascondigli”.
A partire dal 15 ottobre, Gilles de Rais iniziò a confessare una quantità enorme di crimini.
Il 25 ottobre fu emessa la sentenza: vescovo ed inquisitori dichiararono Gilles colpevole di apostasia ed invocazione demoniaca. Il solo vescovo lo dichiarò colpevole di sodomia, sacrilegio e violazione dell'immunità della chiesa.
Il 25 ottobre Gilles de Rais fu giustiziato mediante impiccagione.
Il corpo fu arso sul rogo.
Gilles ottenne d'essere tumulato all'interno della cappella dei Carmelitani di Nantes, luogo di sepoltura dei duchi di Bretagna.

Il resoconto giunto sino a noi è veritiero?
Gilles de Rais rapì, torturò, sodomizzò ed infine uccise oltre 200 bambini?
Georges Bataille, famoso antropologo e filosofo francese, per primo si preoccupò di ricercare fonti documentali affidabili. Lo studioso ritenne di collocare in una luce diversa, anche politica, gli avvenimenti, affermando che Gilles de Rais, pur colpevole, non sarebbe stato inquisito se non avesse voluto prendere con le armi il castello di Saint-Etienne de Mermorte.
Quell'assalto comportò l'ostilità sia dei duchi di Bretagna che del vescovo di Nantes.
Gli storici moderni, tralasciando gli innocentisti ad ogni costo, concordano sulla colpevolezza di Gilles de Rais.

Francisco Goya sosteneva che “il sonno della ragione genera mostri”, lo stesso sonno delle istituzioni permise a Gilles de Rais d'imperversare nei confronti di innocenti, la cui unica colpa era, ed è, quella di essere bambini.


Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/













Bibliografia

Eugène Bossard - Gilles de Rais, Maréchal de France, dit "Barbe-Bleue", 1404-1440: D'après des documenti Inédits - Paris. Honoré Champion 1886

Arthur Bourdeaut - "Chantocé, Gilles de Raggi et les Ducs de Bretagne", in Mémoires de la Société d'Histoire et d'archéologie de Bretagne - Rennes: Société d'Histoire et d'archéologie de Bretagne, 1924

Val Morgan - La leggenda di Gilles de Rais (1404-1440) negli Scritti di Huysmans, Bataille, Planchon, e Tournier , Lewiston - (New York). Edwin Mellen Press, coll. "Studi di Civiltà francese" (n ° 29), del 2003

Noël Valois - "Le procès de Gilles de Rais", in Annuaire-Bulletin de la Société de l'histoire de France , Paris: Librairie Renouard, t. LIX, 1912

Benedetti, Jean - Gilles de Rais - New York: Stein and Day, 1971

lunedì 17 luglio 2017

Camilleri: "non credete a Renzi o ai 5 stelle"

di Gianni Lannes

Lo scrittore Andrea Camilleri dispensa consigli affilati invitando i giovani «a non credere ai Renzi o ai cinque stelle perché sono già cadaveri, già fuori dalla vostra storia e dal vostro avvenire. Teneteli lontani dal vostro avvenire. Fatelo voi. Ricordatevi Pericle, il discorso che fa sulla democrazia. Applicatelo. Voi giovani siete in condizioni di farlo». Un gruppo di studenti del liceo classico Empedocle di Agrigento ha intervistato il grande maestro siciliano. Camilleri ha parlato dei suoi ricordi, della lingua inventata per il commissario Montalbano, di letteratura e di politica. Ne è scaturito un video, proposto ad Agrigento nel corso di un’affollata “serata dedicata a Camilleri”, nell’ambito del festival della strada degli scrittori.
  
Condivido ogni parola di Andrea Camilleri che mostra un coraggio civile che gli attuali scrittori italiani non hanno mai avuto. Renzi e Grillo sono un pericolo per la democrazia. A proposito dei grullini: nella battaglia contro la vaccinazione forzata imposta dalla lobby farmaceutica e dai politicanti italidioti, gli onorevoli pentastelluti sono per "la massima copertura vaccinale".

riferimenti:

https://www.youtube.com/watch?v=_fjfZnYjvho

https://www.youtube.com/watch?v=iWpxWrHOEUM 

https://www.youtube.com/watch?v=WBPDL1vTmeg 

https://www.youtube.com/watch?v=-HszRrwpehA 

https://www.youtube.com/watch?v=w7D8MEsvh_E 

fonte: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/

lunedì 10 luglio 2017

la stanza segreta di Michelangelo



Firenze 1529-30
Le truppe imperiali esultanti, divampano come furie sulle mura stremate della città.
Riecheggiano silenziose le vie arteriose, sino al battito pulsante delle piazze, dense di fame, miseria e pestilenza. 
Tacciono le campane, implodono nel vuoto gli zoccoli reali dei cavalli; battono la terra.
Morsicano l’aria muta.
La Repubblica di Firenze segna il suo imbrunir, dopo uno stremante assedio.
Decade.
Alessandro de Medici maestoso nelle vesti, tra disperati fatti di stracci, pone lo sguardo alto al cielo, alla torre di Palazzo Vecchio, rivestito nuovamente del suo stendardo famigliare.
I Medici sono a casa.
Nessuna pietà.
I traditori pagheranno il prezzo più caro con la loro vita.
Nessuna pietà.



Michelangelo, responsabile delle fortificazioni della città e architetto militare della Repubblica, fedele ai tempi dei signori di Firenze, a tal punto che da giovincello fu allievo prediletto di Lorenzo il Magnifico.
Or teme per la prima volta di perder la sua vita.
Nonostante la sua fierezza di carattere, che non perseverava in petto alcuna paura, ne timore; spesso litigioso, per i suoi ideali, schivo dalla vita di corte, bruto nella cura di sé.
Paranoico ed ombroso, ossessivo e travagliato da più "Io" nel carattere.
Ora deve fuggire o nascondersi.
Lo vogliono!
Si nasconde per sfuggire alla vendetta, nella Basilica di San Lorenzo in una piccola stanza segreta vicino alla Sacrestia, una vecchia carbonaia, qui trascorre un lunghissimo tempo di isolamento, afflitto dal caldo di quell'estate, dalla fame e da una tremenda solitudine che fa riemergere nell’anima i suoi affanni di gioventù, l’ombra severa e manesca del padre, le sue solitudini, i suoi pianti.



Si fustiga, usava farlo per punirsi.
Resta esiliato in quello scoglio di stanza osservando da una fessura chi lo voleva morto.
Ma nel tormento, implode la meraviglia.
Michelangelo grazie ai carboncini inizia a disegnare sulle pareti bianche della stanza, opere che sono giunte sino ad oggi, grazie all’intonaco messo dal sacrestano per coprire la prova che aiutò Michelangelo a nascondersi.
Si possono osservare spettacolari opere di corpi, volti, mani; riconoscibili e magnifici sono il volto del Lacoonte che ricorda il viso della statua conservata presso i Musei Vaticani, altre figure che si ritroveranno poi come “ospiti” Nella Cappella Sistina ed altre opere del grande maestro.
Un segno indelebile della sua presenza, è l’impronta della sua mano sul muro, firma del suo genio tormentato.
Intervenne il Papa, se pur litigioso con esso per concedergli la grazia, a costo che finisse i lavori della basilica.
Il suo genio era troppo prezioso per la Chiesa.



Poco lontano dalla stanza segreta di Michelangelo, sono visitabili le Cappelle Medicee, le tombe che racchiudono l’intera generazione dei principi, grazie ai loro resti si sono potuti studiare, le cause di morte e le malattie che scorrevano in quei secoli.
Uno studio ha permesso di notare che Lorenzo de Medici, presentava un teschio più grande del comune e che era affetto da una malformazione nasale, questa caratteristica non gli consentiva di sentire odori e rendeva la sua voce stridula, come affermano fonti dell’epoca.
Ma una scoperta densa di mistero è il ritrovamento della tomba vuota dell’ultimo principe toscano, e la botola segreta a pochi metri dal sarcofago indicata da un cerchio nero sulla pietra, che conduceva ad una cripta sotterranea che faceva da nido tombale ai nati morti della famiglia Medici, un particolare sinistro è il piccolo corpo di un bambino mummificato dal tempo sepolto in una bara trasparente, e a pochi metri da esso il corpo avvolto in un altro sarcofago dell’ultimo principe con la corona in testa ad indicare la fine del tempo dei Signori di Firenze.

Simone De Bernardin

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/





zoo umani, uomini trattati come bestie


Rinascimento epoca di luce, di magnifica produzione artistica e degrado morale, occorre ricordarlo. Nel corso del XVI secolo il cardinale Ippolito de Medici possedeva una collezione d’essere umani di diverse razze. Il cardinale si vantava di disporre d’uomini e donne di oltre venti diverse lingue: tartari, turchi, mori, indiani e varie etnie africane.[1] 

Il cardinale Ippolito de Medici precursore di quest’ignobile usanza – anche se occorre specificare che, con molta probabilità, altri prima di lui vollero dimostrare la superiorità di una certa etnia rispetto ad un’altra.
Ritengo il caso di introdurre alcune definizioni per meglio comprendere il seguito dell’articolo.
Iniziamo con la definizione di razzaraggruppamento d’individui che presentano un insieme di caratteri fisici ereditari comuni. Nel caso dell’uomo tali elementi si riferiscono a caratteristiche somatiche indipendenti dalla nazionalità, lingua o costumi.[2]
Questa definizione può considerarsi superata dall’evoluzionismo e dall’antropologia fisica.
Una seconda definizione è quella d’etniaraggruppamento umano distinto da altri in conformità a criteri razziali, linguistici o culturali[3]
La definizione può considerarsi superata grazie all’antropologia. Il concetto d’etnia potrebbe essere stato creato per motivazioni politiche tendenti a differenziare un gruppo piuttosto che un altro.
Il cardinale Ippolito non fu l’unico italiano precursore di quest’orrore umano: il tanto amato Cristoforo Colombo portò con se dei nativi americani, dai suoi viaggi, alla corte del Re di Spagna. Correva il 1493.[4]
Lo zoo umano nacque, in forma stabile, dal secolo XIX.
Il tempo corre e con lui la stupidità dell’uomo.
Una nuova epoca si affaccia.


Una nuova visione del mondo: l’imperialismo. In quest’ambiente si sviluppa il nuovo colonialismo, che consiste nell’azione dei governi di imporre la propria egemonia su altri paesi allo scopo di sfruttarli economicamente. I colonialisti assumono il controllo dei paesi conquistati e delle loro fonti energetiche. Non si fermano alla terra ma sfruttano anche gli abitanti.
Gli zoo umani si affermarono definitivamente dal 1870.
L’uomo – quasi moderno – inventò una definizione fuorviante, come a volersi ripulire la coscienza: esposizione etnologica. In queste mostre, sia permanenti sia itineranti, gli esseri umani potevano essere presentati in uno stato naturale. In questa situazione si voleva enfatizzare la differenza fisica e culturale tra i popoli dell’Europa occidentale ed altri europei o non europei.
Gli abitanti dei paesi non occidentali erano considerati primitivi, e si potevano trattare come animali. Il concetto fondamentale trae spunto dal razzismo scientifico nonché dal darwinismo sociale.
Il razzismo scientifico è una branca dell’antropologia formatasi in ambito universitario nel corso del XIX secolo negli Stati Uniti ed in Europa. Lo scopo principale era quello di trovare un fondamento all’ideologia razzista.
Il darwinismo sociale è una corrente di pensiero filosofica che ritiene come motore del mondo il concetto di struggle for life and death: combatti per la vita e la morte. Alla base di quest’idea vi era la ricerca di un fondamento, possiamo chiamarlo scientifico, per il pretesto con cui le parti dominanti della società cercavano di far apparire la differenza di classe come una disuguaglianza antropologica.
Questo strano miscuglio di idee, filosofia, sociologia ed antropologia – che voleva trovare un fondamento al razzismo – fu la base per la nascita e la proliferazione delle esposizioni etnologiche o meglio degli zoo umani.
Non fermiamoci alla teoria, avanziamo nell’orrore della pratica.


Dal 1870 gli zoo umani divennero popolari in diversi paesi del mondo occidentale. Leggendo i resoconti dell’epoca si smarriscono le parole, anche per il numero dei visitatori di queste esposizioni etnologiche: dai 200,000 ai 300,000 con picchi di diversi milioni.
Le città più prolifiche furono Parigi, Londra, Anversa, Milano, Barcellona, New York e Berlino. L’inventore di questo incredibile momento della storia dell’uomo potrebbe avere un nome ed un cognome – non fosse altro perché fu il primo: Carl Hagenbeck.
Nel 1874 decise di mostrare i samoani come delle popolazioni primitive. Visto il successo decise di catturare – purtroppo questo termine si deve utilizzare con riferimento alle incredibili nefandezze del periodo storico – dei nubiani, per effettuare nuove e visitate mostre.
Dopo l’enorme successo di pubblico decise di trasformare le mostre da stabili ad itineranti, per la gioia delle popolazioni di Parigi, Londra e Berlino.


Nel 1877 de Saint-Hilaire, direttore dello Jardin d’acclimatation, decise di introdurre spettacoli etnologici in cui si esibivano dei nubiani. I visitatori raddoppiarono nel corso di un anno, toccando l’incredibile cifra di un milione. Siamo nell’anno 1877. Sino al 1912 furono allestite oltre 30 mostre.
Il nostro paese non si discostò da questa pratica, giacché è stato tra i precursori. Il primo caso d’umanità in mostra nell’Italia contemporanea – o quasi – fu la realizzazione, nel parco del Valentino, a Torino di un villaggio coloniale. Anno 1884. Sei abitanti eritrei, tre uomini con una donna e due bimbi, furono “invitati” a Torino con la motivazione di richiamare gente per vedere dei veri selvaggi.[5]
Italiani brava gente.
Il caso di Torino potrebbe sfociare nel comico se non fosse tragico: appena giunti i sei eritrei si rifiutarono di alloggiare presso il villaggio coloniale costruito per loro. Furono spediti in un albergo della città sino a quando le abitazioni non furono restaurate secondo il loro volere. Gli eritrei divennero famosi, tanto da essere ricevuti anche dal Re d’Italia.
Si diceva Italiani brava gente.
All’Expo del 1889 di Parigi fu realizzato un villaggio negro visitato da oltre 28 milioni di persone.
I francesi vollero andare oltre: nacquero le esposizioni coloniali, che continuarono sino al 1931.
Le sedi furono le città di Marsiglia e Parigi. In queste mostre erano esibiti esseri umani nudi o seminudi rinchiusi in gabbia. L’ultima esposizione, quella del 1931, attirò oltre 30 milioni di visitatori in soli sei mesi.
Nel 1904 gli Stati Uniti d'America spesero oltre un milione  di dollari per farsi spedire dalle Filippine più 1300 nativi, appartenenti ad oltre una dozzina di tribù. La motivazione di fondo era chiaramente politica: il governo americano sperava di aumentare l'appoggio all'imperialismo tra la popolazione esibendo il selvaggio, l'uomo considerato bestia o il barbaro non occidentale. 
Secondo il reverendo Sequoyah Ade: "Per illustrare ulteriormente la vastità di umiliazioni subite nelle Filippine oltre alla loro conquista da parte degli Americani, gli Stati Uniti hanno reso la campagna Filippina il centro della Fiera Mondiale del 1904 tenutasi quell'anno in St. Louis, MI. In quella che era definita entusiasticamente come la "sfilata del progresso", i visitatori potevano scrutare i "primitivi" che rappresentavano l'opposto della "civiltà" che giustifica la poesia di Kipling "Il fardello dell'uomo bianco". Pigmei dalla Nuova Guinea e dall'Africa, che furono in seguito mostrati nella sezione primati del Bronx Zoo, sono stati fatti sfilare accanto agli indiani d'America come il guerriero Apache Geronimo, che ha venduto il suo autografo. L'attrazione principale fu tuttavia la mostra Filippina di repliche intere delle abitazioni indigene, erette per esibire l'arretratezza intrinseca nel popolo Filippino. L'obiettivo era quello di mettere in evidenza sia l'influenza "civilizzatrice" del governo americano sia il potenziale economico delle risorse naturali delle catene insulari sulla scia della guerra filippino-americana. Era, a quanto riferito, la più grande mostra specifica aborigena esibita alla fiera. Come un visitatore soddisfatto ha commentato, lo zoo umano appare il racconto di strane persone che segnano il tempo mentre il mondo avanza, e di selvaggi resi dei lavoratori civilizzati coi metodi americani." [6]
All'esposizione del 1907 di Parigi, voluta per promuovere il colonialismo, furono ricostruiti sei villaggi in rappresentanza degli angoli di mondo dell’impero francese. Furono ricostruite le abitazioni per ricreare lo stile di vita, naturalmente non potevano mancare gli abitanti, mostrati come prede del colonialismo francese. 
Quest’esposizione fu visitata da oltre un milione di persone.


L’ultima assurda esposizione fu allestita nel 1958 in Belgio, a Bruxelles, durante una fiera mondiale. Nella capitale belga fu ricostruito un villaggio del Congo. Vi sono immagini incredibili che conducono sul sentiero del vomito: si distinguono chiaramente attempate e sorridenti signore di mezza età lanciare banane ad una bimba, proveniente dal Congo, che cammina sorridente verso di loro.
L’uomo come scimmia.
Nessun rispetto per l’essere umano.
Vorrei concludere con una frase di Albert Einstein: io appartengo all’unica razza che conosco, quella umana.

Fabio Casalini 

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia
Abbattista Guido, Umanità in mostra. Esposizioni etniche ed invenzioni esotiche in Italia (1880-1940). 2013

Mullan, Bob e Marvin Garry, Zoo culture. The book about watching people watch animals, 1998

Jonassohn Kurt, On A Neglected Aspect Of Western Racism, December 2000, Montreal Institute for Genocide and Human Rights Studies

Fotografie
1- I cacciatori di teste di Coney Island
2- I cacciatori di teste di Coney Island 
3- Uno dei primi zoo umani 
4- Locandina del 1886 di Carl Hagenbeck 
5- Bimba congolose trattata come una scimmia a Bruxelles nel 1958

Note
[1] Mullan, Bob e Marvin Garry: Zoo culture. The book about watching people watch animals, 1998
[2] Definizione di razza estrapolata dall’Enciclopedia Treccani.
[3] Definizione di etnia estrapolata dall’Enciclopedia Treccani.
[4] Kurt Jonassohn: Studi sui diritti umani ed i genocidi per il Montreal Institute, 2000
[5] Guido Abbattista, Umanità in mostra. Esposizioni etniche ed invenzioni esotiche in Italia dal 1880 al 1940. 2013
[6] The Passions of Suzie Wong Revisited, by Rev. Sequoyah Ade, Aboriginal Intelligence, 4 gennaio 2004