domenica 30 giugno 2013

Veronica Lario

La moglie del premier attacca dopo l'articolo su "Fare Futuro"
"Io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione"

Veronica Lario: "Le veline candidate?
"Ciarpame senza pudore per il potere"

Difende il ruolo delle donne nella politica "da Nilde Jotti alla Prestigiacomo"
"Ma qui emerge la sfrontatezza e la mancanza di pudore"


Veronica Lario: "Le veline candidate? "Ciarpame senza pudore per il potere"
Veronica Lario con Silvio Berlusconi
ROMA - "Ciarpame senza pudore". Il vaso si è colmato di nuovo e Veronica Lario esplode come già fece alla fine di gennaio di due anni fa con la famosa lettera a Repubblica. Questa volta, la moglie del premier attacca sull'uso delle candidature delle donne che a suo avviso si sta facendo per le elezioni europee.

Questa volta, Veronica Lario ha deciso di mettere per iscritto in una mail - in risposta ad alcune domande poste dall'Ansa sul dibattito aperto dall'articolo pubblicato ieri dalla Fondazione Farefuturo - il suo stato d'animo di fronte a ciò che hanno scritto oggi i giornali sulle possibili candidate del Pdl alle europee. "Voglio che sia chiaro - spiega - che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla e ci fa soffrire".

Alla domanda su cosa pensa del ruolo delle donne in politica, alla luce delle polemiche di queste ore, Veronica Lario risponde: "Per fortuna da tempo c'è un futuro al femminile sia nell'imprenditoria che nella politica e questa è una realtà globale. C'è stata la Thatcher e oggi abbiamo la Merkel, giusto per citare alcune donne, per potere dire che esiste una carriera politica al femminile".

"In Italia - aggiunge la moglie del presidente del Consiglio - la storia va da Nilde Jotti e prosegue con la Prestigiacomo. Le donne oggi sono e possono essere più belle; e che ci siano belle donne anche nella politica non è un merito nè un demerito. Ma quello che emerge oggi attraverso il paravento delle curve e della bellezza femminile, e che è ancora più grave, è la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che offende la credibilità di tutte e questo va contro le donne in genere e soprattutto contro quelle che sono state sempre in prima linea e che ancora lo sono a tutela dei loro diritti".

"Qualcuno - osserva Veronica Lario - ha scritto che tutto questo è a sostegno del divertimento dell'imperatore. Condivido: quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere".

La signora Berlusconi prende anche l'iniziativa di parlare della notizia, pubblicata oggi da la Repubblica, secondo cui il premier sarebbe stato domenica notte in una discoteca di Napoli a una festa di compleanno d'una ragazza di 18 anni: "Che cosa ne penso? La cosa mi ha sorpreso molto, anche perchè non è mai venuto a nessun diciottesimo dei suoi figli pur essendo stato invitato".

Berlusconi: "Candidature inventate". E proprio poche ore prima, lo stesso premier era intervenuto da Varsavia sul tema sollevato da "Fare Futuro". Berlusconi definisce "deludenti" le polemiche sulle "soubrette" nelle liste del Pdl: "Le candidature che ho letto sui giornali sono quasi tutte inventate. E' veramente assurdo - continua - che se una persona ha una o due lauree e conosce due o tre lingue, per il solo motivo che sia stato in tv o abbia fatto cose nell'informazione o nello spettacolo sia da considerarsi preclusa per quanto riguarda la politica".

Il premier si lamenta delle critiche: "Si dice sempre che si vuole il 50 per cento di donne. Poi quando vai a prendere candidate, che non ho scelto io, e che vengono a fare un corso, per il semplice motivo che hanno un aspetto gradevole si polemizza. È Una delusione totale. Escludo comunque che ci sia qualche candidata che non sia stata attiva in An o in Forza Italia". Berlusconi 'sponsorizza' però uno dei nomi usciti sulla stampa. "Sono supporter di Lara Comi, è bravissima".

Non sapeva ancora che Veronica Lario era pronta a lanciare il suo secondo grande attacco. 

rivoluzione industriale




La rivoluzione industriale è un processo di evoluzione economica che da un sistema agricolo-artigianale-commerciale porta ad un sistema industriale moderno caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come ad esempio i combustibili fossili).
Spesso si distingue fra prima e seconda rivoluzione industriale. La prima riguarda prevalentemente il settore tessile-metallurgico e comporta l'introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore; il suo arco cronologico è solitamente compreso tra il 1760-1780 e il 1830. La seconda rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente partire dal 1870-1880, con l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Talvolta ci si riferisce agli effetti dell'introduzione massiccia dell'elettronica e dell'informatica nell'industria come alla terza rivoluzione industriale, che viene fatta partire dal 1970.
La rivoluzione industriale comporta una profonda ed irreversibile trasformazione che parte dal sistema produttivo fino a coinvolgere il sistema economico nel suo insieme e l'intero sistema sociale. L'apparizione della fabbrica e della macchina modifica i rapporti fra gli attori produttivi. Nasce così la classe operaia che riceve, in cambio del proprio lavoro e del tempo messo a disposizione per il lavoro in fabbrica, un salario. Sorge anche il capitalista industriale, imprenditore proprietario della fabbrica e dei mezzi di produzione, che mira ad incrementare il profitto della propria attività.

Origine dell'espressione

La locuzione rivoluzione industriale, usata molto probabilmente per la prima volta già negli anni venti del XIX secolo, modellata in analogia con il termine Rivoluzione francese (tesi sostenuta da Raymond Williams), è stata sicuramente citata, secondo lo storico Fernand Braudel, nel 1837 dall'economista francese Adolphe Blanqui, fratello del celebre rivoluzionario Auguste Blanqui. Fu però definitivamente consacrata solo nel 1884 da Arnold Toynbee con la pubblicazione delle sue Conferenze sulla rivoluzione industriale in Inghilterra..
Fu tra l'altro utilizzata in precedenza da:
Karl Marx ne Il Capitale (1867);
John Stuart Mill nei suoi Principi (1848);
Friedrich Engels ne La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845).
Il termine rivoluzione sta a rappresentare un totale cambiamento nella società o in alcuni suoi aspetti, come ad esempio in rivoluzione scientifica.
Il termine industria è antichissimo ma è solo alla fine del Settecento che acquista l'accezione di "settore manifatturiero", sebbene già al 1713 si può far risalire l'inizio della decadenza della protoindustria quando John Lombe fondò uno stabilimento dotato di una macchina per lavorare la seta, impiegandovi ben 300 operai.

Delimitazione temporale e diffusione

Il termine rivoluzione, inizialmente indicante un moto circolare che torna su sé stesso, ha in seguito definito una rottura, un capovolgimento. Con il termine rivoluzione industriale si fa implicitamente riferimento a questo secondo senso. Il sistema produttivo che risulta dalla rivoluzione industriale è radicalmente differente rispetto al sistema precedente di tipo agricolo-manifatturiero.
Alcuni storici minimizzano l'importanza degli avvenimenti identificati alla rivoluzione industriale sostenendo che le trasformazioni strutturali delle economie europee ebbero inizio già nel secolo precedente. Più che di una rottura si tratterebbe solo, per questi autori, di un'accelerazione di un processo già in corso. In Inghilterra, primo paese nel quale si assiste alla rivoluzione industriale, questo processo ha avuto luogo nella sua prima fase e secondo la delimitazione di Thomas S. Ashton, fra il 1760 – anno d'inizio del regno di Giorgio III – e il 1830 – anno d'inizio del regno di Guglielmo IV. Questa prima rivoluzione industriale prende avvio nel settore tessile (cotone), metallurgico (ferro) ed estrattivo (carbon fossile). Il periodo vittoriano (1831-1901), nel quale avviene la seconda rivoluzione industriale (1850 circa), sarà per l'Inghilterra quello dello sviluppo e dell'apogeo della propria economia, archetipo del sistema capitalista-industrializzato.
La rivoluzione industriale si è poi estesa ad altri Stati, in particolare: Francia, Germania, Stati Uniti e Giappone fino a coinvolgere l'intero Occidente e, nel XX secolo, parte di altre regioni del mondo, prime fra tutte l'Asia. Ogni paese ha seguito un suo percorso verso la propria rivoluzione industriale e la stessa si è realizzata in modo differenziato. Così se in Inghilterra il processo prese avvio nel settore tessile, in altri paesi la rivoluzione industriale fu letteralmente trainata dall'introduzione della locomotiva (Thompson) a vapore. Anche il ruolo dello Stato varia da paese a paese: se in Inghilterra la rivoluzione industriale è sorta spontaneamente ed è stata alimentata dall'iniziativa (pur sostenuta e favorita da atti legislativi emanati dal Parlamento, come quelli relativi alle recinzioni e alle strade), in altri paesi lo Stato ha dato contributi maggiori e spesso determinanti.
Altri storici, come Jean Gimpel sostengono persino l'esistenza di rivoluzioni industriali precedenti a quella sorta in Inghilterra alla fine del XVIII secolo. Nell'epoca feudale si sarebbero così realizzate rivoluzioni sostanziali delle tecniche agricole e industriali, basti pensare al ruolo dei mulini. John Nef sostiene l'esistenza di una rivoluzione industriale in Inghilterra già a partire dalla fine del XVI secolo e l'inizio del XVII secolo. La rivoluzione industriale si pone così fra rottura e/o continuità.

I fattori che determinano uno stato industrializzato

Per dichiarare che un paese sta compiendo un processo di industrializzazione deve esserci una crescita del PIL più rapido dell’incremento demografico (deve essere positivo, ma non eccessivo). Nel caso inglese, la crescita del PIL va dal +2% al +4% all’anno, mentre l’aumento demografico annuale è del +1% circa. La crescita della popolazione industriale deve essere maggiore rispetto a quella degli altri settori (agricoltura e servizi). E il rapporto tra il numero di lavoratori e la quantità di prodotto deve essere in crescita (aumento della produttività). Per recuperare i fondi per l’apertura di nuove industrie è indispensabile lo sviluppo del commercio con lo scopo di accumulare capitali. Un altro fattore indispensabile è la Rivoluzione “Agricola”, ovvero la trasformazione della proprietà agraria consentendo l’espulsione della forza-lavoro dalla campagna con trasferimento in città (a lavorare nelle industrie). L’incremento demografico è un altro fattore utile per l’aumento della manodopera industriale (mantenuto sempre sotto la soglia del PIL). Questi ultimi due fattori, aumentando la forza-lavoro permettono un abbassamento dei prezzi, favorendo l'offerta.

I tre settori di Colin Clark

L'economista Colin Clark ha elaborato la legge dei tre settori (o di Colin Clark), che mette in relazione lo sviluppo di un'economia con la trasformazione della stessa: in un primo momento, corrispondente alla Rivoluzione industriale, si assiste alla diminuzione del peso nell'economia del settore agricolo e all'aumento del ruolo svolto dal settore industriale, che diventa il più importante per quota di prodotto e occupati; in una seconda fase si assiste al sorpasso del settore industriale da parte del terziario (detto così perché non rientra né nel primo settore, quello agricolo, né nel secondo, quello industriale). Il terziario è attualmente considerato il settore più importante dell'economia, e raggruppa nel suo insieme il commercio, il turismo, l'apparato amministrativo, le consulenze (in tutti i campi a partire da quello bancario, i mass-media...).

Origini

Come accade in molti processi storici, per la rivoluzione industriale non esiste una data di inizio certa, anche se l'invenzione cardine è quella del motore a vapore. Ogni mutamento profondo dell'economia è però influenzato dalle trasformazioni precedenti e così la Rivoluzione industriale viene considerata da alcuni studiosi come l'ultimo momento di una serie di cambiamenti che hanno trasformato l'Europa da terra povera, sottosviluppata e poco popolata all'inizio del Medioevo, nella zona più ricca e sviluppata del mondo nel corso dell'Ottocento. L'accumulo di capitale incamerato in seguito ai commerci e la disponibilità di ingenti quantità di acciaio e carbone nei paesi del Nord, facilmente trasportabili attraverso una fitta rete di canali navigabili, resero possibili gli investimenti necessari alla creazione delle prime fabbriche.
Da un punto di vista economico, l'elemento che caratterizza la Rivoluzione industriale è il salto di qualità nella capacità di produrre beni, cui si assiste in Gran Bretagna, a partire dalla seconda metà del Settecento. Più precisamente la crescita dell'economia inglese nel periodo 1760-1830 è la più alta registrata fino a quel momento. In altri paesi il processo di industrializzazione è analogamente origine, in epoche successive, di elevati tassi di crescita dell'economia.
Sostanzialmente, la Rivoluzione industriale ha costituito l'approdo a cui ha portato l'aumento di conoscenze scientifiche sul mondo naturale, e sulle sue caratteristiche, derivante dalla Rivoluzione scientifica. Fu infatti il nuovo Metodo scientifico iniziato dall'italiano Galileo Galilei a portare ad un sensibile (e senza precedenti) aumento delle conoscenze che gli Europei avevano sulla natura, ed in particolar modo sui materiali e le loro proprietà. Condizioni particolarmente favorevoli nell'Inghilterra dell'epoca consentirono poi a tali conoscenze scientifiche di tramutarsi in conoscenze tecniche e tecnologiche, finché esse cominciarono ad essere applicate nelle prime fabbriche tessili e nell'industria siderurgica per una produzione di ferro ed acciaio che non ebbe paragoni nella precedente storia dell'umanità.
Dal punto di vista tecnologico la Rivoluzione industriale si caratterizza, come già detto, per l'introduzione della macchina a vapore. Nella storia dell'umanità il maggior vincolo alla crescita della produzione di beni è infatti quello energetico. Per molti secoli l'umanità si trova a disporre soltanto dell'energia meccanica muscolare offerta dal lavoro di uomini e animali, e questo oltre a tutti i problemi che ne derivavano non dava la possibilità di incrementare la produzione essendo legati al lavoro manuale. La progressiva introduzione, a partire dal Medioevo, del mulino ad acqua e del mulino a vento rappresenta la prima innovazione di rilievo.
L'energia abbondantemente offerta dalla macchina a vapore viene applicata alle lavorazioni tessili, rendendo possibile una più efficiente organizzazione della produzione grazie alla divisione del lavoro e allo spostamento delle lavorazioni all'interno di fabbriche appositamente costruite, nonché alle estrazioni minerarie e ai trasporti. Le attività minerarie beneficiano della forza della macchina a vapore nella fase di estrazione dell'acqua dalle miniere, permettendo di scavare a maggiore profondità, come anche nel trasporto del minerale estratto. I primi vagoni su rotaia servono a portar fuori dalle miniere il minerale, poi a portarlo a destinazione. Solo in un secondo tempo il trasporto su rotaia si converte nel trasporto di passeggeri. La rivoluzione industriale ha prodotto effetti non solo in campo economico e tecnologico, ma anche un aumento dei consumi e della quota del reddito, dei rapporti di classe, della cultura, della politica, delle condizioni generali di vita, con effetti espansivi sul livello demografico.

Perché in Inghilterra

Importante per la Rivoluzione industriale in Inghilterra fu l'agricoltura; infatti l'Inghilterra fu la prima ad avere un'agricoltura di mercato (non per auto-consumo ma per profitto) che, unita all'innovazione tecnologica, eliminò molta manodopera dalle campagne, facendola rifluire verso la città, dove troverà occupazione nella nascente industria. Ma il fenomeno delle enclosures, per cui molta terra demaniale lasciata al libero pascolo venne privatizzata e recintata, privò i contadini più poveri del libero diritto di pastorizia e li spinse a trovare nuovo impiego nelle fabbriche. La disponibilità ingente di manodopera a basso costo, unita alla grande disponibilità di carbone per alimentare le macchine a vapore, contribuì in maniera fondamentale al decollo industriale del paese. Inoltre l'Inghilterra si trova in una posizione geografica favorevole ai commerci nell'Oceano Atlantico, mentre la sua insularità le consentì una facile difesa dei propri confini, evitandole le periodiche devastazioni che, al contrario, dovette subire il resto dell'Europa per le svariate guerre sette-ottocentesche. Altro importante fattore è la rivoluzione agricola sviluppatasi nel corso del Settecento, che con sistemi di avanguardia come la rotazione quadriennale programmata delle colture agevolò lo sviluppo industriale e demografico. L'Inghilterra era l'unico paese in cui poteva svolgersi e il perché risale all'epoca elisabettiana: avendo lei trasformato il paese da povero a padrone dei mari, gli aveva fornito il denaro necessario perché questo fenomeno avesse potuto avere luogo e così diventasse il paese più ricco d'Europa per un lungo periodo, superando anche la Francia che, nonostante le grandi potenzialità, in quel periodo soffriva socio-economicamente della politica assolutista.

Dinamica economica

Per spiegare come si sia passati da un sistema manifatturiero di tipo artigianale a uno di tipo industriale occorre considerare che la domanda di beni è aumentata in Inghilterra nel periodo che precede la rivoluzione industriale. Questo si deve sia alla crescita demografica sia al livello del reddito pro capite e dei salari, più elevato di molti paesi europei, sia alla domanda di beni inglesi proveniente dagli immensi territori coloniali: da cui proveniva, per esempio, il cotone grezzo della Virginia, che lavorato veniva rivenduto ovunque, compresi i territori coloniali. Il monopolio del commercio del tè consentì alla corona di incamerare cifre ragguardevoli. Si trattava, in pratica, di una domanda di beni di largo consumo, destinati a soddisfare bisogni elementari di crescenti masse di persone in patria e all'estero. La crescita della domanda favorì gli investimenti in impianti industriali e in macchinari, i quali, per essere convenienti, richiedono che la domanda di beni sia sostenuta. Tuttavia, in settori come il tessile il passaggio graduale delle lavorazioni, inizialmente di tipo artigianale, in un sistema di fabbrica ha permesso di compiere investimenti in maniera graduale, via via che erano accumulati i capitali necessari. È il caso dei canali navigabili e delle ferrovie, la cui costruzione si deve in buona parte all'iniziativa dei privati, indotti a investire in settori nuovi per soddisfare la domanda crescente dei corrispondenti servizi sociali.

Innovazioni tecnologiche

Le innovazioni tecniche coinvolsero le macchine utensili e le macchine motrici, le industrie tessili e l'industria pesante (metallurgica e meccanica). Quest'ultima divenne determinante nella metà del XIX secolo,in concomitanza con lo sviluppo delle ferrovie. La produzione domestica di tessuti era particolarmente lenta nella fase della filatura, poiché occorrevano cinque filatori per alimentare un solo telaio a mano. Lo squilibrio si accentuò intorno alla metà del XVIII secolo, quando i tempi della tessitura furono ulteriormente ridotti dalla diffusione della spoletta volante (brevettata nel 1733 da John Kay). Nella seconda metà del secolo, due importanti invenzioni modificarono ancor di più il panorama della tecnologia tessile: James Hargreaves inventò, nel 1765, la giannetta (o Spinning Jenny), mentre Richard Arkwright, nel 1767, il filatoio idraulico (o Water frame): la prima accelerava la filatura da 6 a 24 volte, il secondo addirittura di alcune centinaia di volte. Tutto ciò rese evidentemente obsoleti i telai a mano.
Nel 1787 Edmund Cartwright inventò il telaio meccanico, che fu perfezionato e adottato nei decenni successivi: intorno al 1825, un solo operaio, sorvegliando due telai meccanici, poteva sbrigare un lavoro che con i telai a mano avrebbe richiesto l'opera di una quindicina di persone. Mentre in India per tessere a mano 100 libbre di cotone occorrevano oltre 100.000 ore di lavoro, in Gran Bretagna con le nuove macchine erano sufficienti circa 135 ore, il che aumentava anche la competitività. L'aumento della produzione di tessuti stimolò lo sviluppo dell'industria chimica, per rendere competitive le fasi di candeggiatura, tintura e stampa. Ben presto l'industria chimica divenne fondamentale per tutti i rami della produzione, sia industriale, sia agricola.
Lo sviluppo industriale richiese quantità sempre maggiori di energia, ben superiori a quelle fornite dalla mano dell'uomo. La ricerca mirò quindi alla realizzazione di motori adeguati. James Watt (1736-1819) modificò la macchina a vapore, ottenendo un rendimento ben quattro volte superiore a quello delle precedenti vaporiere (1787). Nell'arco del XIX secolo, la macchina a vapore finì per affermarsi definitivamente anche in altri rami della filiera produttiva (ad esempio, nei trasporti terrestri e marittimi). Essa sostituì le tradizionali fonti di energia che presentavano il gravissimo inconveniente di non essere disponibili nelle quantità e nei tempi e luoghi richiesti (mulini ad acqua e a vento), o di non essere instancabili e adeguate alle nuove macchine utensili (energia muscolare dell'uomo e degli animali). Altro fattore decisivo fu l'abbondantissima ricchezza di giacimenti di carbone in Inghilterra: la macchina a vapore consentiva di produrre energia di una intensità e di una concentrazione senza precedenti. Con l'adozione del vapore la richiesta di ferro e di leghe adeguate subì un rapido incremento.
All'inizio del XVIII secolo, un progresso decisivo nel campo della siderurgia, ancora nella sua fase preindustriale, era stato conseguito da Abraham Darby, che per la lavorazione dei minerali ferrosi aveva iniziato ad usare, anziché il carbone di legna, il coke, ossia l'antracite distillata a secco per eliminarne le sostanze che avrebbero inquinato i processi di fusione. Senza tale innovazione, la siderurgia avrebbe presto incontrato «i limiti dello sviluppo», perché l'uso tradizionale del carbone di legna avrebbe in breve tempo comportato la distruzione delle foreste. Poiché la combustione del coke negli altiforni doveva essere ravvivata da correnti d'aria assai più intense di quelle ottenibili dai vecchi mantici azionati dai mulini, fu necessario utilizzare a questo scopo proprio la macchina a vapore, che quindi trovò la sua prima applicazione in una fonderia.
Tra il 1783 e il 1784 Henry Cort introdusse nella siderurgia la laminazione e il puddellaggio. Quest'ultimo consisteva nella purificazione dei minerali ferrosi mediante rimescolamento ad altissime temperature in presenza di sostanze ossidanti. La laminazione purificava ulteriormente il ferro e lo sagomava secondo le forme richieste, facendolo passare a forza attraverso i rulli di un laminatoio, che sostituiva il vecchio metodo di percussione sotto maglio e accorciava i tempi di ben quindici volte. Per ottenere barre, rotaie o travi bastava modificare la forma dei rulli.
Processi analoghi a quelli svoltisi in Inghilterra fra il XVIII e il XIX secolo si riprodussero in tutti i paesi nei quali la rivoluzione industriale si affermò. Però, mentre in Inghilterra la rivoluzione industriale era stata il risultato di iniziative private non inquadrate in alcun piano o programma, altrove l'intervento statale ebbe una parte più o meno grande.

Esplosione demografica

La rivoluzione industriale innescò diverse dinamiche socio-economiche che, combinatesi fra loro, provocarono nelle aree coinvolte un rapido e considerevole accrescimento della popolazione.
L'innalzamento delle rese agricole, che consentirono un notevole incremento nella disponibilità delle risorse, i progressi nel campo igienico e sanitario, che abbatterono i tassi di mortalità e innalzarono l'età media della popolazione, l'estinzione o comunque la riduzione delle ricorrenti calamità che da secoli colpivano le aree più popolate, come peste, colera, carestie di varia natura, sono tutti fattori che congiuntamente condussero nel giro di alcuni decenni ad un incremento esponenziale della popolazione.
Complessivamente, negli ultimi due secoli, a partire quindi dall'inizio della rivoluzione industriale, la popolazione europea è cresciuta di quasi quattro volte, la speranza di vita è passata da valori compresi tra i 25 e i 35 anni a valori che superano i 75 anni, il numero di figli per donna scesi da 5 a meno di 2 e natalità e mortalità scesi da valori compresi tra il 30 e il 40 per mille a valori prossimi al 10.
L'esplosione delle dinamiche demografiche a sua volta costituirà, specie nell'epoca della seconda rivoluzione industriale un fattore di sviluppo della economia, spingendo sempre più verso varie forme di consumismo, ma provocando anche nuovi problemi sociali e politici, legati all'inurbamento disordinato dei grandi centri, alla distribuzione delle risorse, ai fenomeni migratori.

Impatto sociale dell'industrializzazione

La rivoluzione industriale comportò un generale stravolgimento delle strutture sociali dell'epoca, attraverso una impressionante accelerazione di mutamenti che portò nel giro di pochi decenni alla trasformazione radicale delle abitudini di vita, dei rapporti fra le classi sociali, e anche dell'aspetto delle città, soprattutto le più grandi.
Fu infatti prevalentemente nei centri urbani, specie se industriali, che si avvertirono maggiormente i mutamenti sociali, con la repentina crescita di grandi sobborghi a ridosso delle città, nei quali si ammassava il sottoproletariato che dalle campagne cercava lavoro nelle fabbriche cittadine. Si trattava per lo più di quartieri malsani e malfamati, in cui le condizioni di vita per decenni rimasero spesso al limite della vivibilità.
In Inghilterra sorsero interi quartieri di "case popolari" o "slums" che ospitavano più di una famiglia in condizioni igienico-sanitarie generalmente pessime, basti pensare che una persona su due moriva per intossicazione da materiali di costruzione.
Una simile situazione, sia pure con diverse varianti e aspetti peculiari a seconda dell'epoca e dei Paesi industriali, si è protratta fino a tempi più recenti, e ha dato spunto per una vasta letteratura, politica, sociologica, ma anche narrativa. In Francia, ad esempio, fu Émile Zola a denunciare attraverso i suoi romanzi le miserevoli condizioni delle classi più umili nella Parigi dell'epoca, o ad esempio dei minatori, nel romanzo "Germinal". Prima ancora, in Gran Bretagna, Charles Dickens aveva più volte ritratto nei suoi romanzi una umanità disperata e incattivita dagli spietati meccanismi produttivi imposti dalla rivoluzione industriale.
Nel verismo italiano è assente la realtà industriale, in quanto il Meridione si poggiava essenzialmente su un sistema agricolo, sostituita dalla presenza di tanti personaggi di contadini oppressi e affamati dal monopolio della nobiltà rurale: Nedda, la ragazza protagonista della breve novella considerata uno dei massimi capolavori di Giovanni Verga, è un personaggio simbolo del disagio del Sud.
In campo politico-filosofico è indubbio che siano state le condizioni umane e sociali delle masse operaie dell'epoca ad aver stimolato le opere di Karl Marx e Friedrich Engels, che avranno nel secolo successivo una fondamentale importanza nel panorama politico mondiale.
Nonostante gli effetti spesso negativi sul proletariato urbano, dovuti alle iniziali condizioni di sfruttamento economico e di urbanizzazione incontrollata, la rivoluzione industriale a lungo andare ha permesso comunque di elevare le condizioni di benessere di una sempre più vasta percentuale della popolazione, conducendo già dalla fine del XIX secolo ad un generale miglioramento delle condizioni sanitarie (non è casuale che dalla rivoluzione industriale in poi l'Europa non abbia più conosciuto l'incubo della peste e delle carestie di tipo agricolo), un sensibile prolungamento della vita media degli individui, un estendersi della alfabetizzazione, la disponibilità per un maggior numero di persone di beni e servizi che in altre epoche erano totalmente preclusi alle classi più povere.
Le numerose e importantissime novità tecnologiche hanno avuto un ruolo decisivo in tal senso. L'avvento, concentrato in pochi decenni, di grandi scoperte in campo scientifico e medico, e di invenzioni come la macchina industriale a vapore, la ferrovia, l'energia elettrica, l'illuminazione a gas e quella elettrica, il telegrafo, la dinamite, e nella seconda fase della rivoluzione, il telefono e l'automobile, ha rapidamente trasformato la vita della popolazione e coinvolto l'intero quadro sociale dei paesi industrializzati, modificando alla radice secolari abitudini di vita e contribuendo ad un rapidissimo cambio di mentalità e di aspettative degli individui.
La rivoluzione industriale darà l'avvio anche a un lento processo di emancipazione femminile, generato in prima battuta dall'ingresso nel mondo del lavoro delle donne, che in gran numero cominciano ad essere impegnate inizialmente come operaie nelle fabbriche e, a partire dall'epoca della seconda rivoluzione industriale, anche in ruoli impiegatizi e di concetto.
Anche i rapporti fra le classi sociali furono profondamente modificati: l'aristocrazia, già messa in crisi dalla Rivoluzione francese, perse definitivamente, con la Rivoluzione industriale, il suo primato, a favore della borghesia produttiva. Parallelamente si formò per la prima volta una vasta classe, che sarà definita da Karl Marx "classe operaia" che solo a distanza di decenni, lentamente e faticosamente, riuscirà a conquistare un suo peso sociale e politico nella vita dei paesi industrializzati.
Da parte di alcune classi di lavoratori le innovazioni vennero viste come un concorrente alle loro specializzazioni, al quale si opposero con la nascita del luddismo verso il 1811, proponendosi di distruggere le macchine con la violenza.

Mutamento delle città

Nel 1815, nei primi anni della seconda rivoluzione industriale l’unica città con più di un milione di abitanti era Londra che aveva già vissuto la prima rivoluzione industriale; seguivano tre città con circa 500.000 abitanti: Parigi, Napoli e Istanbul. Con l’industrializzazione l’aspetto della città cambia notevolmente: vengono abbattute le mura per far spazio alla nuova borghesia industriale ma soprattutto alle fabbriche e a tutte quelle persone che si trasferiscono dalla campagna alla città come lavoratori nelle fabbriche; poi con l’invenzione della locomozione a vapore la ferrovia diventa un'infrastruttura fondamentale. Gli elementi che favorivano l’industrializzazione erano la presenza di rotte commerciali, di materie prime e di legislazioni favorevoli. Per questo motivo non erano sempre le grandi città di un tempo che poi si trasformavano in città industriali, ma a volte si valorizzavano dei paesi rurali che anche se non grandi favorivano lo sviluppo. In Inghilterra gli esempi sono Manchester, Birmingham e Leeds, che sono passati da piccole cittadine a grandi agglomerati urbani.

Struttura delle città industriali

La città industriale ha più o meno una struttura corrente formata da:
centro: composto da centro storico, la parte più antica della città e che un tempo stava dentro le mura ora demolite, e case borghesi, create con l’arrivo della borghesia capitalista, ovvero i quartieri residenziali, e uffici e negozi;
periferia, assai più ampia del centro, composta da fabbriche e case popolari, nei quartieri popolari;
C’erano molte differenze tra centro e periferia; se nei quartieri residenziali comincia a nascere un'architettura, l’urbanistica, che cerca di dare una pianta precisa alla città e un aspetto esteticamente bello, nella periferia le case sorgono tutte ammassate, di solito case a schiera, piccole e troppo vicino alla fabbriche: il principio di costruzione non era la funzionalità, ma piuttosto l’economia degli spazi e del denaro, e non ci si occupava di dare dei servizi obbligatori come le fognature e l'acqua corrente.

La nascita dell'Urbanistica

Con la nascita dell'Urbanistica, specie nel periodo della seconda rivoluzione industriale si iniziano anche delle operazioni di riammodernamento dei centri urbani. Negli ultimi decenni del XIX secolo le amministrazioni delle grandi città iniziarono infatti a pianificare interventi di ristrutturazione urbanistica su larga scala, come ad esempio la grande trasformazione operata a Parigi durante il Secondo Impero, che prevedevano talvolta anche l'abbattimento di interi quartieri fra i più vecchi e fatiscenti, per far posto a zone ricostruite secondo schemi urbanistici più razionali, rispondenti a canoni più moderni e funzionali. Fu proprio per la necessità di mettere ordine e poter controllare queste enormi caotiche aree urbane che si iniziò in tutti i paesi industrializzati ad introdurre sistematicamente i numeri civici nelle abitazioni e a regolamentare in modo più rigoroso lo sviluppo delle reti stradali, fognarie e dei servizi pubblici in generale.

La rivoluzione dei trasporti

George Stephenson, riuscì a costruire la locomotiva a vapore. Altro fattore scatenante della rivoluzione industriale fu quello della rivoluzione dei trasporti. Il sistema stradale in Francia fu ampliato a partire dal 1738 e nel 1780 contava già oltre 25.000 chilometri di strade costruite. Questo dimezzò i tempi di percorrenza, e facilitò quindi anche i trasporti, importanti per l'approvvigionamento dei minerali e del carbon-fossile.
Una soluzione analoga fu trovata anche per l'Inghilterra che però, al posto di costruire strade, costruì canali per la navigazione. Il primo canale inglese fu finito nel 1761 e, quarant'anni dopo, la rete dei canali era pari a 1000 chilometri.
Le strade delle città furono dotate di una fitta rete di binari percorsi da tram a cavalli.
Un'altra innovazione chiave fu la nascita della Ferrovia più quella della Macchina a Vapore già trattata in precedenza.

venerdì 28 giugno 2013

breve collage


Amalia Signorelli


c'eravamo tanto amati




« Nocera è inferiore perché ha dato i natali a individui ignoranti e reazionari come voi tre! »
(Nicola Palumbo in una scena del film)
C'eravamo tanto amati

 è un film del 1974, diretto da Ettore Scola e interpretato da Stefania Sandrelli, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Stefano Satta Flores, Giovanna Ralli e Aldo Fabrizi.
Tra i più memorabili esempi di commedia all'italiana, rende anche omaggio ad altri generi cinematografici, in virtù della trama che percorre circa 30 anni di storia italiana, e soprattutto attraverso una serie di intuizioni filmiche che pagano dazio a maestri del calibro di Roberto Rossellini e Alain Resnais, includendo anche numerosi omaggi alle altre arti.
La pellicola si aggiudicò il Gran Premio al Festival cinematografico internazionale di Mosca, un premio César per il miglior film straniero e tre nastri d'argento. Il film è stato successivamente inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare, "100 pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978".

Trama

Gianni, Antonio e Nicola sono tre partigiani divenuti amici durante i giorni della guerra di liberazione che, dopo la fine del conflitto si dividono: Nicola ritorna a Nocera Inferiore dove svolge la professione di insegnante, Antonio a Roma dove riprende il lavoro di portantino in un ospedale, e Gianni a Pavia per terminare gli studi di giurisprudenza.
Qualche tempo dopo, Gianni e Antonio si ritrovano casualmente in una trattoria di Roma. Gianni è ora un avvocato tirocinante, mentre Antonio si è fidanzato con Luciana, aspirante attrice della provincia udinese ("son di Trasaghis, vicino Peonis") conosciuta in corsia. Gianni è ambizioso, ma con i piedi per terra. Tradisce il suo amico, portandogli via proprio Luciana, ma il suo arrivismo lo porta a cogliere l'occasione di lasciare Luciana per Elide, figlia semianalfabeta di Romolo Catenacci, ex capomastro rude, disonesto e senza scrupoli, nostalgico fascista divenuto ricco palazzinaro. Diventerà anche il suo avvocato, aggirando la legge al fine di proteggerne i loschi affari, ormai parte dei suoi stessi interessi. Elide, nonostante gli sforzi di diventare una persona colta ed elegante per compiacere il marito, trova la morte in un incidente stradale in odore di suicidio. Abbandonata da Gianni, avuto poi un breve flirt anche con Nicola, Luciana tenta quindi il suicidio, soccorsa in extremis da Antonio, che però respinge, rompendo i legami con i tre amici.
Antonio rimane quindi fedele alle sue idee politiche e per queste viene discriminato in ospedale dove combatte le sue battaglie che hanno perso di novità e si devono misurare con gli orizzonti molto più ristretti della vita quotidiana rispetto alle prospettive palingenetiche per le quali aveva rischiato la vita da partigiano. Nicola, insegnante del liceo classico Giambattista Vico, ha pretese intellettuali ed è attivo nel cineforum: proprio a causa dei film da lui proposti, tra i quali Ladri di biciclette è la goccia che fa traboccare il vaso, subisce l'ostracismo della classe dirigente locale, filo-democristiana, da sempre avversa ai film del neorealismo.
Escluso dall'insegnamento, lascia Nocera Inferiore, e abbandona moglie e figli, per cercare fama a Roma in campo culturale. Tenta anche la fortuna a Lascia o raddoppia?, perdendo in extremis il massimo della somma messa in palio, andando fuori tempo massimo per aver voluto rispondere in maniera involuta e contorta ad una semplice domanda che conosceva, per poi tirare a campare firmando articoli di cinema con lo pseudonimo di "Vice", assumendo sempre più il ruolo caricaturale dell'intellettuale che da "voce critica e coscienza della nazione" diviene un inutile e misconosciuto orpello della società, un personaggio impegnato in sterili polemiche e battaglie fini a se stesse.
Quindi Antonio rincontra casualmente Gianni e propone una rimpatriata con Nicola. I tre amici si ritrovano a cena nella stessa trattoria di tanti anni prima (Dal re della mezza porzione) e tracciano il bilancio della propria vita. Il solo dei tre che non l'ha sprecata e non se ne deve vergognare, Antonio, riserva una sorpresa agrodolce agli amici di un tempo, accompagnandoli a un presidio notturno presso una scuola dove li fa incontrare con Luciana che, nel frattempo ritrovata e diventata sua moglie, sta in coda per iscrivere i loro due figli. Antonio e Nicola finiscono poi per litigare fino a venire alle mani. Gianni, nel tentativo di assumersi la colpa morale di tutto, prima di andare via, stanco di fare da paciere, perde la propria patente: i due, con Luciana, la ritrovano e gliela riportano al suo indirizzo, sorprendendolo, a sua insaputa, mentre sta per tuffarsi nella piscina della sua lussuosa villa: scoprono così la vita agiata che Gianni non aveva avuto il coraggio di rivelare ai due amici.

Analisi del film

Il titolo è il verso iniziale di una celebre canzone de Armando Gill de 1918, quella Come pioveva che era stato anche un cavallo di battaglia del giovane Vittorio De Sica. Scomparso mentre il film era in montaggio, è ricordato dagli autori con una dedica finale.
Gianni, Antonio e Nicola si innamorano tutti a turno di Luciana e mediante l'amore per lei percorreranno la storia di trent'anni del dopoguerra italiano, vivendone le speranze e le delusioni di un futuro migliore che non si realizzerà come lo avevano sognato ai tempi delle lotte partigiane. Scoperta è l'intenzione degli autori di identificare in Antonio, colui che non svende i propri ideali a costo di emarginazione e sacrifici, il partito comunista dell'epoca, e in Nicola i movimenti intellettuali del dopoguerra, privi di base popolare e politicamente inconcludenti.
Gianni rappresenta invece l'idealismo che viene a compromessi con il potere e che a esso si vende per denaro, accusa che allora veniva rivolta dalla sinistra ai partiti che governavano insieme alla Democrazia Cristiana. Luciana, infine, è l'Italia, da tutti e tre amata e da due di loro delusa, che alla fine rimarrà con chi non l'ha mai tradita e cioè Antonio (che non ha tradito neanche i suoi principi).
Sullo sfondo, scenario del trentennio narrato (1945-1974), l'Italia trasformista e democristiana, intrallazzi e villa all'Olgiata compresi, efficacemente impersonata da Aldo Fabrizi, in una delle sue ultime interpretazioni cinematografiche. Romolo Catenacci, per il simbolismo che incarna, assume i caratteri dell'immortalità, a dispetto delle mire di Gianni Perego che vorrebbe diventare erede delle sue fortune. Il film è una fotografia, vista con l'occhio della sinistra dell'epoca (1974), delle occasioni mancate, delle energie sciupate, delle speranze e degli ideali traditi e lascia l'amaro in bocca per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, dove il fallimento dei protagonisti è anche quello di un intero Paese. Tra i propri film, è stato uno dei pochi che Gassman ricordava volentieri.
L'inizio della storia è filmato in bianco e nero per poi passare al colore nell'ultima inquadratura del primo tempo, in una scena che corrisponde al commiato dei tre protagonisti da Luciana, all'indomani delle prime elezioni del dopoguerra. Il commiato è anche quello dei tre amici l'uno dall'altro, destinati a ritrovarsi solo dopo 25 anni. Il passaggio al colore avviene sull'inquadratura di una Sacra Famiglia dipinta sul pavimento di una piazza da un madonnaro, e simboleggia la rapida e traumatica trasformazione in atto in quel periodo di storia dell'Italia, da paese agricolo e arretrato a paese industriale e moderno. Interpretazione corale, compresi gli attori di seconda fila, sceneggiatura navigata con citazioni appassionate del neorealismo di Vittorio De Sica, ma anche di Federico Fellini mentre gira la scena della Fontana di Trevi de La dolce vita con Marcello Mastroianni: i due appaiono nel ruolo di loro stessi, al pari di Mike Bongiorno nella ricostruzione di Lascia o raddoppia?. Alla colonna sonora fa spicco il genio di Armando Trovajoli.

Curiosità

Inizialmente, nel progetto degli sceneggiatori doveva esserci un solo protagonista, Gianni, avvocato corrotto che osservava il degradare della società italiana. Successivamente, sono stati introdotti e ampliati i ruoli dei due amici e co-protagonisti.
Il debito del film nei confronti del Neorealismo e in particolare di Vittorio de Sica è consistente. Oltre alla dedica finale al regista, sono presenti al suo indirizzo numerose citazioni e omaggi. Il film amato e recensito da Nicola nel suo cineforum è Ladri di biciclette; e proprio di De Sica Nicola è un appassionato ammiratore. Inoltre, in una delle sequenze finali, si vede sempre Nicola partecipare ad un incontro pubblico con Vittorio De Sica nel quale questi rivela il trucco (vero) che ha utilizzato durante le riprese di Ladri di biciclette per far piangere il piccolo protagonista durante la scena dell'arresto del padre, e che era stato l'oggetto della domanda contestata dallo stesso Nicola durante la sua partecipazione a Lascia o raddoppia?.

mercoledì 26 giugno 2013

Gabriele D'Annunzio




(LA)
« Hoc habeo quodcumque dedi. »

(IT)
« Io ho quel che ho donato. »

(Motto dannunziano)

Gabriele D'Annunzio

 principe di Montenevoso, a volte scritto d'Annunzio, come usava firmarsi, è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, aviatore, militare, politico e giornalista italiano, simbolo del Decadentismo italiano, del quale fu il più illustre rappresentante assieme a Giovanni Pascoli, ed eroe di guerra.

Soprannominato il Vate cioè "il profeta", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. Come letterato fu «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana [...]» e come politico lasciò un segno sulla sua epoca e una influenza sugli eventi che gli sarebbero succeduti.

La famiglia e gli anni di formazione (1863-1881)

Gabriele D'Annunzio nacque a Castellammare Adriatico il 12 marzo 1863 da famiglia borghese benestante. Terzo di cinque figli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Dalla madre, Luisa de Benedictis (1839-1917), erediterà la fine sensibilità; dal padre, Francesco Paolo Rapagnetta (1831-1893) (il quale acquisì anche il cognome D'Annunzio da un ricco parente che lo adottò, lo zio Antonio D'Annunzio), il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti, che portarono la famiglia da una condizione agiata a una difficile situazione economica. Reminiscenze della condotta paterna, la cui figura è ricordata nelle Faville del maglio e accennata nel Poema paradisiaco, sono presenti nel romanzo Trionfo della morte. Ebbe tre sorelle, cui fu molto legato per tutta la vita, e un fratello minore:

Anna (Pescara, 27 luglio 1859 - Pescara, 9 agosto 1914)
Elvira (Pescara, 3 novembre 1861 - Pescara, 1942)
Ernestina (Pescara, 10 luglio 1865 - Pescara, 1938)
Antonio (Pescara, 1867 - New York, 1945), direttore d'orchestra, si trasferì negli Stati Uniti d'America, dove perse tutto nella crisi economica del 1929; D'Annunzio lo aiutò finanziariamente con cospicui prestiti, ma le continue richieste di denaro spinsero Gabriele a rompere i rapporti e a rifiutare di incontrarlo al Vittoriale.

Il giovane D'Annunzio non tardò a manifestare un carattere ambizioso e privo di complessi e inibizioni, portato al confronto competitivo con la realtà. Una testimonianza ne è la lettera che, ancora sedicenne nel 1879, scrive a Giosuè Carducci, il poeta più stimato nell'Italia umbertina, mentre frequenta il liceo al prestigioso istituto Convitto Cicognini di Prato. Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo. Accompagnato da un'entusiastica recensione critica sulla rivista romana Il Fanfulla della Domenica, il libro venne pubblicizzato dallo stesso D'Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l'effetto di richiamare l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio molto discusso. Lo stesso D'Annunzio poi smentì la falsa notizia. Dopo aver concluso gli studi liceali accompagnato da una notorietà in continua ascesa, giunse a Roma, dove si iscrisse alla Facoltà di Lettere.

Il periodo romano (1881-1891)

Gli anni 1881-1891 furono decisivi per la formazione di D'Annunzio, e nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano di Roma cominciò a forgiarsi il suo stile raffinato e comunicativo, la sua visione del mondo e il nucleo centrale della sua poetica. La buona accoglienza che trovò in città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese, parte dei quali conosciuti dal poeta a Francavilla al Mare, in un Convento di proprietà del corregionale e amico Francesco Paolo Michetti (fra cui Scarfoglio, Tosti, Masciantonio e Barbella) che fece parlare in seguito di una "Roma bizantina".
La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante — ancora molto lontano dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee — una novità "barbarica", eccitante e trasgressiva; D'Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa opposizione "centro-periferia", "natura-cultura" offriva alle attese di lettori desiderosi di novità.
D'Annunzio si era dovuto adattare al lavoro giornalistico soprattutto per esigenze economiche, ma attratto alla frequentazione della Roma "bene" dal suo gusto per l'esibizione della bellezza e del lusso, nel 1883 sposò, con un matrimonio "di riparazione" (lei era già incinta del figlio Mario), nella cappella di Palazzo Altemps a Roma, Maria Hardouin duchessa di Gallese, da cui ebbe tre figli (Mario, deputato al parlamento, Gabriele Maria, attore, e Ugo Veniero). Il matrimonio finì in una separazione legale dopo pochi anni (anche se il poeta e la moglie rimasero in buoni rapporti), per le numerose relazioni extraconiugali di D'Annunzio, tra cui quella con Maria Gravina, da cui ebbe la figlia Renata. Tuttavia, le esperienze per lui decisive furono quelle trasfigurate negli eleganti e ricercati resoconti giornalistici. In questo rito di iniziazione letteraria egli mise rapidamente a fuoco i propri riferimenti culturali, nei quali si immedesimò fino a trasfondervi tutte le sue energie creative ed emotive.
Il grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere nel 1889. Tale romanzo, incentrato sulla figura dell'esteta decadente, inaugura una nuova prosa introspettiva e psicologica che rompe con i canoni estetici del naturalismo e del positivismo allora imperanti. Accanto a lettori ed estimatori più attenti e colti, venne presto a crearsi attorno alla figura di D'Annunzio un vasto pubblico condizionato non tanto dai contenuti, quanto dalle forme e dai risvolti divistici delle sue opere e della sua persona, un vero e proprio star system ante litteram, che lo stesso scrittore contribuì a costruire deliberatamente. Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa.

La fine del periodo romano (1891-1894)

Tra il 1891 e il 1893 D'Annunzio visse a Napoli, dove compose Giovanni Episcopo e L'innocente, seguiti da Il trionfo della morte (scritto in Abruzzo, fra Francavilla al Mare e San Vito Chietino) e dalle liriche del Poema paradisiaco. Sempre di questo periodo è il suo primo approccio agli scritti di Friedrich Nietzsche. Le suggestioni nietzschiane, liberamente filtrate dalla sensibilità del Vate si ritroveranno anche ne Le vergini delle rocce (1895), poema in prosa di squisita fattura dove l'arte «...si presenta come strumento di una diversa aristocrazia, elemento costitutivo del vivere inimitabile, suprema affermazione dell'individuo e criterio fondamentale di ogni atto».

Il periodo fiorentino (1894-1904)

Sempre nel 1892 cominciò una relazione epistolare con la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe inizio la stagione centrale della sua vita. Si conobbero personalmente nel 1894 e subito scattò l'amore. Per vivere accanto alla sua nuova compagna, D'Annunzio si trasferì a Firenze, nella zona di Settignano, dove affittò la villa La Capponcina (vicinissima alla villa Porziuncola dell'attrice), trasformandola in un monumento del gusto estetico decadente, definita da lui "la vita del signore rinascimentale". Frequentò anche il Chianti e conobbe una nobile di San Casciano V.P, passò un breve periodo presso il Fedino una nota villa del luogo. Sono in questi anni che si situa gran parte della drammaturgia dannunziana che è piuttosto innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese o del teatro dominanti in Italia e che non di rado ha come punto di riferimento la figura attoriale della Duse, nonché le sue migliori opere poetiche, la gran parte delle Laudi, e, tra queste, il vertice e capolavoro della poesia dannunziana, l' Alcyone. La relazione dell'artista con Eleonora Duse è stata celebrata a Firenze in un modo molto originale. Alla nascita del quartiere fiorentino di Coverciano (sorto proprio ai piedi della villa dannunziana di Settignano), due importanti arterie stradali della zona vennero inaugurate in memoria dei famosi amanti, prevedendo inoltre un incrocio tra queste vie. Tra il 1893 e il 1897 D'Annunzio condusse un'esistenza movimentata che lo portò dapprima nella sua terra d'origine e poi in Grecia, che visitò nel corso di un lungo viaggio. Nel 1897 volle provare l'esperienza politica, vivendo anch'essa, come tutto il resto, in un modo bizzarro e clamoroso: eletto deputato della destra, passò quasi subito nelle file della sinistra, giustificandosi con la celebre affermazione «vado verso la vita».

Il Vate e la Massoneria

Il 3 marzo 1901 inaugurò invece con il fondatore Ettore Ferrari, Gran Maestro della massoneria del Grande Oriente d'Italia, l'Università Popolare di Milano, nella sede di via Ugo Foscolo, dove pronunciò il discorso inaugurale e dove, successivamente, svolse un'attività straordinaria di docenze e lezioni culturali. L'amicizia con Ferrari aveva avvicinato il Vate alla "libera muratoria": D'Annunzio era infatti massone e 33º grado della Gran Loggia d'Italia degli ALAM detta "di Piazza del Gesù", fuoriuscita nel 1908 dal GOI[13].
Più tardi, in occasione dell'Impresa di Fiume fu iniziato al Martinismo. Molti dei volontari fiumani erano massoni e tra di essi figuravano in particolare Alceste de Ambris, Sante Ceccherini, Eugenio Coselschi, Ulderico Zasio, Marco Egidio Allegri. La bandiera della Reggenza del Carnaro avrebbe contenuto svariati simboli massonici e gnostici, come l'uroboro e le sette stelle dell'Orsa Maggiore.

Il trasferimento in Francia (1904-1915)

La relazione con Eleonora Duse si incrinò nel 1904, dopo il tradimento con Alessandra di Rudiní e la pubblicazione del romanzo Il fuoco, in cui il poeta aveva descritto impietosamente la loro relazione. In quell'epoca la vita dispendiosa condotta dal Vate lo portò a sperperare le cospicue somme percepite per le proprie pubblicazioni, che divennero comunque insufficienti a coprire le spese prodottesi. Nel 1910 D'Annunzio si trasferì in Francia: già da tempo aveva accumulato una serie di debiti e per evitare i creditori aveva preferito allontanarsi dal proprio Paese. L'arredamento della villa fu messo all'asta e D'Annunzio per cinque anni non rientrò in Italia. Risale a questo periodo la relazione con l'americana Romaine Beatrice Brooks.
A Parigi era un personaggio noto, era stato tradotto da Georges Hérelle e il dibattito tra decadentisti e naturalisti aveva a suo tempo suscitato un grosso interesse già con Huysmans. Ciò gli permise di mantenere inalterato il suo dissipato stile di vita fatto di debiti e frequentazioni mondane, tra cui quelle con Filippo Tommaso Marinetti e Claude Debussy. Pur lontano dall'Italia collaborò al dibattito politico prebellico, pubblicando versi in celebrazione della guerra italo-turca, inclusi poi in Merope o editoriali per diversi giornali nazionali (in particolare per il Corriere) che a loro volta gli concedevano altri prestiti.
Nel 1910 Corradini aveva organizzato il progetto dell'Associazione Nazionalista Italiana, al quale D'Annunzio aderì inneggiando a una nazione dominata dalla volontà di potenza e opponendosi all'«Italietta meschina e pacifista».
Nel 1914 Gabriele D'Annunzio rifiutò di diventare Accademico della Crusca, poiché era nemico degli onori letterari, ma anche delle Università, infatti ai bolognesi che gli offrivano una cattedra scrisse “amo più le aperte spiagge che le chiuse scuole dalle quali vi auguro di liberarvi”.
Dopo il periodo parigino si ritirò ad Arcachon, sulla costa Atlantica, dove si dedicò all'attività letteraria in collaborazione con musicisti di successo (Mascagni, Debussy,...), compose libretti d'opera, soggetti per film (Cabiria).

Partecipazione alla prima guerra mondiale (1915-1919)

Nel 1915 ritornò in Italia, dove rifiutò la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli; condusse immediatamente una intensa propaganda interventista, inneggiando al mito di Roma e del Risorgimento e richiamandosi alla figura di Giuseppe Garibaldi. Il discorso celebrativo che D'Annunzio pronunciò a Quarto il 4 maggio 1915 (in occasione della sagra dei Mille) suscitò entusiastiche manifestazioni interventiste, così come l'arringa tenuta a Roma il 13 maggio 1915. Con l'entrata in Guerra dell'Italia, il 24 maggio 1915 (durante le cosiddette "radiose giornate di maggio"), D'Annunzio si arruolò volontario nei Lancieri di Novara, nonostante avesse già 52 anni, partecipando subito ad alcune azioni dimostrative navali e aeree. Per un periodo risiedette a Cervignano del Friuli perché così poteva essere vicino al Comando della III Armata, a capo della quale era Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d'Aosta, suo amico ed estimatore.
Ottimo aviatore, nel settembre 1915 partecipò a un'incursione aerea su Trento e nei mesi successivi, sul fronte carsico, a un attacco lanciato sul monte San Michele nel quadro delle battaglie dell'Isonzo. Il 16 gennaio del 1916, a seguito di un atterraggio d'emergenza, nell'urto contro la mitragliatrice dell'aereo riportò una lesione all'altezza della tempia e dell'arcata sopraccigliare destra. La ferita non curata per un mese provocò la perdita dell'occhio. Visse così un periodo di convalescenza, durante il quale fu assistito dalla figlia Renata. In quei mesi compose il Notturno utilizzando delle sottili strisce di carta che gli permettevano di scrivere nella più completa oscurità, necessaria per la convalescenza dalla ferita che l'aveva temporaneamente accecato. L'opera venne pubblicata nel 1921 e contiene una serie di ricordi e di osservazioni. Tuttavia, ben presto tornò a combattere. Contro i consigli dei medici, continuò a partecipare ad azioni belliche aeree e di terra: nel settembre 1916 a un'incursione su Parenzo e, nell'anno successivo (1917), con la III Armata, alla conquista del Veliki e al cruento scontro presso le foci del Timavo nel corso della decima battaglia dell'Isonzo. Nel marzo 1918 con il grado di maggiore, assume il comando della Squadra aerea di San Marco. Le imprese aeree contro il porto di Cattaro (1917) e il Volo su Vienna e la partecipazione sui MAS alla Beffa di Buccari (1918) completarono il suo stato di servizio. Al termine del conflitto «egli apparteneva di diritto alla generazione degli assi e dei pluridecorati...» e il coraggio dimostrato, unitamente ad alcune celebri imprese di cui era stato protagonista, ne consolidarono ulteriormente la popolarità. Si congedò con il grado di tenente colonnello, inusuale, all'epoca, per un militare non di carriera. Nell'immediato primo dopoguerra D'Annunzio si fece portatore di un vasto malcontento, insistendo sul tema della "vittoria mutilata" e chiedendo, in sintonia con una serie di voci della società e della politica italiana, il rinnovamento della classe dirigente in Italia. La stessa onda di malcontento trovò ben presto un sostenitore in Benito Mussolini, che di qui al 1922 avrebbe portato all'ascesa del fascismo in Italia.

L'impresa di Fiume (1919-1921)

« Trasformare il cardo bolscevico in rosa d'Italia, Rosa d'Amore. »
(Gabriele D'Annunzio)

Nel 1919 organizzò un clamoroso colpo di mano paramilitare, guidando una spedizione di "legionari", partiti da Ronchi di Monfalcone (ribattezzata, nel 1925, Ronchi dei Legionari in ricordo della storica impresa), all'occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto D'Annunzio raggiunse l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico.
A Fiume, occupata dalle truppe alleate, già nell'ottobre 1918 si era costituito un Consiglio nazionale che propugnava l'annessione all'Italia, di cui fu nominato presidente Antonio Grossich. D'Annunzio con una colonna di volontari (tra i quali vi era anche Silvio Montanarella, marito della figlia Renata) occupò Fiume e vi instaurò il comando del "Quarnaro liberato". Il 5 ottobre 1920 aderì al Fascio di combattimento di Fiume.
D'Annunzio, che era anche comandante delle Forze Armate Fiumane, e il suo governo vararono tra l'altro la Carta del Carnaro, una costituzione provvisoria incredibilmente avanzata e moderna, scritta dal sindacalista rivoluzionario Alceste de Ambris e modificata in parte da D'Annunzio stesso, che prevedeva, assieme alle varie leggi applicative e regolamenti varati, numerosi diritti per i lavoratori, le pensioni di invalidità, l'habeas corpus, il suffragio universale maschile e femminile, la libertà di opinione, di religione e di orientamento sessuale, tra cui la depenalizzazione dell'omosessualità, del nudismo e dell'uso di droga e il risarcimento degli errori giudiziari, il tutto molto tempo prima di altre carte costituzionali dell'epoca.
Il 12 novembre 1920 venne stipulato il trattato di Rapallo: Fiume divenne città libera, Zara passò all'Italia; ma D'Annunzio non accettò l'accordo e il governo italiano di Giovanni Giolitti il 26 dicembre 1920, fece sgomberare i legionari con la forza, causando numerosi morti, nel cosiddetto "Natale di sangue". Ai tempi di Fiume D'Annunzio soprannominò sprezzantemente Cagoja Nitti, in relazione appunto allo sgombero della città ordinato nel 1921. Nel 1924 lo Stato libero di Fiume, fu infine annesso all'Italia, dove rimase fino al 1945.

L'esilio a Gardone Riviera (1921-1938)

Deluso dall'epilogo dell'esperienza di Fiume, nel febbraio 1921 si ritirò in un'esistenza solitaria nella villa di Cargnacco (comune di Gardone Riviera) che pochi mesi più tardi acquistò. Ribattezzata il Vittoriale degli italiani fu ampliata e successivamente aperta al pubblico. Qui lavorò e visse fino alla morte, curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituiva il momento di attrazione centrale. Il 27 e il 28 maggio 1922, D'Annunzio ospitò al Vittoriale Georgij Vasil'jevič Čičerin, commissario sovietico agli affari esteri arrivato in Italia per la conferenza di Genova del 1922.
D'Annunzio si impegnò inoltre per la crescita e il miglioramento della zona: la costruzione della strada litoranea Gargnano-Riva del Garda (1929-1931) fu fortemente voluta da lui che se ne interessò personalmente, facendo valere il suo prestigio personale con le autorità. La strada, progettata e realizzata dall'ing. Riccardo Cozzaglio, segnò il termine del secolare isolamento di alcuni paesi del Lago di Garda e fu poi classificata di interesse nazionale con il nome di Strada statale 45 bis Gardesana Occidentale. Lo stesso D'Annunzio, presente all'inaugurazione della strada, la battezzò con il nome di Meandro per via della sua tortuosità e dell'alternarsi delle buie gallerie e del lago azzurro.

Il Vate e il fascismo

Il rapporto con il fascismo fu complesso e articolato, benché sostanzialmente organico: i fascisti in ascesa celebrarono D'Annunzio, riutilizzando i motti e i simboli del Vate già utilizzati a Fiume, come uno dei massimi e più fecondi letterati d'Italia, ma lo scrittore, a parte l'adesione iniziale ai Fasci di combattimento, non prese mai la tessera del Partito Nazionale Fascista, probabilmente per mantenere la sua completa autonomia.
Nel 1919 quando Mussolini avviò una sottoscrizione pubblica per finanziare l'Impresa di Fiume che raccolse quasi tre milioni di lire. Una prima tranche di denaro, ammontante a 857.842 lire, fu consegnata a D'Annunzio ai primi di ottobre, altro denaro in seguito. Una parte cospicua del denaro raccolto invece non fu consegnata a D'Annunzio. Mussolini fu accusato da due redattori di aver dirottato il denaro per finanziare il proprio partito in vista delle prossime elezioni politiche italiane del 1919 e lo squadrismo. Per controbattere alle accuse D'Annunzio inviò una lettera a Mussolini in cui ne attestò pubblicamente l'autorizzazione. Il poeta certificò che parte della somma raccolta fu utilizzata per finanziare lo squadrismo a Milano.
« Mio caro Benito Mussolini, chi conduce un'impresa di fede e di ardimento, tra uomini incerti o impuri, deve sempre attendersi d'essere rinnegato e tradito "prima che il gallo canti per la seconda volta". E non deve adontarsene né accorarsene. Perché uno spirito sia veramente eroico, bisogna che superi la rinnegazione e il tradimento. Senza dubbio voi siete per superare l'una e l'altro. Da parte mia, dichiaro anche una volta che — avendo spedito a Milano una compagnia di miei legionari bene scelti per rinforzo alla vostra e nostra lotta civica — io vi pregai di prelevare dalla somma delle generosissime offerte il soldo fiumano per quei combattenti. Contro ai denigratori e ai traditori fate vostro il motto dei miei "autoblindo" di Ronchi, che sanno la via diritta e la meta prefissa.
Fiume d'Italia, 15 febbraio 1920 Gabriele D'Annunzio. »

Il 3 agosto 1922, quando gli squadristi occuparono a Milano Palazzo Marino, D'Annunzio parlò dal balcone del Comune. Dopo l'omicidio di Giacomo Matteotti, l'8 luglio 1924 D'Annunzio scrisse a Mussolini:
« Avere fede intiera nella mia lealtà e nella mia carità di patria. Il mio silenzio e il mio lavoro sono oggi esempio a tutti gl'italiani. Non l'uno sarà interrotto e non l'altro »
D'Annunzio, assieme a Filippo Tommaso Marinetti, fu uno dei primi firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti, pubblicato il 21 aprile 1925. Il deputato socialista Tito Zaniboni, più tardi noto per aver organizzato un attentato contro Mussolini il 4 novembre 1925, comunicò al giornale Il Mondo, la notizia che D'Annunzio, in una lettera indirizzata a un legionario fiumano avrebbe scritto in maniera critica sulla questione:

« Sono molto triste di questa "fetida ruina" »
(Gabriele D'Annunzio secondo Tito Zaniboni)

All'indiscrezione D'Annunzio rispose il 5 novembre su "La provincia di Brescia":

« A tutti i politicastri, amici o nemici, conviene dunque ormai disperare di me. Amo la mia arte rinovellata, amo la mia casa donata. Nulla d'estraneo mi tocca, e d'ogni giudizio altrui mi rido »
(Gabriele D'Annunzio)

Nel 1937 fu eletto Presidente dell'Accademia d'Italia, ma non andò mai a presiedere alcuna riunione (la nomina fu quasi imposta da Benito Mussolini, con la contrarietà di D'Annunzio). D'Annunzio fu anche Presidente onorario della SIAE dal 1920 al 1938. Per molti il Duce, temendo la popolarità e la personalità indipendente del poeta, tentò di metterlo risolutamente da parte, ricoprendolo di onori.
Di certo vi era la scomodità del personaggio: già nel 1922, tre mesi prima della Marcia su Roma, quando D'Annunzio cadde dalla finestra della sua villa rischiando la vita (vicenda soprannominata "il volo dell'arcangelo"), qualcuno parlò di attentato ordito dal primo ministro Francesco Saverio Nitti o addirittura dai fascisti; il funzionario Giuseppe Dosi indagò sulla caduta "accidentale" di D'Annunzio, che quasi ne provocò la morte, e scrisse:

« Sicuramente qualcuno che ha visto nell'evento la volontà di non far presiedere a D'Annunzio l'incontro con Nitti e Mussolini e quindi cerca la traccia di un complotto. La principale indiziata è Luisa Baccara (compagna di D'Annunzio all'epoca, ndr) o sua sorella Jolanda ovvero tutte e due insieme. Nasce l'ipotesi che Luisa Baccara (che delle due sorelle ha maggiore personalità) sia la carceriera del Comandante; che sia una spia di Nitti o una fascista celata, ma anche che abbia lo scopo finale di uccidere D'Annunzio per toglierlo di mezzo, posto che sia diventato ingombrante per tutti. Certo gli eventi portano molta acqua al mulino di queste ipotesi. »

Nel 1937 D'Annunzio si recò alla stazione di Verona per incontrarsi con Mussolini
Renzo De Felice afferma che D'Annunzio fu posto poi sotto controllo di agenti fascisti, visti anche i buoni rapporti del Vate con esponenti del mondo libertario, socialista e rivoluzionario, tra cui l'ex legionario fiumano e poi socialista Alceste de Ambris (che avvicinò il nazionalista D'Annunzio all'anarco-individualismo) e il politico Aldo Finzi, fascista di sinistra che prese parte con il poeta al volo su Vienna. Nel 1937-38 D'Annunzio si oppose all'avvicinamento dell'Italia fascista al regime nazista, bollando Adolf Hitler, già nel 1934, come "pagliaccio feroce".
La sua influenza sulla cultura italiana ed europea nei primi decenni del Novecento fu indiscutibile. Sempre attento ai movimenti dei giovani, fu tra i massimi ispiratori del Fondaco di baldanza, della Federazione Italiana Universitaria e di La Fionda, associazione goliardica e casa editrice. Morì nella sua villa il 1º marzo 1938 per un'emorragia cerebrale, mentre era al suo tavolo da lavoro. Ai funerali di Stato, voluti in suo onore dal regime fascista, la partecipazione popolare fu imponente. Il feretro, avvolto dalla bandiera del Timavo era seguito da «...la folla innumerevole degli ex legionari, degli ammiratori, dei devoti alla sua gloria e alla sua fama...». È sepolto nel mausoleo del Vittoriale.

Opere principali

La produzione letteraria di D'Annunzio fu stampata integralmente fra il 1927 e il 1936 da un Istituto nazionale creato appositamente sotto l'egida dello Stato italiano per la pubblicazione della sua Opera Omnia. Il Vate collaborò attivamente alla realizzazione dell'ambizioso progetto, come collaborò alla pubblicazione di un'edizione economica (L'Oleandro) che ricalcava la precedente, realizzata anch'essa quando egli era ancora in vita, fra il 1931 e il 1937. Subito dopo la sua morte e cioè fra il 1939 e il 1942 la Fondazione del Vittoriale degli Italiani provvide a ristampare quasi integralmente la produzione dannunziana: 42 volumi su un totale di 46 (gli ultimi quattro non uscirono per le note vicende belliche che desolarono l'Italia nel 1943). Nel secondo dopoguerra merita una particolare menzione la pregevole edizione dell' Opera Omnia apparsa, a partire dal 1950, nei Classici Contemporanei Italiani di Arnoldo Mondadori Editore. Fra le opere più significative di Gabriele D'Annunzio segnaliamo:

Primo vere
Canto novo
Intermezzo di rime
Il piacere
L'innocente
Poema paradisiaco
Il trionfo della morte
Le vergini delle rocce
La città morta
La Gioconda
Il fuoco
Laudi
Le novelle della Pescara
La figlia di Iorio
La fiaccola sotto il moggio
La nave
Forse che sì forse che no
Notturno
Il libro segreto
La pioggia nel pineto

Estetismo e pensiero dannunziano

(LA)

« Habere, non haberi »

(IT)

« Possedere, non essere posseduto »

(Gabriele D'Annunzio, massima del padre di Andrea Sperelli ne Il Piacere)

Le fonti dell'immaginario dannunziano

Il mondo letterario francese

Alcune volte la fortuna di cui un autore gode è il frutto di scelte consapevoli, di una capacità strategica di collocarsi nel centro di un sistema culturale che possa garantirgli le migliori opportunità che il suo tempo ha da offrirgli. D'Annunzio aveva cominciato a "immaginarsi" poeta leggendo Giosuè Carducci negli anni del liceo; ma la sua sensibilità per la trasgressione e il successo dal 1885 lo portò ad abbandonare un modello come quello carducciano, già provinciale e superato in confronto a quanto si scriveva e si dibatteva in Francia, culla delle più avanzate correnti di avanguardia - Decadentismo e Simbolismo. Il suo giornale gli assicurava l'arrivo di tutte le riviste letterarie parigine, e attraverso i dibattiti e le recensioni in esse contenuti, D'Annunzio poté programmare le proprie letture cogliendo i momenti culminanti dell'evoluzione letteraria del tempo.
Fu così che conobbe Théophile Gautier, Guy de Maupassant, Max Nordau e soprattutto Joris Karl Huysmans, il cui romanzo À rebours costituì il manifesto europeo dell'estetismo decadente. In un senso più generale, le scelte di D'Annunzio furono condizionate da un utilitarismo che lo spinse non verso ciò che poteva rappresentare un modello di valore "alto", ideale, assoluto, ma verso ciò che si prestava a un riuso immediato e spregiudicato, alla luce di quelli che erano i suoi obiettivi di successo economico e mondano.

La filosofia tedesca e il vitalismo

D'Annunzio non esitava a "saccheggiare" ciò che colpiva la sua immaginazione e che conteneva quegli elementi utili a soddisfare il gusto borghese e insieme elitario del "suo pubblico". D'altronde, a dimostrazione del carattere unitario del "mondo dannunziano", è significativo il fatto che egli usò nello stesso modo anche il pensiero filosofico, soprattutto tedesco.
Fra i filosofi contemporanei più letti in Europa negli anni 1880 e 1890 vi furono senza dubbio Schopenhauer e Nietzsche. Da quest'ultimo soprattutto lo scrittore trasse alcuni importanti spunti e motivi per nutrire un universo di sentimenti e valori che appartenevano già a lui da sempre, e che facevano parte dell'atmosfera culturale che si respirava in un continente agitato da venti di crisi nazionalistiche, preannunzio della Grande guerra.
Molto si è discusso su un preteso stravolgimento della filosofia nietzschiana da parte di D'Annunzio, ma tali elucubrazioni in realtà non hanno ragione di essere. La scoperta di Nietzsche da parte del poeta abruzzese non avviene infatti sul piano ideologico, ma si configura come una suggestione letteraria. Le preoccupazioni del Vate erano infatti di indole artistica, non filosofica. D'altra parte il pensiero di Nietzsche, pur essendo stato talvolta oggetto di una generica adesione da parte di D'Annunzio, non fu mai sviluppato organicamente nelle creazioni del Vate che oltretutto non ebbe mai la pretesa di interpretarlo.
In particolare, la rielaborazione della figura del superuomo da parte di D'Annunzio avviene secondo una visione personale e una sensibilità che non sono quelle del filosofo tedesco. I raffinati esteti che popolano i romanzi dannunziani sono ben lontani dall'oltreuomo nietzschiano che raggiunge una conoscenza superiore perseguendo un cammino personale e una dura disciplina di vita. D'Annunzio, nonostante si fosse dichiarato ateo in gioventù, era affascinato dalle varie culture religiose, sia dal paganesimo sia dal cristianesimo (in particolare dal francescanesimo) fino all'occultismo e al panteismo, interpretate in un modo personalissimo, e non mutuò quindi da Nietzsche gli aspetti di nichilismo derivati dal concetto della morte di Dio, proclamata dal tedesco; adottata una visione agnostica in campo religioso, come quella del collega Pascoli, probabilmente si riavvicinò alla fede negli ultimi anni di vita. Da ciò il suo panismo e il suo vitalismo, che permea tutta la sua opera: la pulsione vitale e sensuale che spinge l'esteta-superuomo alla conoscenza piena e alla fusione nel mondo e nella natura.

I nuovi modelli narrativi

La scelta di nuovi modelli narrativi e soprattutto linguistici - elemento questo fondamentale nella produzione dannunziana - comportò anche, e forse soprattutto, l'attenzione verso nuove ideologie. Ciò favorì lo spostamento del significato educativo e formativo che la cultura positivista aveva attribuito alla figura dello scienziato verso quella dell'artista, diventato il vero "uomo rappresentativo" di fine ottocento - primo novecento: "è più l'artista che fonde i termini che sembrano escludersi: sintetizzare il suo tempo, non fermarsi alla formula, ma creare la vita".

L'amore verso la Duse

Spregiudicatezza e narcisismo, slanci sentimentali e calcolo furono alla base anche dei rapporti di D'Annunzio con le numerose donne della sua vita. Quella che sicuramente più di ogni altra rappresentò per lo scrittore un nodo intricato di affetti, pulsioni e di artificiose opportunità fu Eleonora Duse, l'attrice di fama internazionale con cui egli si legò dal 1898 al 1901. Non c'è dubbio infatti che a questo nuovo legame debba essere fatto risalire il suo nuovo interesse verso il teatro e la produzione drammaturgica in prosa (Sogno di un mattino di primavera, La città morta, Sogno di un tramonto D'Autunno, La Gioconda, La gloria) e in versi (Francesca da Rimini, La figlia di Iorio, La fiaccola sotto il moggio, La nave e Fedra). In quegli stessi anni, la terra toscana ispirò al poeta la vita del "signore del Rinascimento fra cani, cavalli e belli arredi", e una produzione letteraria che rappresenta il punto più alto raggiunto da D'Annunzio nel repertorio poetico.

Poetica

Il percorso poetico di D'Annunzio, cominciato precocemente con Primo vere (1879), raccolta non priva di interesse e che si ispira all'opera carducciana, trova una sua prima autonomia espressiva in Canto novo, dove già si iniziano chiaramente a delineare alcune componenti essenziali della sua arte: la capacità di assimilare e rielaborare in forme del tutto personali le suggestioni e gli stimoli più svariati, provenienti sia dalla storia e dalla mitologia sia dalle correnti letterarie e filosofiche contemporanee; una visione vitalistica e sensuale della realtà di matrice classica o classicheggiante; l'elaborazione di un linguaggio il cui splendore e preziosità suggestiona e seduce ed è esso stesso parte integrante di un mondo poetico espresso da una sensibilità squisita e raffinata. Tali componenti saranno ulteriormente sviluppate e approfondite nelle raccolte poetiche successive e in particolare nelle Elegie romane (1892), caratterizzate da un gusto eclettico di matrice decadentista in cui traspaiono gli echi più eterogenei, da Ovidio a Dante e Petrarca, da Goethe (che qui costituisce il modello per D'Annunzio sotto il profilo metrico) a Algernon Swinburne.

Nel 1903 vennero pubblicati i primi tre libri delle Laudi, che secondo molti critici costituiscono il momento più alto dell'arte dannunziana e forse l'opera in versi più celebre e celebrata di D'Annunzio. In particolare nell'Alcyone, si riflettono i momenti più felici della sua panica immersione nelle atmosfere dell'antichità classica (Ditirambi, L'oleandro), in quelle della sua terra di origine, l'Abruzzo (I Pastori) e, soprattutto, nei paesaggi toscani del Valdarno (Bocca d'Arno), del Pisano e della Versilia (La pioggia nel pineto). Ai consueti stimoli letterari (Ovidio, Dante, Carducci, i simbolisti, ecc.) e filosofici (in primo luogo Nietzsche) si aggiungono nell'Alcyone i sussidi derivanti da letture più tecniche (dal dizionario botanico di Caruel ai trattati di agricoltura del Palladio) che fanno della raccolta un unicum nel panorama poetico del Novecento europeo. Per taluni critici l'Alcyone comincia ad aprire la strada a un altro capolavoro assoluto del D'Annunzio maturo: il Notturno.
D'Annunzio e Giovanni Pascoli, l'altro grande poeta del Decadentismo italiano, si conoscevano personalmente, e, benché caratterialmente e artisticamente molto diversi, il Vate stimava il collega e recensì positivamente le liriche pascoliane; Pascoli, dal canto suo, considerava D'Annunzio come il suo fratello minore e maggiore. Alla morte del Pascoli (1912) D'Annunzio gli dedicò l'opera Contemplazione della morte.

La narrativa dannunziana

Le giovanili Novelle della Pescara si ispirano al Verga pur presentando la propria gente abruzzese in uno stile barbaramente violento.
D'Annunzio raggruppò i suoi romanzi in tre cicli:

i "'romanzi della rosa"' (Il Piacere, L'innocente, Il trionfo della morte), che rappresentano lo sforzo per vincere la sensualità di fronte alla quale però cedono i protagonisti (rispettivamente Andrea Sperelli, artista raffinato vinto dall'amore per Elena Muti; Tullio Hermil che, nonostante la pietà umana, farà morire l'innocente nato da una relazione con la moglie; Giorgio Aurispa dominato dalla lussuria);

i "romanzi del giglio", che rappresentano la purificazione dalla passione: scrisse solo Le vergini delle rocce, il cui protagonista, Claudio Cantelmo, è incerto fra tre fanciulle, quale sarà degna di generare il superuomo futuro rigeneratore della stirpe latina;

i "romanzi del melograno", simbolo della rinata volontà: scrisse solo Il fuoco, in cui il protagonista Silvio Effrena riceve dalla giovane Foscarina l'ispirazione per la sua opera teatrale.

La struttura "ciclica" dei romanzi fu ideata anche da altri scrittori, per esempio Honoré de Balzac (i "cicli" de La Commedia umana); Verga (Ciclo dei Vinti); Fogazzaro (tetralogia: Piccolo mondo antico, Piccolo mondo moderno, Il santo, Leila); Émile Zola.
Estranei ai tre cicli sono il romanzo Giovanni Episcopo, che risente dello psicologismo della narrativa russa (Fëdor Dostoevskij), e Forse che sì forse che no, che esalta il mito eroico dell'aviazione.

Oratoria politica

Negli anni immediatamente precedenti il Primo conflitto mondiale, nella mentalità collettiva e negli ambienti culturali di tutta l'Europa si affermò un diffuso atteggiamento ottimistico e di esaltazione, non di rado accompagnato da contenuti politico-ideologici. Questo stato d'animo generale, legato al clima culturale della Belle Époque d'inizio secolo, fu poi ribattezzato Superomismo, sulla base di una lettura personale dei testi di Nietzsche; tutt'oggi il dibattito su quest'argomento non è ancora concluso. D'Annunzio intuì lo smisurato potere che si può trarre dai mezzi di comunicazione di massa e compartecipò a questo fenomeno fino a divenirne uno dei maggiori propugnatori.
Il piacere fisico e gestuale della parola ricercata, della sonorità fine a sé stessa, della materialità del suono proposta come aspetto della sensualità, aveva già caratterizzato la poetica delle Laudi; ma con le opere teatrali egli aveva maturato uno stile il cui scopo era conquistare fisicamente il pubblico in un rapporto sempre più diretto e meno letterario. Facendo leva sul mito di Roma e su una vasta mitologia nazionale post-risorgimentale, creò un modulo retorico dall'aspetto al contempo combattivo ed elitario: l'abbandono della prosa letteraria e l'immersione nel rito collettivo della guerra si presentò come un tentativo di conquistare la folla, da un lato per dominarla dall'altro per annullarsi in essa, nell'ideale comunione totale tra capo e popolo. E in queste orazioni il popolo prendeva le forme impressionistiche dell'«umanità agglomerata e palpitante», mentre il capo era un re-filosofo, ora riproposto come profeta della patria.
La retorica bellica di D'Annunzio trovò un largo consenso nella popolazione, affascinata dal suo carisma e dall'aura di misticità che lo circondava. Egli elaborò in questo modo un immaginario per la propaganda interventista, la quale sarà la premessa e il prototipo della propaganda fascista nel primo dopoguerra.