domenica 8 settembre 2013
golpe Borghese
Con golpe Borghese (citato anche come golpe dei forestali o golpe dell'Immacolata) si indica un colpo di Stato tentato in Italia durante la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 (chiamata anche notte di Tora Tora, in ricordo dell'attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941) e organizzato da Junio Valerio Borghese, sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto rapporto con Avanguardia Nazionale.
Borghese, noto anche con il soprannome di principe nero, era in precedenza conosciuto per essere stato il comandante della Xª Flottiglia MAS fin dal 1º maggio 1943 e dopo l'8 settembre 1943 con il proprio reparto aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana. Il golpe fu annullato dallo stesso Borghese mentre era in corso di esecuzione, per motivi mai chiariti.
Sinossi storico-politica
Nel 1970 Eugenio Henke lasciava la carica di Direttore del SID (Servizio Informazioni Difesa) per assumere importantissimi incarichi militari. Gli subentrava Vito Miceli, che fino all'anno precedente aveva diretto il SIOS esercito. La vigilia dell'Immacolata del 1970 fu posto in atto il golpe Borghese, di cui probabilmente Miceli aveva sentore da lunga data. Formalmente però ne ebbe notizia dal suo subordinato (Ufficio «D») Gasca Queirazza, che Miceli invitò a non immischiarsi, posto che sarebbe intervenuto personalmente il capo del SID medesimo. Ciò che effettivamente avvenne fu che i golpisti, opportunamente messi sull'avviso, poterono desistere dall'occupazione del Viminale senza patirne conseguenze. Le indagini svolte successivamente dal SID furono mantenute strettamente circoscritte all'ambito del servizio, salvo una scarna informativa all'ufficio politico della questura di Roma.
Nell'inchiesta giudiziaria del 1971, Miceli mantenne costantemente un atteggiamento reticente, negando sia la concreta rilevanza dell'azione di Borghese, sia la complicità degli apparati di sicurezza (anche se lui stesso, in un colloquio con il capo di stato maggiore della Difesa, era incorso in un'involontaria confessione della sua ampia conoscenza del piano). Tra il 1971 ed il 1974 si tentò insistentemente di avallare, anche nell'opinione pubblica, il convincimento che si fosse trattato dell'operazione grottesca di un manipolo di vegliardi. Per quanto si cercasse di celare particolarmente questo aspetto, sembra ormai storicamente acquisita la cooperazione della massoneria nella conduzione del colpo di Stato, segnatamente con la programmata iniziazione di quattrocento ufficiali. In particolare, emersero i nomi di Gavino Matta e Giovanni Ghinazzi, entrambi della "loggia coperta" denominata "comunione di Piazza del Gesù", ed entrambi veterani falangisti della guerra di Spagna. E proprio la Spagna sarà —nel 1971— il luogo di rifugio di Borghese e Matta nel momento in cui scattarono i primi arresti per l'abortita impresa dell'Immacolata. Altri congiurati non furono altrettanto fortunati o tempestivi, ma comunque per tutti fu garantito nei fatti un trattamento restrittivo di favore, consistente nella "detenzione" in agiate cliniche private, a causa di supposte condizioni critiche di salute. Ricorderemo in proposito il "parà" Sandro Saccucci e Remo Orlandini. Quest'ultimo, che aveva da anni rapporti con elementi del SIOS esercito, ricevette anche, nel luogo di "cura" ove era trattenuto, la visita di Miceli, che gli promise protezione in cambio del suo silenzio.
È stata suggerita una diretta connessione tra il golpe Borghese e l'attività (mai completamente chiarita) della rete Gladio. Il colpo di Stato in questione sarebbe stato appoggiato anche da Luciano Liggio, Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate, ovvero dai vertici mafiosi del tempo.
Mentre rimane un mistero se il fallito golpe dell'8 dicembre fosse in realtà solo una specie di prova generale per l'azione effettiva, quello che sembra sicuro è che Borghese rappresentava comunque una pedina di un gioco più grande di lui, che gli sarebbe stato programmaticamente tolto di mano al momento previsto, consentendo l'attuazione di una serie di misure di sicurezza analoghe a quelle teorizzate nel più volte citato Piano Solo. Sempre dalla medesima fonte, apprendiamo del ruolo di istigatore che Guido Giannettini avrebbe svolto presso alcuni quadri dell'Arma affinché aderissero alla congiura. Secondo la Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia P2, fu Licio Gelli ad impartire il contrordine ai complottisti per farli rientrare nei ranghi. Vi sono risultanze processuali dei contatti di Gelli con i servizi e con i carabinieri in vista del colpo di Stato. Quasi trent'anni più tardi è emerso come Gelli fosse stato uno dei primi associati al Fronte nazionale e che al tempo del golpe Borghese migliaia di ufficiali massoni partecipavano a sodalizi eversivi. Parimenti da fonte processuale sarebbe ipotizzabile che Gelli avesse avuto la missione di catturare il presidente Saragat.
È da ritenere che l'ordine di abbandonare il golpe sia conseguenza di un aspro dibattito, negli ambienti reazionari, tra chi auspicava un'immediata soluzione forte (presa materiale del potere), e chi era fautore di una condotta maggiormente politica dell'affare, sia pure eventualmente con qualche accorgimento non del tutto legale. Un'inchiesta del 1972, condotta da Gian Adelio Maletti ed Antonio Labruna (Ufficio «D» del SID) aveva appurato una solida intesa tra Borghese, Miceli e Orlandini, e persino la singolare circostanza che un armatore di Civitavecchia aveva messo a disposizione i propri mercantili per trasportare nelle Isole Lipari le persone catturate dai golpisti. Una parte da protagonista sarebbe stata svolta dal dirigente Selenia Hugh Fenwick, che secondo Orlandini avrebbe funto da ufficiale di collegamento tra Borghese e Nixon, posto che il presidente USA sarebbe stato propenso a sostenere l'azione eversiva in parola.
L'informativa Labruna-Maletti venne poi trasmessa da Andreotti alla procura della Repubblica di Roma (luglio 1974), ma non si trattò di impulso alle indagini, bensì di un tentativo di ostacolare quelle coeve dei giudici di Torino e Padova, effettivamente culminato nell'ordinanza del giudice istruttore capitolino Filippo Fiore, che statuiva —riguardo Miceli— che «non era partecipe delle cose criminose», declassandone l'apporto al rango di mero favoreggiamento. Vi sono del resto fondati motivi per ritenere intrinsecamente finalizzata al depistaggio l'intera "inchiesta Maletti" sul golpe Borghese: infatti, scaturiva per lo più dalle dichiarazioni di Orlandini, dissimulando invece la conoscenza che il SID —autonomamente e ben prima— aveva su tutta la questione, come abbiamo già detto in apertura di sezione. Si preferì, all'evidenza, abbandonare al proprio destino (peraltro non particolarmente tragico) gli esecutori materiali dell'operazione, omettendo ogni riferimento ai generosi finanziatori (industriali nazionali e d'oltreoceano). Sostanzialmente analoghe saranno le conclusioni del procedimento giudiziario del 1975. Nel 1978 la Corte d'assise di Roma assolse comunque Miceli anche dall'accusa di favoreggiamento, dopo che già era stata accantonata la più grave ipotesi incriminatoria di cospirazione.
Il giudizio d'appello del 1984 completò l'opera, mandando assolti con la formula "perché il fatto non sussiste" persino gli imputati che avevano ammesso di aver preso parte al noto evento. Solo nel 1995, il magistrato Guido Salvini sosterrà l'esistenza di un apparato eversivo complesso, diffuso sull'intero territorio nazionale, affiancato dalla criminalità organizzata, in cui erano coinvolte personalità quali l'onnipresente Licio Gelli, il generale Francesco Mereu, —capo di stato maggiore esercito— e l'ammiraglio Giovanni Torrisi —capo del SIOS marina—, tutti affiliati alla P2. Torrisi sarebbe stato in contatto con tale dottor Salvatore Drago, un medico "piduista" in servizio al Ministero dell'Interno, che godeva di buone conoscenze in ambienti mafiosi. È stato ipotizzato che l'iniziativa di occultare i nomi di maggior rilievo nelle varie inchieste si debba far risalire ad Andreotti, che al tempo era ministro della Difesa, ma l'interessato ebbe a puntualizzare che i vertici politici avevano voluto soltanto proteggere le persone la cui partecipazione al complotto non era assodata.
Il ruolo degli USA
Si è già accennato alla supposta dimensione internazionale dell'abortito colpo di Stato del '70. Documenti de-classificati negli anni 1990 dagli USA sembrano confortare tale supposizione. L'ambasciatore americano a Roma, Graham Martin, il 7 agosto 1970 aveva inviato un rapporto al Dipartimento di Stato su una conversazione intercorsa con un uomo d'affari suo compatriota (il già nominato Hugh Fenwick?).
Il businessman era stato avvicinato da Adriano Monti, il quale —delineato per sommi capi il progetto del golpe Borghese— aveva cercato di sondare l'atteggiamento che l'amministrazione statunitense avrebbe assunto nei confronti degli insorgenti. Monti, che ha pure lui vittoriosamente superato il processo penale per la vicenda di cui trattiamo, ha concordato in un suo libro sulla concretezza dei propositi di Borghese, nonché sul sostanziale placet degli Stati Uniti. Nei primi mesi del 1970, su istruzioni di Borghese ed Orlandini, Monti era volato a Madrid, dove aveva conferito con Otto Skorzeny —un uomo dall'illustre passato nelle SS, che poi era divenuto una pedina di primo piano della cosiddetta "rete Gehlen".
Skorzeny, ben introdotto presso la CIA, dichiarò che gli USA non avrebbero obiettato sull'ipotesi golpista, purché l'instauranda giunta militare avesse espresso prontamente una leadership "centro-democratica", conforme ai gusti dell'opinione pubblica e del Congresso statunitensi.
Dopo questo colloquio preliminare, Monti —per il tramite del famoso "uomo d'affari americano" — ottenne un abboccamento con Herbert Klein, all'epoca collaboratore di Kissinger, che dettò le condizioni alle quali il governo USA non avrebbe contrastato l'azione eversiva:
dovevano rimanervi estranei civili e militari americani dislocati in basi NATO;
dovevano invece prendervi parte tutte e tre le forze armate dell'epoca, con espressa menzione dei carabinieri;
arrivato a buon fine il colpo di Stato, il potere provvisorio doveva essere assunto da un politico DC, che riscuotesse il gradimento americano e si prodigasse ad organizzare nuove elezioni politiche entro un anno;
tali elezioni, pur essendo in linea di principio "libere", non avrebbero contemplato liste comuniste, né di estrema sinistra, escludendo anche formazioni di analogo orientamento, ancorché "sotto mentite spoglie".
In una "puntata" de La storia siamo noi, Monti dichiarò che il democristiano designato al descritto ruolo di traghettatore era Andreotti, pur precisando di ignorare se questi fosse informato e/o favorevole riguardo ad un simile disegno.
Nella relazione dell'ambasciatore Martin, cui accennavamo in apertura di sezione, si ricordava come il dibattito interno al Dipartimento di Stato sull'opportunità di sovvertire l'assetto politico italiano durasse da molto tempo, ma l'affaire Borghese aveva recentemente conferito drammatica attualità a quella che poteva parere una pura esercitazione speculativa da analisti. In particolare, Miceli (direttore SIOS pro tempore) aveva incontrato l'addetto militare presso l'ambasciata americana, James Clavio, sottoponendo a questo consigliere diplomatico il nastro di una registrazione in cui un presunto uomo politico italiano (ignoto) faceva oscuramente riferimento ad un "colpo militare" che poteva svolgersi "intorno a ferragosto". Questa discutibile prova era asseverata dal fatto che —a detta di Miceli— vari ufficiali italiani avrebbero ricevuto lettere, esortanti all'insurrezione; una successiva indagine del Miceli stesso avrebbe individuato Borghese quale autore delle missive.
Il Segretario di Stato del tempo, William Rogers, replicò a Martin manifestando dubbi sulle probabilità di riuscita del complotto, ma anche commentando parti del dossier Martin tuttora non esaminabili. Il Segretario di Stato concludeva chiedendo al diplomatico se fosse il caso di avvisare Saragat o il premier Colombo.
L'ambasciatore faceva seguito a stretto giro, riferendo al suo superiore di aver invitato l'ammiraglio Henke ad approfondire le sue conoscenze su Borghese e sul Fronte Nazionale. Henke aveva prontamente interessato il Capo dello stato maggiore Difesa, Enzo Marchesi, e il ministro della difesa in carica, Tanassi: poiché quest'ultimo era vicinissimo al suo compagno di partito (PSDI) Saragat, Rogers riteneva superflua ogni ulteriore iniziativa in proposito.
Nel 1971, dopo che la trama Borghese era stata oggetto di un articolo di Paese Sera, Martin scrisse nuovamente al Dipartimento di Stato, sposando la nota tesi del "golpe dei pensionati".
Concludendo la disamina, sulla scorta degli elementi ad oggi non secretati, si può affermare con sicurezza che gli USA conoscessero preventivamente le intenzioni del principe Junio Valerio, mentre bisogna sospendere il giudizio sull'ipotesi di una loro partecipazione attiva.
Un rapporto dei servizi segreti, allegato ai lavori della commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, afferma che i golpisti erano in contatto con membri della NATO, tanto che quattro navi NATO erano in allerta a Malta.
Il cosiddetto testamento Borghese
Da uno degli innumerevoli procedimenti penali che costellano la storia qui trattata, è emerso una sorta di testamento spirituale, attribuito a Borghese, che (una volta che fosse accertata la genuinità) potrebbe portare un'inedita luce sulla complessa vicenda dell'Immacolata. Si tratta di uno scritto di natura apologetica, con cui il vecchio comandante della X MAS tenterebbe di allontanare da sé i sospetti di tradimento che allignavano nell'ambiente dell'estrema destra. Il documento, concepito per un uso strettamente privato, era stato rinvenuto in modo quasi casuale dentro ad un mobile già di proprietà di Enrico de Boccard, esponente repubblichino, giornalista-scrittore, co-fondatore dell'Istituto di studi militari Alberto Pollio ed organizzatore, a Roma, il 3 maggio del 1965 del Convegno dell'Hotel Parco dei Principi sulla guerra rivoluzionaria, finanziato dallo Stato Maggiore dell'Esercito.
Il "testamento" confermerebbe la tesi dell'apporto fattivo statunitense; il già ricordato Angleton si sarebbe adoperato per mettere in contatto Borghese con uomini del Dipartimento di Stato e della NATO. In effetti, quella che (il supposto) Borghese definisce "ventennale amicizia" e "vera fraternità" trova riscontro nell'episodio in cui l'americano lo salvò dai partigiani, travestendolo da suo commilitone nel 1945. Prosegue con la nota raccomandazione di affidare subito il governo provvisorio ad Andreotti. Quest'ultimo, tuttavia, non avrebbe avuto rapporti diretti con Borghese, preferendo, per opportunità, farsi rappresentare da Gilberto Bernabei, consigliere di Stato e suo uomo di fiducia. Il fallimento del golpe sarebbe ascrivibile ad una fuga di notizie partita da un ignoto "capitano del SIOS", che avrebbe informato il generale Renzo Apollonio, (un sopravvissuto all'eccidio di Cefalonia) che a sua volta ne parlò con il colonnello Giorgio Genovesi, e quest'ultimo ne parlò con Miceli. Ripercorrendo la linea gerarchica (Bernabei e Clavio), alla fine la falla nella segretezza avrebbe indotto Andreotti ad impartire il famoso contrordine.
L'autenticità del supposto testamento spirituale di Borghese è tutt'altro che pacifica, ma se fosse confermata ci obbligherebbe a riconsiderare l'intera vicenda dell'8 dicembre 1970 in modo sensibilmente diverso dall'approccio tradizionale.
Il piano
Il golpe era stato progettato nei minimi particolari: dal 1969 erano stati formati gruppi clandestini armati con stretti rapporti con le Forze Armate. In accordo con diversi vertici militari e membri dei Ministeri, il golpe prevedeva l'occupazione del Ministero dell'Interno, del Ministero della Difesa, delle sedi RAI e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento.
Nei piani c'erano anche il rapimento del capo dello stato Giuseppe Saragat e l'assassinio del capo della polizia Angelo Vicari. A tutto questo sarebbe stato accompagnato un proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi RAI occupati. Il testo seguente venne ritrovato nei suoi cassetti:
« Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di Stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, ha portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale, ha cessato di esistere. Nelle prossime ore con successivi bollettini, vi verranno indicati i provvedimenti più immediati e idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione.
Le Forze Armate, le Forze dell'Ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della Nazione sono con noi; mentre, dall'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli, per intendersi, che volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo Stato che insieme creeremo, sarà un'Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera: il nostro glorioso Tricolore! Soldati di Terra, di Mare e dell'Aria, Forze dell'Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell'ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali; vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento, nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso Tricolore vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d'amore: Italia! Italia! Viva l'Italia! »
Attuazione e annullamento[
Il piano cominciò a essere attuato tra il 7 e l'8 dicembre 1970, con il concentramento nella Capitale di diverse centinaia di congiurati, con azioni simili in diverse città italiane, tra cui Milano. All'interno del Ministero degli Interni iniziò anche la distribuzione di armi e munizioni ai cospiratori; il generale dell'Aeronautica militare italiana Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio presero posizione al Ministero della Difesa, mentre un gruppo armato del Corpo Forestale dello Stato, di 187 uomini, guidato dal maggiore Luciano Berti si appostò non lontano dalle sedi televisive della RAI. A Milano, invece, si organizzò l'occupazione di Sesto San Giovanni tramite un reparto al comando del colonnello dell'esercito Amos Spiazzi.
Il golpe era in fase di avanzata esecuzione quando, improvvisamente, Valerio Borghese ne ordinò l'immediato annullamento. Le motivazioni di Borghese per questo improvviso ordine a poche ore dall'attuazione effettiva del piano non sono ancora certe ed esenti da una possibile smentita. Secondo la testimonianza di Amos Spiazzi, il golpe sarebbe stato in realtà fittizio: immediatamente represso dalle forze governative tramite un piano che sarebbe stato chiamato Esigenza Triangolo, sarebbe stato ideato come scusa per consentire al governo democristiano di emanare leggi speciali.
Borghese, tuttavia, si sarebbe reso conto (o sarebbe stato avvertito) della trappola e si sarebbe dunque fermato in tempo. Il movimento di Amos Spiazzi a Sesto San Giovanni non è da confondersi: esso faceva parte della legittima operazione Esigenza triangolo, finalizzata proprio a reprimere il golpe, non al golpe stesso. Egli testimoniò di aver incrociato durante il tragitto in autostrada quella notte numerose autocolonne militari oltre la sua. Difatti la menzione storica-giudiziaria unicamente del suo spostamento a Sesto S. Giovanni non è da fraintendersi con una sua particolare importanza rispetto a quella di altri reparti, ma al fatto che lui fu l'unico militare a dare testimonianza pubblica di ciò che avvenne quella notte; ad essere mobilitato (similmente al suo reparto) fu l'intero esercito italiano e arma dei carabinieri, in ogni parte d'Italia. Oltre a lui, altri militari avvisarono Borghese del piano di ordine pubblico. Colpi di Stato di questo tipo ("derivative putsch") sono avvenuti in altri paesi: il più famoso è il colpo di Stato spagnolo del 1981.
Recentemente in un programma di Giovanni Minoli si è presentata la documentata visione dello stop del golpe come di un ordine proveniente dai servizi americani, che avrebbero dato il loro beneplacito al proseguimento del colpo di mano solo nel caso che al vertice del nuovo assetto politico fosse stato posto Giulio Andreotti (che invece avrebbe rifiutato). Questa ipotesi, ovviamente, non esclude la precedente, ma piuttosto la integra.
Le indagini
Gli italiani scoprirono il tentato golpe tre mesi dopo.
Paese Sera titolò: "Piano eversivo contro la repubblica, scoperto piano di estrema destra". Il 18 marzo 1971 il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone firmò i mandati di arresto con l'accusa di usurpazione dei poteri dello stato e cospirazione per il costruttore edile Remo Orlandini, Mario Rosa, Giovanni De Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio e Junio Valerio Borghese.
In seguito al fallimento del golpe, Borghese si rifugiò in Spagna dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974, non rientrando in Italia neanche dopo che, nel 1973, fu revocato l'ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura italiana.
Il ruolo del SID, della mafia e della P2
Il 15 settembre 1974 Giulio Andreotti, all'epoca Ministro della Difesa, consegnò alla magistratura romana un dossier del SID diviso in tre parti che descriveva il piano e gli obiettivi del golpe, portando alla luce nuove informazioni. Il dossier fu redatto dal numero due del SID, il generale Gianadelio Maletti, che avviò un'inchiesta sulle cospirazioni mantenendolo nascosto anche a Vito Miceli, direttore del servizio. Aiutato dal capitano Antonio Labruna, furono registrate le dichiarazioni di Remo Orlandini, quest'ultimo coordinatore per Borghese verso collegamenti all'estero e in Italia. A detta di Claudio Vitalone, Orlandini fu trovato in possesso di documenti segreti concernenti il dislocamento di forze militari italiane e NATO, tali da "scatenare l'invidia dei più alti livelli militari e delle più agguerrite agenzie di spionaggio".
Durante un colloquio, Orlandini fece il nome di Vito Miceli, come una figura coinvolta direttamente come Borghese. A questo punto Maletti fu costretto a scavalcare Miceli e a parlare direttamente con Andreotti. Miceli si giustificò affermando che doveva acquisire delle informazioni. Venne subito destituito insieme ad altri 20 generali e ammiragli, senza particolari spiegazioni. La Magistratura fece partire altri 32 arresti, tra cui anche quello di Adriano Monti. Nel 1974 Monti negò tutto e, scarcerato per motivi di salute, fuggì all'estero e vi rimase latitante per 10 anni.
Nel 1991 si scoprì che le registrazioni consegnate nel 1974 da Andreotti alla magistratura non erano la versione integrale. In origine, Remo Orlandini faceva il nome di numerosi personaggi di spicco in ambito politico e militare, ma Andreotti ha recentemente dichiarato che ritenne di dover tagliare quelle parti per non renderle pubbliche, in quanto tali informazioni erano «inessenziali» per il processo in corso e, anzi, avrebbero potuto risultare «inutilmente nocive» per i personaggi ivi citati.
Le parti cancellate includevano il nome di Giovanni Torrisi, successivamente capo di stato maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981; inoltre venivano fatti riferimenti a Licio Gelli e alla loggia massonica P2, che si doveva occupare del rapimento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Infine si facevano rivelazioni circa un "patto" stretto da Borghese con alcuni esponenti di Cosa nostra secondo cui alcuni sicari della mafia, in effetti presenti a Roma la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, avrebbero ucciso il capo della polizia Angelo Vicari.
L'esistenza di tale patto sarebbe poi stata confermata da vari pentiti di mafia tra i quali Tommaso Buscetta. Grazie alle rivelazioni di Buscetta e di Antonino Calderone sono emersi anche i legami tra il progetto golpista e l'organizzazione mafiosa. I due collaboratori hanno rievocato la vicenda nel corso del cosiddetto processo Andreotti. La loro audizione è stata riassunta in questi termini nella requisitoria dei pubblici ministeri Scarpinato e Lo Forte:
« Il primo a riferire la vicenda di queste trattative (già in data 3 dicembre 1984) è stato Tommaso Buscetta, il quale - anche in questo dibattimento, all'udienza del 9 gennaio 1996 - ha precisato che:
nel 1970 — nello stesso periodo di tempo in cui si svolgevano i campionati mondiali di calcio in Messico — egli si era recato a Catania insieme a Salvatore Greco "ciaschiteddu" (giunto appositamente dal Sud-America, ove soggiornava) per incontrare Giuseppe Calderone e Giuseppe Di Cristina. Nell'occasione, entrambi avevano preso alloggio in casa di "Pippo" Calderone, il quale frattanto - in una villetta di San Giovanni La Punta - ospitava il latitante Luciano Leggio. Oggetto di questo incontro era la discussione della proposta di partecipazione a un "golpe", avanzata dal principe Borghese; il progetto di "golpe" prevedeva un ruolo attivo degli affiliati all'organizzazione Cosa Nostra, a cui Tommaso Buscetta sarebbe stata affidata la "gestione" del territorio ricompreso nel mandamento di ciascuna famiglia mafiosa, per «calmare e far vedere al popolo siciliano che noi eravamo d'accordo, ognuno per la sua sfera di influenza che avevamo nelle nostre terre»;
in contropartita del ruolo attivo di Cosa Nostra, il principe Borghese aveva offerto la revisione di molti processi in corso a carico di esponenti dell'organizzazione criminale, facendo un particolare riferimento al "processo Rimi" (si rammenti che, in quel momento, i due Rimi erano già stati condannati all'ergastolo anche in Appello). Al progetto di "golpe" era interessata la Massoneria, e l'allora Capitano dei Carabinieri Giuseppe Russo — anch'egli massone — era informato del tentativo insurrezionale e avrebbe avuto, anzi, il compito di arrestare il Prefetto di Palermo; il principe Borghese — in caso di accettazione della proposta di partecipazione al "golpe" da parte del vertice di Cosa Nostra — avrebbe richiesto un elenco di tutti gli uomini d'onore partecipanti alle operazioni golpiste o — in subordine — avrebbe voluto che durante l'insurrezione armata gli uomini d'onore si rendessero riconoscibili agli altri golpisti mediante una fascia di colore verde da portare al braccio; proprio queste ultime richieste del principe Borghese avevano indotto i partecipanti alla riunione di Catania (Buscetta, Leggio, Giuseppe Calderone, Salvatore Greco) a diffidare della proposta e a esprimere disinteresse; tuttavia, poiché una delle contropartite all'intervento di Cosa Nostra offerte dal principe Borghese riguardava proprio la revisione del "processo Rimi", i convenuti avevano deciso di coinvolgere nella decisione definitiva Gaetano Badalamenti, ben consapevoli di quanto egli avesse a cuore la sorte del cognato Filippo e del di lui padre, già condannati all'ergastolo. Per questo motivo avevano stabilito di incontrare il Badalamenti a Milano, nei cui pressi egli si trovava in soggiorno obbligato; in occasione dell'incontro di Milano — al quale, insieme a Buscetta, avevano partecipato Salvatore Greco "Ciaschiteddu", Salvatore Riina, Gerlando Alberti e Giuseppe Calderone — pure Riina aveva apertamente espresso il proprio dissenso. Al termine dell'incontro — nel quale si era convenuto di rifiutare l'offerta — alcuni dei partecipanti, tra cui lo stesso Buscetta, si erano allontanati con una vettura ed erano stati fermati e identificati dalla Polizia, sfuggendo all'arresto perché muniti di documenti falsi (25 giugno 1970); tuttavia, la famiglia Rimi aveva autonomamente continuato a interessarsi del progetto di "golpe", tanto che Natale Rimi — figlio di Vincenzo Rimi, a cui premeva la revisione del processo a carico del padre — era tra coloro che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970 si erano recati a prendere le armi in una caserma militare di Roma; questo dettaglio era stato riferito al Buscetta da Gaetano Badalamenti; egli aveva saputo, comunque, del fallimento del tentativo insurrezionale, bloccato in extremis perché in quel giorno o in quel periodo c'era una flotta russa nel Mediterraneo e agli americani questo non piaceva. Quindi era stata rimandata a nuova data, senza che poi più si fece, perché la flotta russa era presente nel Mediterraneo:
Le circostanze esposte da Tommaso Buscetta circa la connessione tra il "processo Rimi" e le trattative riguardanti l'eventuale partecipazione di Cosa Nostra al "golpe Borghese", sono state pienamente e analiticamente confermate dal collaboratore di giustizia Antonino Calderone, il quale — all'udienza del 17 settembre 1996 — ha riferito che: vi erano state varie riunioni tra gli esponenti di vertice di Cosa Nostra per valutare la proposta del principe Valerio Borghese di una partecipazione dell'organizzazione mafiosa al golpe (ci sono state tante riunioni... c'è stato anche il discorso del golpe Borghese, ne hanno parlato... Valerio Borghese voleva parlare con delle persone, esponenti della mafia della Sicilia... ne hanno parlato, ne hanno discusso e poi si è arrivato alla determinazione che qualcuno ci andava a parlare); suo fratello Giuseppe Calderone, all'uopo prescelto dall'organizzazione, si era quindi incontrato a Roma con il principe Borghese; questi voleva conoscere i nomi degli affiliati all'organizzazione, e offriva in cambio la revisione dei processi di Rimi e di Luciano Leggio (Volevano i nomi... si è chiesto in contropartita che si dovevano fare la revisione dei processi di Rimi e di Luciano Liggio... E questo è stato accordato, dice: noialtri... facciamo la revisione dei processi; però, dopo che ci insediamo, non è che dovete continuare a fare dei reati, perché poi vi arrestiamo noialtri...); Quello che spingeva fortissimo era Gaetano Badalamenti (Gaetano Badalamenti avrebbe fatto il patto con il diavolo per potere risolvere questo processo di suo cognato e del padre di suo cognato... avrebbe fatto la "qualunque", ha schiacciato tutti i bottoni, voleva risolvere questo processo in qualsiasi modo e in qualsiasi maniera); ma anche tutta Cosa Nostra si muoveva intorno al processo Rimi; Le trattative non avevano avuto esito positivo; e tuttavia Natale Rimi aveva continuato a muoversi, aveva toccato tutte le pedine, si era fatto trasferire a Roma, e aveva avuto un ruolo personale nel fallito golpe. »
Il processo e l'assoluzione di tutti gli imputati
Il 30 maggio 1977 cominciò il processo per il golpe a 68 imputati. Remo Orlandini dichiarò che la notte dell'8 dicembre, dopo l'avvio dell'operazione, ricevette una telefonata da Borghese il quale gli ordinava di rientrare, ma il motivo del contrordine era rimasto sconosciuto. Il ruolo di Adriano Monti fu invece quello di fare da "mediatore" per accertare il gradimento o meno del golpe in ambienti esteri.
Grazie al Freedom of Information Act, nel 2004 si è scoperto infatti che il piano di Borghese era noto al governo degli Stati Uniti; Monti era in collegamento con l'ambasciata americana attraverso Hugh Hammond Fenwich, il quale, subito dopo l'arresto di Monti, fuggì negli USA con un aereo appositamente predisposto. Monti, inoltre, si recò a Madrid per incontrare il tedesco Otto Skorzeny, amico di Borghese, che aveva preso parte alla liberazione di Mussolini il 12 settembre 1943.
L'incontro fu necessario per confermare l'"avallo" statunitense al golpe, che fu dato, a condizione però che fosse assicurato il coinvolgimento di un personaggio politico italiano "di garanzia". Il nome indicato fu quello di Giulio Andreotti, che sarebbe dovuto diventare una sorta di presidente "in pectore" del governo post-golpe. Monti tuttavia non seppe se Andreotti fosse al corrente dell'indicazione statunitense. Venne accertato che la colonna delle guardie forestali, comandata dal capitano Berti, da Rieti si diresse verso Roma, arrestandosi sulla via Olimpica. Questa marcia venne in seguito giustificata come «una coincidenza».
Il processo per il fallito golpe si concluse in secondo grado in Corte d'Assise d'appello il 29 novembre 1984 con una complessiva assoluzione. I giudici disposero l'assoluzione di tutti i 46 imputati dall'accusa di cospirazione politica («perché il fatto non sussiste»), aggiungendo che tutto ciò che era successo non era che il parto di un «conciliabolo di 4 o 5 sessantenni». La sentenza, riformando completamente la decisione di primo grado, si limitava per il resto a ridurre le condanne che erano state inflitte nel luglio del 1978 ad alcuni imputati minori per il reato di detenzione e porto di armi da fuoco.
Cultura popolare
Una feroce caricatura del tentativo di golpe viene fatta nel 1973 da Mario Monicelli con il suo film Vogliamo i colonnelli, nel quale si prefigura un colpo di Stato da attuare in emulazione dell'omologo fatto greco, e con l'appoggio del servizio segreto greco. Tra i personaggi compare, durante le varie fasi del tentativo un ardito ma fuori dal tempo colonnello reduce della seconda guerra mondiale e un generale dell'aeronautica completamente svanito (nei panni equivalenti al ruolo di Borghese), oltre a un gruppo di congiurati da operetta.
L'anno successivo è il fumettista Max Bunker, nel numero 60 di Alan Ford, intitolato programmaticamente "Golpe", a narrare come i servizi segreti statunitensi, preoccupati per l'esito delle elezioni che minaccia di far salire al potere dei "sovversivi", organizzano, col volenterosissimo aiuto di "tre illustri membri del governo in carica", un colpo di Stato a "Penisolandia".
Anche Rino Gaetano, infine, nella canzone La donna mia - Scusa Mary - inclusa nell'album E io ci sto (1980) farà cenno al golpe col verso:
« e mentre la forestale tenta il golpe alla Rai / c'era stato un concerto all'isola di Wight »
Gli accadimenti del golpe borghese sono stati ricostruiti anche nella commedia teatrale "Pane e golpe" - La lunga notte del 7 dicembre 1970 di Marco Boccia messa in scena, per la regia di Roberto Fei, al Teatro Belli di Roma a 40 anni esatti dagli avvenimenti.
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