Il viaggio sempre ricomincia, ha sempre da ricominciare, come l’esistenza, e ogni sua annotazione è un prologo; se il percorso nel mondo si trasferisce nella scrittura, esso si prolunga nel trasloco dalla realtà alla carta – scrivere appunti, ritoccarli, cancellarli parzialmente, riscriverli, spostarli, variarne la disposizione. Montaggio delle parole e delle immagini, colte dal finestrino del treno o attraversando a piedi una strada e girando l’angolo. Solo con la morte, ricorda Karl Rahner, grande teologo in cammino, cessa lo status viatoris dell’uomo, la sua condizione esistenziale di viaggiatore. Viaggiare dunque ha a che fare con la morte, come ben sapevano Baudelaire e Gadda, ma è anche un differire la morte; rimandare il più possibile l’arrivo, l’incontro con l’essenziale, come la prefazione differisce la vera e propria lettura, il momento del bilancio definitivo e del giudizio. Viaggiare non per arrivare ma per viaggiare, per arrivare più tardi possibile, per non arrivare possibilmente mai.
Ci sono luoghi che affascinano perché sembrano radicalmente diversi e altri che incantano perché, già la prima volta, risultano familiari, quasi un luogo natio. Conoscere è spesso, platonicamente, riconoscere, l'emergere di qualcosa magari ignorato sino a quell'attimo ma accolto come proprio. Per vedere un luogo occorre rivederlo. Il noto e il familiare, continuamente riscoperti e arricchiti, sono la premessa dell'incontro, della seduzione e dell'avventura; la ventesima o centesima volta in cui si parla con un amico o si fa all'amore con una persona amata sono infinitamente più intense della prima. Ciò vale pure per i luoghi; il viaggio più affascinante è un ritorno, come l'odissea, e i luoghi del percorso consueto, i microcosmi quotidiani attraversati da tanti anni, sono una sfida ulissiaca. "Perché cavalcate per queste terre?" chiede nella famosa ballata di Rilke l'alfiere al marchese che procede al suo fianco. "Per ritornare" risponde l'altro.
già la prefazione, de L'infinito viaggiare di Claudio Magris, è di una ricchezza densissima. leggo piano, rileggo, mi concentro, ripenso. e sono solo alla presentazione! ci metterò un secolo a leggerlo. in compenso ho finito Don Chisciotte, lo ascolto da maggio...e già Magris lo cita nella prefazione, ma ho visto un intero capitolo a Lui dedicato.
già la prefazione, de L'infinito viaggiare di Claudio Magris, è di una ricchezza densissima. leggo piano, rileggo, mi concentro, ripenso. e sono solo alla presentazione! ci metterò un secolo a leggerlo. in compenso ho finito Don Chisciotte, lo ascolto da maggio...e già Magris lo cita nella prefazione, ma ho visto un intero capitolo a Lui dedicato.
Richiamo del noto o dell’ignoto? La sortita di don Chisciotte vorrebbe essere la scoperta, la verifica e la riconferma di ciò che si sa, della verità letta nei libri di cavalleria, delle leggi immutabili dell’amore e della lealtà, della bellezza di Dulcinea e della forza dei giganti... Il don Chisciotte della Mancia si trova faccia a faccia con l’ignoto, con la violenza, la brutalità e la volgarità di una realtà ad esso sconosciuta e che cerca di non ammettere; ma proprio la sua amorosa fedeltà a un ordine noto lo costringe a percepire più acutamente il disordine del mondo in cui si avventura. Il viaggiatore è un anarchico conservatore; un conservatore che scopre il caos del mondo perché lo commisura con un metro assoluto che ne svela la fragilità, la provvisorietà, l’ambiguità e la miseria. Come ben sapeva Kafka, senza il senso profondo della legge non si può scoprire la sua vertiginosa assenza nella vita. Risalito dalla caverna di Montesino, don Chisciotte racconta tutte le meraviglie e le magie che ha visto, ma quando Sancho gli obietta che secondo lui si tratta di fandonie, egli risponde “Potrebbe anche essere”. Utopia e disincanto. Molte cose cadono, quando si viaggia; certezze, valori, sentimenti, aspettative che si perdono per strada – la strada è una dura, ma anche buona maestra. Altre cose, altri valori e sentimenti si trovano, s’incontrano, si raccattano per via. Come viaggiare, pure scrivere significa smontare, riassestare, ricombinare; si viaggia nella realtà come in un teatro di prosa, spostando le quinte, aprendo nuovi passaggi, perdendosi in vicoli ciechi e bloccandosi davanti a false porte disegnate sul muro.
Il viaggio è anche una benevola noia, una protettrice insignificanza. L' avventura più rischiosa, difficile e seducente si svolge a casa; è là che si gioca la vita, la capacità o incapacità di amare e di costruire, di avere e dare felicità, di crescere con coraggio o rattrappirsi nella paura; è là che ci si mette a rischio. La casa non è un idillio; è lo spazio dell' esistenza concreta e dunque esposta al conflitto, al malinteso, all' errore, alla sopraffazione e all' aridità, al naufragio. Per questo essa è il luogo centrale della vita, col suo bene e il suo male; il luogo della passione più forte, talora devastante - per la compagna e il compagno dei propri giorni, per i figli - e la passione coinvolge senza riguardi. Andare in giro per il mondo vuol dire pure riposarsi dall' intensità domestica, adagiarsi in piacevoli pause pantofolaie, lasciarsi andare passivamente - immoralmente, secondo Weininger - al fluire delle cose.
mioddio come scrive questo signore...mi fermo qui, altrimenti lo trascrivo tutto.
Il viaggio è anche una benevola noia, una protettrice insignificanza. L' avventura più rischiosa, difficile e seducente si svolge a casa; è là che si gioca la vita, la capacità o incapacità di amare e di costruire, di avere e dare felicità, di crescere con coraggio o rattrappirsi nella paura; è là che ci si mette a rischio. La casa non è un idillio; è lo spazio dell' esistenza concreta e dunque esposta al conflitto, al malinteso, all' errore, alla sopraffazione e all' aridità, al naufragio. Per questo essa è il luogo centrale della vita, col suo bene e il suo male; il luogo della passione più forte, talora devastante - per la compagna e il compagno dei propri giorni, per i figli - e la passione coinvolge senza riguardi. Andare in giro per il mondo vuol dire pure riposarsi dall' intensità domestica, adagiarsi in piacevoli pause pantofolaie, lasciarsi andare passivamente - immoralmente, secondo Weininger - al fluire delle cose.
mioddio come scrive questo signore...mi fermo qui, altrimenti lo trascrivo tutto.
fonte: nuovateoria.blogspot.it
lo compro
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