sabato 4 gennaio 2014

reale o virtuale, ma che senso ha oramai distinguere?


di SASHA PERUGINI
Osservo la timeline di Twitter scorrere: spartito di anime e emozioni. Guardo tutte quelle parole e questi nuovi simboli che la realtà virtuale ha richiesto, là dove le parole non funzionavano o forse intralciavano.
Siamo tutti scrittori. Appurato. I social network sono i nuovi editori. Appurato. La parola pubblicata ha perso potere per cedere il posto a quella virtuale e, soprattutto, alle immagini. Chiaro anche questo. Le vecchie gerarchie del sapere sono frantumate. E gli spocchiosi detentori di egemonie culturali, ancora convinti di avere in tasca il potere della conoscenza, non se li fila più nessuno. Eppure.
Da una parte noto un'euforia collettiva in cui si gioisce di barriere cadute, pur senza mai averne avuto precisa consapevolezza. Dall'altra la parola virtuale, soprattutto in chat, là dove va a colmare sguardi, gesti e odori, si gonfia di aspettative. Si carica di emozioni con un' intensità che la realtà non permetterebbe.
Le non-barriere fanno scivolare nell'intimità, con sé stessi in primis. E questa intimità viene condivisa con il malcelato desiderio di non voler ben sapere chi c'è dall'altra parte a leggere, perché questo altrimenti, implicherebbe intimità. Così gli scambi sui social network, che tanti flirt favoriscono, sono scambi veloci, sincopati, schietti, informali e fondamentalmente più emotivi - a volte persino più sinceri.
La formalità viene meno a favore dell'intensità e di un liberatorio egoismo linguistico. E tra le pieghe di questi nuovi scambi nascono persino "innamoramenti", non meno reali o intensi che nel vissuto fuori dallo schermo. E a poco serve quindi separare reale e virtuale.
fonte: www.huffingtonpost.it

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