Dopo mezzo secolo, il bilancio economico dell’Europa unita è fallimentare: solo un incremento del 5% dalla metà degli anni ‘50, secondo i dati raccolti da Andrea Boltho e Barry Eichengreen nel 2008, cioè prima dello scoppio della crisi finanziaria. Da allora al 2013, dopo cinque anni di recessione, il Pil dell’Eurozona non ha ancora recuperato il livello del 2007, segnala Perry Anderson. Quasi un quarto dei giovani europei sono disoccupati, in Spagna e in Grecia i dati sono catastrofici: 57 e 58%. E persino in Germania, il paese che spaccia come un successo l’aver accumulato surplus commerciale grazie al super-export, gli investimenti sono stati tra i più bassi delle economie del G7. Sempre in Germania, la percentuale di lavoratori a basso salario (quelli che guadagno meno di due terzi del reddito medio) è la più alta di ogni altro Stato dell’Europa occidentale. «Queste sono le più recenti letture dell’unione monetaria», sintetizza Anderson: «I medicastri dell’austerità hanno salassato il paziente, non l’hanno riportato alla salute».
In questo scenario, il nostro paese è considerato il malato più grave. «Dall’introduzione della moneta unica – scrive Anderson su “Sinistra in rete” – l’Italia ha segnato il dato economico peggiore di ogni altro stato dell’Unione: vent’anni di stagnazione virtualmente ininterrotta a un tasso di crescita ben inferiore a quello di Grecia o Spagna». Il debito pubblico italiano è superiore al 130% del Pil. E l’Italia non è certo un paese periferico: è uno dei sei membri fondatori, negli anni ‘80 membro del G7 e quinta potenza industriale del mondo. Tuttora, l’Italia è seconda in Europa – dopo la Germania – per industria manifatturiera ed esportazioni. Le emissioni del Tesoro italiano costituiscono il terzo maggiore mercato di titoli sovrani del mondo. Attenzione: quasi metà del debito pubblico italiano è detenuto all’estero: il dato paragonabile del Giappone è inferiore al 10%. «Nella sua combinazione di peso e di fragilità, l’Italia è il vero anello debole della Ue, dove questa potrebbe teoricamente spezzarsi».
Proprio per evitare il tracollo finale dell’Italia – che metterebbe fine alla stessa Unione Europea – secondo Anderson è possibile che Renzi abbia qualche chance: Bruxelles potrebbe concedere qualche sconto sul rapporto deficit-Pil in cambio delle “riforme” neoliberiste promesse, che – tra flessibilità sul lavoro, nuova legge elettorale e nuova ondata di privatizzazioni – assottigliano ulteriormente il già esile margine di residua sovranità nazionale. «L’Italia non è un membro ordinario dell’Unione – conclude Anderson – ma non è neppure deviante da qualsiasi standard cui potrebbe essere riferito. C’è un’espressione consacrata per descrivere la sua posizione, molto usata dentro e fuori dal paese, ma è sbagliata. L’Italia non è un’anomalia in Europa. E’ molto più prossima a esserne un concentrato».
fonte: www.libreidee.org
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