io non so dire, di Margherita Sarfatti.
certo era colta, era ricca, molto ricca, anche di famiglia ebrea, era influente, almeno fino alla fine degli anni 20 e poco più, era una curatrice di mostre, prima vicina e poi molto lontana da Anna Kuliscioff, era amante di arte e di molta mondanità, il mercoledì, a Milano, a casa sua si trovava tutta la cultura italiana di quegli anni, era prima socialista, poi fascista, amante del "Dux" (titolo della biografia che gli dedicò) poi, con le leggi razziali del 38, esiliata e poi pentita: "my fault". certo, rientrata dal sud america, era isolata, dimenticata, sgradita, chissà, magari incredula, e scrisse "Acqua passata". non un bel titolo, data l'acqua di cui si è abbeverata.
io non so dire bene e non so in generale, e nemmeno la mostra al Museo del '900 dice troppo bene. cioè si guarda bene dal dire qualcosa in proposito della donna, oltre della curatrice d'arte.
certo, aveva fiuto artistico, sapeva tenere relazioni sociali, sapeva bene dove il flusso era più forte.
lo sapeva così bene che si è spostata da una sponda all'altra senza troppi problemi, anzi, direi con inedito entusiasmo. possiamo dire con passione amorosa, e neppure il delitto Matteotti del '24 sembra averle instillato qualche dubbio.
delle donne di cui era paladina ai tempi della frequentazione di Turati e del circolo socialista si è ben presto dimenticata, forse l'opportunismo è stato più forte di qualsiasi credo.
faccio molta fatica ad apprezzare il lavoro, seppure encomiabile, se il privato è discutibile.
nella sua casa di corso Venezia erano in molti a ritrovarsi, le sue mostre degli anni 20 sono passate alla storia, qualcuno la definisce originale e coraggiosa, certamente imprenditrice accorta, critica attenta, pare piuttosto autoritaria, ma i suoi scritti adottano la retorica del tempo: "La rappresentazione immediata degli eventi del nostro tempo - scrive - non si confà alle tradizioni della grande arte nostra. Si potrebbe forse sostenere che è contraria all'essenza stessa della vera grande arte, di sua natura mistica e leggendaria. Certo è contraria alle mediterranee tradizioni dell'arte italica, la quale, come l'egizia e l'ellenica, è insieme astratta e umanissima. Essa, cioè, traspone i fatti materiali e passeggeri nel campo delle immagini durature e spirituali". certamente pensava in grande, sognava un rilancio internazionale della cultura italiana del novecento, l'avrebbe voluta grande come nel '500 e nel '600, quel pensare enfatico le fa instillare in Benito Mussolini l’idea della romanità e in Dux lo descrive come un condottiero romano.
quando, ai primi del 900, esplode il Futurismo, il salotto di casa Sarfatti diventa il centro dell'avanguardia artistica: Marinetti, Carrà, Boccioni e Russolo alternano le loro riunioni tra casa Sarfatti e casa Marinetti, anch'essa in Corso Venezia. dai Sarfatti, però, in quegli anni si possono trovare anche altri personaggi, giovani per lo più, interessati a tutto il nuovo che la Milano di inizio secolo sembra proporre: Adolfo Wildt e Arturo Martini, i pittori Tallone, Sironi, Funi, Tosi, il giovane architetto Sant'Elia; Palazzeschi, Panzini, Sem Benelli, Mario Missiroli e Ada Negri. quando, più avanti negli anni, nel 1922, nasce il gruppo “Novecento” sarà composto inizialmente dai pittori Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gianluigi Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi, Anselmo Bucci e Mario Sironi. è chiaro che l'arte era sempre stata di casa ma, mi sembra di capire, La Sarfatti amava il potere e il progetto di agganciare il suo gruppo di artisti al carrozzone le si è sgretolato tra le mani quando ha forzato la mano a un fascismo che non intendeva appoggiarla, Mussolini se ne è liberato infastidito come di una zavorra inservibile, e molti altri come lui. quando si è servita dei «giovani artisti e fascisti, cioè rivoluzionari della moderna restaurazione nell'arte come nella vita sociale e politica», fautori di un «ritorno all'ordine» per sostenere la sua causa, Mussolini non ha gradito e ha rifiutato ogni forma di interferenza nella sua politica, e anche molti degli artisti in causa.
l'arte non vuole ideologia, se se ne serve, si disgrega con essa. e le sue curatrici, anche.
fonte: https://nuovateoria.blogspot.com/
l'arte non vuole ideologia, se se ne serve, si disgrega con essa. e le sue curatrici, anche.
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