mercoledì 31 luglio 2013
l'Andrea Doria
L'Andrea Doria fu un transatlantico della Italia di Navigazione S.p.A., gruppo IRI - Finmare, meglio conosciuta nel mondo della navigazione internazionale come di "Italian Line". Costruito ai cantieri navali Ansaldo di Genova Sestri Ponente, fu varato il 16 giugno 1951 ed effettuò il suo viaggio inaugurale il 14 gennaio 1953.
La turbonave prese il suo nome dall'ammiraglio ligure del XVI secolo Andrea D'Oria. Poteva portare fino a 1241 passeggeri e, quando venne varata, rappresentava uno dei punti d'orgoglio dell'Italia, che stava allora cercando di ricostruire la propria reputazione dopo la seconda guerra mondiale. Degna erede dei transatlantici degli anni trenta, l'Andrea Doria era la più grande e più veloce nave da passeggeri della flotta italiana di linea, la sua apprezzabilità era però data maggiormente dalla sicurezza e dalla bellezza dei suoi interni di lusso, cose che la facevano preferire a molti altri transatlantici di altre compagnie.
Il 25 luglio del 1956, in allontanamento dalla costa di Nantucket e diretta a New York, l'Andrea Doria si scontrò con la nave svedese Stockholm della Swedish America Line, in quello che fu uno dei più famosi e controversi disastri marittimi della storia.
Sebbene quasi tutti i passeggeri sopravvissero (morirono 46 passeggeri dell'Andrea Doria e 6 della Stockholm, per la maggior parte alloggiati nelle cabine investite dalla prua della Stockholm), la nave, con una fiancata completamente squarciata, si coricò su un fianco e affondò dopo 11 ore, la mattina di giovedì 26 luglio 1956, davanti alle coste statunitensi. L'inclinazione della nave rese inutilizzabili metà delle scialuppe (tutte quelle sul lato opposto), ma in seguito al disastro del Titanic del 1912 erano state migliorate le procedure di comunicazione di emergenza e si poterono chiamare altre navi in soccorso, inoltre le procedure e le manovre di evacuazione furono veloci ed efficienti.
L'incidente ricevette una grande copertura dai media; l'Andrea Doria fu l'ultimo grande transatlantico ad affondare prima che l'aereo si imponesse come mezzo di trasporto per le lunghe traversate dell'Oceano Atlantico.
Il relitto dell'Andrea Doria - mai recuperato - giace tuttora, posato sul fianco di dritta, a una profondità di 75 metri. Le spedizioni più recenti hanno constatato come il materiale di pregio sia stato razziato, nel corso degli anni, da varie "incursioni" di sciacalli.
Gemello dell'Andrea Doria è il Cristoforo Colombo; inoltre un sostituto, molto simile nell'aspetto ma con alcuni accorgimenti tecnici apportati dopo l'esperienza del naufragio, è il Leonardo da Vinci.
Caratteristiche
L'Andrea Doria misurava 213,5 m, con una sezione massima di 27,5 m, ed aveva una stazza lorda di 29.083 tonnellate ed una stazza netta di 15.788 tonnellate. La propulsione era affidata a due impianti separati di turbine a vapore, collegate a due eliche gemelle a tre pale, che permettevano alla nave di raggiungere agevolmente una velocità di esercizio di 23 nodi, con una velocità massima raggiunta alle prove di 26,5 nodi. L'Andrea Doria non era la più grande al mondo né la più veloce: i due primati andavano, rispettivamente, alla inglese della Cunard Line RMS Queen Elizabeth ed alla statunitense della United States Line United States.
L'Andrea Doria era invece la più bella e la più lussuosa: sin dal suo primo viaggio, fu la prima nave ad avere a bordo tre piscine aperte, una per ogni classe (prima, cabina e turistica) e una delle prime ad avere l'aria condizionata in tutti i locali abitati, sia dei passeggeri che dell'equipaggio. Per l’arredo della nave erano stati chiamati i migliori architetti dell’epoca: Ponti, Zoncada, Pulitzer Finali, Minoletti, ecc. A bordo erano, inoltre presenti, numerose opere d’arte realizzate appositamente per la nave. Si ricordano: La Leggenda D’Italia di Salvatore Fiume, per la sala di soggiorno di prima classe, L’allegoria d’autunno di Felicita Frai per la sala delle feste di classe cabina, i mosaici di Lucio Fontana, le ceramiche di Fausto Melotti, le decorazioni di Emanuele Luzzati per gli ambienti destinati ai bambini, la statua dell’ammiraglio Andrea Doria di Giovanni Paganin e gli arazzi di Michael Rachlis. La nave divenne ben presto un mito, tanto che Elia Kazan, in "Fronte del porto", fa incrociare lo sguardo di Marlon Brando con l’Andrea Doria che approdava ad una banchina di New York.
La nave poteva portare un totale di 1241 passeggeri i quali erano suddivisi nel seguente ordine: 218 passeggeri di prima classe, 320 di classe cabina e 703 di classe turistica, su 10 ponti.
Grazie ad un investimento di oltre 1 milione di dollari di allora spesi in decori e pezzi d'arte nelle cabine e nelle sale pubbliche, inclusa una statua a grandezza naturale dell'ammiraglio Doria realizzata dallo scultore Giovanni Paganin, molti la consideravano la più bella nave mai varata. L'esterno della nave era anch'esso considerato molto elegante: la linea era affusolata, con l'unico fumaiolo (colorato in verde, bianco e rosso come la bandiera italiana) e la sovrastruttura che digradava armoniosamente verso poppa.
Era anche considerata una delle più sicure. A quei tempi “la normativa SOLAS 1948 non era ancora obbligatoria per tutti i Paesi membri dell’ONU, ma una semplice raccomandazione. Era stata la società Italia che aveva sempre creduto nella sicurezza a bordo come un fattore di vitale importanza per il successo commerciale delle sue linee ad autoimporsi quella regola e dato che la sua genericità poteva dare adito ad interpretazioni diverse, aveva affidato la sorveglianza del progetto e della costruzione delle sue navi a tre enti di classificazione indipendenti che avevano tradotto la SOLAS 1948 in un manuale di costruzione navale dettagliato. Esse erano (e rimangono) tra i più prestigiosi al mondo: il Lloyd’s Register britannico, l’American Bureau of Shipping statunitense e il Registro Navale Italiano.” Questo comportava un aumento della larghezza al galleggiamento e una sensibile riduzione dell’altezza complessiva dell’unità a parità del numero di ponti; quest’ultimo aspetto avrebbe sì ridotto la magnificenza interna, ma “l’Andrea Doria, a scapito di una minore spettacolarità dei suoi saloni, si sarebbe rivelata una delle navi migliori del mondo in termini di stabilità”. “La SOLAS 1948 richiedeva, per contenere lo sbandamento dell’unità con due compartimenti stagni allagati entro i 15°, un’altezza metacentrica residua di almeno 15 cm, ma l’Andrea Doria doveva ottemperare ai requisiti italiani in materia e la sua altezza metacentrica minima doveva essere almeno il doppio. Alla partenza l’Andrea Doria aveva un’altezza metacentrica iniziale pari a circa 1,52 m”, quindi ben superiore ai requisiti minimi della SOLAS 1948. Il transatlantico era costruito da “11 ponti, di cui 4 continui, 12 compartimenti stagni e altrettante porte stagne, doppiofondo cellulare per tutta la lunghezza della carena e scafo a doppio guscio compartimentato nella zona dell’apparato motore”. Le performance del progetto, in particolare la nuova carena a bulbo, si rivelarono sorprendenti durante la prova alla massima velocità svoltasi il 9 dicembre 1952. A sottolineare l’importanza di quella prova, avevano preso imbarco il presidente dell’Ansaldo, il presidente della Società Italia e i rappresentanti del RINA, del Lloyd’s Register e dell’American Bureau. Il risultato dell’ultimo passaggio fu straordinario: le eliche giravano a 172,5 giri al minuto in luogo dei 143 di servizio e la potenza misurata all’asse fu di 62200 hp; in luogo dei 25,3 nodi massimi richiesti dal contratto, l’Andrea Doria filò alla media di 26,44 miglia nautiche all’ora. La soddisfazione generale, per quei risultati che andavano oltre ogni aspettativa, indusse i dirigenti dell’Ansaldo e dell’Italia a tenere a bordo un’improvvisata conferenza stampa al termine delle prove. In seguito alla collisione, alcuni insinuarono problemi alla stabilità della nave, ma bisogna tener presente che la falla causata dalla Stockholm era circa quattro volte quella standard. Inoltre, a bordo, al momento della collisione, si trovava Robert Young, dirigente e poi amministratore e presidente dell’American Bureau of Shipping, il quale, oltre a difendere l’equipaggio italiano dalle accuse di codardia, non ravvisò alcuna carenza nella stabilità della nave. Nessuna modifica fu, pertanto, richiesta dagli enti di classifica della gemella Cristoforo Colombo, in quanto non vi era alcune deficienza costruttiva da rimediare. E infatti, proprio alla Cristoforo Colombo venne affidato il trasporto della Pietà di Michelangelo, per essere esposta al World’s Fair di New York nel 1964 al Padiglione Vaticano.
Storia
Costruzione e viaggio inaugurale
Alla fine della seconda guerra mondiale, l'Italia aveva perso metà della sua flotta mercantile per le distruzioni dei bombardamenti e per l'uso militare delle navi. Le perdite includevano il mitico Rex, detentore del Nastro Azzurro. Inoltre, la nazione stava lottando contro un'economia allo sfascio. Per incentivare la ripresa economica e recuperare l'orgoglio nazionale, vennero commissionate nei primi anni cinquanta due unità simili: l'Andrea Doria, e il Cristoforo Colombo che fu varata nel 1953.
L'Andrea Doria fu impostata al cantiere n. 918 dei Cantieri Ansaldo a Genova. Il 9 febbraio 1950, la chiglia fu poi portata alla rampa del Cantiere n. 1 ed il 16 giugno 1951 la Andrea Doria venne varata. Durante la cerimonia lo scafo fu benedetto dal cardinale Giuseppe Siri arcivescovo di Genova, e battezzato dalla signora Giuseppina Saragat, moglie dell'ex ministro della Marina Mercantile e futuro Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. A causa di problemi alle macchine durante le prime prove in mare, il viaggio inaugurale della Andrea Doria fu rimandato dal 14 dicembre 1952 al 14 gennaio 1953.
Durante tale viaggio l'Andrea Doria incontrò intense tempeste specialmente in fase di avvicinamento al continente Nord Americano viaggiando alla volta di New York e accumulò molto ritardo. Ciò nonostante, giunse a destinazione il 23 gennaio e ricevette una delegazione guidata dal sindaco della città di New York, Vincent R. Impellitteri. In seguito, l'Andrea Doria raccolse l'atteso ed il meritato consenso, divenendo per questo una delle navi più famose dell'epoca. Essa si rese famosa per la puntualità e per la grande richiesta di biglietti di passaggio da parte di una sempre crescente clientela che ambiva ad attraversare l'oceano viaggiando a bordo della bellissima ed elegantissima nave italiana; viaggiando per questo sempre a pieno carico.
La collisione in mare
Il 25 luglio 1956, l'Andrea Doria, sotto il comando del Comandante Superiore Piero Calamai, viaggiava alla volta di New York, proveniente da Genova. Contemporaneamente, una nave di nazionalità svedese la MN Stockholm (che ironicamente nel 1989, dopo un restyling venne utilizzata dalla italiana Star Lauro Lines, come nave da crociera Stockholm) un transatlantico per il trasporto promiscuo di merci e passeggeri, si dirigeva verso Göteborg. La Stockholm era comandata dal Capitano Gunnar Nordenson, il terzo ufficiale Johan-Ernst Carstens-Johannsen era però in comando di guardia in plancia al momento dell'incidente.
Alle 23.10 entrambe le navi stavano per incrociare un corridoio molto trafficato, coperto da una fitta coltre di nebbia. L'inchiesta originale stabilì che l'Andrea Doria tentò di evitare la collisione virando a sinistra, invece che seguire la tradizione nautica di accostare a dritta (ossia a destra) poiché era troppo tardi per qualsiasi altra manovra: la Stockholm, infatti, ordinò la virata a dritta e l'indietro tutta quando era ormai troppo vicino alla nave italiana. Nascoste dalla nebbia, le navi si avvicinarono, guidate solo dalle reciproche visioni ed informazioni radar, le quali non furono sufficienti ad evitare la immane tragedia. Non ci fu alcun contatto radio, e, nonostante l'Andrea Doria continuasse ad emettere i fischi obbligatori durante la nebbia, la Stockholm non lo fece; una volta giunte a potersi vedere ad occhio nudo, fu troppo tardi per praticare contromanovre atte ad evitare l'impatto.
La violenta collisione avvenne in un punto di coordinate 40°30′N 69°53′W.
L'Andrea Doria e la Stockholm entrarono in collisione con un angolo di quasi 90 gradi: la prua rinforzata (in funzione del fatto che poteva operare anche come rompighiaccio) della Stockholm sfondò la fiancata dell'Andrea Doria e la squarciò per quasi tutta la sua lunghezza (dato che l'Andrea Doria continuava a correre lungo la propria rotta ortogonale alla prua della Stockholm) la quale sfondando sotto il ponte di comando dell'Andrea Doria per un'altezza di tre ponti, ovvero per oltre 12 metri, uccidendo numerosi passeggeri già ritirati per il riposo notturno nelle proprie cabine. Inoltre, sfondando molte paratie stagne e perforando cinque depositi combustibile, comportò un imbarco di circa 500 tonnellate di acqua di mare, le quali non potendo essere bilanciate nei brevissimi tempi della collisione, produssero il pericoloso, immediato ed anomalo sbandamento della nave a dritta per oltre 15 gradi.
Quarantasei dei 1706 passeggeri trovarono la morte nell'unico momento dell'impatto, insieme a 6 uomini della Stockholm. Dopo la collisione l'equipaggio trovò sul ponte della Stockholm una ragazza di 14 anni che era ospitata nella cabina 52 dell'Andrea Doria, era Linda Morgan, senza ferite gravi. Era sopravvissuta all'impatto, mentre sua sorella era morta nella cabina schiacciata dalla prua della Stockholm. La fortunata Linda Morgan era figlia di un noto cronista statunitense che nel corso della stessa notte, senza mai fare apparire di essere interessato da motivi di natura personale, seguì e portò avanti una cronaca diretta.
Subito dopo la collisione l'Andrea Doria iniziò ad imbarcare acqua e l'inclinazione aumentò superando i 18 gradi in pochi minuti. Una voce diffusa riteneva che mancasse una delle porte dei compartimenti stagni delle sale macchina, ma in seguito se ne determinò l'infondatezza. Varie cause che determinarono la repentina inclinazione della nave italiana: l'accostata a sinistra prima dell'impatto determinò uno sbandamento a dritta di circa 8°, mentre la falla un ulteriore sbandamento a dritta di almeno 13°. A questi vanno aggiunti tutti i pesi mobili che rotolarono a dritta dopo l'impatto (basti pensare ai bagagli dei passeggeri già allineati sul ponte passeggiata per il successivo sbarco). Alcuni sostennero che si aggiunse l'impossibilità, dipendente dalla velocità di successione degli eventi, di poter effettuare il riempimento con acqua marina dei depositi combustibile vuoti al lato di sinistra. Tuttavia questa asserzione è sbagliata perché non si sarebbero, poi, potute svuotare le casse piene di acqua di mare e nafta, per osservanza delle norme antinquinamento, ed inoltre perché non sarebbe stato possibile depurare la nafta anche dalla minima quantità di acqua di mare, causando problemi ai bruciatori. In poco tempo la nave superò i 20 gradi di inclinazione, e il capitano Calamai si rese conto che non c'erano più speranze. Il comandante, inoltre, non fece emettere il segnale di abbandono nave immediato, per non causare panico e confusione.
Il salvataggio: la Île de France viene in aiuto
L’abbandono della nave fu reso difficoltoso dallo sbandamento iniziale, che rese inservibili le scialuppe del lato sinistro. Gli addetti alle macchine si mobilitarono subito e grazie alla loro strenua opera l’elettricità fu mantenuta fino alla fine, tanto che la nave affondò con le luci di emergenza ancora accese. L'arrivo dell'Île de France con undici lance di salvataggio fu preceduto dall'arrivo di due navi mercantili: la Cape Ann prima e la Thomas dopo, ciascuna con l'apporto di due lance. Anche la Stockholm raccolse una parte dei naufraghi.
Un punto chiave nella soluzione del disastro fu la decisione del Capitano Raoul De Beaudéan, Comandante della Île de France, un transatlantico francese diretto verso l'Europa che aveva superato la Stockholm diverse ore prima, di dare ordine di ritornare indietro a macchine avanti tutta, riuscendo per questo a recuperare la maggior parte dei passeggeri e membri dell' equipaggio con l'utilizzo delle sue lance di salvataggio. Alcuni passeggeri della Île de France rinunciarono alle proprie cabine per darle ai sopravvissuti, stanchi, bagnati e congelati. Numerose altre navi risposero alla chiamata.
Il risultato fu che l'unica vittima del naufragio, oltre alle persone rimaste uccise nell'attimo dell'impatto, fu una bambina di 4 anni (di nome Norma di Sandro) la quale, a seguito del fatto che il padre, per poterla mettere in salvo l'avesse lanciata da bordo su una lancia di salvataggio sottostante, urtò violentemente la testa contro la falchetta della lancia stessa riportando inizialmente un gravissimo trauma cranico e che a seguito dello stesso morì in ospedale a Boston qualche giorno dopo.
Il numero limitato di vittime ed il completo successo delle operazioni di soccorso è merito del comportamento eroico dell'equipaggio dell'Andrea Doria e soprattutto del comandante Piero Calamai e delle rapide e difficili decisioni da lui prese in momenti tanto concitati. Tali capacità furono dovute alla sua grande esperienza soprattutto nelle due Guerre Mondiali. Dopo il salvataggio di tutti i passeggeri, il comandante Calamai restò a bordo dell'Andrea Doria rifiutandosi di mettersi in salvo; fu costretto a farlo dai propri ufficiali tornati indietro appositamente.
I naufraghi furono salvati dalle seguenti navi:
Nave Passeggeri salvati Equipaggio salvato Totale
Svezia Stockholm 308 234 542
Francia Île de France 576 177 753
Stati Uniti Edward H. Allen 0 77 77
Stati Uniti Cape Ann 91 38 129
Stati Uniti Pvt William Thomas 46 112 158
Stati Uniti Robert E. Hopkins 1 0 1
Totale 1088 572 1660
L'affondamento
All'alba, tutti erano stati allontanati dall'Andrea Doria. Il comandante Calamai tentò, invano, di convincere il comandante del guardacoste della guardia costiera americana Hornbean, che aveva tratto in salvo gli ultimi ufficiali rimasti a bordo, di trainare la nave su una secca. Al diniego dello stesso, si aggiunse un telex della società Italia che ordinava di attendere l'arrivo dei rimorchiatori da loro inviati da New York, previsto nel pomeriggio. A quel punto fu chiaro che anche l'ultima speranza di salvare l'ammiraglia italiana era sfumata. A causa della falla sul fianco, la nave continuava a inclinarsi, fino al definitivo affondamento, 11 ore dopo l'impatto, alle ore 10.09 del 26 luglio. L'ultimo pezzo visibile della "Andrea Doria" fu l'elica; che poi fu inghiottita anch'essa nel mare.
Curiosità legate alla tragedia
Le spettacolari foto aeree del transatlantico colpito e del disastro annunciato, consentirono a Harry A. Trask del Boston Traveler di guadagnare il Premio Pulitzer 1957.
Edward P. Morgan della "ABC Radio Network" di New York, trasmise un servizio giornalistico sulla tragedia, senza però riferire agli ascoltatori che due sue figlie si trovavano a bordo: non sapeva infatti che sua figlia Linda Morgan di 14 anni, la "ragazza del miracolo", era viva a bordo della Stockholm. L'altra morì nell'impatto.
Tra i passeggeri della Andrea Doria vi erano anche l'attrice statunitense Ruth Roman e suo figlio: lei e il bambino furono separati durante la tragedia e le successive operazioni di evacuazione. Una volta in salvo, la Roman dovette aspettare sul molo del porto di New York per avere notizie del figlio, assediata dai fotografi. Per ironia della sorte l'attrice aveva precedentemente interpretato la parte di una madre in attesa di sapere se il proprio figlio fosse o meno sopravvissuto ad un incidente aereo, nel film drammatico Tre segreti (1950).
Un'altra passeggera dell'Andrea Doria fu l'attrice statunitense Betsy Drake, moglie del celebre attore Cary Grant. Di ritorno negli Stati Uniti da una visita a Grant sul set spagnolo del film Orgoglio e passione (1957), la Drake fu tra i passeggeri tratti in salvo dalla nave francese Île de France.
L'affondamento produsse anche un effetto nella storia dell'automobile: sulla nave viaggiava anche la Chrysler Norseman, un prototipo avanzato di auto costruita in Italia per conto della Chrysler dalla Ghia; la Norseman era stata annunciata come il principale evento nel mercato delle auto per il 1957 e non era mai stata mostrata al pubblico prima del disastro.
Una Lambretta 175 TV placcata in oro e destinata all'attrice americana Jayne Mansfield (all'epoca testimonial dello scooter italiano) era imbarcata nell'Andrea Doria.
Il processo del 1956
Dopo l'incidente vi furono diversi mesi di indagini a New York. Importanti avvocati esperti di diritto marittimo rappresentarono le due compagnie coinvolte, e dozzine di avvocati si presentarono in nome dei parenti delle vittime. Gli ufficiali di entrambe le navi vennero fatti deporre, finché il processo si concluse con una conciliazione extragiudiziale e le indagini finirono. Come previsto dalla conciliazione extragiudiziale entrambe le compagne armatrici contribuirono al risarcimento delle vittime, ed entrambe pagarono i propri danni: la Swedish-American Line subì danni per circa 2 milioni di dollari, metà per le riparazioni e metà derivante dall'impossibilità di usare la Stockholm mentre la Italia perse oltre 30 milioni di dollari.
La nebbia venne alla fine considerata l'unica responsabile del disastro, ma diverse altre cause concomitanti vennero evidenziate nel corso dell'inchiesta dai rispettivi collegi di difesa:
Secondo la versione svedese (nonostante le testimonianze in senso opposto di equipaggio e passeggeri della nave italiana) sul posto non c'era nebbia.
Secondo tale versione, inoltre, gli ufficiali della Andrea Doria non avrebbero seguito le procedure radar e le carte nautiche per calcolare esattamente la posizione e la velocità della nave che stavano incrociando. A causa di ciò avrebbero sbagliato a valutare la dimensione, la velocità e la rotta della Stockholm.
Sempre secondo la difesa degli svedesi, l'Andrea Doria non aveva seguito le regole del codice marittimo internazionale, per cui una nave deve virare a dritta (destra) in caso di un possibile abbordo in mare. La Stockholm virò a dritta, la Andrea Doria a sinistra.
Secondo la versione italiana dei fatti (e anche secondo numerose testimonianze raccolte, comprese quelle delle autorità statunitensi), sul luogo c'era una fitta nebbia.
Gli ufficiali dell'Andrea Doria affermarono di aver ridotto la velocità in considerazione della situazione determinata dalla nebbia.
Secondo la difesa degli italiani, la responsabilità sarebbe stata da attribuirsi ad un'errata lettura dei dati del radar da parte dell'unico ed inesperto ufficiale svedese in servizio al momento dell'incidente, a fronte di una lettura corretta da parte di tre ufficiali di grande esperienza e del comandante dell'Andrea Doria. Inoltre (e questo è confermato anche dagli svedesi), il timoniere della Stockholm era notevolmente inesperto ed era costretto a correggere continuamente la rotta, ciò avrebbe contribuito a causare un'errata lettura dei radar.
Gli ufficiali italiani affermarono di essere stati costretti alla virata a sinistra per tentare disperatamente di evitare di essere speronati dalla Stockholm, se avessero virato a destra le sarebbero andati incontro.
Secondo la difesa delle parti civili entrambe le navi avrebbero viaggiato a velocità troppo elevata nella nebbia, una pratica comune ai transatlantici di linea. Le regole di navigazione stabiliscono che la velocità vada ridotta in condizioni di scarsa visibilità, in modo che lo spazio di arresto della nave sia metà della visibilità massima. In pratica, questo avrebbe significato fermare la nave, data la densità della nebbia accertata, ma mai ammessa dagli svedesi.
La Stockholm e la Andrea Doria erano soggette a condizioni climatiche diverse prima della collisione: l'impatto avvenne in un'area dell'Oceano Atlantico al largo delle coste del Massachusetts dove nebbie fitte e intermittenti sono comuni; mentre la nave italiana era bloccata dalla nebbia da diverse ore, la Stockholm era appena entrata nel banco di nebbia. Gli ufficiali della Stockholm pensarono erroneamente di non riuscire a vedere l'altra nave segnalata sul radar perché quest'ultima era un piccolo peschereccio o una nave militare mimetizzata, e non pensarono ad una nave di linea in movimento.
Ad entrambe le compagnie venne richiesto di limitare la discussione relativa agli eventuali problemi strutturali dell'Andrea Doria (che poi non furono riscontrati, neanche dopo una perizia sulla gemella Cristoforo Colombo): gli armatori della Stockholm avevano infatti un'altra nave in costruzione, la Gripsholm, presso i cantieri Ansaldo.
Essendovi stato un accordo extragiudiziale, il processo non giunse a nessuna conclusione di attribuzione di responsabilità.
Conseguenze della collisione
La collisione tra l'Andrea Doria e la Stockholm portò a diversi cambiamenti nel mondo marittimo per evitare che incidenti simili potessero ripetersi: le compagnie armatrici furono obbligate a migliorare l'addestramento degli uomini all'uso del radar. Va precisato che l'Andrea Doria era dotata di due radar, molto avanzati per l'epoca, che mostravano direttamente le posizioni dei bersagli, senza dover calcolare manualmente lo scarto tra rotta teorica ed effettiva; sulla Stockholm, invece, il radar non aveva il regolatore della portata illuminato.
Indagini e studi successivi
Recenti scoperte, realizzate anche grazie a sonde computerizzate e immersioni hanno gettato luce su alcuni aspetti:
L'esplorazione della Andrea Doria ha mostrato che la prua della Stockholm aveva aperto uno squarcio maggiore di quanto si pensasse nel 1956. Il problema della "porta mancante" è oggi considerato un mito: la sorte della Andrea Doria era segnata dalla collisione.
Studi recenti e simulazioni computerizzate svolte dal capitano Robert J. Meurn della Accademia della Marina Mercantile degli Stati Uniti di Kings Point, per conto della stessa Accademia e in parte basate anche sulle scoperte di John C. Carrothers, fanno giungere alla conclusione che fu l'inesperto terzo ufficiale della Stockholm, Carstens-Johannsen, unico ufficiale sul ponte di comando al momento della collisione a mal interpretare i tracciati radar e a sottostimare la distanza tra le due navi a causa di un'errata regolazione del radar. Tale fatto viene oggi attribuito anche ad una progettazione sbagliata dell'ambiente dove si trovava il radar della nave svedese: poco illuminato e con strumenti di difficile lettura. Secondo alcuni studiosi una semplice lampadina sul radar avrebbe evitato l'intera tragedia. Secondo questa ricostruzione l'ufficiale della nave svedese pensava che lo schermo radar fosse impostato su una distanza maggiore di quella in cui era effettivamente e che non fosse in grado di rendersi conto della cosa perché la manopola di questa impostazione non era illuminata. Già nel 1957 un'inchiesta del Ministero della Marina Mercantile italiana era giunta alla stessa conclusione, ma i risultati sarebbero stati tenuti nascosti a causa di accordi con la compagnia di assicurazione e con gli armatori.
Immersioni e spedizioni sul relitto - La spedizione Vailati
Le condizioni ambientali del luogo del naufragio sono abbastanza difficili. Infatti anche se il relitto si trova a soli 75 metri di profondità, la zona è percorsa da forti correnti, l'acqua è fredda ed essendo ricca di plancton è sempre torbida, cosa che fa da schermo ai raggi solari rendendo il sito estremamente buio. Inoltre frequente è la presenza di squali e per finire, non ultimi pericoli da sottovalutare, la presenza di nebbia, le condizioni del mare che cambiano repentinamente e il continuo via vai di navi, essendo nel bel mezzo della cosiddetta "Shipping Line" (linea di navigazione), rotta obbligata per tutte le navi che vengono dall'Europa per New York e viceversa. Nonostante tutto ciò l'Andrea Doria è stata sempre un ambito obiettivo di esperti subacquei in cerca di tesori e di avventure ed è stata definita il "Monte Everest delle immersioni".
Le prime immagini del relitto dell'Andrea Doria adagiato sul fondale, furono realizzate da Peter Gimbel già il giorno successivo a quello dell'affondamento, il 27 luglio 1956.
In seguito nel luglio del 1968 vi fu la prima spedizione italiana, organizzata dal regista Bruno Vailati, insieme a Stefano Carletti, Mimì Dies, Arnaldo Mattei e All Giddings noto ed esperto subacqueo statunitense. Fu realizzato un documentario dal titolo Andrea Doria -74 che ottenne il premio della critica "David di Donatello" ed il "Premio della Giuria al Congresso di Tecnica Cinematografica di Parigi". Sul relitto venne apposta una targa di bronzo con la scritta: "Siamo venuti fin qui per lavorare perché l'impossibile diventi possibile e l'Andrea Doria ritorni alla luce".
Peter Gimbel in seguito condusse un gran numero di operazioni di recupero, inclusa una nel 1981 destinata a recuperare la cassaforte della prima classe. Nonostante le voci indicassero che i passeggeri vi avessero depositato grandi ricchezze per metterle al sicuro durante il viaggio, l'apertura della cassaforte, avvenuta in diretta televisiva, permise il recupero solo di alcuni certificati d'argento americani e banconote italiane dell'epoca. In Italia la diretta venne trasmessa durante la trasmissione "Alla ricerca dell'Arca" condotta da Mino Damato.
Questo deludente risultato confermò la teoria secondo cui la maggior parte dei passeggeri, in vista dell'arrivo in porto la mattina successiva, avesse già ritirato i propri beni. La campana della nave fu recuperata alla fine degli anni ottanta e la statua dell'Ammiraglio Doria fu recuperata dal salone di prima classe da un gruppo di subacquei capitanati da George Merchant. Gli esemplari delle porcellane dell'Andrea Doria sono stati considerati a lungo pezzi pregiatissimi, ma oggi dopo le numerose razzie rimangono pochi oggetti di valore a bordo.
Il ricercatore oceanografo Robert Ballard, che visitò il relitto con un sommergibile della US Navy nel 1995, affermò che lo scafo è coperto di fitte reti da pesca strappate, e che una rete di cavi più sottili può facilmente impigliare e danneggiare l'attrezzatura di coloro che si immergono. Inoltre, il relitto sta collassando e la parte superiore è sprofondata di oltre 10 metri.
Eredità
La storia dell'incidente venne raccontata nel libro di Alvin Moscow Collision Course: The Story of the Collision Between the Andrea Doria and the Stockholm, pubblicato nel 1959 e successivamente aggiornato nel 1951 e 2004, in Italia il libro è stato pubblicato da Mondadori nel 2006 col titolo Andrea Doria - Un naufragio pieno di misteri (Oscar Storia n.421). Tale libro, tuttavia, appare sbilanciato a favore della versione svedese dell'incidente e superato sia da nuove pubblicazioni che dai risultati degli studi tecnici sulle responsabilità della collisione, in special modo da quelli di John C. Carrothers e quelli del Comandante Robert Meurn.
La Stockholm venne successivamente riparata e cambiò nome e proprietà più volte tra cui quello di Italia Prima agli inizi degli anni novanta.
Un gruppo di sopravvissuti ha fondato l'associazione Friends of the Andrea Doria ed è rimasto in contatto tra loro tramite internet, organizzando riunioni, servizi funebri e pubblicando un bollettino.
L'Andrea Doria ispirò anche il mondo dell'intrattenimento: nel film Ghost Ship compariva una nave, la Antonia Graza, che era ispirata alla Andrea Doria, così come la Andrea Doria svolge una parte importante nel libro Il serpente dei Maya di Clive Cussler. È inoltre citata nel romanzo Uragano Rosso di Tom Clancy. Fronte del porto (1954), di Elia Kazan, con Marlon Brando, è l'unico film in cui si vede l'Andrea Doria: in una scena, il protagonista vede il transatlantico italiano discendere l'Hudson a New York. La Andrea Doria ha inoltre ispirato una delle ambientazioni del videogioco Tomb Raider II, pubblicato da Eidos Interactive nel 1997, nel cui 8º livello l'eroina Lara Croft esplora il relitto sommerso di un transatlantico denominato "Maria Doria".
Un recente documentario del regista Fabio Toncelli, prodotto dalla SD Cinematografica per la RAI e per la rete televisiva pubblica statunitense PBS, ha approfondito la vicenda: "L'affondamento dell'Andrea Doria: la verità tradita", ricostruisce la dinamica della collisione e sottolinea, grazie a documenti precedentemente segreti, come gli enormi interessi delle compagnie di navigazione e delle loro assicurazioni determinarono la fine del processo a New York senza che si fosse giunti alla definizione processuale delle responsabilità della collisione.
Il brano Goodbye Malinconia dell'album Il sogno eretico di Caparezza cita il transatlantico come termine di paragone della società italiana (cit. "A Malinconia / tutti nell'angolo / tutti che piangono / toccano il fondo come l'Andrea Doria").
Renato Russo carsimatico leader del complesso brasiliano Legião Urbana scrisse nel 1986 una canzone "Andrea Doria" in cui il tragico affondamento della nave italiana, la regina del mare, è la metafora dei sogni infranti dei giovani e degli idealisti
lunedì 29 luglio 2013
domenica 28 luglio 2013
sabato 27 luglio 2013
Scampia
ʃkamˌpiːa/ in napoletano, è un quartiere di Napoli, situato nell'estrema periferia nord della città.
Costruito a cavallo della seconda metà del Novecento, Scampia confina a sud con i quartieri Piscinola e Miano, a sud-est col quartiere Secondigliano; ad est col comune di Arzano; a nord coi comuni Casandrino e Melito di Napoli e ad ovest col comune Mugnano di Napoli.
Cenni storici
Oltre l'80% dei suoi edifici risale al ventennio '70-'90, quando il quartiere fu costituito come 21ª circoscrizione di Napoli. Dal 2006 fa parte della VIII Municipalità del Comune di Napoli insieme ai quartieri limitrofi di Piscinola-Marianella e Chiaiano. Alcune realizzazioni edilizie, oggi discusse, furono edificate in momenti di piena emergenza post-terremoto: le cosiddette zone 167.
Non tutte le persone in stato emergenza alle quali furono concesse le abitazioni lo erano per le recenti cause sismiche, ma raccoglievano il malcontento causato dall'esplosione di abusivismo edilizio avutosi a Napoli a partire dagli anni '60. Tali immobili sarebbero poi diventati tristemente famosi col nome di Vele.
È uno dei quartieri più popolosi della città, nonostante il numero di residenti vada visto pesantemente al rialzo per via delle occupazioni abusive, non registrate all'anagrafe del Comune di Napoli e che secondo alcune stime raggiungono l'ordine delle migliaia di unità. Tali occupazioni abusive interessano finanche gli scantinati e i ballatoi.
A Scampia c'è uno dei tassi di disoccupazione più alti d'Italia, pari al 50%-75% della popolazione attiva, anche se i dati ufficiali parlano di 61,1 -61,7%.
Scampia è il primo quartiere di Napoli per disoccupazione, il secondo è Secondigliano con 55,7% di disoccupati.
Il nome de Le Vele è diventato tristemente famoso come l'emblema di uno dei quartieri più degradati e problematici della città. Il degrado si accompagna anche ad una marcata povertà materiale e sociale le cui cause, ancorché recenti, sono profondamente diffuse nella periferia nord di Napoli. Una tale densità di persone in precarie condizioni socio-economiche in un complesso così grande ha determinato l'esplodere di una criminalità organizzata che trovava un terreno fertile per tutti i suoi traffici, complice l'assenza dello Stato e della legalità.
Le Vele costituirono un'isola di criminalità ben protetta, isolata, nel quale le Forze dell'ordine poco potevano se non rischiare di avventurarsi tra quelle palazzine insicure e, pur ottenendo dei risultati lusinghieri, non potevano costituire, senza l'affiancamento di una politica sociale ed economiche, la risoluzione delle tante problematiche presenti. Nei primi anni '80 il fenomeno della droga a Scampia non era ancora agli enormi livelli di oggi.
La causa principale dell'esplosione dei traffici di droga fu dovuta alla decisione di aprire la nuova struttura ASL Napoli 1 proprio accanto alle Vele, e ancora, di ospitare un centro di somministrazione del metadone che richiamò frotte di tossicodipendenti da tutta la città, dalla Provincia, dalla Regione, ed oggi anche da tutta Italia. In questo modo diventarono enormi gli introiti della Camorra per il solo business dello spaccio degli stupefacenti, quantificabili in milioni di euro.
Con tali soldi inoltre era possibile per la criminalità organizzata comprare il silenzio delle autorità a qualsiasi livello, senza tuttavia intaccare il lavoro delle forze dell'ordine operanti sul territorio che, ogni anno, traggono in arresto un numero abnorme di persone per reati connessi alla droga ed altro. Oggi Scampia rappresenta di fatto una piazza in cui avviene lo spaccio di grossi quantitativi di droghe, al punto da essere definita paradiso della droga.
Il principale freno allo sviluppo del quartiere è la massiccia presenza della criminalità organizzata: la camorra è fortemente attiva nella zona, controllando una notevole mole di lavoro nero, che si manifesta soprattutto col racket ed il traffico di droga.
A fronte di queste notevoli difficoltà l'azione degli enti locali, diretta essenzialmente alla lotta alla criminalità e riqualificazione urbana (con l'abbattimento di alcune Vele), ad oggi (2008) non ha sradicato gli annosi problemi del comprensorio. Scampia è visto come il frutto delle scelte sbagliate degli amministratori dello Stato che i cittadini onesti continuano ancora a pagare.
Ogni anno si svolge qui il Premio Secondigliano (quartiere adiacente a Scampia), che premia tutte le persone nate in questi due quartieri e non, che si distinguono in campo artistico (letteratura, teatro e canzone).
Solidarietà sociale
A fronte di queste notevoli difficoltà l'azione degli enti locali, diretta essenzialmente alla lotta alla criminalità e riqualificazione urbana (con l'abbattimento di alcune Vele), è in difficoltà nel risolvere gli annosi problemi del comprensorio.
Vi sono molte scuole elementari e medie, però ognuna, in modo più o meno accentuato, presenta problemi relativi all'agibilità, al mancato rispetto delle norme igieniche basilari all'usura dei materiali da costruzione e al superamento delle barriere architettoniche. Sebbene l'esclusione sociale trovi la sua massima espressione nella dispersione e nell'inadempienza scolastica, a Scampia non mancano gli istituti superiori che conferiscono un valore sociale al quartiere non indifferente consentendo ai neodiplomati di accedere all'Università.
Nonostante la maggior parte di servizi siano di natura pubblica (Comune, ASL, UTB), si sono radicati nella cultura del quartiere anche delle aggregazioni in forma di comitato: per la casa, per l'abbattimento delle Vele, per i LSU e per i Bros. Oltre a questi, vi sono gli attori del volontariato e del terzo settore che, avvalendosi della legislazione sociale a loro favorevole, hanno attivato diversi servizi per la prevenzione ed il contrasto all'emarginazione quali, ad es., la scuola di calcio “Arci Scampia”, il progetto “Finestra adolescenti” e l'associazione “Aizo” per l'integrazione sociale delle popolazioni nomadi.
All'interno del quartiere, infatti, ci sono due campi Rom con 1500-1600 abitanti. La loro presenza ha creato spesso delle tensioni con la popolazione locale, come è successo nel 1999 e nel 2008. A seguito delle tensioni il comune di Napoli decise di spostare i campi Rom sulla via circonvallazione esterna.
Prospettive su Scampia
Sfruttando dei fondi europei, nel 2008 sono stati presentati vari progetti per riqualificare la zona, in primis la costruzione di una sede distaccata della facoltà di medicina della Federico II che ospiterà probabilmente i corsi di laurea di scienze della nutrizione e dietetica. Il 3 gennaio 2006, inoltre, la giunta Iervolino ha istituito “Napolinord” la società di trasformazione urbana con capitale sociale di 500 milioni di euro.
Dalla metà del 2010 il quartiere è entrato in un progetto di riqualificazione che ha portato come primo riscontro una presenza massiccia di forze dell'ordine impiegate a contrastare la criminalità. Inoltre sempre alla fine del 2010 confermando la linea dura intrapresa da parte dello stato è stato aperto un commissariato di Polizia nei pressi delle "Vele" per rendere fisso il controllo del quartiere. Proprio per questi motivi secondo stime del comune l'attività della Camorra per la prima volta dopo molti decenni è in netto calo compresa anche la micro-criminalità.
dinastia Ming
La dinastia Ming (Cinese: 明朝; Pinyin: míng cháo chiamata anche 大明帝国 il grande impero dei Ming) fu la dinastia che assunse il controllo della Cina dal 1368 al 1644, dopo aver determinato il crollo della precedente dinastia Yuan di origine mongola. Dopo la conquista da parte dell'emergente dinastia Shun della capitale Pechino nel 1644, gli aristocratici fedeli alla causa dei Ming si organizzarono nelle loro roccaforti nelle province meridionali del paese. Nel 1645, la dinastia Qing di etnia manciù sconfisse l'esercito shun e si impadronì del potere. La resistenza dei cosiddetti Ming meridionali, sarebbe stata progressivamente distrutta dai Qing e dopo il 1662 sarebbero rimasti soltanto dei gruppi isolati di Ming che avrebbero continuato le loro attività antigovernative fino all'istituzione della Repubblica di Cina nel 1912.
Gli imperatori della dinastia Ming erano membri della famiglia Zhu ed erano di etnia han. La dinastia sarebbe stata l'ultima di tale etnia a dominare la Cina.
Durante il regno degli Yuan, vi erano stati tra la popolazione forti sentimenti di opposizione al dominio dei mongoli. Il malessere degli han sfociò in una rivolta popolare che costrinse gli Yuan a ritirarsi nuovamente nelle steppe della Mongolia. La rivolta condotta da Zhu Yuanzhang consentì nel 1368 la presa del potere da parte della dinastia Ming, che promosse un periodo di rinascita culturale nel paese. I mercanti cinesi tornarono ad avere un ruolo di primo piano spingendosi fino all'oceano Indiano e le arti, in special modo quella della produzione di porcellana, raggiunsero traguardi straordinari mai ottenuti prima.
Sotto il regno dei Ming, venne costruita una grande flotta composta da enormi navi dotate di quattro alberi con la stazza fino a 1.500 tonnellate, e venne organizzato un esercito di terra composto da un milione di uomini.
Nella Cina del Nord, vennero prodotte ogni anno più di 100.000 tonnellate di ferro, e molti libri furono stampati con caratteri mobili. Rinomatissime sono le ceramiche Ming, tra cui si annovera quella wu cai. Secondo alcuni storici, la Cina all'inizio della dinastia Ming era la nazione più evoluta della terra.
Origini
La discriminazione razziale effettuata dalla dinastia mongola degli Yuan contro i cinesi han viene spesso considerata come causa primaria per la fine del dominio Yuan in Cina. Altre cause comprendono la collaborazione dei mongoli con i lama tibetani nel privare i cinesi delle loro terre e l'eccessiva circolazione di cartamoneta, che fece decuplicare l'inflazione durante il regno dell'imperatore Shundi Le inondazioni del fiume Giallo furono imputate all'abbandono da parte degli Yuan dei progetti di irrigazione. Verso la fine del loro dominio, l'agricoltura cinese era in condizioni disastrose.
L'idea di una rivolta maturò quando centinaia di migliaia di civili cinesi vennero costretti a lavorare al consolidamento degli argini del Fiume Giallo. Dopo molti anni di lotte, il gruppo ribelle condotto da Zhu Yuanzhang, che sarebbe divenuto il primo imperatore Ming Hongwu, divenne il più potente tra i vari gruppi cinesi di etnia han. Zhu avrebbe conquistato il potere nel 1368 fondando la dinastia Ming, stabilendo la capitale a Nanchino e adottando come titolo onorifico il nome "Hongwu" (letteralmente: immensamente marziale).
Divenuto orfano da adolescente, Zhu entrò in un monastero buddista per evitare di morire di fame. Durante questo periodo aderì ad una società segreta conosciuta con il nome di "fiore di loto bianco". Più tardi, da condottiero ribelle, entrò in contatto con eruditi confuciani appartenenti alla classe dei proprietari terrieri, dai quali ricevette una educazione negli affari di Stato.
Da ribelle popolare divenne difensore del confucianesimo e delle convenzioni neo-confuciane e, nonostante le umili origini, emerse come condottiero nazionale contro la decadente dinastia Yuan. Zhu divenne uno dei due soli fondatori dinastici provenienti dalla classe rurale (l'altro fu Gao Zu della dinastia Han).
Dopo aver combattuto e allontanato gli invasori mongoli, e valutato il rischio reale di una futura e nuova invasione, Hongwu restaurò l'ortodossa visione confuciana che vedeva i militari come una classe subordinata alla burocrazia degli eruditi. Considerava i mongoli ancora molto pericolosi ed organizzò un potente esercito.
Indotto dall'avversione confuciana verso il commercio, Hongwu appoggiò la creazione di comunità agricole largamente autosufficienti. Fece espropriare le tenute neofeudali che si erano create alla fine della dinastia Song e durante quella Yuan, i grandi latifondi confiscati vennero frammentati e messi in affitto, e la schiavitù nei fondi privati venne vietata. Dopo la morte dell'imperatore Yongle, i contadini indipendenti costituirono la classe dominante dell'agricoltura cinese.
Sotto il governo di Hongwu, i burocrati mongoli che avevano dominato per quasi un secolo durante la dinastia Yuan vennero sostituiti dai cinesi di etnia han. Venne ripristinato il tradizionale sistema confuciano di verifica, con il quale venivano selezionati i funzionari statali e gli impiegati civili sulla base del merito. I candidati per gli impieghi nel servizio civile e nel servizio militare dovettero passare nuovamente i tradizionali esami studiando i testi classici cinesi. I letterati confuciani, messi da parte dalla dinastia Yuan per circa un secolo, tornarono nuovamente ad esercitare la loro influenza sullo Stato cinese.
Hongwu riuscì parzialmente a consolidare il proprio controllo su tutti gli aspetti del governo, sia per evitare che nessun altro gruppo fosse in grado di sovvertire il suo potere che per rinforzare le difese del paese contro i mongoli. Come imperatore, concentrò sempre di più il potere nelle proprie mani, fece arrestare il primo ministro accusato di aver congiurato contro di lui ed abolì il segretariato imperiale, che durante le dinastie precedenti costituiva il principale ente amministrativo statale.
Durante i precedenti regni, il primo ministro doveva garantire che all'interno del governo vi fosse un livello sufficiente di competenza e continuità, ma Hongwu, desideroso di concentrare nelle sue mani tutto il potere, abolì l'ufficio del primo ministro rimuovendo la sola garanzia contro imperatori incompetenti. Ad Hongwu succedette sul trono nel 1398 il nipote Jianwen, che venne dopo 4 anni usurpato da Chengzu, uno dei figli più giovani di Hongwu, che regnò con il nome imperiale Yongle dal 1403 al 1434. Il nuovo imperatore spostò nuovamente la capitale a Pechino.
Durante il dominio dei Song, dinastia han che precedette quella degli Yuan, gli eunuchi ebbero un ruolo decisivo negli affari di governo; Hongwu ne ridusse il numero e vietò loro di maneggiare documenti di Stato, li lasciò privi di istruzione e liquidò quelli che si intromisero negli affari di Stato. Aveva una pronunciata avversione verso gli eunuchi imperiali (una corte di servi castrati al servizio dell'imperatore) ed un'iscrizione nel suo palazzo enunciava: "Gli eunuchi non possono avere nulla a che fare con l'amministrazione." Durante il regno del suo successore, gli eunuchi iniziarono a riguadagnare la loro precedente influenza.
Il ruolo dell'imperatore in questo frangente divenne ancora più autocratico, anche se Hongwu necessariamente continuò ad avvalersi di quello che chiamava il "Grande Segretariato" per gestire l'immensa mole di incartamenti, che includevano memoriali (petizioni e raccomandazioni al trono), editti imperiali, notizie di vari tipi e registri delle tasse.
Durante il regno di Hongwu, vi fu una rapida e drammatica crescita della popolazione, soprattutto grazie all'aumentata disponibilità di cibo derivante dalle indovinate riforme agricole. Alla fine della dinastia Ming la popolazione probabilmente era cresciuta di almeno il 50%.
L'imperatore Hongwu temeva le ribellioni ed i colpi di stato. La critica da parte di qualunque dei suoi consiglieri diveniva un'offesa da punire con la pena capitale. Una storia che lo riguarda, parla di uno studioso confuciano che era contrario alle sue politiche e che decise di andare nella capitale e rimproverare l'imperatore. Dopo aver intrattenuto gli ascoltatori, entrò nella bara che aveva portato con sé ed attese l'ordine di esecuzione di Hongwu. L'imperatore fu invece così colpito dalla sua spavalderia che gli risparmiò la vita.
Dalle esplorazioni all'isolamento
Tra il 1405 e il 1433, gli imperatori Ming inviarono sette spedizioni marittime per esplorare i mari del Sud e l'oceano Indiano. La xenofobia e l'introspezione intellettuale, caratteristiche della sempre più popolare scuola neo-confuciana, non condussero all'isolamento fisico della Cina. I contatti ed i commerci con il mondo esterno, in particolare con il Giappone, si incrementarono notevolmente. Yongle fu competente come amministratore, ma si rivelò un tiranno: con costernazione delle élite acculturate che ambivano ad un regno basato sulla virtù, fece eliminare famiglie intere di suoi oppositori politici e durante il suo regno furono assassinate arbitrariamente migliaia di persone.
Yongle tentò di estendere l'influenza della Cina al di fuori dei suoi confini, incoraggiando i vicini regnanti a spedire ambasciatori in Cina per offrire tributi. Gli eserciti cinesi riconquistarono l'Annam e bloccarono l'espansionismo mongolo, mentre la flotta cinese varcò i mari della Cina e l'oceano Indiano, arrivando fino alle coste orientali dell'Africa. I cinesi acquisirono una certa influenza sul territorio del Turkestan, e le nazioni marittime dell'Asia spedirono convogli con omaggi per l'imperatore cinese. All'interno del paese, il "Gran Canale" venne espanso notevolmente e fu utilizzato con profitto per il commercio interno.
Le sette spedizioni navali
Le imprese più straordinarie del periodo Ming furono le sette spedizioni navali di Zheng He, che attraversò il sudest asiatico e l'oceano Indiano. Era questi un ambizioso eunuco musulmano di discendenza hui, esterno alle strutture elitarie degli eruditi confuciani, che condusse tra il 1405 e il 1433 sette spedizioni navali, sei delle quali durante il regno di Yongle. Probabilmente arrivò fino al Capo di Buona Speranza e, secondo la controversa "ipotesi del 1421", nelle Americhe. L'incarico ricevuto da Zheng del 1403 per condurre una squadra marittima fu un trionfo per le lobby commerciali, che cercavano di stimolare il commercio tradizionale ed erano contrarie al mercantilismo.
Gli interessi di questi gruppi erano connessi anche a quelli delle lobby religiose. Entrambe erano offensive per le sensibilità neo-confuciane delle élite erudite, contrarie al commercio e all'esplorazione incoraggiato da tali gruppi. La prima spedizione nel 1405 consisteva di 62 navi e 28.000 uomini, e fu a quel tempo la più grande spedizione navale della storia. Le navi a più strati di Zheng He trasportavano fino a 500 soldati ma anche partite di beni da esportare, soprattutto sete e porcellane, e riportavano indietro beni di lusso stranieri come spezie e legni tropicali.
La ragione economica per queste enormi imprese era importante e molte navi avevano ampie cabine private riservate ai mercanti. Ma l'obiettivo principale era probabilmente politico: acquisire nuovi Stati tributari e sancire la potenza dell'impero han dopo quasi un secolo di dominio barbarico.
Il carattere politico dei viaggi di Zheng He evidenziò la supremazia delle élite cinesi. Nonostante la loro potenza che non aveva precedenti, i viaggi di Zheng He, a differenza delle successive spedizioni europee del XV secolo, non erano tesi ad estendere la sovranità cinese al di là dei mari. Le traversate furono oggetto di competizione tra le élite dello Stato, e diedero luogo a diverse controversie politiche.
I viaggi di Zheng He erano stati appoggiati dagli eunuchi di basso rango suoi compagni a corte, a cui si opponevano strenuamente gli ufficiali di istruzione confuciana. L'antagonismo divenne estremo al punto tale che questi ultimi provarono a cancellare le menzioni delle spedizioni navali dai registri ufficiali dell'impero. Secondo una interpretazione di compromesso, le incursioni dei mongoli orientarono i rapporti di forza a favore delle élite confuciane.
A partire dalla fine del XV secolo, ai soggetti imperiali venne impedito di costruire navi per l'oceano o di lasciare il paese. Alcuni storici obbiettano che questa misura venne presa come risposta alla pirateria.
Secondo storici degli anni 1960 come John Fairbank e Joseph Levinson, questo rinnovamento si convertì in stagnazione, la scienza e la filosofia vennero strette in una rete di tradizioni che soffocarono ogni tentativo di apertura verso l'innovazione. Gli storici che mantengono questa posizione, mettono in evidenza che nel XV secolo l'abbandono della grande flotta ed il divieto di costruzione di navi per mare portarono al decadimento dell'industria del ferro.
Declino dei Ming, una rivoluzione commerciale abortita
Le lunghe guerre con i mongoli, le incursioni giapponesi in Corea e le violazioni dei pirati giapponesi nelle città costiere nel XVI secolo indebolirono il potere dei Ming, che divenne vulnerabile ai colpi di stato, come era successo per le dinastie precedenti.
Gli storici concentrarono le loro attenzioni sull'incremento relativamente più lento del mercantilismo e dell'industrializzazione di tipo europeo in Cina durante il dominio Ming, e fecero dei paralleli tra la commercializzazione dell'economia Ming, l'era del cosiddetto "capitalismo incipiente" in Cina, e l'ascesa del capitalismo commerciale nell'ovest. Tali confronti ebbero lo scopo di analizzare i motivi per cui la Cina non fosse progredita a partire dall'ultimo secolo della dinastia Ming.
Storici economisti come Kenneth Pomeranz hanno ribattuto che la Cina era tecnologicamente ed economicamente alla pari con l'Europa fino al 1750 e che la divergenza era dovuta a condizioni locali, come l'accesso alle risorse naturali del Nuovo Mondo. Buona parte del dibattito si concentrò sul contrasto tra i sistemi politici ed economici dell'est e dell'ovest. Assumendo come reale la premessa causale che le trasformazioni economiche inducono cambiamenti sociali, che a loro volta hanno conseguenze nella politica, si può comprendere perché l'ascesa del capitalismo, un sistema economico nel quale il capitale viene investito per produrre ulteriore capitale, sia stato in qualche modo una forza trainante nell'ascesa dell'Europa moderna. Il capitalismo può essere rintracciato in numerosi stadi distinti della storia dell'Occidente, ed il capitalismo commerciale era il primo stadio.
In Europa i governi spesso proteggevano e incoraggiavano la classe capitalista borghese, composta principalmente da mercanti, attraverso controlli governativi, sussidi e monopoli, come nel caso della compagnia britannica delle Indie orientali. Gli stati assolutisti di quel tempo spesso ambivano a trarre beneficio dal crescente profitto della borghesia, per espandere o centralizzare i loro Stati nazione.
La questione appare ancor più anomala se si considera che durante l'ultimo secolo della dinastia Ming emerse una genuina economia della moneta, a lato di imprese mercantili ed industriali di scala relativamente ampia di proprietà, sia privata che statale, come ad esempio i grandi centri tessili del sud-est. Per alcuni aspetti, la questione è al centro dei dibattiti concernenti il relativo declino della Cina rispetto all'Occidente moderno, almeno fino alla rivoluzione comunista.
Gli storici cinesi marxisti, specialmente durante gli anni settanta, identificarono l'era Ming come un'epoca di "capitalismo incipiente", una descrizione ragionevole ma che non spiega la degradazione e l'aumentata regolamentazione statale del commercio statale di quel tempo. Ipotizzarono quindi che il mercantilismo di tipo europeo e l'industrializzazione avrebbero potuto evolversi, se non fosse stato per la conquista dei Manchu e per l'espansione dell'imperialismo europeo, specialmente dopo le guerre dell'oppio.
Una critica di orientamento post-modernista contesta che questo punto di vista sia semplicistico o errato. La proibizione di percorrere rotte oceaniche, viene affermato, era volta a evitare la pirateria e venne stabilita nel periodo medio-Ming su richiesta urgente della burocrazia, che metteva in evidenza gli effetti nocivi che stava avendo sulle economie delle coste. Questi storici, che includono Jonathan Spence, Kenneth Pomeranz e Johanna Waley-Cohen, negano che la Cina si fosse "ripiegata su se stessa", e asseriscono che questa visione della dinastia Ming è incoerente con il crescente volume di affari tra la Cina e l'Asia sud-orientale. Quando i portoghesi raggiunsero l'India, trovarono una rete commerciale in rapida espansione che seguirono poi fino in Cina, dove nel XVI secolo fondarono Macao, il primo insediamento europeo nella Cina continentale.
Altri storici collegano lo sviluppo prematuro del mercantilismo di tipo europeo e l'industrializzazione al declino della dinastia Ming. Il dibattito sulla degradazione del commercio è incentrato soprattutto sul ruolo del supporto dello Stato. Durante i primi anni della dinastia Ming, Hongwu creò le fondamenta per uno stato disinteressato al commercio ed orientato ad ottenere rendite dall'agricoltura. Con scarsa comprensione dei processi economici dei mercati, supportato dagli eruditi, Hongwu si affidò al punto di vista confuciano secondo cui i mercanti sono dei parassiti. Percepiva che l'agricoltura doveva essere la sorgente della prosperità del paese e che il commercio fosse ignobile.
Probabilmente questa visione venne accentuata dalle sue umili origini. Il sistema economico Ming enfatizzò l'agricoltura, a differenza di quello della dinastia Song, che aveva preceduto i mongoli e che basava sui commerci le proprie rendite. Le leggi contro i mercanti e le restrizioni imposte agli artigiani rimasero simili a quelle applicate dai Song, ma ora affliggevano anche i mercanti stranieri del periodo mongolo, e la loro influenza diminuì rapidamente.
Sebbene gli ultimi imperatori Ming, dopo i contatti con gli europei, vedessero l'insorgere di una genuina economia monetaria basata sull'argento (dovuta in gran parte al commercio con il Nuovo Mondo degli spagnoli e dei portoghesi), con lo sviluppo di imprese industriali e mercantili in larga scala e della proprietà sia pubblica che privata, l'età Ming non vide probabilmente la nascita del "capitalismo incipiente" a causa della predominio dell'influenza politica su quella economica.
In Europa i nuovi capitalisti, che ricavavano molti dei loro profitti dalla compravendita di beni, erano protetti e incoraggiati da controlli, sussidi e monopoli dei governi e la borghesia era una nuova e appetibile base tassabile per i troni in Europa, ma non nella stessa misura in Cina.
Sebbene il regno di Hongwu avesse visto l'introduzione della carta moneta, lo sviluppo del capitalismo venne intralciato dall'inizio nel raggiungere il suo potenziale. Non comprendendo il meccanismo dell'inflazione, Hongwu elargì in ricompense così tanta carta moneta che dal 1425 lo stato venne obbligato a reintrodurre monete in rame, con la valuta di carta svalutata della settantesima parte del suo valore originale.
Il controllo (ma non necessariamente il supporto) statale dell'economia cinese e della società in tutti i suoi aspetti, rimase la caratteristica principale del dominio Ming, come di quelli precedenti. La concentrazione di potere avrebbe potuto avere implicazioni disastrose se l'imperatore fosse stato incompetente o disinteressato al governo. Il motivo principale del declino Ming fu probabilmente la concentrazione di tutto il potere nelle mani dell'imperatore. Storici occidentali osservano anche che le qualità degli imperatori declinavano e questo venne esacerbato dalla centralizzazione della autorità.
giovedì 25 luglio 2013
Medea
« Tutto è santo e l'intera Natura appare innaturale ai nostri occhi. Quando tutto ti sembrerà normale della natura, tutto allora sarà finito! »
(Frase di Chirone pronunciata al piccolo Giasone)
Medea è un film italiano del 1969 diretto da Pier Paolo Pasolini, basato sull’omonima tragedia di Euripide e interpretato da Maria Callas. Il film, i cui esterni vennero girati in Turchia, in Siria e a Grado ebbe una positiva accoglienza da parte della critica anche se, sotto il profilo commerciale, non riscosse il successo sperato.
Trama
In Grecia a Corinto il re Esone è stato spodestato dal fratellastro Pelia, il quale governa con crudeltà e spietatezza, cercando in tutti i modi di uccidere l'erede al trono Giasone, ora mandato dal suo protettore Chirone. In Scizia è stata raccolta una potente reliquia chiamata Vello d'oro, tempo prima merce di Frisso. La pelle d'oro apparteneva al caprone sacro inviato dagli dei per salvare il fanciullo e la sorella Elle da morte certa ed aveva attraversato in volo tutto l'Ellesponto, mare che prenderà questo nome dalla sorella Elle che ci cadrà purtroppo, venendo inghiottita.
Giunto nella terra Colchide, Frisso verrà ucciso e la capra sarà scuoiata e la pelle data in dono ad Ares.
Dopo questo prologo in cui il centauro Chirone spiega ad un fanciullo (il giovane Giasone) in maniera filosofica anche l'armonia e l'equilibrio della natura, viene presentata la superba figura di Medea, sovrana della Colchide, una terra brutale e piena di usanze grottesche che ospita la reliquia del Vello d'oro.
Dall'altra parte del mondo in Grecia, Giasone, divenuto grande, viene spedito dal suo crudele zio a recuperare la preziosa pelliccia di capra, cosicché possa riavere il regno di Corinto.
Un giorno mentre Medea sta pregando la reliquia nel tempio vede per la prima volta l'eroe greco, giunto nel frattempo a bordo di una zattera con una manciata di uomini, e se ne innamora perdutamente, così tanto da chiedere aiuto al fratello per rubare il Vello d'oro e partire con Giasone per la Grecia. Il re lo viene a sapere e si getta all'inseguimento della figlia la quale però, per rallentarlo, uccide il fratello e lo taglia in tanti pezzi per costringere l'uomo a fermarsi più volte. Dopo aver raccolto tutti i pezzi del corpo di suo figlio, il sovrano torna nel suo villaggio a restituirli alla madre piangente affinché abbiano una degna sepoltura. La combriccola intanto approda nelle spiagge greche ma Medea ha alcune difficoltà ad ambientarsi perché si trova dinanzi ad una terra completamente nuova.
Consegnato il Vello allo zio, Giasone se ne va via non pensando al trono e consuma la prima notte d'amore con la sua amata, congedandosi dai compagni di viaggio ed il giorno dopo ha una particolare conversazione con Chirone, il centauro che lo ha allevato da piccolo e un suo sosia che, parlando per l'altro, lo mette in guardia riguardo al carattere e alle crisi epilettiche di Medea, ma Giasone non comprende e se ne va confuso. Passano dieci anni e un giorno Medea decide di recarsi a Corinto e quando giunge trova Giasone che balla come un forsennato insieme a ragazzi e ragazze tra cui Glauce, la figlia del re Creonte. Medea corre via meditando la vendetta ai danni della ragazza. Decide di farla sposare in tutta tranquillità con Giasone donandole due volte abiti e vesti colorate facendogliele portare dai propri figli con la promessa di non venir cacciata da Corinto, inducendo così in Glauce un fortissimo senso di colpa per averle rubato il marito, ed ella si uccide buttandosi dalle mura della città. L'atto era già stato perpetrato da Medea nei suoi pensieri, infatti la scena nel film appare due volte. Creonte, pazzo dalla disperazione, si suicida anche lui. Medea torna a casa e dopo aver fatto fare un bagno a suo figlio, lo sgozza; a notte fonda uccide anche l'altro che dorme e dà fuoco alla casa, per poi gettare una terribile invettiva contro Giasone.
Il mito originale
Stando alle fonti di Apollonio Rodio nelle sue Argonautiche e alla tragedia di Euripide, la storia di Medea presenta alcune differenze dal film di Pasolini. Infatti nella pellicola si fa poco riferimento al sovrano crudele Pelia, re di Corinto, il quale manda Giasone, suo nipote ed erede legittimo al trono, verso la pericolosa Colchide con la speranza che muoia durante il viaggio. Infatti Giasone corre numerosi pericoli nel tragitto, incappando anche nell'isola delle donne guerriere di Lemno e in altri posti governati da assassini e mostri, ma l'aiuto della dea Atena lo conduce sano e salvo con la sua barca e con gli argonauti nella terra di Medea. Questa è la figlia di Eete, il re della zona, e possiede doti magiche tanto che, quando accoglie Giasone nella sua reggia se ne innamora subito e usa le sue arti ingannatrici per aiutarlo nel conquistare il Vello d'oro, reliquia divina voluta da Pelia.
Medea inizialmente ordina a Giasone di uccidere dei giganti che spunteranno dalla terra infesta gettando un sasso da una parte. Gli energumeri come d'incanto si fracasseranno tra loro, e poi la maga cosparge l'argonauta di una sostanza infiammabile per uccidere il drago sputafuoco che sorveglia il vello. Partiti verso la Grecia con la reliquia e dopo che Medea, per salvare se stessa e gli argonauti dal padre, uccide il fratellino, viene incaricata dall'amante di uccidere il re Pelia tramite le mani delle figlie con un incantesimo, i due potranno finalmente starsene in pace. Nel film l'episodio della morte di Pelia, gettato a pezzi in un calderone dalle figlie affinché, con l'inganno, diventasse più giovane non è citato, ma è caratterizzante la parte in cui Medea prova rabbia e disperazione per il tradimento di Giasone con Glauce, figlia del re Creonte. Infatti nel mito originale, anziché nel rifacimento cinematografico, Glauce e il padre muoiono a causa di una veste avvelenata consegnata alla principessa da Medea stessa come regalo di nozze. Sia lei che il padre moriranno bruciati per colpa dell'abito che prende fuoco non appena entra in contatto con la pelle di Glauce. Quando infine Medea uccide i suoi due figli bambini avuti con Giasone per vendetta, la maga si libra in aria, dopo che il marito tenta di ucciderla con la spada, e si rifà una nuova vita in terra straniera.
Commento
Medea, interpretata da Maria Callas, è uno dei personaggi più emotivi, intriganti e più riusciti dell'intero lavoro cinematografico di Pasolini. La sua psiche è sapientemente analizzata ed è suddivisa in due alter-ego: quello brutale e violento di una donna dispotica, e l'altro debole e vinto dalle pulsioni emotive di una donna condannata dal fato. Basandosi alla tragedia di Euripide e alla realtà del periodo, Pasolini con questo film traccia un forte collegamento tra la leggenda mitica e brutale della Colchide con l'attuale realtà, alquanto fredda e turbolenta del 1969. Infatti in quel periodo in Italia abbondava molto la povertà e l'immigrazione e con ciò Pasolini voleva comunicare agli spettatori il rimorso e il dolore che provava un personaggio, re sicuro della sua terra, ora affranto, sperduto e confuso in terra straniera, come accade per Medea quando giunge con Giasone in Grecia. Particolarmente caratterizzante è la scena in cui Medea tenta invano di risollevarsi pregando gli dei della sue terra, senza ottenere risposta, tranne per quando dovrà compiere la sua vendetta contro lo sposo.
Sconvolgenti sono, oltre alla macabra scena di sacrificio di un ladro per furto, i momenti di tensione per le nozze di Giasone con Glauce e l'assassinio dei figli di Medea. Nella prima sequenza, al contrario del mito e del testo di Euripide, Pasolini induce Glauce a vergognarsi profondamente, umiliata dal senso di colpa che prova nell'aver rubato ad una donna, già affranta e in difficoltà per il distacco dalla sua terra, e per questo ella si uccide gettandosi da una scogliera.
Nella scena finale del film l'atmosfera raggiunge il massimo della suspense e dell'irreale, dato che Medea, anziché indugiare come nella tragedia, è perfettamente cosciente di dover compiere il sacrificio dei due figli per vendetta contro Giasone, tanto che, prima di celebrare il rituale, li lava e prega il dio Sole affinché le dia la forza. Sgozzati i due infanti, Giasone entra in scena, assistendo ad uno spettacolo di distruzione e fiamme, dove predomina solo la figura corrucciata di Medea, che lo maledice.
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