lunedì 5 agosto 2013
Salò o le 120 giornate di Sodoma
« Non posso mangiare il riso. »
(Carlo, la vittima che obbedisce al carnefice)
« E allora mangia la merda! »
(Il Presidente, ghignando)
è l'ultimo film scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini, e parzialmente ispirato al romanzo del marchese Donatien Alphonse François De Sade, Le centoventi giornate di Sodoma. Pasolini ricolloca l'ambientazione delle vicende tra il 1944 e il 1945, nel nord Italia occupato dai nazifascisti durante la Repubblica di Salò, da cui la prima parte del titolo. Il film è considerato uno dei più controversi del regista, oltre che fra i più scioccanti della storia del cinema.
Trama in sintesi
Verso la fine della seconda guerra mondiale, quattro potenti "Signori" fascisti aderenti alla Repubblica di Salò, ovvero un duca, un vescovo, un banchiere e un giudice, si ritirano per un soggiorno in una enorme e decadente villa isolata dal resto del mondo: fanno rapire e sequestrare un folto gruppo di giovani ragazzi, di entrambi i sessi, con l'intenzione di usarli per soddisfare tutte le loro perversioni sessuali.
Con il passare dei giorni, le sevizie, gli abusi e le violenze, sia fisiche che psicologiche, aumentano gradualmente di intensità, fino all'esecuzione della condanna a morte per coloro che in precedenza hanno osato disobbedire agli ordini impartiti dai quattro "Signori".
Trama completa
Il film è suddiviso in quattro parti, che richiamano nel titolo la geografia dantesca dell'Inferno:
Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda e Girone del Sangue;
Antinferno
« Tutto è buono quando è eccessivo! »
(Il Monsignore)
Nel 1944-1945, nella Repubblica di Salò durante l'occupazione nazifascista, quattro "Signori", rappresentanti di tutti i tipi di Potere, il "Duca" (quello nobiliare), il "Monsignore" (quello ecclesiastico), Sua "Eccellenza" giudice di Corte d'Assise (quello giudiziario) e il "Presidente" di una banca (quello economico), stabiliscono di ritirarsi per un lungo soggiorno in una villa isolata dal resto del mondo, presso la quale rinchiuderanno un gruppo di giovani di entrambi i sessi, appositamente rapiti, da usare per soddisfare e sperimentare tutte le loro perversioni sessuali; alla sottoscrizione da parte dei Signori del regolamento del soggiorno e del loro patto di sangue (ciascuno sposerà una figlia di uno degli altri tre) fa seguito l'assoldamento di giovani repubblichini di leva, con l'aiuto delle SS, e subito dopo la caccia alle potenziali giovani vittime da parte dei repubblichini stessi e dei collaboratori al soldo dei quattro libertini.
La caccia dura settimane: i giovani, adocchiati in base a determinate caratteristiche, vengono adescati, rapiti, catturati e strappati dalle proprie famiglie o, in alcuni casi, addirittura venduti dai loro stessi familiari; dopodiché vengono sottoposti al vaglio dei libertini i quali, dopo una lunga selezione in cui un soggetto viene respinto anche per il minimo difetto fisico, scelgono infine nove ragazzi e nove ragazze, di età compresa tra i quindici e i vent'anni. Le vittime vengono poi caricate su dei camion militari e trasportati fino a Marzabotto, dove si trova l'enorme villa, di proprietà del Duca, scelta per il soggiorno. Durante il trasferimento, Ferruccio, un ragazzo proveniente "da una famiglia di sovversivi" di Castelfranco tenta la fuga dal camion, ma viene ucciso dai soldati. Il Presidente subito dopo chiosa la perdita della vittima con una barzelletta.
La comunità che giunge alla villa è dunque così composta: i quattro Signori, tre narratrici ex-prostitute, diciassette giovani vittime (nove ragazze e otto ragazzi), le quattro figlie-spose (che saranno da qui in avanti trattate come schiave, perennemente nude), otto collaborazionisti (quattro soldati e quattro repubblichini), una pianista e sei domestici tra cui una ragazza di colore.
Il regolamento
« Deboli creature incatenate, destinate al nostro piacere, spero non vi siate illuse di trovare qui la ridicola libertà concessa dal mondo esterno. Siete fuori dai confini di ogni legalità. Nessuno sulla Terra sa che voi siete qui. Per tutto quanto riguarda il mondo, voi siete già morti. »
(Il Duca)
Non appena il gruppo giunge a destinazione, i Signori dànno lettura del regolamento: per tutta la durata del soggiorno, i Signori disporranno indiscriminatamente e liberamente della vita di tutti i membri della comunità (specialmente di quella delle giovani vittime, dei collaborazionisti e delle figlie-spose) che a loro devono assoluta obbedienza, rispettando le leggi e gli ordini da loro impartiti, e dovranno soddisfare tutte le loro richieste e i loro desideri senza eccezioni. In caso di disobbedienza andranno incontro a terribili punizioni.
Il regolamento prevede che ogni giornata si svolga nel seguente modo: alle ore sei in punto, tutti dovranno ritrovarsi nella cosiddetta Sala delle Orge, dove tre ex prostitute d'alto bordo, a turno, nella mansione di narratrici, avranno il compito di raccontare le proprie perversioni sessuali con lo scopo di eccitare i Signori e contemporaneamente di "educare" i ragazzi alla soddisfazione dei loro appetiti sessuali; le narratrici saranno accompagnate al pianoforte da una quarta donna che avrà il compito di estetizzare ulteriormente le loro crude ed esplicite narrazioni. La sera, dopo cena, avranno luogo le cosiddette "orge", che consisteranno nella messa in pratica delle "passioni" narrate in giornata, in cui tutti i presenti si "mescoleranno" e si "intrecceranno" tra di loro consumando ogni tipo di atto sessuale, purché di natura sodomitica, incestuosa o adulterina.
In caso di infrazione, anche di lieve entità, ai regolamenti o a un ordine impartito da uno dei Signori, il colpevole verrà meticolosamente segnato su un quaderno speciale adibito allo scopo (chiamato "Libro delle punizioni" o semplicemente "Lista") e punito in un secondo momento, inoltre qualunque uomo venisse colto "in flagrante delitto" con una donna verrà punito con l'amputazione di un arto; ogni più piccolo atto di devozione religiosa, infine, sarà punito con la morte.
Il gruppo fa quindi il suo ingresso nella villa, dove ogni porta e finestra viene sbarrata per impedire qualsiasi tentativo di fuga.
Girone delle Manie
« I capricci, per barocchi che essi siano, li trovo tutti rispettabili. Sia perché non ne siamo arbitri, sia perché anche il più singolare e il più bizzarro, a ben analizzarlo, risale sempre a un principe de délicatesse... e sì, vecchi rottinculo: esprit de délicatesse! »
(Il Monsignore)
Il primo Girone è quello delle Manie. In esso, la Signora Vaccari, la prima narratrice, intrattiene gli ospiti raccontando le sue esperienze libertine avute in gioventù, riferendosi in particolare a quelle della sua infanzia. I Signori, eccitati da questi racconti, iniziano a compiere una serie di sevizie e abusi sui corpi nudi o vestiti delle giovani vittime e delle figlie, aiutati e rinforzati dai loro fedeli collaboratori. Il resto delle giornate i Signori lo trascorrono a dissertare eruditamente sul significato morale del libertinaggio e sull'anarchia del potere, citando a memoria brani scritti da Klossowski, Baudelaire, Proust e Nietzsche, nonché raccontando barzellette di cattivo gusto. Tra le molte sevizie, spicca un matrimonio simulato tra due giovani vittime, cui viene poi impedito di consumare il primo rapporto, ma vengono separatamente seviziati dai potenti; o ancora le vittime nude a quattro zampe, tenute al guinzaglio e latranti, sono costrette come cani a mangiare scampoli di cibo gettati in terra o in ciotole: uno dei bocconi di cibo viene anche riempito, a sorpresa, di chiodi.
Una mattina, a tutta la compagnia riunita nella Sala delle Orge viene mostrato il corpo di una delle ragazze vittime, che giace con la gola tagliata davanti a un altare religioso adiacente alla Sala ove presumibilmente era stata sorpresa a pregare, violando il regolamento. La scena è commentata dal Presidente con un'altra barzelletta, dopodiché la comunità, con il cadavere della giovane ancora in terra, riprende come nulla fosse accaduto ad ascoltare un nuovo racconto della Vaccari.
Girone della Merda
« Vi renderete conto che non esiste cibo più inebriante, e che i vostri sensi trarranno nuovo vigore per le tenzoni che vi attendono. »
(La Signora Maggi)
In questo girone, la seconda narratrice, la Signora Maggi, narra le sue esperienze nel campo delle pratiche anali, in particolare quelle relative all'oroanalità e alla scatofilia, coronamento metaforico del film. Accanto alle sempre più fitte chiacchiere erudite dei Signori, che discutono sulla raffinatezza del libertinaggio e del gesto sodomitico, vengono celebrati falsi matrimoni tra i libertini e le giovani vittime (vestiti da spose), un "concorso" per premiare chi ha il "deretano più bello" e scene di coprofagia: prima il Duca costringe una ragazza in lacrime a mangiare con un cucchiaino gli escrementi che ha appena defecato al centro della sala, successivamente tutte le vittime vengono obbligate a non espellere i propri bisogni per alcuni giorni, nonostante si provochino loro intossicazioni alimentari, ed infine le feci, da loro prodotte tutte assieme, vengono raccolte e servite a tavola durante la cena.
Girone del Sangue
« Tutto è pronto. Tutti i macchinari vengono azionati. Le torture incominciano contemporaneamente, provocando un terribile frastuono. »
(La Signora Castelli)
Il Girone si apre con il Monsignore che "celebra" i falsi matrimoni del Duca, dell'Eccellenza e del Presidente (vestiti da nobildonne) con tre soldati. L'ultima sera di permanenza alla villa, mentre il Monsignore compie il giro d'ispezione notturna nelle camere degli ospiti, vengono a galla i tradimenti e le violazioni delle regole da parte degli inquilini della magione: un ragazzo del gruppo delle vittime, per salvarsi dall'imminente punizione che lo attende l'indomani, accusa una delle ragazze di tenere nascosta sotto il cuscino la fotografia di un uomo; consegnata la foto, la giovane a sua volta denuncia due sue compagne di stanza perché fanno l'amore ogni notte; costoro vengono colte sul fatto, ed una delle due rivela che uno dei repubblichini ha una relazione segreta con la "serva nera", anche questa coppia viene sorpresa a fare l'amore e uccisa seduta stante; il ragazzo si offre ai colpi di pistola di tutti e quattro i Potenti con il pugno sinistro chiuso alzato. Successivamente, una giovane vittima di nome Lamberto verrà scelta come rimpiazzo del collaborazionista ucciso.
Il giorno successivo, il Duca annuncia i nomi di coloro che sono designati alle punizioni, ovvero le quattro figlie-spose e dodici vittime (sei ragazzi e sei ragazze), facendoli contrassegnare con un nastro azzurro, dopodiché a tutte le altre vittime dice che possono "soltanto sperare" di seguire i Signori a Salò, purché continuino a "collaborare".
Dopo un'ultima narrazione della Signora Castelli, i Signori, con l'aiuto di vecchi e nuovi collaboratori, eseguono nel cortile interno le punizioni, prodigandosi in balletti isterici e atti sessuali necrofili sulle vittime, in un'orgia di torture, sodomie, ustioni, lingue mozzate, occhi cavati, scalpi, impiccagioni e altre uccisioni rituali che, a turno, ciascuno dei Signori osserva compiaciuto da una finestra della villa, con un binocolo. La pianista intanto, dall'interno della casa, accompagna con la musica le scene di tortura, ma poi smette di suonare e si toglie la vita gettandosi da una finestra.
Epilogo
Mentre fuori dalla villa sono ancora in corso crudelissime torture, in una delle stanze interne, due giovanissimi soldati repubblichini, annoiati e assuefatti mentre attendono i prossimi ordini, cambiano canale a una radio d'epoca che stava trasmettendo i Carmina Burana di Orff e, sulle note della canzonetta degli anni quaranta Son tanto triste, già udita nei titoli di testa del film, decidono di improvvisare maldestramente qualche passo di valzer; il film si chiude con un breve dialogo tra i due:
« - Come si chiama la tua ragazza?»
« - Margherita. »
Analisi
"Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole e ciò che il potere vuole è completamente arbitrario, o dettatogli da sue necessità di carattere economico che sfuggono alla logica comune."
Pier Paolo Pasolini durante la sua ultima intervista sul set del film.
Nel film il "potere" prende le distanze dall'umanità, trasformandola in oggetto e il sesso ha un ruolo fondamentale, un "ruolo metaforico orribile", come dirà lo stesso Pasolini. Secondo Pasolini "il sesso in questo film, sia pure in modo onirico e stravolto, diventa la metafora di ciò che oggi il potere fa dei corpi", descrive la "mercificazione dei corpi da parte del potere" rifacendosi al pensiero di Marx. È soprattutto metafora dell'essenza più intima del potere che per Pasolini è fatta di brutalità, violenza, sopraffazione, viltà e totale certezza dell'impunità. Facendo convergere l'intuizione di De Sade sull'attuazione del potere attraverso il controllo del sesso, e l'analisi marxista, Pasolini svela la correlazione fra la dominazione di classe e la sopraffazione sessuale. Constatando ferocemente e lucidamente la malafede di qualsiasi interpretazione tranquillizzante dello specifico caso italiano e della violenza massificante che il regista vi scorge. Un cambiamento epocale che per Pasolini trasforma anche il sesso, fino ad allora da considerare una risorsa giocosa e liberatrice delle classi subalterne, in un orribile obbligo di massa, imposto da una forza invisibile, a cui tutti si adeguano.
L'altra metafora oscena del film è quella scatologica: direttamente ripresa da Dante, è un'allegoria dell'ansia di uguaglianza nella degradazione consumistica, e simbolo della perversione capitalistica. E tuttavia valutata con distacco temporale dalla rovente stagione ideologica in cui esso fu concepito, il Salò di Pasolini appare essenzialmente una proiezione di moti dell'animo del poeta stesso. Il tema del rapimento di adolescenti e del successivo "bondage" è uno dei temi più caratteristici della produzione pornografica omosessuale. Il sado-masochismo è una espressione di sessualità estrema alla quale Pasolini stesso, nelle sue avventure notturne nella capitale e dintorni, fu tutt'altro che estraneo. Più che una critica del potere nella sua espressione estrema (la dittatura borghese-fascista) la pellicola appare pertanto una ruvida esteriorizzazione di impulsi latenti e della peculiare oscillazione dell'autore tra Eros e Tanathos (per esprimersi in termini freudiani)
La rigorosa collocazione registica dei personaggi nell'inquadratura e la perfezione formale della fotografia negli interni e nei costumi, contrasta, volutamente e in modo netto, con il tema trattato.
Tra i riferimenti stilistici del film va rilevato quello brechtiano per l'utilizzo della tecnica dello straniamento teorizzata appunto da Bertolt Brecht, qui operante attraverso lo stridente e abissale contrasto, volutamente insostenibile, tra l'oscenità del soggetto rappresentato e l'estremo rigore formale ed estetico, accentuato anche dal rifiuto volontario di Pasolini di tratteggiare psicologicamente i personaggi, in particolare delle giovani vittime, e l'eliminazione di ogni elemento che potesse suscitare sentimenti di pietà e di empatia nei loro confronti, lasciando dei "cenni" dove era strettamente necessario, perché, secondo quanto dichiarato dal regista, se le vittime fossero state caratterizzate in modo tale che lo spettatore avesse provato simpatia nei loro confronti, per quest'ultimo la visione del film sarebbe stata veramente insostenibile, e poi perché ciò avrebbe stonato con il suo stile registico.
È l'ultimo film di Pasolini che negli ultimi mesi della sua vita, terminata col suo omicidio, sentiva crescere intorno a sé un sentimento di ostilità. In quel periodo Pasolini denunciava lo sfacelo "culturale e antropologico" dell'Italia e delle classi popolari italiane a opera della spietatezza livellatrice delle classi dominanti: intuizioni che furono meglio recepite solo molti anni dopo la sua morte, a partire dalla fine degli anni ottanta, e considerate potenti e profetiche. Anche in relazione alle sue prese di posizione politiche e intellettuali sulla situazione italiana, le stragi e i misteri di Stato, Pasolini probabilmente temeva per la sua vita. Forse messa in conto la possibilità della sua morte, continuò nella sua indagine come per una sfida finale nei confronti del mondo, convinto più che mai di gettarsi contro l'indifferenza degli italiani e l'assuefazione inculcata dal potere.
Storia del film
Trilogia della Morte – Episodio I
Dopo la Trilogia della Vita (comprendente Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte), Pier Paolo Pasolini ebbe in mente di realizzare una Trilogia della Morte, nella quale ribaltare l'ottimismo favolistico dei tre "classici" precedenti, in particolare per quanto riguarda la componente sessuale: gioiosa e solare nel primo trittico, fredda e raccapricciante nel secondo. Su suggerimento di Sergio Citti, Salò venne scelto come primo episodio e rimase poi l’unico realizzato a causa della tragica prematura morte del regista. L'intenzione di Pasolini, per i motivi che abbiamo visto, era di non risparmiare nulla a livello di violenza e perversione. Benché si trattasse di violenza più simbolica che fisica, e benché l'ossessivo accanimento realistico con cui De Sade la descriveva nel suo romanzo fosse nel film di Pasolini effettivamente ridotto, Salò si preannunciò fin dalla lavorazione un film maledetto.
Durante la lavorazione
Le riprese, effettuate principalmente nella cinquecentesca Villa Zani a Villimpenta nella primavera del 1975, furono molto difficili; non tanto a livello tecnico (il direttore della fotografia era Tonino Delli Colli) quanto nella direzione degli attori: le scene di omofilia, coprofagia e sadomasochismo richiedevano una pazienza che solo il savoir faire e il carisma di Pasolini rendevano accettabili. La sequenza del cortile, poi, in cui le torture raggiungono il culmine, causò abrasioni e ustioni su alcuni corpi (nudi) dei giovani attori che interpretavano le vittime, e fu forse il momento peggiore del set: lo stesso Pasolini – sempre autocontrollato per ovvie ragioni “rassicurative” – vi tradì qualche imbarazzo e senso di colpa. Tuttavia, si racconta che le pause di lavorazione fossero spesso giocose, con lunghe tavolate nei pasti – a base preferibilmente di risotto – fino ad arrivare a una partita di calcio disputata contro la troupe di Novecento di Bernardo Bertolucci, che girava nelle vicinanze. Essa sancì anche la riconciliazione fra l'allora giovane regista (34 anni) e il suo indiscusso maestro (53) dopo alcuni dissapori seguiti alle generose critiche che il secondo aveva riservato a Ultimo tango a Parigi (1972), senza difenderlo dai drastici provvedimenti della censura.
Il furto delle bobine
Durante la lavorazione del film, alcune bobine furono rubate, chiedendo un riscatto. Per il montaggio furono usati quindi i "doppi": le stesse scene, girate però da una inquadratura diversa. (In occasione dell'ultima riapertura del "caso Pasolini", si è formulata l'ipotesi che Pasolini fosse stato informato del ritrovamento delle suddette bobine sul lido di Ostia, ove egli si recò guidato dal Pelosi, cadendo così nell'agguato che lo uccise).
Finali alternativi
Pare che Pasolini fosse indeciso su quale tipo di conclusione dare al film, a tal punto da aver ideato e girato quattro finali diversi: il primo era l'inquadratura di una bandiera rossa al vento con su scritto "È amore", ma è stato abbandonato dal regista perché lo riteneva "troppo enfatico" e "incline all'etica psichedelica giovanile" da lui detestata. Il secondo mostrava tutti gli attori del film, esclusi i quattro Signori, il regista e la troupe eseguire un ballo scatenato in una sala della villa arredata da bandiere rosse; la scena fu girata con lo scopo di usarla per metterci dentro i titoli di coda, ma è stata scartata perché risultava, agli occhi di Pasolini, caotica e insoddisfacente. Un altro finale, scoperto di recente e rimasto solo nella stesura iniziale del copione, mostrava, dopo le torture finali, i quattro Signori passeggiare fuori dalla villa e tirare le conclusioni sulla morale di tutta la vicenda. Infine, mantenendo l'idea del ballo come azzeramento della carneficina, Pasolini scelse per il montaggio definitivo il cosiddetto finale "Margherita", con i due giovani soldati repubblichini che ballano.
Uscita del film e censura
Il contrappasso per Salò, tuttavia, era ugualmente prossimo a venire: l'ultimo film di Pasolini ebbe, come il precedente Teorema, traversie giudiziarie durissime. Proiettato in anteprima al Festival di Parigi il 22 novembre 1975 (Pasolini era morto da tre settimane) il 23 dicembre venne proiettato nelle sale italiane - la prima nazionale fu al cinema Majestic di Milano - ma tre settimane dopo venne sequestrato dal Procuratore della Repubblica della stessa città, e si aprì un procedimento penale contro il produttore Alberto Grimaldi. Fu questo l’inizio di un’odissea che durò ben quindici anni: infatti, solo nel 1991 venne riconosciuta piena dignità artistica al film. A causa di questa vicenda, il film è tuttora inedito nelle televisioni “in chiaro”, mentre per quelle a pagamento, il primo passaggio è avvenuto sul canale Stream il 2 novembre 2000 per i 25 anni della morte di Pasolini.
Dal 2003 in Italia e negli altri stati mondiali il film è uscito in commercio in DVD, in versione restaurata e con interviste di critici e attori cinematografici.
Reticenza
Di coloro che lavorarono in Salò, pochissimi hanno accettato di parlarne negli anni successivi (tra questi anche l'attore Paolo Bonacelli e Sergio Citti). Ancora più reticenti gli attori non professionisti (cfr. per esempio Franco Merli), tornati subito o quasi nell’anonimato dopo aver preso parte al film.
Curiosità
Per proteggerli dai possibili problemi giudiziari del film, Pasolini rinunciò a utilizzare due dei suoi attori abituali: Ninetto Davoli, cui inizialmente era assegnato il ruolo di un giovane collaborazionista, e Laura Betti che doveva interpretare (ma poi si limitò a doppiarla) la signora Vaccari. Anche Franco Citti, terzo attore abituale pasoliniano nonché fratello dello sceneggiatore Sergio, non compare nel cast.
Oltre alla Betti, altri due amici di Pasolini doppiano una parte. Ma si tratta di doppiatori atipici, come atipici sono gli interpreti. Uno è il regista Marco Bellocchio che presta la voce ad Aldo Valletti (generico di Cinecittà), l'altro è il poeta Giorgio Caproni che la presta a Giorgio Cataldi (amico borgataro del regista).
Franco Merli e Ines Pellegrini avevano già recitato nel precedente film di Pasolini Il fiore delle Mille e una notte interpretando due giovanissimi amanti.
Il sostituto di Davoli è Claudio Troccoli, un giovane che ricorda il Ninetto dei primi tempi.
La scena in cui la Signora Vaccari (Hélène Surgère) e la Pianista (Sonia Saviange) recitano davanti a tutti una scenetta comico-grottesca è una citazione del film francese Femmes Femmes, uscito nel 1974 e diretto da Paul Vecchiali (del quale Pasolini era un grande estimatore), in cui le due protagoniste erano appunto interpretate dalla Surgère e dalla Saviange.
Nella versione rimasterizzata del film, pubblicata in Inghilterra dalla British Film Institute (BFI), è presente una scena che non è stata inserita nelle altre versioni internazionali (Italia compresa): in essa, dopo il primo matrimonio dissimulato tra due giovani vittime, il Duca fa uscire in malo modo tutti i presenti dalla sala (a eccezione dei due sposi) e poco prima di chiudere la porta recita in tedesco un brano di Gottfried Benn.
A un primo progetto scritto del film collaborarono Maurizio Costanzo e soprattutto Pupi Avati che fu il deus ex machina della primissima stesura del film.
In una scena del film, il Presidente (Aldo Valletti) canticchia la canzone Torna piccina mia di Carlo Buti.
Nel curioso libriccino di B. J. Loz Uccello asinino cercasi (Millelire - Stampa Alternativa, 1995), elenco dei più divertenti annunci erotici italiani (contornati da un comico mini-commento dell'autore), ve n'è uno da Milano che dice: "Ispirandosi al film Salò o le 120 giornate di Sodoma, con le doverose modifiche, padrone ospitale cerca schiave/i minimo 20enni". L'autore commenta: "Speriamo che le modifiche siano in meglio..."
Il gruppo Symphonic black metal Cradle of Filth ha citato questo film nel proprio video Babylon A.D., nel quale il cantante Dani Filth è il protagonista.
Il gruppo electro/dark wave giapponese Gothika ha usato il titolo 120 Days of Sodom per un suo album del 2007, riprendendo i temi principali di Pasolini.
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